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Autore: HildaGreen    02/03/2012    6 recensioni
"Ginocchia alte, petto in fuori, sguardo che punta sempre in alto… si, era perfetta!
Si fermò in cima alle scale, guardò la Shibusen, sicura che l’avrebbe fatta cadere ai suoi piedi, dopotutto, cos’era impossibile per lei?
Respirò a fondo, poi si avviò verso l’entrata a passo sicuro, facendo ondeggiare i lunghissimi capelli azzurri, dei ciuffi legati in una piccola treccia accanto al viso, adornato da un fiorellino rosso.
Inoltre, i capelli non erano la sola cosa a muoversi… Ai ragazzi l’occhio cadeva sempre lì, sui suoi grandi seni, sempre in vista, dopotutto, perché nascondere una simile bellezza?
Sembrava una ragazza come tante… finché non le parlavi."
Ecco a voi l'arma più potente e bella (ed egocentrica...) di tutta la Shibusen!
Avete indovinato chi è?
Ovviamente l'adorata figlia di Black Star!
Si chiama Sora e, come i suoi amati genitori, dovrà fare i conti con kishin, bulli e streghe, ma la sfida più grande per lei, sarà l'amore!
Intanto la Shibusen, tredici anni dopo la sconfitta del primo Kishin, si prepara a combattere una nuova guerra.
Come andrà a finire?
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Death the Kid, Liz Thompson | Coppie: Black*Star/Tsubaki, Soul/Maka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Stelle non sono niente senza Cielo!'
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Il passato di Eis


Eis mosse le palpebre solo leggermente, strizzandole prima di aprirle, ma dovette chiudere di nuovo gli occhi per la forte luce.
Con la vita ancora annebbiata, distinse un fuoco  che ondeggiava davanti a lui poi, sbattendo più volte le palpebre, vide la sua arma rannicchiata con la testa sulle ginocchia ed uno sguardo stanco ed assonnato.
Ora che vedeva più chiaramente, distinse i tronchi degli alberi ed il buio pesto tra essi e sopra le loro chiome.
Davanti a lui sentiva il calore del fuoco, ma dietro sentiva il freddo salire dalla neve. Solo quando provò a muoversi, lo colpì il dolore acuto alla gamba e, quando abbassò lo sguardo, vide la neve colorata di rosso e un pezzo di stoffa insanguinato legato al polpaccio.
Guardò ancora Sora, che combatteva contro il sonno, alzando ed abbassando lentamente la palpebre in continuazione e gli occhi rossi, dello stesso colore era la sua maglietta ed il cappotto, disteso accanto a lei, ancora bagnato dalla caduta in acqua.
Non ricordava assolutamente nulla dopo essere stato ferito e la tentazione di chiedere spiegazioni era troppa, ma la compagna sembrava troppo stanca e temeva una reazione violenta conoscendola.
«Potresti anche dormire adesso.»
La vide solo sbattere più velocemente le palpebre e stringersi ancora più con le ginocchia contro il petto.  Attese a lungo la sua risposta.
«Potrebbero attaccarci.»
Si sentì piuttosto offeso, pensava che lui non fosse in grado di fare la guardia?
Senza più pensare alla conseguenze, azzardò fare la domanda che tanto lo arrovellava.
«Che cosa è successo?»
Gli occhi della ragazza si ridussero a due fessure e aggrottò le sopracciglia, evidentemente infastidita.
Lei non rispondeva e, prima che potesse farlo, lui fece un’altra domanda. «Perché arrivare fin qui? Dove eravamo, la foresta era piuttosto lontana.»
«Per accendere il fuoco no?! E che vuoi che sia successo... li ho sconfitti!»
Sollevò la testa e lo guardò male. «Pensavi che portarti fin qua per me fosse troppo difficile?»
Eis sospirò. In effetti era quello che aveva pensato, ma non perché la considerasse debole, solo per il fatto che scavare nella neve fosse molto più semplice.
Dato che non rispondeva, Sora sbuffò e affondò di nuovo la testa tra le ginocchia.
L’unico rumore che si udiva nella foresta, era lo scoppiettio del fuoco e quel silenzio era estremamente fastidioso, almeno per il ragazzo perché c’era qualcosa che non irritasse Sora, a parte il suo Kid?
Eis non poteva vedere la ragazza in volto, ma era sicuro che fosse ancora sveglia e non se la sentiva di dormire con lei in quelle condizioni. Per quanta resistenza opponesse, si sarebbe addormentata e, se non lo avesse fatto, sarebbe stata comunque inutile.
Cambiò improvvisamente idea quando lei si voltò a guardarlo con occhi piuttosto furiosi.
«Come cazzo fai a restare così impassibile?!»
Le ultime sillabe le aveva pronunciate a stento, a quanto pareva il suo difetto alle corde vocali era davvero peggiorato, però, in quel momento non aveva importanza per nessuno dei due.
Eis aveva capito benissimo a cosa si riferiva, ma rimase in silenzio non sapendo cosa dire.
Lei lo fissava con sguardo truce, senza lasciargli altra scelta se non quella di parlare.
«Che dovrei fare allora?!»
Lui distolse lo sguardo e lei si fece più vicina, ma notò subito che si muoveva in modo insolito, nascondendo il fianco destro.
Non gli diede tempo di chiederle in motivo che si intromise ancora di più nel suo spazio personale, avvicinandosi pericolosamente al suo viso, suscitando in lui un notevole fastidio.
«C’è qualcos’altro che mi nascondi?!»
Quando lui si voltò, si ritrovò davanti i suoi occhi color malva e, ancora una volta distolse lo sguardo.
«Guardami in faccia quando ti parlo!»
Fra i tanti difetti che aveva, apprezzava che, almeno fino ad ora, non si impicciasse nelle faccende altrui, era talmente egocentrica. Perché tutto quell’interesse?
«Non ti aspettare una storia allegra e a lieto fine!»
Finalmente era riuscito a farla ritrarre, si era seduta di fronte a lui, con le spalle al fuoco ed i lunghi capelli che coprivano il fianco. I suoi contorni erano illuminati dalla luce calda del fuoco, mentre, nel buio che le velava la parte rivolta a lui, brillavano i suoi occhi.
Preferì concentrarsi su quell’immagine che far riemergere il suo passato, ma lo sguardo di lei non ammetteva una retromarcia.
 
Fu all’età di cinque anni che divenne consapevole della reale situazione della sua famiglia, se così si poteva chiamare.
Quel giorno era stato sempre chiuso in casa, un’abitazione semplice circondata da tante altre identiche e da un’immensa foresta di abeti imbiancati. Erano così gli inverni là, si stava al calduccio accanto al fuoco, guardando dalla finestra la bufera di neve che infuriava all’esterno,
Erano sempre stati loro due, madre e figlio, il padre usciva e non si faceva sentire, per giorni o addirittura settimane.
Pensando a sua madre, gli veniva sempre in mente quel suo sorriso dolce e caldo, circondato da quei lisci capelli color miele. Lo teneva sulle sue ginocchia e gli parlava con la sua voce di velluto, ma non aveva alcun ricordo degli argomenti di cui parlava, non erano neanche molti, il loro villaggio era disperso nel nulla e non c’erano né televisioni né computer, tantomeno la corrente.
Quello era stato il periodo più sereno della sua vita, ma solamente perché era all’oscuro di tutto, non conosceva il dolore di sua madre.
Un giorno la porta si spalancò, il vento spense il fuoco nel camino, facendo calare il buio nell’abitazione e la neve si accumulò rapidamente sulla soglia dell’abitazione, su cui stava un uomo imbacuccato, totalmente irriconoscibile.
Sua madre aveva preso Eis per mano, spostandolo delicatamente dietro le sue gambe, ma lui non capiva.
L’uomo si era tolto la sciarpa nera dalla bocca e si era avvicinato con passi per nulla delicati. Era un mese che quel bastardo non si faceva vivo ed ora la donna sapeva bene il motivo della sua visita e ricordava con terrore la sua ultima discussione con lui, le tremavano le gambe al solo pensiero.
Era la tradizione del villaggio che i ragazzi appena adolescenti compiessero un’impresa che dimostrasse il loro valore e le abilità ereditate dal padre. Era così che si misurava il valore di un uomo, ma Eis era appena un bimbo di cinque anni! Tutto questo solo perché era stato umiliato dagli uomini del villaggio, deriso e definito ubriacone, quando avrebbe voluto essere il capotribù.
A stento la donna era riuscita a farlo stare alla larga da suo figlio fino ad allora e non avrebbe rinunciato adesso, ma lui aveva la sua stessa determinazione.
Eis guardava con curiosità quell’uomo, con l’espressione ingenua ed innocente di un bambino, ma sua madre stingeva con forza la sua piccola mano.
La voce dell’uomo era roca e rimase colpito dalla brutalità delle sue parole, che diede inizio ad un furioso litigio, che fece sfociare ulteriormente la violenza dell’uomo, che colpì la donna con un forte schiaffo.
La donna piagnucolò sommessamente, si interruppe all’istante, facendosi forza solo per suo figlio, ma dalle labbra le usciva del sangue.
Il bambino aveva spalancato gli occhi e stringeva i pantaloni della madre, immobilizzato dalla paura e quasi se la faceva sotto, o forse se l’era fatta veramente addosso, quando dalle sue mani erano sfuggiti i pantaloni della madre, strattonata dall’uomo per i capelli.
Lei gridava e si ribellava, cercando di non farsi trascinare, ma lui l’ebbe vinta.
«Ti ricorderò di nuovo chi è che comanda!»
Eis ricordava con orrore quelle parole e si vergognava di sé stesso, mentre sua madre veniva trascinata verso la camera da letto per difendere lui, lui che era rimasto impalato senza fare nulla. Che figlio ingrato.
La notte la casa sembrava essere diventata immensa, l’unica cosa che lo ricordava che non era solo, erano le grida strazianti di sua madre, ma ancora non aveva la forza di andare da lei, non aveva neanche idea di cosa stesse succedendo dall’altra parte della stanza.
La mattina seguente, l’unico che vide uscire dalla camera, fu solo suo padre che, senza dire una parola, lo trascinò fuori senza neanche un cappotto.
Da dentro a fuori, la temperatura variava di tantissimo, rabbrividiva, ma quell’uomo continuava a farlo camminare a passo spedito, troppo veloce per le sue gambe corte che affondavano nella neve.
Lo aveva fatto camminare a lungo, addentrandosi nella foresta e si fermarono dove, legato ad uno degli alberi, c’era una corda che finiva nella neve che esplose in aria, facendo emergere un grosso cane dall’aspetto di un lupo. Era molto denutrito, gli si vedevano le costole e, dalle fauci spalancate, gli colava la saliva che faceva sembrare perlati i suoi affilati denti bianche. Tirava la corda, che a poco a poco si stava sfilacciando, impaziente di accanirsi contro i due, spinto dalla fame.
Eis lo guardava, chiedendosi perché l’animale si trovasse lì, poi, l’uomo gli mise un pugnale nella mano ed era così grande che a malapena le sue dita si chiudevano attorno all’impugnatura.
L’uomo gli aveva dato un comando: «Uccidilo.»
Eis aveva alzato gli occhi su di lui che lo guardava severamente, ma non poté dire nulla che il cane si stava scagliando contro di lui.
 
«Tu... tu lo hai...»
«Non interrompere ci stavo per arrivare.»
«Lo hai ucciso?»
Il meister annuì  e dalla faccia della ragazza capì che ci era rimasta malissimo, sapeva che le piacevano i cani, la prima volta che l’aveva vista ne stava accarezzando uno.
«Vuoi ancora che continui?»
Sora acconsentì.
 
Aveva cercato riparo tra gli alberi ma erano troppo distanti e sarebbe stato inutile ed anche il padre si era allontanato da lui.
Era successo tutto così in fretta che non si era neanche reso contro di ritrovarsi sotto l’animale lo riempiva di graffi cercando di arrivare al collo.
L’uomo stava inveendo e gli ripeteva di ucciderlo e lui, per istinto, spinse la lama vero l’alto, trapassando la gola dal cane che andò a guaire più in là, prima di accasciarsi mestamente sulla neve e morire.
I giorni seguenti si erano susseguiti tutti in modo simile e faticoso, inoltre, quando sbagliava, suo padre lo picchiava, non aveva più tempo di stare con sua madre, l’aveva vista a malapena. Lo aveva guardato con occhi tristi e languidi, senza la possibilità di potergli dire una parola e per lui, non era stato possibile farsi sfuggire le numerose ferite che aveva su tutto il corpo. Il suo viso era trasfigurato e spento senza quel suo sorriso aperto, era luminoso come il sole che, in quel posto dimenticato dal mondo, non appariva quasi mai da dietro le nubi.
Mentre i mesi passavano e lui prendeva sempre più consapevolezza della situazione in cui si trovava, il ventre di sua madre cresceva e l’inverno successivo, fu segnato un susseguirsi di pianti.
Hias, era il nome del suo fratellino e, da quando era nato, sua madre sembrava essere più felice di prima, ma anche preoccupata, temendo che potesse capitare anche a lui quello che era successo al suo primogenito.
Crescendo, Eis sentiva crescere le responsabilità su di lui, sentiva anche lui il bisogno di proteggere Hias e sua madre, a soli sette anni era molto più maturo dei suoi coetanei, anche se lui non avrebbe saputo dirlo, dato che il suo contatto con gli altri era praticamente inesistente. Costretto ad obbedire a quell’uomo -il solo pensiero di essere il suo frutto, inorridiva sotto la pelle- aspettava solo di crescere e poter avere abbastanza forza da opporsi, ma il giorno in cui dovette difendere le persone che amava, arrivò troppo presto. Infatti, il padre, deluso dal suo primo figlio, decise di voler portare con sé anche Hias. In realtà qualche volta lo allenava e lo picchiava anche più di quanto faceva con il fratello maggiore, in quanto, essendo più piccolo, sbagliava anche di più e quell’uomo aveva una scarsissima pazienza.
Eis, ormai cosciente dei maltrattamenti subiti fin troppe volte da sua madre -con probabilità, nato anche egli stesso a quel modo orrendo-, si oppose al posto di lei, che aveva protestato, esattamente come quel giorno di quattro anni prima, ma ora era lui che doveva difendere tutti.
Capì cosa aveva provato sua madre quando suo padre gli diede uno schiaffo, così forte da gettarlo a terra, ma lui si rialzò subito, così come tante altre volte. Alla fine decise di reagire, consapevole che la sua forza non sarebbe comunque bastata, tuttavia, si sorprese nel vedere quanta ne avesse, infondo, quei disumani allenamenti non erano stati inutili, ma non per questo avrebbe lasciato fare a suo padre quello che voleva.
Non era neanche molto leale suo padre, infatti, dopo che Eis si era accanito contro di lui, aveva sfoderato il pugnale.
Gli era bastata una sola manata per sbattere il figlio contro il muro e lui non aveva modo di scappare, stordito anche da tutti colpi presi, ma non voleva accettare che finisse a quel modo. Infatti, andò diversamente...
 
Sora era rimasta scioccata, deglutì, sentendo il cuore battere forte contro il petto.
«Si è... si è messa in mezzo?»
La sua frase non sembrava molto una domanda, piuttosto un’affermazione di stupore. Per un attimo immaginò sé stessa nella stessa situazione di Eis, sapendo benissimo che anche sua madre le avrebbe salvato la vita senza alcun ripensamento.
La voce di Eis era rimasta neutrale per tutto il racconto, ma la ragazza non poté fare a meno di pensare che, sicuramente, aveva dei sensi di colpa... sua madre era morta per difendere lui...
 
Il corpo di sua madre era esanime sul pavimento, l’uomo lo aveva scansato con i piede, quando in realtà, non si sarebbe nemmeno dovuto azzardare a posare lo sguardo su una donna come lei.
Eis non si prese tempo per pensare a quello che era veramente successo, reagì pensando solo al bene di suo fratello, con la morte della loro mamma, non c’era più nulla che li legava a quel posto.
Prese in braccio suo fratello e corsero via, fuori era così buio che il padre perse le loro tracce alle soglie della foresta.
Per tutto il tempo, Eis aveva tenuto la testa del fratello contro il suo petto, nascondendogli le sue lacrime, ma sentiva il petto del bambino muoversi in modo irregolare.
Non chiusero occhio in quella notte infernale. La mattina erano seduti nella neve e  nessuno dei due diceva una sola parola o almeno, questo era quello che parve ad Eis, lui teneva la testa tra le mani e nella testa si ripeteva la scena dell’uccisione di sua madre. Era solo colpa sua. Lui che aveva detto di volerla proteggere...  
«Eis... cosa facciamo?»
Alzò la testa e guardò il fratello con occhi lucidi.
«Non ti preoccupare, ce la caveremo...»
La sua voce tremava, non era riuscito a trattenersi, ma non avrebbe pianto davanti a Hias, anche se non era per nulla sicuro di quello che aveva detto.
Con gli stomaci dolenti, continuarono a vagare per la foresta, con il timore che loro padre avrebbe potuto ritrovarli.
Non avevano idea di dove andare, non si erano mai allontanati dal villaggio.
«Su, dobbiamo andare.»
Aveva detto a Hias, che era rimasto indietro. Stava sorridendo, voleva sforzarsi di farlo per lui, ma smise subito quando vide che respirava affannosamente ed aveva un colorito preoccupante.
Si era abbassato su di lui e gli aveva toccato la fronte. Era bollente.
Preso dal panico, ma senza darlo a vedere, lo prese in braccio e riprese a girovagare per la foresta di corsa.
 
«È finita così» sospirò Eis, con un sorriso amaro sul volto. «Sono rimasto completamente solo...»
Sora non ebbe la forza di dire nulla, e se anche l’avesse avuta, cosa gli avrebbe detto? Se ne stava accucciata con la testa sulla ginocchia e lo sguardo basso.
 
Era finito un altro giorno e con esso, anche suo fratello. Rimasto completamente solo e, preso dalla disperazione, scoppiò il lacrime, lasciando fluire anche il dolore per sua madre. Forse sarebbe stato meglio se non fosse mai nato, sarebbe stato meglio in confronto a quella vita o, più che vita, era meglio chiamarla inferno.
Impiegò molto prima di decidersi ad abbandonare il corpo senza vita di Hias, era solo un peso ora, anche se in vita era stato tutt’altro, uno dei pochissimi motivi per continuare a vivere.
Avrebbe raggiunto l’altra parte della foresta e sarebbe sopravvissuto solo per ricordare le persone che aveva amato, senza alcuna speranza di trovare di meglio.
Dopo varie ore di cammino, si reggeva a malapena in piedi, la fame lo stava distruggendo, ma poi, la sua attenzione ricadde alla sua sinistra, dove sentiva delle voci. Si avvicinò e vide una ragazza che non doveva avere più di venticinque anni e stava maneggiando una falce.
La osservò combattere contro un “mostro”, non sapeva bene come definirlo, non aveva mai visto una cosa simile.
Una volta terminato il combattimento, di quel mostro rimase solo un’anima.
«Perché dobbiamo ancora occuparci di queste cose?»
Eis non capiva da dove venisse la voce, non poteva essere della ragazza, era troppo maschile.
«Non è per nulla fico.»
«Non c’era nessuno che poteva occuparsene al momento, era una missione difficile per gli studenti.»
Lui non si fidava delle persone, non dopo quello che aveva passato, ma ormai non aveva nulla da perdere e si fece avanti.




Shinigami, che capitolo lungo! Non ce la facevo più! Avevo pensato di dividerlo in due capitoli, ma alla fine... eccolo qui! Ancora una volta, scusate il ritardo e per questo capitolo, forse è un pò troppo... non so come dire ma mi è dispiaciuto scrivere cose di questo tipo, per questo non sono voluta entrare nei dettagli e raccontare meglio.
Inoltre, voelvo dirvi che ho scritto una storia e, come storia originale, non sono per nulla sicura di come stia venendo, per questo, se vi fa piacere leggerla, mi farebbe piacere e mi sarebbe utile sapere che ne pensate
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=974090&i=1
Al prossimo capitolo e grazie a tutti quelli che hanno letto ^^
Tsutsu
  
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