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Autore: PattyOnTheRollercoaster    04/03/2012    1 recensioni
Tess alzò lo sguardo e deglutì, mordicchiandosi un labbro, le mani giunte in grembo. «Devo dirti una cosa.»
«Sei sposata.»
«No.»
«Sei malata.»
«No.»
«Sei un uomo!»
«No!»
[...]Tess abbassò la voce e sussurrò: «Ho una figlia».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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IX
Capitolo IX
Dinamico





   Io e Tess stavamo distesi a letto e fissavamo il soffitto chiaro di luce lunare. Era bello vederlo così, ma io ero concentrato a pensare ad altro. Avevo appena chiesto a Tess se voleva venire ad abitare come me, lei e ovviamente Melany. Era dall’altra parte della città certo, e non ero sicuro che Mel sarebbe stata la persona più felice del mondo quando l’avrebbe saputo, ma speravo che Tess prendesse in considerazione il fatto che stavamo andando d’accordo, e quindi potevano trasferirsi senza troppi drammi esistenziali da parte di Melany.
   C’era troppo silenzio nella stanza. Fu strano.
   Alla fine Tess rispose. «Come?»
   Deglutii e mi voltai verso di lei. «Ti ho chiesto se tu e Mel volete venire a vivere con me.» Per un secondo, solo uno, ebbi paura che mi dicesse di no. Poi vidi la sua espressione sul viso farsi allegra e aprirsi in un largo sorriso luminoso.
   «Dici sul serio?»
   «Suppongo che sia un sì.»
   «Sì che è un sì!»
   Sorrisi e l’abbracciai, anche se si moriva di caldo quel giorno. Agosto. Una delle estati più calde che riuscivo a ricordare. «Allora va bene?», domandai sorridendo.
   «Sì», rispose Tess dandomi un bacio sulle labbra.

   «Sì?»
   «Sì.»
   «Sì…»
   «Hm-m.»
  Melany si trattenne per qualche secondo, e pareva che tutto stesse andando bene. In fondo, perché essere pessimisti? Non che è tutto ciò che riguardasse Melany doveva essere morte e distruzione. Ovviamente, ero stato troppo ottimista.
   «Sì un corno!»
   «Mel, tesoro, non mi piace che parli così, lo sai», la riprese Tess, quasi più preoccupata per il suo linguaggio che per il suo rifiuto.
   «Be’ allora sì un broccolo!»
   Sospirai, e mi misi le mani nei capelli, sciogliendomi letteralmente sul tavolo.
  Erano le dieci mattina, ed eravamo seduti attorno al tavolo della cucina, in una specie di riunione familiare, o almeno così mi piaceva pensare. In realtà somigliava più che altro a una faida familiare, e la presenza della tartaruga poggiata nella sua vasca al mio fianco non faceva che deprimermi di più.
   «Ma mamma! Come hai potuto dire sì?», si lagnò Mel. «Non è passato nemmeno un anno, avete mandato a rotoli il mio piano.»
   «Quale piano?», domandai.
   Melany mi fulminò con gli occhi. «Il mio piano per non dover mai vivere con voi due assieme», disse tagliente.
   Tess la osservò interessata. «E com’era?»
   «Be’ è semplice, davo per scontato che sareste rimasti assieme almeno cinque anni prima di sposarvi, dopo quelli io avrei finito la scuola e avrei trovato un lavoro.»
   «Ma hai idea di quanto tempo ci voglia a mettere da parte dei soldi per una casa tua? E trovare un lavoro di questi tempi non è mica facile», biascicai di malavoglia; non volevo farmi coinvolgere in quel discorso senza senso, tuttavia era più forte di me.
   «E qui viene il grande piano. La prossima estate vi avrei convinto ad andare in vacanza nel Grand Canyon e avremmo comprato una roulotte, poi avrei preso la patente a sedici anni e, appena afferrato il diploma, avrei rubato le chiavi e sarei fuggita assieme a Hugo.» Melany si mise le mani sui fianchi con sussiego. «Infallibile, no?»
   «Proprio», borbottai.
   Tess sbuffò. «Melany, sai una cosa? E’ da due ore che ne stiamo parlando, e sono stufa. E’ vero, la cosa potrà anche non piacerti, ma qui sono io che decido, e ho deciso che andremo a vivere da Ben.»
   Mel s’irrigidì. Credo che fosse raro che Tess la sgridasse in quel modo. Poteva dispiacermi molto per Melany ma, in quel momento, stavo osservando Tess: era incredibilmente sexy quando si arrabbiava.
  «Non credere che non abbia considerato anche i tuoi bisogni in questo trasloco. Avrai una camera tua, puoi raggiungere la tua stessa scuola in autobus se non vuoi cambiarla, c’è spazio per tutto quello che vuoi nella stanza che Ben mi ha fatto vedere di là, e se non ti piace potrai scegliere quale sarà la tua.»
   «Ma… i miei amici…»
   «Mel, andavate sempre in giro in città, sarai anche più vicina!»
   «E Nandy?», chiese lei sfoderando un’espressione ferita che, a me, personalmente, avrebbe fatto cedere. Ma Tess doveva esserci abituata.
  «Ci vogliono quaranta minuti in autobus da là a qua.» Fece una pausa, poi ricominciò con voce un po’ più allegra, tentando di coinvolgere Melany. «Avanti Mel! Avrai una stanza più grande, e una casa più grande. E con quello che otterremo dalla vendita di questa casa potremmo fare un piccolo viaggio assieme, no?», si rivolse verso di me e io mi affrettai ad annuire.
   «Sì, è vero.»
   «E poi il quartiere di Ben è così bello, c’è anche una piscina lì vicino a casa tua, non è vero?» Annuii di nuovo. «Non sei contenta?»
Mel alzò gli occhi e guardò sua madre con espressione torva. «Tanto lo so che me lo chiedi tanto per fare. Potevi almeno chiedere il mio parere prima, invece hai già deciso.»
  Tess assunse un’espressione dura. «Sì, in effetti è già deciso. Ma credevo che ti facesse piacere. Saremo come una famiglia, Mel, una famiglia vera!»
   «Ma noi siamo già una famiglia vera! Cosa siamo, una famiglia finta?»
  «Una famiglia non è composta da solo due persone, ce ne devono essere di più, delle persone vicine, su cui fare affidamento. A Benjamin fa piacere che siamo già in tre!» Sorrise incoraggiante.
   Melany mi guardò torva. Era inutile, andavamo avanti così dalle otto e mezza quasi, e fra poco Tess doveva uscire. Io non ero uno psicologo come papà, ma ero abbastanza intelligente da capire che Melany avrebbe potuto andare avanti per ore solo a parlare. Mi alzai e battei leggermente una mano sul tavolo. «Forza muoviamoci», dissi facendo cenno a Mel di alzarsi e seguirmi. Aggirai il tavolo, presi le chiavi dell’auto e mi diressi alla porta.
   «Dove stai andando?», domandò lei con gli occhi fuori dalle orbite.
  «Andiamo a prendere degli scatoloni, ho appena deciso che dovete venire il più presto possibile. Quindi abbiamo bisogno di un furgone, scatole da imballaggio, magari un bel po’ di giornali per avvolgere le cose che si rompono…», elencai sulle dita.
   «Ma…», Mel tentò di protestare. «Non sono ancora d’accordo!»
   «Oh, che importa? Lo sarai prima o poi. E poi, via il dente via il dolore», dissi stringendomi nelle spalle. Uscii dalla porta. Melany mi seguì solo per continuare a rimproverarmi.
  «Io credo che dovremmo sederci a discuterne!», mi gridò sulle scale, inseguendomi. Io scendevo velocemente e, quando mi guardai alle spalle, vidi che faticava a starmi dietro. Con un sorrisino iniziai ad andare più veloce. «Dove stai andando?! Ben!» Corsi fuori, fino al cancello del condominio, e uscii di corsa diretto verso la macchina. Ogni tanto mi voltavo sorridendo, e vedevo Melany che mi inseguiva, a metà tra il furioso e il divertito. «Ben fermati! Torna subito qui! Te lo sto ordinando!»
   «E per chi mi hai preso? Un cane?!», le gridai dietro mentre aprivo la macchina. Entrai nell’abitacolo e misi in moto. Lei comparve dietro il finestrino e io le feci cenno di salire, sorridendo.
   Sbuffò, un po’ contrariata, ma alla fine salì e allacciò la cintura. «Dove andiamo?», borbottò.
   «Andiamo a noleggiare un furgone.»
   «Non possiamo chiamare una ditta di traslochi?»
   «E dove sta il bello?» Le passai il mio telefono. «Chiama Tess, dille che ci vediamo oggi pomeriggio, la vado a prendere.»
   «D’accordo», borbottò lei con il broncio ancora sul viso. Dopo la telefonata iniziò ad accusarmi. «Per colpa tua a Nandy verrà un infarto!»
   «Non è troppo giovane per essere debole di cuore?»
   «Ma è una notizia enorme, sarà un colpo per lei.»
   «Oh, capisco.»
   «Non fare il sarcastico.»
   «Non lo faccio.»
   «Lo fai!»
   «No.»
  Continuammo così fino alla concessionaria. Noleggiava furgoni a giornate, e io ne prenotai uno per un giorno intero di lì a settimana prossima.
   «Settimana prossima?», si lagnò Mel. «Nemmeno tutta l’estate lasciate finire?»
   «A Settembre inizi il secondo anno. Non voglio che ti distrai appena inizi la scuola.»
   Lei mi soffiò addosso infastidita. «Quanta premura.»
   Risi, mentre parcheggiavo di fronte a casa dei miei, non troppo distante dalla mia in effetti. «Scendi», dissi uscendo dall’auto.
   «Dove siamo?», domandò lei osservando la casa. «Chi ci abita qui?»
   Le sorrisi e suonai il campanello. «I tuoi quasi nonni.»
   «I miei…? I tuoi genitori?!» Mel guardò la porta allarmata, e quando mia madre aprì aveva gli occhi spalancati e la fissava. Se non ci fossi stato io forse mamma avrebbe pensato che era una pazza.
   «Benjamin, ciao! E’ da mesi che non vieni a trovarci, come mai qui ora?» Mia mamma mi abbracciò, mi baciò, e mi fece entrare in casa tutto con un solo gesto.
   «Oh niente, volevo solo andare in soffitta a prendere quegli scatoloni che sono rimasti lì da Natale.» Mi rivolsi a Melany e le diedi una spintarella per farla avanzare. «Questa è Melany.»
   Mia madre ovviamente aveva già sentito parlare di lei, l’avevo informata di che razza di rompipalle fosse. Lei non aveva colto il lato lagnoso della mia descrizione. «Oh ciao Melany, io mi chiamo Tricia. Vuoi un po’ di tè freddo? Fa un caldo in questi giorni…»
   Mel sorrise imbarazzata e disse di sì. Io la abbandonai nella tana dei leoni e salii gli scalini di due in due per raggiungere la soffitta. Presi diversi scatoloni vuoti appiattiti e li portai giù. A metà scale trovai mio padre. «Ben, cosa stai facendo?»
   «Ciao papà. Ho bisogno di queste scatole. Va’ in cucina, c’è mamma con un ospite.»
   «Davvero?», domandò lui perplesso. «Non ho sentito niente, Dio se sto invecchiando.»
   Quando tornai su sentii che dalla cucina provenivano delle risate, ma non me ne curai e, preso l’ultimo carico di scatole, scesi per caricarle in macchina. A metà strada incontrai Jack.
   «Ben! Ciao, che fai qui?», domandò sorridendo.
   «Sono solo passato a prendere queste», dissi agitando le scatole vuote.
  «Tu sai chi c’è in casa? Ho sentito mamma che parlava di preparare un tè freddo, è dalla settimana scorsa che non fa altro che preparare tè freddi.»
   Ridacchiai e gli feci cenno verso la cucina. «C’è Melany di là, la figlia di Tess.»
   «Davvero?», domandò Jack stupefatto. «La diavolessa?»
   «Non dirle che l’ho chiamata così, altrimenti è la volta buona che mi uccide.»
   «Ha quindici anni, non può essere tanto male.»
   «Seh, come no.»
  Caricai le ultime scatole e rientrai. In cucina qualcuno se la stava ridendo della grossa. Con un sorriso stampato in volto li raggiunsi, erano tutti lì chini su qualcosa con una grossa caraffa di tè affianco. «Qui è nel carnevale dell’87, aveva sei anni», stava dicendo mio padre. «Tu non hai idea di quanto ha rotto per quel costume.»
   Assalito da un dubbio, mi avvicinai. «Che fate?»
  Jack mi guardò ghignando, invece mia madre sorrise e mi porse subito del tè. «Ho tirato fuori le tue foto di quando eri piccolo per farle vedere a Melany. Oh, guarda che cicciottello che eri.»
   Allungai il collo per vedere la foto e quasi mi strozzai. Un intero album dedicato unicamente a me e a mio fratello, nelle mani della crudele Melany. La foto che stavano commentando in particolare era la foto di un carnevale che nemmeno ricordavo. Vi basti sapere che ero vestito da uomo ragno.
  Melany ridacchiava ad ogni foto e passò quasi un’ora prima che finisse di sfogliare l’album. Ad un tratto mio padre guardò l’orologio. «Ben è mezzogiorno passato, perché non vi fermate a mangiare?»
   A me non sarebbe dispiaciuto nemmeno un po’, era da tanto che non vedevo la mia famiglia. Tuttavia non ero sicuro che Melany volesse restare, anche se non lo dava a vedere era una ragazza alquanto riservata e addirittura un po’ timida con gli adulti. Le lanciai un’occhiata e, con mio sommo stupore, la vidi parlare allegramente con Jack e papà. Sorrisi a mia madre e dissi: «Sì certo».

  Quando alla fine riuscimmo a liberarci di tutti loro per andare a casa e iniziare a impacchettare ogni cosa, Melany aveva guadagnato un vecchio bracciale di mia madre, tutta la simpatia di mio fratello (effettivamente avrei dovuto prevederlo: quei due avevano in comune il divertimento di prendermi in giro), e la promessa di una seduta di psicoanalisi da mio papà.
  «A presto!», disse mamma dalla porta mentre salivamo in macchina, «Dì a tua madre di passare per un tè freddo qualche volta, così la conosciamo!»
   «D’accordo!», rispose Melany con un sorriso stampato sul volto.
 Quel sorriso non si spense nemmeno quando fummo in macchina e, per fortuna, nemmeno quando arrivammo a casa e scaricammo assieme le scatole vuote. Mi guardai attorno con le mani sui fianchi. «Possiamo iniziare dalla tua stanza.» Melany mi guardò e smise di sorridere. Accidenti, che idiota che sono! Fece una smorfia ma poi annuì.
   Presi due scatole e le trascinai di là, mentre lei mi seguiva mogia. «Mettiamo un po’ di musica?», domandai. «Posso?», chiesi poi avvicinandomi alla sua fornita collezione di cd.
   «Fai pure.»
  Mentre sceglievo notai che Mel si aggirava incerta per la stanza, guardava qua e là, si fermava ad osservare qualcosa e poi riprendeva la sua peregrinazione. Alla fine, dopo che ebbi messo un cd in una piccola radio, sbuffò e disse: «Uff! Non so nemmeno da dove incominciare!»
   Mi volsi verso di lei e la trovai seduta sulla sponda del letto, sconsolata. La raggiunsi e la affiancai. «Basta che incominciamo, no?» Mi guardai attorno. «Ad esempio i cd, li puoi tenere nella tua stanza se vuoi, altrimenti ho un porta cd in salotto, e c’è anche lo stereo quindi… se vuoi la tua radio…»
  Melany fece una smorfia. «No, grazie. Cosa credi? Che con un impianto come il tuo vorrei portarmi dietro la mia radiolina scassata?»
   «Magari aveva un significato affettivo.»
   «No», brontolò lei alzandosi e iniziando a tirare fuori i cd.
   Io nel frattempo misi in sesto una scatola, dato che se stavano tutte smontate in mezzo alla stanza. «Sai Mel, io non credo che sarà così male, in fondo», cominciai. «E poi, ti stai temprando… insomma, dovrai ancora trasferiti in vita tua, almeno una volta… mettila così, stai facendo pratica.»
  Mel mi raggiunse con i cd e una smorfia in viso. Li sistemò con cura sul fondo della scatola e poi mi guardò con le braccia incrociate al petto. «Ma perché ora? Potevo arrivare impreparata a quel momento, sarebbe stato molto più eccitante. E comunque…», tornò ai cd, «non pretenderai che scoppi di gioia. Questa è casa mia. C’è Nandy qua vicino, e c’è la scuola dove ho i miei amici, e li posso raggiungere tutti in dieci minuti di camminata.»
   «Su questo non hai torto, davvero: dieci minuti di camminata sono molto meglio che quaranta di autobus. Però tu ti sforzi davvero di guardare il lato negativo.»
   Mi lanciò un’occhiataccia. «Non è vero.»
  «Sì invece. Tutti i problemi che ti stai facendo sono facilmente risolvibili, è solo che non ti vuoi trasferire e cerchi della scuse stupide.»
   Mel rimase pensosa. «Okay, è vero, è tutto risolvibile. Però… non lo so, mi mancherà questa casa. Insomma, è la mia casa, capito? E poi mamma è tutta emozionata… Boh.»
   Feci un risolino. «Che vuol dire boh?»
   «Vuol dire che non lo so, che mi sembra una cavolata, un po’. Un bel po’.»
   La guardai accigliata. «Perché?»
  Mel parve sulle spine, ma alla fine sbuffò e sputò fuori: «E se poi le cose non vanno bene? Se poi cominciate a odiarvi e noi ci ritroviamo senza casa?».
  Era incredibile che Mel si facesse problemi di questo tipo, io credevo che fosse una che vive molto più nel presente, se non altro perché aveva quindici anni! «Ma che vai pensando?!»
   «Be’ che c’è? E’ una possibilità! Non una possibilità che mi auguro accada, certo, però potrebbe. Insomma, non state mica insieme da tanto. Come ti è saltato in testa di chiederglielo?! Non dovresti essere responsabile? In fondo sei vecchio!»
   «Senti…», mi massaggiai la base del naso, «ora come ora non ho intenzione di lasciare tua madre, soprattutto perché le ho chiesto di venire a vivere con me. E lo so che sembra avventato, che non è passato nemmeno un anno, e che sembriamo due stupidi quindicenni!» Mel mi lanciò uno sguardo di rimprovero. «Scusa.» Alzò gli occhi al cielo. «Comunque sia, io credo che tua madre sia la donna giusta per me. Senti…» esitai, «non ridere ma… per come sono fatto io, ho realmente bisogno di qualcuno che mi stia dietro. Lo so che ormai sono grande abbastanza da…»
   «O, sei vecchio abbastanza.»
   «Non ho nemmeno trent’anni!», protestai.
   «Li compirai fra una settimana.»
  Sbuffai. «Comunque, in questi ultimi anni ho passato più tempo fuori casa mia che dentro, e tornarci all’inizio non era neanche male. Dopo un po’ però diventava… deprimente, non c’era nessuno, sai? Tutto il tempo in silenzio.»
   «Quindi è solamente per non sentirti troppo solo soletto che ci costringi a venire da te?», domandò scettica.
  «No! Senti, è che io non so parlare. Sembra che sappia parlare, davanti ai giornalisti e così, ma non è vero. Con le persone che conosco, e soprattutto quando si parla di cose serie, non sono capace di dire le cose», mi lagnai.
   Mel fece un sorrisino. «L’ho notato. L’ultima volta che mi hai fatto un discorso serio mi hai consigliato di ubriacarmi. Va’ avanti.»
   A quel punto mi sentivo in trappola. Dovevo dire qualcosa. «Be’, per farla breve… prima di conoscere te e tua madre, mi mancava davvero qualcosa. Insomma, c’era la mia famiglia sì, e gli amici, ma non è la stessa cosa. Tu e Tess a poco a poco siete diventate importanti per me, io voglio stare con voi tutto il tempo», conclusi con un tono come a dire che quell’idea era una cosa assurda. «E poi, credo che Tess sia giusta per me. Io sono sempre incasinato con tutto, soprattutto quando lavoro, però a lei piace tenere le cose in ordine, organizzare le cose più importanti… insomma, va bene no? Siamo… diversi nelle cose stupide, nei gusti musicali o in quello che leggiamo, però per le cose importanti la pensiamo allo stesso modo.»
   «Che bel quadretto», commentò Mel con un sorriso storto che le sbucava sulle labbra.
   «Grazie. E ora, se non ti dispiace, vorrei continuare a impacchettare tutto, così almeno la tua camera sarà pronta quando sarete di là, e non ti lagnerai come una bambina di quattro… ahi!» Melany mi aveva dato un pugno sul braccio, e io avevo anche finto che mi facesse davvero male.
   «Tu guarda con chi devo convivere…», sbottò sorridendo mentre prendeva alcuni libri e li ficcava nella scatola.




















Hmmm, questo capitolo non mi convince u_u
Non so, ha qualcosa di strano...
Tanto per cominciare Mel che si fa problemi per ogni cosa... non so, forse non ci sta tanto. Ho pensato che fosse il suo spirito adolescenziale/ribelle a parlare per lei, dato che solitamente una delle cose più importanti da fare quando sei adolscente è contestare tutto quello che i genitori dicono, anche se parlano del tempo che fa.
Mah, non so bene cosa pensare di questo capitolo, non mi soddisfa molto a parte il fatto che pensare a Ben da piccolo vestito da uomo ragno mi fa impazzire *w* Che caruccio!
Per il resto, vi auguro una buona Domenica!
Patrizia
   
 
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