Autore:
Noemix
Personaggi:
Esme, Carlisle, Edward.
Genere: Sentimentale,
romantico.
Rating: Verde
Introduzione: È
forse vero
che le famiglie sono fatte di persone con legami di sangue?
Note dell'autore: In
questa OS ho presentato Edward come
allegro e contento. Sono consapevole che come versione sia poco
attendibile ma…
avanti! A Natale siamo tutti felici dopotutto,no? (: Inoltre mi sono
informata:
nel 1920, le Ford esistevano già!
Luci di Natale
•Orphanage
•
«Per
me sono come figli veri.
Non
potrei mai vincere il mio istinto materno…
Edward
ti ha detto che ho perso un bambino?
Sì,
il mio primo e unico figlio.
Morì
pochi giorni dal parto, povero piccolo.»
Fece
un sospiro.
Natale 1922, New
York
Tutto
taceva.
Una
città silenziosa, eppure caotica.
Tum
Tum
Tum
Tum
Tum
Percepivo
il pulsare del sangue nelle vene di molte persone, ma dovevo resistere.
Possibile
che ci mettesse così tanto ad arrivare? Non mi aveva mai
lasciato così tanto
tempo da sola, da quel giorno. Il
giorno in cui tutto cambiò.
Tum
Tum
Tum
Basta,
non sopportavo più quel rumore, quel profumo,quelle voci
fastidiose!
Stringevo
convulsamente le mani intorno al mio collo gelido: non sentivo niente.
Il mio
cuore aveva smesso di battere trentuno milioni cinquecentotrentasei
battiti fa.
Spalancai
i miei occhi d’un rosso scolorito. Il mio sguardo
cercò famelico qualcuno da
addentare e d’un tratto, le vidi.
Donne,
donne ovunque: donne che si tenevano strette l’addome piatto,
altre portavano
la pancia ripiena, altre ancora uscivano felici dal reparto con una
carrozzella.
Quelle
signore erano madri. Alcune lo
erano
già diventate,altre no.
Ammirai
le loro protuberanze: possibile che io non avrei mai potuto riprovare
quella
sensazione?
Distolsi
lo sguardo: un bimbo dai capelli color sabbia e gli occhi limpidi mi
stava
tirando per la manica del vestito, guardandomi impaziente.
Abbassò gli occhi
per un momento, indicandomi qualcosa sotto i piedi. Era lì,
la vedevo: una
macchinina scarlatta. Alzai di scatto la gamba e gli porsi il minuscolo
oggetto. Mi sorrise.
Di
fianco a lui comparve un uomo dell’età di mio
marito e prese in braccio il
piccolo: «Mi scusi signora, Ben non è abituato a
rapportarsi con la gente. Da
quando la mamma aspetta il suo fratellino le resta sempre accanto, come
se
sapesse che dopo non
sarà più tutta
per lui!» disse, porgendomi la mano. Gliela strinsi.
«Piacere,
mi chiamo Jack».
«Salve»
risposi immobile,«io sono Esme».
«Bel
nome. Bhe, torno da mia moglie e in bocca al lupo per la
gravidanza!»affermò,
tornando indietro da dove era venuto.
Involontariamente
mi abbracciai il ventre: vuoto.
Che
sciocca, quell’uomo credeva che io fossi incinta! Una grande
delusione mi
pervase. Uffa! Quanto ancora dovevo attendere prima che Carlisle
arrivasse?
Tic
Tac
Perché
volevo così disperatamente
essere madre se non sapevo nemmeno gestire i miei sentimenti
né la mia sete?
Dopotutto
madre è colei che dà la
vita, mentre io le distruggevo. Non avrei mai potuto essere sostegno di
qualcuno se nemmeno riuscivo ad abbracciare senza rischiare di uccidere.
Divenendo madre, tuttavia, avrei aperto un canale, un accesso ad un
sapere
e ad una conoscenza esclusivi, cose che avrei sentito essere parte di
una
conoscenza antica e profonda, viscerale ed istintiva, trasmessa in
qualche modo
dall’antichità a me e allo stesso tempo avrei
subito una trasformazione tale
per cui tutto ciò che prima faceva parte del mio mondo,
sarebbe passato in
secondo piano.
Alzai il
capo e ammirai l’insegna
sulla porta davanti a me: Dott. Carlisle
Cullen. Ginecologo.
Tic Tac
Tic
«Maledetto
orologio!» strillai,
alzandomi in piedi. Così facendo attirai molti sguardi
indiscreti ed alcuni bambini
scoppiarono in singhiozzi.
Per la
vergogna, afferrai la borsa,
strappandola, e percorsi il corridoio più veloce che potevo.
Non riuscii
nemmeno a raggiungere le scale ché qualcuno mi
ghermì. Inizialmente cercai di
divincolarmi, successivamente riconobbi il profumo: Carlisle.
«Sai che è pericoloso cercare di
fermare un neonato durante il suo primo anno di vita: avrei potuto
romperti un
braccio!» lo sgridai, voltandomi verso di lui.
Mio
marito si limitò a sorridere
dolcemente e poi posò le sue labbra sulle mie, baciandomi
con un’intensità da
far svenire. Mi avventai su di lui e a quel punto si interruppe.
«Tesoro, ora
torniamo a casa, ok? Così continuiamo il…
“discorso” più tardi.»
propose,
facendomi l’occhiolino.
In quel
momento, tutta la rabbia,
tutto il rancore e tutto l’astio che portavo dentro di me si
dissolse. Avevo
dimenticato la mia più grande fortuna.
Lui.
Scesi le
scale con la mano dentro
alla sua: stargli vicino mi rendeva felice; nonostante la mia
condizione,
nonostante il mio tentato suicidio mal riuscito, Carlisle riusciva
sempre a
calmarmi e rilassarmi. Era come se il mio corpo bramasse un contatto
col suo. I
nostri cuori erano avvinghiati l’uno all’altro.
Una
volta arrivati all’atrio
dell’ospedale dove lavorava, tutti ci salutarono
calorosamente, come se fossero
estremamente felici della nostra relazione.
Eppure,
uno di loro riuscì a rovinare
il momento. Una donna di mezza età, con i capelli corti e
grassoccia, si sporse
dalla scrivania dove era seduta mentre Carlisle mi stava aiutando a
indossare
il cappotto.
«Salve Signor Cullen! Ha finalmente
terminato di lavorare per oggi?» esclamò, con voce
rauca. «Sì per fortuna. Sa,
Marie, non vedevo l’ora di ricongiungermi alla mia novella
sposa» rispose mio
marito, baciandomi la mano.
Marie,
che fino a quel momento mi
aveva ignorato, puntò lo sguardo altezzoso su di me,
sorridendo con i suoi
denti giallastri:«Già, posso notare. Davvero
un’ottima scelta Signor Cullen.
Quand’è che ci darà la lieta notizia di
un suo futuro erede, dato che è il suo
lavoro? Dopotutto è ora che il ventre di sua moglie si
riempia un po’, è magra
come un grissino!» disse, amaramente. Le sue parole mi
trafissero come mille
pugnali e senza accorgermene, spinsi il gomito contro lo stomaco di
Carlisle e
corsi fuori, vestita solamente del mio abito primaverile.
Mi
fermai poco più avanti, sul
marciapiede, sperando che qualche lacrima si decidesse a scendere per
sfogare
tutta l’amarezza che portavo dentro. In un battito di ciglia,
Carlisle mi fu di
nuovo accanto, appoggiandomi delicatamente il cappotto sulle spalle.
«Tesoro»
mi chiamò, con voce
melliflua,« non darai mica ascolto a quella donna, non
l’hai mai fatto!? Sai
benissimo che è invidiosa di te.»
continuò, sorridendo.
Lo
guardai negli occhi color miele:«
Ha… hai ragione» risposi, arricciando le labbra in
modo che apparisse un mezzo
sorriso. Mi abbracciò, stringendomi a lui, e mi condusse
verso la sua Ford,
nuova di zecca. Ci sistemammo nei sedili anteriori e mio marito prese
posto al
volante. La piccola auto, una volta accesa, rombò e ci
portò tranquillamente a
casa, percorrendo lo sterrato. Durante il tragitto, appoggiai il capo
sulla
spalla di Carlisle, che lui poi teneramente accarezzò,
stringendomi la mano.
Una
volta arrivati, il mio dolce
vampiro aprì lo sportello e mi aiuto a scendere, molto
velocemente. Sempre
avvinghiati l’uno all’altro ci decidemmo ad entrare
in casa Cullen, una villa
sfarzosa con un bellissimo giardino. Carlisle, negli ultimi duecento
cinquant’anni,
aveva lavorato sodo per guadagnarsi quello che aveva. Non appena
spalancai la
porta vidi il mio prezioso Edward che si esercitava al piano.
Quando
mi scorse, sorrise
furbescamente ma non smise di suonare.
«Senti
questa, Esme: l’ho composta
per te» disse, mentre Carlisle mi prendeva il cappotto e lo
appoggiava sull’attaccapanni:
era un vero gentiluomo!
Ascoltai
la melodia che le dita
affusolate del mio Edward producevano: soffice, delicata. Armonia,
equilibrio.
Chiusi gli occhi per ascoltare meglio e mi lasciai cullare da quelle
note
meravigliose. Quando il brano terminò, corsi a stringere
“mio figlio”: «Oh,
Edward!» esclamai,«è stata
straordinaria!» singhiozzai, senza lacrime. Lui
ricambiò il mio abbraccio: «Figurati, ho sentito
quanto ti piaceva dal momento
che continuavi a ripeterlo nella testa!»
Guardai
Carlisle: se avesse potuto
piangere, probabilmente l’avrebbe fatto.
Cinsi
anche lui, circondandomi degli
affetti che mi rimanevano: i due uomini più belli e
più dolci che mai avrei
potuto conoscere.
Entrambi
improvvisamente mi
sollevarono e mi posero sul divano, davanti al caminetto.
«Sai che giorno è
domani, Esme?»
«E’
Natale, perché?»
«Bhe,
a quanto pare, il giorno di
Natale sono tutti più buoni» rispose Edward,
ghignando. «Oddio
e quindi come facciamo? Tu hai già
esaurito la tua cortesia oggi!» scherzai, punzecchiandolo.
«Ah
ah.» disse, facendo una smorfia,
«Stavo solo pensando che… magari domani mi
risparmi la tua cattiveria!»
«Touchè»
risposi, dandogli un bacetto
sulla guancia fresca.
«Quello che Edward
scherzosamente cercava di
dire…» continuò Carlisle, fulminando
suo figlio «E’ che domani ti vogliamo in
piedi alle sette e quarto, vestita e pronta per partire!»
«Ah
bhe, mi farò un breve pisolino
allora» risi, «Scherzi a parte, dove
andiamo?»
«E’
una sorpresa, mia cara» disse, sfiorandomi la
mano.
«Accidenti! Bhe, mi crogiolerò
nell’attesa durante
il mio sonno di bellezza!» e ripresi a ridere: non sapevo
perché, ma la loro
presenza per me era motivo di giubilo. E loro, cordialmente, si unirono
alla
mia ilarità.
«Per
l’occasione vorrei che indossassi questo
vestito.» mi disse, porgendomi un tubino rosso sbracciato.
«Ma non è
esagerato?» risposi, prendendo l’abito che mi
offriva. «Mia cara», mi cinse i
fianchi:«Nulla è di troppo quando è
Natale!»
E
così dicendo, mi diede un rapido bacio e uscì
dalla stanza.
Qualche
istante dopo scesi le scale: Edward era seduto in salotto che leggeva
un libro
e davanti a me apparve un immenso abete addobbato alla perfezione.
Palline,
festoni, ghirlande… Più alzavo gli occhi e
più mi accorgevo di quanto fosse
alto! Non poteva certo mancare alla sommità
dell’albero un piccolo angioletto dorato
che sembrava benedire l’intero salotto. Il suo sguardo era
altero e al tempo
stesso dolce; stava ritto, come se mi osservasse. In
quell’istante,probabilmente
avendomi letto nel pensiero, mio figlio mi abbraccio gridando:
«Buon Natale!»
Dopo
circa dieci minuti stavamo camminando lungo il marciapiede a circa tre
isolati
da casa,poi finalmente ci fermammo. Carlisle mi indicò un
antico edificio
bianco, alquanto fatiscente, dinnanzi al quale stavano due grandi
arbusti e un
minuscolo viale di ciottoli. Edward aprì il cancelletto e mi
fece segno di
procedere. Percorsi l’intero parco tranquillamente, ammirando
le credenziali
che avrebbe avuto un posto così se fosse stato curato.
Infine, arrivammo
davanti a un portone di legno e bussammo; poco dopo, una giovane donna
coi
capelli rossi e un grembiule tutto sporco venne ad aprirci. Il suo
odore mi
colpì in volto.
«Posso
esservi utile?»
«Si»
rispose Carlisle:«Siamo qui per vedere l’orfanotrofio»
«Oh!»esclamò
zelante,«Prego, accomodatevi signori Cullen! Mi avevano
avvertita che sareste
venuti.» continuò, spalancando la porta e
invitandoci a entrare. Guardai con
aria interrogativa mio marito e Edward, ma entrambi cercavano di
nascondere la
loro ilarità; infine, la ragazza ci accompagnò in
un salone dove più di
cinquanta bambini giocavano affiatati. I miei occhi si spalancarono per
la
meraviglia. La mia gola ebbe un sussulto. Una bambina con le trecce mi
venne
incontro con una bambola. «Giochi con me?» mi
chiese dolcemente, tenendo un
ditino nella boccuccia rosea.
«Ma
certo tesoro», risposi, abbassandomi fino alla sua altezza.
Mi porse il
giocattolo e poi
disse:«Bello il tuo
vestito. Tu sei una mamma?»
La
ammirai con tenerezza: era proprio così che immaginavo
sarebbe stata mia
figlia.
«Solo
se vuoi che lo sia»
«Sai
fare le torte?» continuò, la piccola furbetta.
«Ma
certo!» esclamai sorridente, «Le più
buone del mondo! E so fare anche i
biscotti. Se vuoi ti insegno!»
Mi
guardò raggiante, togliendo il pollice dalle
labbra:«Shi!»
Mi
voltai verso Carlisle che ridacchiava tutto contento.
«Aspettami qui tesoro,
torno subito» le sussurrai all’orecchio, mentre lei
si rimetteva a giocare.
Mi
alzai e poi raggiunsi Edward e suo padre. «Che storia
è mai questa?» li ammonii.«Sapete
benissimo che sarebbe pericoloso. Nessun bimbo merita di avere come
genitori
degli immortali, sarebbe terribile anche solo pensare di poter
affondare i
denti su quelle carni così innocenti!» continuai,
irritata per il loro
comportamento così egoista. Edward continuò a
ghignare.
«Che
cosa ridi!?» strillai.
«Esme,
stai tranquilla» mi rasserenò Carlisle,
accarezzandomi i capelli.
«Non
adotteremo nessun bambino». A quelle parole ebbi un tuffo al
cuore. Nessun
bambino? Non potevano illudermi così e poi infrangere il mio
sogno in quel
modo!
Notando
il mio sguardo deluso continuò:«Non adotteremo un
bambino. Li adotteremo tutti!»
Rimasi
ancora più confusa. Tutti?
«Assolutamente
sì! Ho comprato l’intero orfanotrofio!»
«E
non solo», lo interruppe Edward.
«No,
non solo», disse, fulminandolo: «ho pensato che,
conoscendo le tue doti
artistiche, saresti stata lieta di ristrutturare l’edificio,
e nel frattempo
ospitare questi bambini a casa nostra. Che ne dici?»
Silenzio.
Ero
completamente pietrificata.
«Mi…
mi stai prendendo in giro?» borbottai, ancora incosciente.
«No
amore!» esclamò Carlisle, abbracciandomi stretta.
Continuai a guardarlo. Poi
fissai Edward.
È
tutto vero?
Lui
annuì. La mia testa cercò conferma negli occhi di
mio marito.
«Ommioddio!»
esplosi, saltandogli addosso. «Ommiddio, ommioddio! Ti
amo!» gridai,
continuando a baciare il mio bellissimo compagno di vita.
«Ahimè!
Creature frignanti tutto il giorno in giro per casa. Come
farò a leggere e
suonare in santa pace?» si lagnò Edward.
E
quello, ovviamente, fu il suo turno di carezze e abbracci.
Grazie, tesoro! Pensai.
«Buon
Natale a tutti!» urlò mio figlio, sulle
note di “We wish a marry
Christmas” cantata
dai nostri bambini