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Autore: SellyLuna    02/03/2012    1 recensioni
Salve! è la prima volta che scrivo in questa sezione.
Questo testo è ispirato a fatti realmente accaduti, anche se in parte romanzati, perchè i fatti menzionati non sono capitati a me personalmente. Perciò mi sono dovuta immedesimare in un'altra persona reale, anche se oggi non c'è più. E devo essere sincera ho trovato delle difficoltà nello scrivere di persone realmente esistite e esistenti. Come dovrebbe far intuire il titolo parla dell'attesa, dei sentimenti e delle paure di una donna quando scopre di aspettare un bambino.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IN ATTESA DI TE

 
Era una bella giornata, abbastanza calda per essere alla fine del mese di  febbraio.  Il tenue calore del sole arrivava a toccare lievemente tutto ciò che incontrava sulla sua strada, sia che fossero oggetti o persone. Riusciva ad entrare, senza intoppi, da una finestra semi aperta di una piccola cucina, donando più luminosità alla stanza. In quel momento una ragazza stava aprendo l’anta del frigorifero alla ricerca di qualcosa da mangiare. Era da un po’ di tempo che la fame la colpiva alle ore più assurde, ed era alquanto strano perché non era una persona che amasse mangiare molto, soprattutto fuori dai pasti. Ma questo non significava che non mangiasse abbastanza, perché non le era mai capitato di svenire per la mancanza di energie, solo mangiava quanto le era necessario durante i pasti della giornata.
Ultimamente aveva scoperto un piacere, che non sapeva di possedere, nel mangiare e riusciva ad assaporare i diversi sapori che si mescolavano scontrandosi sul suo palato.
Anche i suoi famigliari avevano notato questo cambiamento e un giorno sua madre le aveva chiesto, senza rabbia o intenzione di giudizio, se per caso era incinta. D’altronde non era una possibilità da scartare, poiché aveva un ragazzo, con il quale stava assieme già da parecchio tempo. Inoltre era già stato a casa sua, quindi anche la sua famiglia lo conosceva;lo stesso valeva per lei.  
Ma non avevano progettato in modo serio, almeno fin a quel momento, di avere un bambino, anche perché non vivevano stabilmente assieme in una casa propria. Spesso stava a casa di lui, ma quando ne sentiva il bisogno, tornava a casa dei suoi genitori, dove la porta le veniva sempre aperta.
All’osservazione della madre, la prima volta, aveva scacciato l’idea a priori,allo stesso modo come si scacciavano, infastiditi, le mosche con la mano, non credendolo possibile. Ma se analizzava meglio la situazione, potevano esserci molti indizi a suo favore e un controllo medico non guastava.
Comunque aveva un terrore immenso a fare quel controllo, non solo per l’esito - positivo o negativo che fosse- ma soprattutto per le domande che le avrebbe rivolto il medico,qualora avesse trovato qualcosa di strano. Anzi, certamente i medici porgevano quelle determinate domande,  di prassi ,anche prima di guardare le analisi. E ora, iniziava a sentirsi tremendamente in colpa, perché con molta probabilità la sua non sarebbe stata una gravidanza facile, e soprattutto ne avrebbe risentito il suo bambino. Se non avesse riscontrato dei problemi anomali durante la gravidanza, sicuramente ce ne sarebbero stati dopo. Stava iniziando a farsi prendere dal panico. Ma in una
piccola e remota parte della sua mente c’era la convinzione che non sarebbe andato tutto così male, anche perché non aveva la certezza assoluta del risultato, quindi non serviva angustiarsi prima del tempo. I problemi, se mai, se li sarebbe posti per tutti i restanti mesi di possibile gestazione.
Così non pensandoci più, si sedette al tavolo a mangiare un piccolo spuntino, mentre aspettava l’arrivo degli altri.
 
La visita medica aveva rivelato che la ragazza ventiseienne aspettava davvero un bambino. E suo malgrado, aveva dovuto rispondere a quelle domande scoccianti, perché a parer suo un tantino personali, sulle sue abitudini di vita. Aveva dovuto confessare che qualche volta aveva fatto uso di droghe. Il medico, allora, le aveva consigliato di fare ulteriori visite per assicurarsi che non fosse affetta da AIDS. Quanto si era vergognata! Ora, la gente pensava che lei era una persona orribile, perché aveva sbagliato, si era lasciata prendere dal giro, perché aveva pensato che fosse stata  l’unica e possibile soluzione ai suoi problemi. Ma ora era consapevole dello sbaglio che aveva fatto, ma quando ne aveva avuto bisogno, aveva trovato questo come aiuto. O semplicemente non aveva saputo vedere bene chi era davvero disposto ad aiutarla, non si era confidata con le persone giuste, ma aveva, inevitabilmente, fatto la scelta sbagliata. Questo era un pensiero che le era già passato per l’anticamera del cervello, solo che l’aveva spesso messo, a tacere, in un angolino. Le cose erano andate piuttosto bene, o almeno non erano così disastrose, per cui non era valsa la pena di rimpiangersi addosso. Certo, questo valeva prima, ma ora? Ora che portava dentro di sé un'altra creatura non poteva non pensarci. I suoi sbagli sarebbero ricaduti sul suo bambino, senza che questi lo avesse voluto, ma avrebbe dovuto sorbire, senza lamenti. Non era giusto. Per colpa sua, il suo bambino avrebbe avuto una vita difficile, forse sarebbe stato meglio non dargli la possibilità di patire questa sofferenza e tutti i suoi sbagli, non le sembrava giusto. Quindi l’unica soluzione, seppur dolorosa, era quella di abortire. Non poteva crederci di aver pensato una cosa così orribile, ma non sapeva che fare. Diventare mamma era sempre stato un suo desiderio, anche se, doveva ammetterlo, a volte aveva avuto paura al pensiero del dolore e della sofferenza causati dal parto, nonostante le avessero detto che dopo avrebbe provato una gioia immensa. Ma non riusciva a capire, perché prima si dovesse soffrire così tanto? Probabilmente non lo avrebbe mai provato e compreso fino in fondo.
Ora ne doveva parlare, oltre che con la sua famiglia, al suo ragazzo.
 
Dopo una lunga e estenuante consultazione, avevano deciso di tenere il bambino, di dargli l’occasione di vivere. Entrambi, sia lei che lui, si sarebbero impegnati a fare il tutto possibile per migliorare la loro situazione, per non far mancare nulla al loro bambino, nonostante la particolarità del loro caso. E questo non doveva indurre a pensare che il loro bambino non fosse come tutti gli altri, invece lo era esattamente come tutti i bambini sulla faccia della terra, voluti e amati dai loro genitori e dono più grande del Signore. In questa difficile scelta, erano stati loro vicini anche i famigliari più stretti, dando ognuno la loro opinione, tutte positive, e garantendo loro tutto l’aiuto necessario, nel caso ne avessero avuto bisogno. D’altronde era il loro primo bambino e tutti erano convinti che sarebbe stato giusto portare a termine la gravidanza, poi sarebbe stato quello che avrebbe voluto il Signore.
E così avevano fatto.
 
I mesi passavano, e lei sentiva i cambiamenti, il più visibile dei quali era certamente la crescita della pancia. Iniziava a trovare difficoltà nel fare anche le cose più semplici e per altre ci impiegava più tempo del dovuto. Inoltre aveva riscontrato non poche difficoltà a lavarsi, ormai le sembrava un’impresa assai ardua. Altre volte, sentiva strani movimenti provenire dall’interno della sua enorme –rispetto a prima- pancia, dandole la certezza che il piccolino, lì dentro, era vivo. Ogni volta che li sentiva, qualunque cosa stesse facendo, la interrompeva per dare la dovuta attenzione al fenomeno. E non poteva non meravigliarsi a immaginare che il suo bambino, così piccolo, vivesse dentro di lei nel calore che lei, inconsapevolmente, gli donava. E un sorriso, compiaciuto, e di pura gioia le fioriva alle labbra. Iniziava a comprendere cosa significasse essere portatrici di una nuova vita.
 
Nonostante i momenti di felicità al pensiero della sua vita futura con il suo amore e il loro bambino, aveva dovuto sostenere anche esami e controlli continui per constatare la sua salute e quella del nascituro. Che fatica, soprattutto durante gli ultimi mesi, dover andare a fare quei controlli, utili per carità, ma che la spossavano in maniera indicibile. E molto spesso doveva recarsi anche molto lontano dalle sue zone, ad esempio le era capitato di andare fino a Trento,non che fosse distante da diventar impossibile da raggiungere- anche se ormai con i mezzi  d’oggi non era più un problema- solo le scompigliavano la routine, e per questo non le amava in particolar modo. Ma se si dovevano fare, per il bene del bambino, si sopportava.  I medici erano molto scrupolosi e seguivano il suo caso con perizia. Nonostante non amasse gli ospedali e tutto ciò che vi era annesso, doveva ammettere che si era trovata abbastanza a suo agio.
Ma ciò non affievolì tutte le sue paure e i suoi problemi che si poneva quasi ogni giorno su possibili situazioni che avrebbe potuto riscontrare durante la sua permanenza in ospedale. Non riusciva a tranquillizzarsi neanche dopo le parole di conforto da parte del suo compagno, anche se le avevano alleggerito la sensazione di angoscia.
Inoltre mano a mano che era agli sgoccioli ritornava, prepotentemente, la paura del parto. Quanto dolore avrebbe sentito? La notte non dormiva più molto bene, continuava a girarsi e rigirarsi nel letto, senza trovare tregua. E quelle volte che riusciva a lasciarsi andare alle braccia di Morfeo, faceva degli incubi popolati da ospedali, medici e bisturi. Si svegliava di soprassalto con la fronte imperlata di sudore, ansimando. Le ci voleva  molto tempo per tranquillizzarsi e decidere di cercare di riprendere sonno, che, nei casi più fortunati, lo avrebbe trovato solo nelle prime ore dell’alba.
Ma, nonostante tutti gli scongiuri del mondo, il momento di provare l’ospitalità dell’ospedale arrivò anche per lei insieme al tanto atteso parto.
Vero che avevano già deciso che il suo parto sarebbe stato un parto cesareo, scelta obbligata vista la situazione, per il bene della bambina,ora potevano dirlo con certezza visto che conoscevano da un po’ di tempo ormai il sesso del nascituro. E così avevano trovato anche il giusto nome, anche se la ricerca non era stata tanto semplice e veloce. Avevano dovuto sfogliare più di una volta il dizionario dei nomi che era stato imprestato loro, prima di essere sicuri. Volevano un nome unico e speciale, adatto per la loro figlia. Dopo tanto penare, scelsero il nome che avevano avuto per tutto il tempo sotto agli occhi, perché era lo stesso dell’autrice di quel libro. Così la bambina, che aprì gli occhi in quel  giorno memorabile, fu chiamata proprio come la luna.
 
La donna vide per la prima volta la sua bambina su una fotografia, perché dopo il parto fu costretta a letto, non potendosi alzare, ma sperava di riprendersi il più in fretta possibile per andare a vedere e toccare la sua piccolina che sapeva era in incubatrice. Intanto continuava a osservare la fotografia immaginando il tanto atteso momento. Finalmente giunse il giorno che incontrò dal vivo sua figlia, alla quale diede il suo primo pasto tenendola, premurosa e anche un po’ impacciata, tra le sue braccia amorevoli. Provava delle emozioni così forti,indescrivibili, ma tutte quante, che lottavano freneticamente per cercare di avere il sopravvento, le riconosceva facenti parte della più generale famiglia della felicità. Si ritrovò il volto rigato da scie luminose
mentre sorrideva. Ad un estraneo poteva sembrare pazza, perché non si capiva se stesse piangendo o ridendo. E forse pazza lo era, ma di gioia. E tutto sommato non le interessava molto cosa potevano dire gli altri in quel momento, mentre i suoi occhi incontrarono quelli più grandi, vivi e curiosi,della sua creatura. E in quell’istante comprese che amava sua figlia più della sua stessa vita, che avrebbe fatto di tutto per lei e, guardando con fiducia verso l’orizzonte, era sicura che qualunque difficoltà si sarebbe posta sulla sua strada l’avrebbe affrontata con coraggio.
 
 
 
 
 
Salve a tutti!
Come ho già detto è la prima volta che scrivo in questa sezione e sarei molto grata se voleste darmi un vostro parere al riguardo. ^^
E volevo aggiungere che è un omaggio a mia mamma.
Grazie per l’attenzione!
A presto! ;)
Selly  
 
  
        

   
 
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