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Autore: Noemix    03/03/2012    1 recensioni
Questa OS ha partecipato al contest indetto da SerenaEsse e vanderbit "Luci di Natale"
Natale 1922, New York
Ascoltavo il silenzio.
Tutto taceva.
Una città silenziosa, eppure caotica.
Tum Tum
Tum Tum
Tum
Percepivo il pulsare del sangue nelle vene di molte persone, ma dovevo resistere.
Possibile che ci mettesse così tanto ad arrivare? Non mi aveva mai lasciato così tanto tempo da sola, da quel giorno. Il giorno in cui tutto cambiò.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Carlisle/Esme
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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Luci di Natale

Autore: Noemix
Personaggi: Esme, Carlisle, Edward.
Genere:
Sentimentale, romantico.
Rating:
Verde
Introduzione: È forse vero che le famiglie sono fatte di persone con legami di sangue?
Note dell'autore
:
In questa OS ho presentato Edward come allegro e contento. Sono consapevole che come versione sia poco attendibile ma… avanti! A Natale siamo tutti felici dopotutto,no? (: Inoltre mi sono informata: nel 1920, le Ford esistevano già!

 

Luci di Natale

•Orphanage •

«Per me sono come figli veri.

 Non potrei mai vincere il mio istinto materno…

Edward ti ha detto che ho perso un bambino?

Sì, il mio primo e unico figlio.

Morì pochi giorni dal parto, povero piccolo.»

 Fece un sospiro.

 

 

Natale 1922, New York

 Ascoltavo il silenzio.
Tutto taceva.
Una città silenziosa, eppure caotica.

 

Tum Tum

Tum Tum

Tum

 
Percepivo il pulsare del sangue nelle vene di molte persone, ma dovevo resistere.
Possibile che ci mettesse così tanto ad arrivare? Non mi aveva mai lasciato così tanto tempo da sola, da quel giorno. Il giorno in cui tutto cambiò.

 

Tum Tum

Tum

 
Basta, non sopportavo più quel rumore, quel profumo,quelle voci fastidiose!
Stringevo convulsamente le mani intorno al mio collo gelido: non sentivo niente. Il mio cuore aveva smesso di battere trentuno milioni cinquecentotrentasei battiti fa.
Spalancai i miei occhi d’un rosso scolorito. Il mio sguardo cercò famelico qualcuno da addentare e d’un tratto, le vidi.
Donne, donne ovunque: donne che si tenevano strette l’addome piatto, altre portavano la pancia ripiena, altre ancora uscivano felici dal reparto con una carrozzella.
Quelle signore erano madri. Alcune lo erano già diventate,altre no.
Ammirai le loro protuberanze: possibile che io non avrei mai potuto riprovare quella sensazione?
Distolsi lo sguardo: un bimbo dai capelli color sabbia e gli occhi limpidi mi stava tirando per la manica del vestito, guardandomi impaziente. Abbassò gli occhi per un momento, indicandomi qualcosa sotto i piedi. Era lì, la vedevo: una macchinina scarlatta. Alzai di scatto la gamba e gli porsi il minuscolo oggetto. Mi sorrise.
Di fianco a lui comparve un uomo dell’età di mio marito e prese in braccio il piccolo: «Mi scusi signora, Ben non è abituato a rapportarsi con la gente. Da quando la mamma aspetta il suo fratellino le resta sempre accanto, come se sapesse che dopo non sarà più tutta per lui!» disse, porgendomi la mano. Gliela strinsi.
«Piacere, mi chiamo Jack».
«Salve» risposi immobile,«io sono Esme».
«Bel nome. Bhe, torno da mia moglie e in bocca al lupo per la gravidanza!»affermò, tornando indietro da dove era venuto.
Involontariamente mi abbracciai il ventre: vuoto.
Che sciocca, quell’uomo credeva che io fossi incinta! Una grande delusione mi pervase. Uffa! Quanto ancora dovevo attendere prima che Carlisle arrivasse?


Tic Tac

 
Perché volevo così disperatamente essere madre se non sapevo nemmeno gestire i miei sentimenti né la mia sete?
Dopotutto madre è colei che dà la vita, mentre io le distruggevo. Non avrei mai potuto essere sostegno di qualcuno se nemmeno riuscivo ad abbracciare senza rischiare di uccidere.
Divenendo madre, tuttavia, avrei aperto un canale, un accesso ad un sapere e ad una conoscenza esclusivi, cose che avrei sentito essere parte di una conoscenza antica e profonda, viscerale ed istintiva, trasmessa in qualche modo dall’antichità a me e allo stesso tempo avrei subito una trasformazione tale per cui tutto ciò che prima faceva parte del mio mondo, sarebbe passato in secondo piano.

Alzai il capo e ammirai l’insegna sulla porta davanti a me: Dott. Carlisle Cullen. Ginecologo.

 

Tic Tac

Tic

 
«Maledetto orologio!» strillai, alzandomi in piedi. Così facendo attirai molti sguardi indiscreti ed alcuni bambini scoppiarono in singhiozzi.
Per la vergogna, afferrai la borsa, strappandola, e percorsi il corridoio più veloce che potevo. Non riuscii nemmeno a raggiungere le scale ché qualcuno mi ghermì. Inizialmente cercai di divincolarmi, successivamente riconobbi il profumo: Carlisle.
«Sai che è pericoloso cercare di fermare un neonato durante il suo primo anno di vita: avrei potuto romperti un braccio!» lo sgridai, voltandomi verso di lui.

Mio marito si limitò a sorridere dolcemente e poi posò le sue labbra sulle mie, baciandomi con un’intensità da far svenire. Mi avventai su di lui e a quel punto si interruppe. «Tesoro, ora torniamo a casa, ok? Così continuiamo il… “discorso” più tardi.» propose, facendomi l’occhiolino.
In quel momento, tutta la rabbia, tutto il rancore e tutto l’astio che portavo dentro di me si dissolse. Avevo dimenticato la mia più grande fortuna.
Lui.
Scesi le scale con la mano dentro alla sua: stargli vicino mi rendeva felice; nonostante la mia condizione, nonostante il mio tentato suicidio mal riuscito, Carlisle riusciva sempre a calmarmi e rilassarmi. Era come se il mio corpo bramasse un contatto col suo. I nostri cuori erano avvinghiati l’uno all’altro.
Una volta arrivati all’atrio dell’ospedale dove lavorava, tutti ci salutarono calorosamente, come se fossero estremamente felici della nostra relazione.
Eppure, uno di loro riuscì a rovinare il momento. Una donna di mezza età, con i capelli corti e grassoccia, si sporse dalla scrivania dove era seduta mentre Carlisle mi stava aiutando a indossare il cappotto.
«Salve Signor Cullen! Ha finalmente terminato di lavorare per oggi?» esclamò, con voce rauca. «Sì per fortuna. Sa, Marie, non vedevo l’ora di ricongiungermi alla mia novella sposa» rispose mio marito, baciandomi la mano.

Marie, che fino a quel momento mi aveva ignorato, puntò lo sguardo altezzoso su di me, sorridendo con i suoi denti giallastri:«Già, posso notare. Davvero un’ottima scelta Signor Cullen. Quand’è che ci darà la lieta notizia di un suo futuro erede, dato che è il suo lavoro? Dopotutto è ora che il ventre di sua moglie si riempia un po’, è magra come un grissino!» disse, amaramente. Le sue parole mi trafissero come mille pugnali e senza accorgermene, spinsi il gomito contro lo stomaco di Carlisle e corsi fuori, vestita solamente del mio abito primaverile.
Mi fermai poco più avanti, sul marciapiede, sperando che qualche lacrima si decidesse a scendere per sfogare tutta l’amarezza che portavo dentro. In un battito di ciglia, Carlisle mi fu di nuovo accanto, appoggiandomi delicatamente il cappotto sulle spalle.
«Tesoro» mi chiamò, con voce melliflua,« non darai mica ascolto a quella donna, non l’hai mai fatto!? Sai benissimo che è invidiosa di te.» continuò, sorridendo.
Lo guardai negli occhi color miele:« Ha… hai ragione» risposi, arricciando le labbra in modo che apparisse un mezzo sorriso. Mi abbracciò, stringendomi a lui, e mi condusse verso la sua Ford, nuova di zecca. Ci sistemammo nei sedili anteriori e mio marito prese posto al volante. La piccola auto, una volta accesa, rombò e ci portò tranquillamente a casa, percorrendo lo sterrato. Durante il tragitto, appoggiai il capo sulla spalla di Carlisle, che lui poi teneramente accarezzò, stringendomi la mano.
Una volta arrivati, il mio dolce vampiro aprì lo sportello e mi aiuto a scendere, molto velocemente. Sempre avvinghiati l’uno all’altro ci decidemmo ad entrare in casa Cullen, una villa sfarzosa con un bellissimo giardino. Carlisle, negli ultimi duecento cinquant’anni, aveva lavorato sodo per guadagnarsi quello che aveva. Non appena spalancai la porta vidi il mio prezioso Edward che si esercitava al piano.
Quando mi scorse, sorrise furbescamente ma non smise di suonare.
«Senti questa, Esme: l’ho composta per te» disse, mentre Carlisle mi prendeva il cappotto e lo appoggiava sull’attaccapanni: era un vero gentiluomo!
Ascoltai la melodia che le dita affusolate del mio Edward producevano: soffice, delicata. Armonia, equilibrio. Chiusi gli occhi per ascoltare meglio e mi lasciai cullare da quelle note meravigliose. Quando il brano terminò, corsi a stringere “mio figlio”: «Oh, Edward!» esclamai,«è stata straordinaria!» singhiozzai, senza lacrime. Lui ricambiò il mio abbraccio: «Figurati, ho sentito quanto ti piaceva dal momento che continuavi a ripeterlo nella testa!»
Guardai Carlisle: se avesse potuto piangere, probabilmente l’avrebbe fatto.
Cinsi anche lui, circondandomi degli affetti che mi rimanevano: i due uomini più belli e più dolci che mai avrei potuto conoscere.
Entrambi improvvisamente mi sollevarono e mi posero sul divano, davanti al caminetto. «Sai che giorno è domani, Esme?»
«E’ Natale, perché?»
«Bhe, a quanto pare, il giorno di Natale sono tutti più buoni» rispose Edward, ghignando.  «Oddio e quindi come facciamo? Tu hai già esaurito la tua cortesia oggi!» scherzai, punzecchiandolo.
«Ah ah.» disse, facendo una smorfia, «Stavo solo pensando che… magari domani mi risparmi la tua cattiveria!»
«Touchè» risposi, dandogli un bacetto sulla guancia fresca.
«Quello che Edward scherzosamente cercava di dire…» continuò Carlisle, fulminando suo figlio «E’ che domani ti vogliamo in piedi alle sette e quarto, vestita e pronta per partire!»
«Ah bhe, mi farò un breve pisolino allora» risi, «Scherzi a parte, dove andiamo?»
«E’ una sorpresa, mia cara» disse, sfiorandomi la mano.
«Accidenti! Bhe, mi crogiolerò nell’attesa durante il mio sonno di bellezza!» e ripresi a ridere: non sapevo perché, ma la loro presenza per me era motivo di giubilo. E loro, cordialmente, si unirono alla mia ilarità.

Il giorno seguente, dopo una lettura approfondita di Canto di Natale di Charles Dickens,che mi aveva occupato quasi tutta la notte, mi acconciai i folti capelli color miele e mi sistemai il trucco. Poi corsi in camera, dove Carlisle mi aspettava già vestito. Portava una camicia aderente rossa e un completo interamente bianco. Era bello da mozzare il fiato!
«Per l’occasione vorrei che indossassi questo vestito.» mi disse, porgendomi un tubino rosso sbracciato. «Ma non è esagerato?» risposi, prendendo l’abito che mi offriva. «Mia cara», mi cinse i fianchi:«Nulla è di troppo quando è Natale!»
E così dicendo, mi diede un rapido bacio e uscì dalla stanza.
Qualche istante dopo scesi le scale: Edward era seduto in salotto che leggeva un libro e davanti a me apparve un immenso abete addobbato alla perfezione. Palline, festoni, ghirlande… Più alzavo gli occhi e più mi accorgevo di quanto fosse alto! Non poteva certo mancare alla sommità dell’albero un piccolo angioletto dorato che sembrava benedire l’intero salotto. Il suo sguardo era altero e al tempo stesso dolce; stava ritto, come se mi osservasse. In quell’istante,probabilmente avendomi letto nel pensiero, mio figlio mi abbraccio gridando: «Buon Natale!»

 
Dopo circa dieci minuti stavamo camminando lungo il marciapiede a circa tre isolati da casa,poi finalmente ci fermammo. Carlisle mi indicò un antico edificio bianco, alquanto fatiscente, dinnanzi al quale stavano due grandi arbusti e un minuscolo viale di ciottoli. Edward aprì il cancelletto e mi fece segno di procedere. Percorsi l’intero parco tranquillamente, ammirando le credenziali che avrebbe avuto un posto così se fosse stato curato. Infine, arrivammo davanti a un portone di legno e bussammo; poco dopo, una giovane donna coi capelli rossi e un grembiule tutto sporco venne ad aprirci. Il suo odore mi colpì in volto.
«Posso esservi utile?»
«Si» rispose Carlisle:«Siamo qui per vedere l’orfanotrofio»
«Oh!»esclamò zelante,«Prego, accomodatevi signori Cullen! Mi avevano avvertita che sareste venuti.» continuò, spalancando la porta e invitandoci a entrare. Guardai con aria interrogativa mio marito e Edward, ma entrambi cercavano di nascondere la loro ilarità; infine, la ragazza ci accompagnò in un salone dove più di cinquanta bambini giocavano affiatati. I miei occhi si spalancarono per la meraviglia. La mia gola ebbe un sussulto. Una bambina con le trecce mi venne incontro con una bambola. «Giochi con me?» mi chiese dolcemente, tenendo un ditino nella boccuccia rosea.
«Ma certo tesoro», risposi, abbassandomi fino alla sua altezza. Mi porse il giocattolo  e poi disse:«Bello il tuo vestito. Tu sei una mamma
La ammirai con tenerezza: era proprio così che immaginavo sarebbe stata mia figlia.
«Solo se vuoi che lo sia»
«Sai fare le torte?» continuò, la piccola furbetta.
«Ma certo!» esclamai sorridente, «Le più buone del mondo! E so fare anche i biscotti. Se vuoi ti insegno!»
Mi guardò raggiante, togliendo il pollice dalle labbra:«Shi!»
Mi voltai verso Carlisle che ridacchiava tutto contento. «Aspettami qui tesoro, torno subito» le sussurrai all’orecchio, mentre lei si rimetteva a giocare.
Mi alzai e poi raggiunsi Edward e suo padre. «Che storia è mai questa?» li ammonii.«Sapete benissimo che sarebbe pericoloso. Nessun bimbo merita di avere come genitori degli immortali, sarebbe terribile anche solo pensare di poter affondare i denti su quelle carni così innocenti!» continuai, irritata per il loro comportamento così egoista. Edward continuò a ghignare.
«Che cosa ridi!?» strillai.
«Esme, stai tranquilla» mi rasserenò Carlisle, accarezzandomi i capelli.
«Non adotteremo nessun bambino». A quelle parole ebbi un tuffo al cuore. Nessun bambino? Non potevano illudermi così e poi infrangere il mio sogno in quel modo!
Notando il mio sguardo deluso continuò:«Non adotteremo un bambino. Li adotteremo tutti!»
Rimasi ancora più confusa. Tutti?
«Assolutamente sì! Ho comprato l’intero orfanotrofio!»
«E non solo», lo interruppe Edward.
«No, non solo», disse, fulminandolo: «ho pensato che, conoscendo le tue doti artistiche, saresti stata lieta di ristrutturare l’edificio, e nel frattempo ospitare questi bambini a casa nostra. Che ne dici?»
Silenzio.
Ero completamente pietrificata.
«Mi… mi stai prendendo in giro?» borbottai, ancora incosciente.
«No amore!» esclamò Carlisle, abbracciandomi stretta. Continuai a guardarlo. Poi fissai Edward.

È tutto vero?
Lui annuì. La mia testa cercò conferma negli occhi di mio marito.
«Ommioddio!» esplosi, saltandogli addosso. «Ommiddio, ommioddio! Ti amo!» gridai, continuando a baciare il mio bellissimo compagno di vita.
«Ahimè! Creature frignanti tutto il giorno in giro per casa. Come farò a leggere e suonare in santa pace?» si lagnò Edward.
E quello, ovviamente, fu il suo turno di carezze e abbracci.

Grazie, tesoro! Pensai.
«Buon Natale a tutti!» urlò mio figlio, sulle note di “We wish a marry Christmas” cantata dai nostri bambini

  
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