Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance
Segui la storia  |       
Autore: shoved2agree    04/03/2012    2 recensioni
[Traduzione][Frerard]traduzione di OhCheshireCat
Gerard Way vede il mondo in modo differente. Solo e segregato in un istituto psichiatrico, afferma di essere braccato, e che la sua mente contenga la chiave dell'esistenza. Davvero Gerard è in possesso di un segreto così potente? O è solo pazzo, come tutti gli altri all'interno dell'ospedale?
Pensavo di potermi nascondere da loro. Pensavo che si sarebbero dimenticati di me. Mi stanno cercando, proveranno a farmi parlare. Ma non posso far loro sapere -perchè sono l'unico che capisce quanto questo potrebbe essere devastante?
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 A SPLITTING OF THE MIND

***


11.

You Are As Sick As Your Secrets


 




Mi dispiace,” borbottò Frank, con gli occhi incollati al pavimento. Non poteva sostenere il mio sguardo. Neanche io riuscivo a guardarlo.
Ignorai le sue scuse e arricciai le labbra, stendendo le braccia per toccare i resti inzuppati del mio amato quaderno.
“Mi dispiace,” ripeté.
Sospirai e delicatamente sollevai l'angolo di una delle pagine imbrattate su quella che era sotto. Nonostante il mio tocco delicato, l'angolo della pagina si strappò e mi lasciò con un pezzo di carta bagnata della misura di un francobollo fra le dita. Fu qui che mi arresi. Non ci sarebbe stato nessun tentativo di salvataggio. Era completamente rovinato. Tutto il mio lavoro era andato.
“Scusa.”
Frank si strinse le braccia attorno, cercandone di trovare conforto per il fatto che ero arrabbiato con lui.
E io ero arrabbiato con lui. Lo meritava? No. Certo che no. Ma senza dubbio non stavo pensando logicamente al momento. C'erano 
mesi di irrecuperabile lavoro fra quelle pagine fradice. Tutti i miei lavori erano rovinati e tutte le mie teorie erano state spazzate via. Tutte le ore che avevo passato in tarda notte, prendendo nota di come funzionassero i ricordi e di come la mente reagisse nei casi di grande noia erano stati buttati. Le mie conversazioni scritte fra Frank e Markman, cancellate.
Ero distrutto. Ero stato così deciso a salvare Frank quel fatidico pomeriggio di Natale, che non avevo nemmeno pensato al benessere del mio quaderno quando mi ero tuffato nella doccia con Frank. Con inesorabile rabbia tirai su quel disastro bagnato e lo buttai con eccessiva forza nel cestino di metallo vicino al mio letto. Il peso del libro fece sbattere rumorosamente il cestino sul pavimento della mia stanza.
Frank indietreggiò da me con aria drammatica. “Mi dispiace,” esclamò.
“Smettila di dirlo!” schioccai, rifiutandomi di girarmi per guardarlo.
Frank respirò bruscamente quando lo dissi. Mi sentivo cattivo. Non avevo mai alzato la voce con lui prima, non pensavo. Non meritava di ricevere la mia rabbia. Non era colpa sua. Non mi aveva obbligato a stare sotto la doccia con lui. Non mia aveva obbligato ad aprire la bocca per attrarre 
Loro. Non mi aveva obbligato a fare nulla. Quindi perchè ero così ansioso di accusarlo?
“Sì, bhè, non è che anche tu sia esattamente un santo, Gerard,” disse, ferito. Prima che potessi rispondere, lui si girò di scatto e se ne andò dalla mia stanza.
Le parole di Frank mi pugnalarono nel cuore come un coltello e il respiro venne fuori dalla mia gola a fatica. Il terrore e la vergogna e il senso di colpa mi colpirono lo stomaco come un peso di piombo, opprimendomi e avvelenandomi. Era la prima volta che Frank aveva menzionato l'orrendo atto che avevo commesso, da quando gliel'avevo confessato, nella calma oscurità dell'infermeria. Doveva aver pensato che fossi un mostro. Lo sapevo. Mi piegai in due, tenendomi la testa fra le mani e provando a sopprimere il senso di nausea che avvertivo nello stomaco.
Ero un 
assassino.
Ogni volta che ci pensavo, sentivo come se stessi collassando dall'interno. Era come se fossi demolito, come un castello di sabbia preso in alta marea. Rimasi rannicchiato, ripetendo le fatidiche parole nella mia testa.
Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Le parole si ripeterono come un disco rotto.


Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

OH MIO DIO, SONO STATI TUTTI FERITI.

Gerard?”
Mi strinsi le spalle in segno di protezione, coprendo me e la mia faccia piena di lacrime da Ben.
“Vieni a pranzo.”
Scossi la testa. Non avevo fame. Pensai che non sarei riuscito mai più a mangiare un pasto. Non con tutta la colpa che mi opprimeva e mi avvelenava.
“Non stavo chiedendo.” disse lui severamente.
“Non ho fame,” mormorai.
“Bhe, almeno vieni e siediti dove io possa vederti,” ordinò Ben, provando a farmi scendere dal letto.
Mi tirai indietro da lui. “Bene,” grugnii. “Sarò subito fuori.”
Ben lasciò andare il mio braccio. “Due minuti,” mi avvisò e uscì.
Usai i due minuti esatti per sciacquarmi la faccia. Non volevo che nessuno vedesse che avevo pianto. Piangere era un segno di debolezza. Avevo già mostrato la mia debolezza per Frank una volta e non volevo farlo di nuovo. Specialmente non mentre stavamo litigando. Ero un assassino senza cuore ed ero abbastanza sicuro che gli assassini senza cuore non piangessero.
Mentre camminavo verso la caffetteria, notai subito Frank. Desiderai che il mio corpo avesse un faro di segnalazione per avvisarlo. Non era seduto al nostro tavolo. Era seduto con Ray e Bob, con la faccia rivolta nella direzione opposta al mio tavolo. Mi sedetti e fissai il modo in cui sedeva con le spalle rannicchiate e il modo in cui accoccolava le braccia al petto in modo rassicurante. Mi fece male al cuore vedere che era seduto lontano da me. Incrociai le braccia sopra lo stomaco, nella futile speranza che questo avrebbe fermato la mia nausea e mi avrebbe dato un po' di conforto.
Mi sedetti con le braccia incrociate e il mento abbassato sul petto per molto tempo. Mi forzai di contare nella mia testa, per prevenire il pensiero di ciò che avevo fatto. Ero arrivato a 603, quando un'ombra apparve sul tavolo, distraendomi. L'uomo che aveva fatto l'ombra mi si sedette di fronte e potei avvertire i suoi occhi su di me. Lo ignorai. Non sapevo chi fosse e non mi importava.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci. Undici. Dodici. Tredici. Quattordici. Quindici...
“Forse dovresti provare a mangiare qualcosa,” disse lo sconosciuto e fece scivolare un vassoio di cibo verso di me.
Fottiti. Sbrogliai le braccia e spinsi via il vassoio, l'odore mi faceva sentire peggio di quanto già fossi. Alzai lo sguardo per vedere chi fosse quel fastidioso coglione. Notai che era più o meno sulla trentina, con capelli alla moda tinti di nero che sospettavo fossero messi in piega con un ridicolo eccesso di lacca. Indossava un camice bianco, il che confermò la mia ipotesi che fosse un dottore. Ma non era nessuno dei dottori che avevo mai visto. Le sue braccia erano piegate sul tavolo sopra una cartella color crema.
Nel momento in cui notai questo particolare, diventai intensamente interessato a quello sconosciuto.
Le sue braccia erano appoggiate sul mio file.
“Non hai mangiato niente dalla scorsa notte,” puntualizzò e spinse il vassoio verso di me con più forza del necessario.
Sentirglielo dire mi fece venire la pelle d'oca. Mi aveva ovviamente guardato per tutto il giorno. Era l'unico modo che avesse avuto per sapere che non avevo mangiato nulla da quando, la notte passata, sotto insistenza di Frank, ero stato forzato a farmi entrare in gola tre cucchiai di minestra.
Gli lanciai lo sguardo più insolente che potessi fare e il suo mento appuntito si alzò pieno di sé, in risposta al mio disgusto. Mi fece sentire meglio sapere che mi aveva contrastato. Non come Markman. Potevo lanciare a Markman tutti gli sguardi che volevo e raramente ottenere da lei una reazione buona come questa.
Lui si spinse in avanti e protese la mano verso di me. “Sono il Dottor Leto,” mi informò.
Ahh, era un dottore. Lo sapevo. Ma perchè era qui? Dov'era Markman? Era tenuta a darmi una risposta. Ignorai la mano protesa del Dr. Leto e realizzai che non vedevo Markman da tre giorni interi. Ero stato così occupato a commiserarmi nella mia colpevolezza che non avevo notato la sua assenza.
“Dov'è la Dottoressa Markman?” verbalizzai i miei pensieri al Dr. Leto.
Imbarazzato, ritrasse la mano e disse, “Ha avuto un' emergenza di famiglia e sta facendo una pausa.”

BUGIE!

Qualcuno l'aveva presa. Qualcuno sapeva che lei mi avrebbe raccontato tutto. Stava per spiegarmi cosa stava succedendo. Me l'aveva promesso. Qualcuno non voleva farmi sapere qualcosa. Era morta? Loro l'avevano uccisa? Ero il prossimo? Frank era il prossimo? Frank era al sicuro?
Guardai oltre la spalla del Dr. Leto per vedere Frank, per controllare che stesse bene. Ingoiai un'altra ondata di nausea quando lo vidi. Ero in perdita. Cosa potevo fare? Non mi era rimasto nessuno ad aiutarmi. Faceva parte delloro piano per prendermi? Oh Dio.
Il Dr. Leto si girò per vedere chi stavo guardano. “E' un tuoi amico?” chiese. “Come si chiama?”
Non risposi; il mio cervello aveva cose più importanti a cui pensare. Avevo bisogno di uscire da lì. Potevo convincere Frank a venire con me? Il Dr. Leto aprì il mio file e cominciò a sfogliare le pagine cercando qualcosa. Potevo sentire il fruscio delle pagine e abbassai lo sguardo, chiedendomi se potevo vedere cosa ci fosse nel mio file. Meditai per un breve momento su cosa avessi trovato o no, cosa ci fosse di così terribile, poichè Markman non me lo lasciava vedere. Era forse quel giorno il giorno in cui finalmente l'avrei scoperto? Lanciai un altro sguardo nervoso alla schiena di Frank. Sarei dovuto andare a parlare con lui?
“Frank,” disse il Dr. Leto. “Il nome del tuo amico è Frank. Perchè è seduto lì giù? Avete litigato?”
La mia attenzione fu distolta da Frank e tornò all'irritante dottore. Sospirai, incupito, e lo fissai. Perchè non poteva semplicemente lasciarmi da solo? Poi, i miei occhi si abbassarono sul tavolo, per posarsi sul mio file aperto.
Ora, se avessi saputo cosa stavo per vedere quando abbassai lo sguardo, non l'avrei mai fatto. Giuro che non l'avrei mai fatto. Mi ci volle un secondo per realizzare cosa fosse ciò che stavo guardando. Era una fotografia parzialmente oscurata. Mi ci vollero altri due secondi e mezzo per realizzare di cosa fosse la fotografia.
Passati questi due secondi e mezzo, diedi di matto. Con estremo orrore, mi spinsi indietro via dalla panca, lontano dalla foto, e collassai sul pavimento. Mi alzai goffamente in piedi, la mia testa piena di incoerenti voci e urli. A fatica uscii dalla caffetteria e girai l'angolo, prima di ritrovarmi sulle ginocchia, a vomitare violentemente. Poiché non avevo mangiato niente per tutto il giorno, quello che vomitai fu acqua e bile. Ogni volta che l'immagine della fotografia appariva nella mia testa, nuove onde di nausea mi divoravano, fino a quando tutto ciò che potei fare furono patetici conati secchi. Collassai sulla schiena, aggrappandomi alla gola e al petto, lottando per respirare. Era come se qualcuno avesse messo un pesante vestito sul mio naso e la mia bocca, strozzandomi. Ma mia gola era bloccata dolorosamente, come se stessi fisicamente soffocando, anche se nessuno mi stava toccando. L'immagine della fotografia si era bruciata nel mio cervello e nelle mie palpebre. Anche quando chiudevo gli occhi, tutto ciò che riuscivo a vedere era il violento rosso della pozza di sangue attorno a un corpo senza vita e il modo raccapricciante in cui le dita erano appena piegate sul palmo. Mi forzai di tenere gli occhi aperti, troppo spaventato per restare nel buio. Il mio cuore batteva pericolosamente forte in tutto il corpo mi sentivo intorpidito. Mi sentivo morire. L'immagine del corpo morto nella fotografia era tutto ciò che riuscivo a vedere e pensare. Il fatto che riuscissi a fatica a respirare e che non avessi nessuna sensazione alle estremità, prese posto davanti al fatto che il Dr. Leto mi avesse mostrato una fotografia di una persona innocente che avevo ucciso.
Quante altre persone avevo ucciso? Perchè non riuscivo a ricordare?!
Permisi al mio corpo e alla mia preziosa mente di chiudersi in una disperata richiesta di speranza. Tutte le voci e le figure si stavano affollando attorno a me come esseri incorporei. Stavano gridando e urlando il mio nome, cercando di farmi rispondere, ma io non potevo. Volevo dir loro di aiutarmi, ma ero scivolato in uno stato in cui non riuscivo a reagire.
Carpii dei pezzetti di frasi, ma le due o tre parole non avevano alcun senso da sole. Era come cercare di completare un puzzle con solo metà dei pezzi.
“Gerard.”

Cinquanta milligrammi.”

Shock.”

Diazepam.”

“Nessuna risposta.”

Pupille dilatate.”

“Chiamante un'ambulanza.”

“Chiamate il Princeton Presbyterian.”

“UNA PERSONA MOLTO IMPORTANTE!”

C'era così tanto sangue per terra. Era come se qualcuno avesse aperto un rubinetto, ma avesse dimenticato di chiuderlo. Il sangue sgorgava dai corpi non diversamente da come l'acqua era progettata per una fontana. Sangue misto a saliva usciva dagli angoli delle bocche aperte sugli angoli viscidi del pavimento. Il sangue schizzava sulle pareti bianche come pittura rossa. C'era così tanto sangue. Era sopra ogni parte di me; su tutti i miei vestiti. Sui miei capelli e sulla mia bocca; scivolando sul mio collo e gocciolando sul mio mento.
Dio mi stava distruggendo? Era riuscito finalmente a raggiungermi? Era per questo che mi sentivo scivolare via dal mio corpo? Oppure erano loro? Alla fine mi avevano preso? Mi avevano tagliato la testa? Era così che ci si sentiva a morire? Avevo finalmente preso i miei segreti?
“Gerard? Puoi sentirmi?!”
La mia visuale si riempì di luce accecante per un breve secondo, poi svanì. Un secondo dopo la luce tornò, poi sparì di nuovo. Ero così confuso. I miei pensieri stavano tornando improvvisamente e alla rinfusa.
“Se puoi sentirmi, Gerard, stringimi la mano.”
Non riuscivo più a sentirmi le mani, figuriamoci quelle di qualcun altro.
“Se puoi sentirmi, Gerard, ho bisogno che mi stringi la mano.”
Non posso farlo, cazzo! Non l'hai ancora capito? Se avessi potuto stringere la tua fottuta mano l'avrei fatto la prima volta!
“Non risponde.”
Il cuore mi martellava nel petto e potevo sentire l'aria fredda che veniva soffiata sulla mia bocca. Ipotizzai che stessi indossando una maschera d'ossigeno. Questo pensiero mi rassicurò. Sembrava che non fossi morto, dopo tutto. “Cosa gli avete dato?”
La voce mansueta del Dr. Leto disse, “Diazepam.”
“Gli avete dato il ValiumQuanto Valium?” potevo avvertire la furia nella voce di Markman. Bene.
La prima risposta del Dr. Leto fu incomprensibile. Tutto quello che fece fu borbottare. Markman lo insultò di nuovo e lui in sua difesa disse, “Stava avendo un serio attacco di panico. Doveva essere sedato.”
Sentii il tacchettio dei tacchi alti di Markman sul pavimento, mentre camminava verso l'altro lato del mio letto. Potevo immaginare come fosse la sua faccia al momento. “Quanto?” chiese di nuovo.
“Cinquanta milligrammi.”
Questa cifra non aveva nessuna rilevanza per me, ma ovviamente ne aveva per Markman, perchè uscì fuori di testa. “CINQUANTA MILLIGRAMMI!” urlò. “Avrebbe potuto avere un arresto cardiaco!”
“Ma non l'ha avuto!”
“Ma avrebbe potuto! A cosa stavi pensando? Volevi forse essere quello che avrebbe dovuto telefonare ai suoi genitori?”
Ci fu un silenzio da parte del Dr. Leto dopo questo. “E' stato un incidente,” disse alla fine.
“Cos'è stato? Avresti potuto uccidere il povero ragazzo?!”
“E' a malapena un bambino, Jillian,” sputò il Dr. Leto. “Hai visto cos'ha fatto. L'hai visto tu stessa.”
Mi sentivo come se stessi ascoltando una soap opera. Una soap opera dove io ero il protagonista di cui tutti parlavano frequentemente, quando non c'era. Era abbastanza intenso. Markman non rispose alla dichiarazione del Dr. Leto e immaginai che stesse fissando il muro, digrignando i denti con rabbia.
“Non volevo fargli vedere la foto,” disse il Dr. Leto con rancore.
Markman rise aspramente. “Sono sicura che non volevi.”
“Non volevo!” insistette il Dr. Leto.
Cazzo, avrei voluto vedere cosa stava succedendo. Essere capace solo di sentire mi stava rendendo pazzo. Era in corso una probabile rissa? Mi sentivo abbastanza onorato di come Markman mi stesse difendendo. Sembrava riluttante a lasciare che il Dr. Leto mi chiamasse un assassino senza cuore, anche se era così ovvio che lo fossi.
Il Dr. Leto smosse alcuni fogli mentre parlava, “Sai cosa vuol dire questo ora, vero?”
“Illuminami?”
“Il modo in cui ha reagito... abbastanza indicativo del suo senso di colpa, non pensi?”
Desiderai che Markman esplodesse, ma mantenne il tono di voce misurato. “Non vuol dire niente.”
“Lo faranno andare al processo.”
“Gerard Way non è ancora abbastanza in salute per affrontare un processo, di qualsiasi crimine; lo sai da solo, Dottore.”
Il Dr. Leto imprecò.
Tenni gli occhi chiusi mentre lasciava la stanza e feci finta di dormire, ma avrei dovuto fare di meglio per ingannare Markman.
“Ti lascio da solo per tre giorni e mi mandi fuori di testa, Gerard?”
Porca troia, sapeva che avevo sentito tutto? Sapeva che ero sveglio? C'era qualcosa che questa donna non sapeva? Giuro che ci sono cose che lei sa di me che neanche io conosco. Bhe, in primo luogo, sapeva cosa avevo fatto, mentre io non lo sapevo. Sapeva di me e Frank? Ci avrebbe separati se l'avesse saputo? Mi avrebbe accusato di approfittarmi di lui? Sapeva che mi piaceva Frank? Che mi piaceva più di un amico? Sapeva che gli volevo bene? Che stavo sul confine di innamorarmi di lui?
Frank lo sapeva? Sapeva che mi piaceva così tanto che mi faceva fisicamente male essere arrabbiato con lui o che lui fosse arrabbiato con me? Avrei avuto l'occasione di dirglielo? O avrei dovuto partecipare al processo come il Dr. Leto aveva detto e mi avrebbero mandato dritto a Greenwood? Avrei passato il resto della mia vita in un istituto psichiatrico per criminali pazzi trattato come un mostro per ciò che avevo fatto?
“Il battito cardiaco e la pressione si stanno riprendendo.” Un' infamiliare voce femminile raggiunse le mie orecchie. Un' infermiera?
Un momento dopo il mio frenetico treno di pensieri fu brutalmente fermato, quando la proprietaria della voce femminile mi mandò nell'oscurità.

***


Riprendersi dai sedativi è una delle cose più irritanti di questo mondo. Ero stato sedato un paio di volte nei mesi passati e lo odiavo. Odiavo la sensazione in cui la mia testa era fra le nuvole e piena di nonsense. Odiavo come il luccichio delle luci appariva ai miei occhi. Odiavo il sentirmi appena uscito dal letargo che avvertivo ore dopo. Odiavo il fatto di andare a dormire in un posto e svegliarmi in un altro.
Ero sorpreso di trovarmi ancora in ospedale. Il Princeton Presbyterian per l'esattezza. C'ero stato anche prima. Ero nella stessa stanza dove ero stato quella volta che 
Loro mi avevano aperto la testa e avevano portato quello stronzo del chirurgo plastico per aggiustarla. Ero sorpreso perchè per metà mi aspettavo di svegliarmi e trovarmi in cella, attendendo il mio giorno del giudizio.
Mi guardai attorno e fui un po' scioccato di vedere Markman seduta vicino al muro. Stava sonnecchiando con la testa appoggiata al palmo della mano, su una di quelle scomode sedie di plastica da ospedale. Era lì da molto? Mi sentii abbastanza toccato. Forse non era un diavolo mascherato, dopo tutto.
Tossii intenzionalmente, per vedere se fosse sveglia e sembrò che lo fosse, perchè aprì gli occhi immediatamente.
“Oh, Gerard.” sembrò sopraffatta dall'emozione per un momento. Ciò mi sorprese ancora di più. Avrei giurato che mi odiasse. Si raccolse i capelli castani in un disordinato chignon, mentre si avvicinava al lato del mio letto. Alzai lo sguardo verso di lei, aspettando che dicesse qualcosa per prima.
Mi puntò il dito contro. “Non farmi mai più una cosa del genere!” esclamò.
Le sorrisi mansuetamente e lei roteò gli occhi. Ero grato che le cose stessero tornando normali fra di noi. Ma sarebbero restate normali?
“Mi dispiace,” mormorai. Non mi stavo scusando per averla spaventata e lei lo sapeva, perchè scosse la testa verso di me. “Non voglio andare via!
“Pensi davvero che ti lascerò andare così facilmente? Ho bisogno di qualcuno che mi faccia stare allerta per molto tempo, Gerard. Ma, ora capisci perchè non volevo farti vedere il tuo file? C'è un metodo nella mia pazzia, lo sai.”
Mi aveva protetto per tutto il tempo. Le avevo dato filo da torcere anche su questo. Che fregatura del cazzo. Markman prese una borsa sotto al mio letto e ne tirò fuori un paio dei miei jeans e una felpa.
“Perchè non ti cambi, così posso riportarti a casa?”

Annuii, incapace di crederci. Non si ricordava di ciò che avevo fatto? Perchè si stava comportando come se non fossi un assassino senza cuore? Poco prima che Markman raggiungesse la porta, si girò e mi guardò. “Me lo diresti se ricordassi qualcosa riguardo quel giorno, non è vero?”
Con gli occhi chiusi, annuii automaticamente. Ero ancora sorpreso dal fatto che mi permettessero di tornare a casa per capire ciò che stava dicendo.

Gli effetti successivi del sedativo furono che dormii per tutto il viaggio di ritorno a Bluestone e poi per il resto del pomeriggio in infermeria. Diavolo, ultimamente stavo trascorrendo un sacco di tempo in quel posto. Mentre riposavo nel buio, ripensasi a quando tutto ciò era iniziato. Coincideva con l'arrivo di Frank. I loro piani per rubare i miei segreti, il sogno riguardante Michael, i ricordi estranei che non ricordavo di aver fatto, tutto era cominciato quando mi ero aperto a Frank.
Era tutta colpa sua.
Ma non mi importava.
Non avrei potuto in un altro modo.
Cazzo, mi stavo trasformando in una fottuta checca.
Non era ancora passata un'ora da quando era passato il coprifuoco, che Frank sgattaiolò dentro per vedermi. Me lo aspettavo tutto timoroso e impaurito dopo la litigata che avevamo avuto prima del mio attacco di panico. Ma lui mi sorprese di nuovo. Cazzo, mi stavo stufando delle sorprese.
“Abbiamo avuto la nostra prima litigata e tu sei scoppiato a piangere per me,” scherzò, lisciando le lenzuola del mio letto. Notai che indossava i suoi guanti da scheletro.
Pensai che fosse la sua versione per un' offerta di pace. Qualunque cosa fosse, sapevo che significava che mi aveva perdonato.
“C'è un po' di spazio per me?” chiese.
In risposta mi spostai e lui subito si mise accanto a me e si stese. Inalai il suo profumo, non realizzando quanto mi fosse mancato fino a quando non lo avevo avuto di nuovo. Mi rotolai dalla mia parte per guardarlo e lui mi mimò, in modo che fossimo faccia a faccia. Si sostenne sul gomito e sorrise. Sapevo che non era una buona idea. Ero spaventato. Avevo paura di come avrei potuto ferirlo. Avevo ucciso quelle persone. Avevo ucciso mio fratello. Non sapevo cosa mi aveva spinto a farlo, e non volevo scoprirlo.
“Oh, hey, Gerard? Ho trovato questo,” disse Frank e prese un pezzo di carta dalla sua tasca. Era tutto spiegazzato, come sei fosse stato accartocciato in una palla, ma poi riaperto. “Era appallottolato nel tuo cestino. Stavo pulendo la tua stanza,” aggiunse.
Non sapevo cosa fosse quel foglio, ma sapevo che non era niente di grande importanza. Doveva essere qualcosa come uno schizzo che avevo sbagliato o una teoria che non aveva funzionato. Frank mi offrì il foglio e lo lessi nella flebile luce di uno dei monitor. Era la mia teoria di come funzionassero i ricordi. Ci stavo rimuginando sopra la prima volta che vidi Frank nella sala TV.
“E' vero?” chiese lui speranzoso. “Puoi davvero perdere un ricordo?”
“Già. Una specie,” sospirai e afferrai il foglio.
Frank respirò bruscamente. “Davvero?” disse incredulo. “Come? Fammi vedere come?”
“Non è semplice. E' più facile rimpiazzare il ricordo.”
Frank tornò a fissare il foglio. “Non dice nulla a proposito del rimpiazzare, qui,” mi accusò, agitandomi il foglio in faccia. “Dimmi come funziona.”
Volevo solo stare steso lì con lui; non volevo sprecare tempo discutendo di irrilevanti teorie per il suo divertimento.
“Ti prego.”
Sospirai. “Bhe, usiamo l'esempio dell'imparare ad andare in bici, okay? Immagina che tu stai pedalando sulla bici attorno a una strada e cadi e ti fai male. Da quel momento puoi fare due cose. Puoi tornare in sella o puoi riporre la bici in garage e non usarla mai più. Se scegli di riporre la bici in garage, l'unico ricordo che avrai della bici è quello brutto di quando sei caduto. Oppure puoi restare in sella e continuare e se scegli questo, il ricordo che andrai a favorire è quello bello di te che si rialzi e torni in sella. Quindi tecnicamente hai rimpiazzato il ricordo cattivo della caduta con quello buono del rialzarti. Ha senso?”
Era abbastanza difficile tentare di spiegare queste cose a persone che non avevano un cervello come il mio. Frank annuì entusiasta, pendendo da ogni mia parola.
“Funziona per tutte le cose?” chiese.
“Abbastanza,” risposi. La maggior parte delle persone inconsciamente rimpiazzano i ricordi per tutto il tempo. E' qualcosa che puoi fare senza premeditazione. Non come l'atto di perdere i ricordi. Quello richiede un sacco di premeditazione. Cominciai a elencare alcune ragioni comuni per cui le persone rimpiazzano i ricordi. “Molte persone lo fanno con i film paurosi, i morsi degli animali, i primi appuntamenti...”
“I primi baci?” gli sfuggì a Frank.
“Già... aspetta, cosa?” dissi, spostando gli occhi dal soffitto alla sua faccia.
Anche nell'oscurità della stanza potevo vedere la pura eccitazione nei suoi occhi. Stava letteralmente sprizzando da tutti i pori. Che cosa gli era successo? Ripensai alla prima volta che lo avevo visto. Avevo notato che quel giorno le sue labbra erano state toccate da un' altra persona, ma lo avevo dimenticato fino a quel momento. Ora aveva senso.
“Mi aiuterai?” chiese.
“No,” risposi, imbarazzato e riluttante. Non sarei stato io a trarre vantaggio da Frank. In nessun modo. Nemmeno fra un milione di anni.
“Ma tu hai detto...”
“Non posso.”
“Perchè no?”
Mi scostai da Frank quando lui si avvicinò. Stavo trovando la disperazione ora?
“Voglio rimpiazzare quel ricordo, Gerard. Non sai cosa vuol dire averli mentre persistono sulle tue labbra e sul tuo corpo.”
“Mi stai usando,” gli feci notare febbrilmente, cercando una scusa.
“E' una bugia, e tu lo sai,” sussurrò. Si tolse i guanti e lasciò che una mano scivolasse sul lato della mia faccia.
Non avrei dovuto farlo. Era la cosa sbagliata da fare, va bene? Non sapevo neanche cosa fare. Non avevo mai baciato nessuno prima. Frank lasciò andare la mano dalla mia faccia quando non risposi ne' reagii. Rotolò via da me mettendosi su un fianco, guardando il soffitto. “Mi dispiace,” mormorò.
Mi misi suoi gomiti per guardarlo. Mi restituì lo sguardo, gli occhi chiusi in attesa. Lasciai che la mia mano destra si appoggiasse sul lato del suo viso, e accarezzai la sua guancia così lievemente che avrebbe potuto confonderlo con una boccata d'aria. Lasciai che la mia mano scivolasse sul suo volto, fin quando raggiunse la parte dietro della testa, poco sotto le orecchie. Trascinai il pollice sopra l'angolo delle sue labbra, e lui tremò.
Spaventato che avessi fatto qualcosa di male, mi allontanai. Persi il coraggio e mi stesi, evitando il contatto visivo con Frank.
“Mi fido di te.”
Ci volle un secondo perchè queste parole penetrassero. Odiavo che Frank si fidasse di me così ciecamente. Ero così spaventato di potergli fare del male.
“Che succede?” chiese alla fine, non con cattiveria, ma con preoccupazione.
“Sai cosa ho fatto,” gli ricordai.
Fece un rumore con la gola che suonava come di disapprovazione. “E' stato un incidente,” mi disse con fermezza.
“Non lo sai.”
“Neanche tu.”
“Potresti sbagliarti.”
“Anche tu.”
Sorrisi nell' oscurità. Se solo Frank avesse saputo quanto fosse improbabile che mi sbagliassi.
Lui continuò, “Non sono spaventato da te, lo sai. Se fossi capace di farmi del male, penso che l'avresti già fatto.”
Pensai che questo avrebbe dovuto confortarmi, invece mi diede i brividi. Non gli avevo fatto del male, non ancora. Ma non c'era nessuna garanzia che non potessi farlo. “Non posso,” dissi infine.
“Okay,” disse Frank avvilito. “Penso che andrò a letto.” Senza una parola di più se ne andò.
Non si era neanche girato a guardarmi.


Comunque, si sedette con me a colazione, la mattina dopo, comportandosi come se non fosse successo nulla la notte prima. Non avrei risollevato la questione, anche se ero stato sveglio fino alle tre, rimuginandoci sopra e pensando a cosa sarebbe successo se fosse andata diversamente. Mentre mangiavamo, Frank mi disse tutto ciò che era successo nelle quaranta ore che ero andato via. C'era stato un avvenimento emozionante. Fidatevi, le cose emozionanti accadevano solo quando non ero lì.
Oltre ad aver traumatizzato me, il Dr. Leto aveva anche insultato Bert, e ciò aveva causato il tentativo di Bert di attaccare il Dr. Leto con una forchetta di plastica. Bert era stato capace di infliggere sulla faccia liscia e sul collo del Dr. Leto un sorprendente numero di graffi, prima che gli inservienti riuscissero a toglierglielo di dosso. Mi appuntai mentalmente di congratularmi con Bert, non appena fosse uscito dall' isolamento. Stavo riconsiderando il suo divieto di sedersi al mio tavolo.
Ray e Adam arrivarono per darmi in bentornato. Non sapevo perchè entrambi persistevano nell'essere carini con me; forse era uno dei sintomi della loro pazzia?
“Quella donna non la smette di guardarti,” disse Frank improvvisamente, indicando una strana pallida donna che stava in piedi vicino all'entrata dei visitatori. Ci girammo tutti per guardarla e mi misi a fissarla per un po', cercando di innervosirla, ma lei sostenette il mio sguardo con facilità. Sembrava abbastanza familiare, veramente.
“So chi è,” disse Adam cupamente.
“Chi?” chiedemmo Frank, Ray e io all'unisono, con impazienza.
“E' del Governo. E' una di quelle persone che stanno cercando di occultare il mio rapimento.”
Io e Frank ci risedemmo, delusi. “Oh, certo,” dissi. Ray sembrava affascinato dalla storia, comunque.
Adam abbassò la voce, quindi tutti ci dovemmo avvicinare per sentirlo. “Non l'ho mai detto a nessuno, ma ho un chip di rilevamento dietro al collo,” rivelò lui. Si guardò attorno nervosamente prima di continuare. “Gli alieni me l'hanno messo in modo da potermi ritrovare. Il Governo ha un'unità top secret che ha a che fare con il paranormale, e lei ne fa parte. Mi stanno guardando da mesi.”
“Wow.” gli occhi di Ray erano spalancati dalla meraviglia. Sembrava essere l'unico che credesse ad Adam. Io e Frank certamente no. Per cominciare, non c'era nessuna cosa come gli alieni. Lo sapevo. Io sapevo delle cose, ricordate?
“Sono sempre gli stessi dietro all'occultamento dell' Y2K*, sapete?” spiegò Adam.
Sentire Adam che menzionava l' Y2K mi ricordò che che quel giorno era Capodanno. Me n'ero completamente dimenticato, con tutto ciò che era successo a partire da Natale. Il giorno dopo sarebbe stato un completo anni nuovo. Un completo nuovo inizio.
La sessione di terapia di gruppo era stranamente presto quella mattina, subito dopo colazione. Non mi piacevano i cambi di routine. Mi piaceva sapere esattamente quando sarebbero successe le cose. Mi stavo scocciando delle sorprese. Ray, Frank e Adam si incamminarono nella stanza di fronte a me, ma io mi fermai prima di entrare. Stavo avendo una pessima sensazione riguardo ciò. Specialmente da quando Adam aveva identificato la donna dalla faccia pallida come un' agente del Governo. La cosa strana era che gli credevo. Aveva ragione e nemmeno lo sapeva.
Vidi Markman che camminava verso la stanza, quindi la fermai. “Ho bisogno di parlarle,” le dissi con urgenza.
“Non ora.” mi scostò e provò a continuare a camminare.
“E' importante.”
Non ora,” rispose, ma non riuscendo ad andare da nessuna parte perchè mi ero piantato di fronte a lei.
Sospirai, incupito. “Quella è venuta a prendermi, non è vero? Sa che ho ucciso quelle persone.”
Markman impallidì e mi afferrò il braccio, trascinandomi dietro l'angolo. “Stai calmo,” sibilò. Sì, sibilò come se avesse paura che qualcuno stesse ascoltando. Era diventata paurosa e paranoica come me.
“Mi aveva detto che non sarei dovuto andare via,” farfugliai. “Non volevo fargli del male. Davvero, non volevo. Stavo cercando di salvarlo. Per favore, non mi porti via da qui.” ero sul limite dell'implorazione.
“Stai calmo, stai calmo!” disse lei, portandomi sempre più lontano dalla stanza. “Non posso parlare ora di questo, Gerard.”
“Perchè no?!”
SHHHHHH!” disse, a metà fra l'urlo e il sussurro.
“Per favore, lo lasci che mi portino via,” implorai, aggrappandomi al suo braccio. Non volevo andarmene. Non potevano farmi andare via.
Markman stava tremando. “Non possiamo parlarne ora, Gerard.”
“Di cosa Gerard non ha il permesso di parlare?” una voce marchile interruppe la nostra conversazione silenziosa. Entrambi diventammo muti e fissammo le tre persone che ci si erano accostate all'entrata. Sia io che Markman ci fermammo dove eravamo arrivati. Stringendoci l'uno a l'altra e deglutii con dolore. Il mio cervello ronzò alla ricerca di una scusa. Il più vecchio, l'uomo canuto, era accompagnato dalla donna dalla faccia pallida per prima, ed da un altro uomo di mezza età. Erano tutti vestiti come se stessero andando in tribunale, con i vestiti perfettamente stirati e i capelli immacolati. Forse stavano per portarmi direttamente al processo per l'omicidio di tutte quelle persone.
“Di cosa non puoi parlare, Gerard?” mi chiese di nuovo il più vecchio.
Un momento dopo ebbi un lampo di genio. Era per questo che amavo il mio cervello. Incrociai le braccia sul petto e feci finta di essere seccato. Non ebbi il coraggio di guardare Markman.
Bhè,” sospirai. “Volevo restare sveglio stanotte per guardare i fuochi d'artificio di Capodanno in televisione, ma non mi è concesso. E lei non mi vuole dare una ragione vera e propria. Voglio dire, è solo mezzanotte. Sono già stata sveglio fino a mezzanotte in passato. E' stupido. E io continuo a chiederle perchè, ma lei continua a dirmi di smetterla di parlarne e di accettare la sua decisione.”
Sapevo istantaneamente che avevano abboccato alla mia bugia. Ero molto bravo a capire le persone, specialmente quelle che non sapevano nascondere le loro reazioni.
“Stai andando da qualche parte di speciale?” mi chiese il più vecchio.
“Uhmmm...no. Sì,” cambiai decisione precipitosamente. “Terapia di gruppo. 
Molto importante.”
“Sono sicuro che la Dottoressa Markman possa giustificarti per una volta.”
Markman non discusse. Non mi guardò nemmeno mentre se ne andava rapidamente.
Il mio stomaco cascò su pavimento quando il più vecchio mi prese il braccio e mi portò nella direzione opposta alla stanza di terapia. Mi portò in caffetteria, che ora era deserta. Ci sedemmo al tavolo nel mezzo. Non mi piaceva sedermi lì. Non era il mio solito tavolo. I due uomini si sedettero ai lati, mentre la donna si sedette di fronte a me. Mi guardai attorno e fui preoccupato nel vedere un'altra mezza dozzina di uomini in abito nero in piedi accanto al muro, con lo sguardo molto serio.
“Ora, Gerard, sai perchè siamo qui?” mi chiese il più vecchio.
“Non devi rispondere, Gerard,” la donna interferì immediatamente e guardò accigliata l'uomo.
Perchè non mi era permesso rispondere? Ero perplesso. Guardai la donna, fissandola senza capire. “Chi è lei?” domandai senza far rumore.
Sembrava che le avessero appena dato uno schiaffo in faccia. “Sono il tuo avvocato, Gerard,” rispose indignata.
“Oh.” avevo un avvocato? Gesù, quindi era qui per salvarmi.
“Gerard, non ti ricordi di me?”
“No. Mi dispiace,” aggiunsi, un po' in imbarazzo.
“Sono sicura di sì. Sono Lindsey, ricordi?” stava diventando nervosa e ansiosa adesso e continuò a fissare i due uomini.
Deglutii e scossi la testa.
“Mi ha assunta tuo padre...?” si scambiò uno sguardo con l'uomo di mezza età.
Scossi la testa di nuovo.
L'uomo di mezza età si avvicinò. “Gerard, sai chi sono?” domandò.
Aggrottai la fronte prima di rispondere. “Umm, no. Mi dispiace.” Ero andato a quell' incontro con l'intenzione di restare muto, ma sembrava non ci fosse bisogno di fingere.
“Non ha senso,” l'uomo più vecchio si mise in mezzo con rabbia e io mi allontanai dal tavolo.
L'uomo di mezza età era abbastanza sorpreso che non lo avessi riconosciuto. Si stava abbastanza emozionando e io mi sentii un po' imbarazzato. “Ci siamo incontrati?” domandai esitante. “Perchè forse se lei mi dice quando ci siamo incontrati potrei avere più fortuna nel ricordarla. Vede, qualche volta il mio cervello si sovraccarica un po'. E' stato troppo impegnato ultimamente...?”
Lui non rispose alla mia domanda. Mi fissò soltanto, con un uno sguardo commovente. Mi morsi il labbro. “Mi sembra un po' familiare,” proposi, cercando di consolarlo. Dio, non era mica la fine del mondo se non me lo ricordavo. Non era nessuno di importante. Piegai la testa di lato, scervellandomi. “E' stato in TV? E' un dottore o qualcosa del genere?”
Lindsey mise la sua mano sul mio braccio, intimandomi di non dire più niente. Quando smisi di parlare, l'uomo più vecchio disse, “Penso che abbiamo finito qui.”
Si alzò in piedi e tutti gli altri fecero lo stesso. Diedi un'occhiata dura agli uomini in fila nella stanza.
“Sono delle spie?” sussurrai a Lindsey.
“Cosa?!” esclamò lei. Avevo la sensazione che non le piacessi. Era ovviamente un avvocato superpagato di gran classe che non aveva tempo per persone come me.
“Spie. Come la CIA?”
“No,” disse in tono di disapprovazione.
Non lasciai perdere. Percorsi tutti i diversi tipi di organizzazione nella mia testa. FBI? CIA? I Servizi Segreti? MI6? Cazzo, non ne avevo idea. E veloci come erano arrivati, i due uomini e la donna, Lindsey, se ne andarono. Mi lasciarono con un milione di domande in mente.
Che bizzarra mezz'ora. Avevo un sacco da raccontare a Frank.
Sfortunatamente non ebbi l'occasione di stare solo con Frank per il resto della giornata. Non fino a quando spensero le luci e Frank sgattaiolò nella mia stanza e fui in grado di raccontargli le novità.
“Spie?” disse Frank impressionato. “Sei sicuro? E' abbastanza figo.” rise e scosse la testa.
Feci spallucce. “Pensavo che fossero venuti per arrestarmi,” confessai.
“Perchè avrebbero dovuto? E' stato un incidente, ricordi?”
“Non si spara accidentalmente a più persone, Frank,” dissi, alzando un sopracciglio verso di lui.
Frank non continuò l'argomento. Invece si alzò dal mio letto, dando un'occhiata all'orologio. Usando i miei cuscini per dargli un'altezza maggiore, lui poggiò il mento alla finestra e guardò fuori.
Ero accanto a lui e guardai fuori nella notte. Meno di un minuto dopo, Frank fece un “ohhh,” sembrava che avesse avvistato il primo fuoco d'artificio da lontano. Guardò lo spettacolo con un piccolo sorriso sul volto.
Non era durato abbastanza come avessi voluto. Ciò mi fece desiderare veramente che avessimo il permesso di stare in piedi per vedere la meravigliosa esibizione che era trasmessa in televisione. Meno di cinque minuti dopo che era finito, Frank e io eravamo nel letto vicini l'uno a l'altro di nuovo. Eravamo stesi in un confortante silenzio da molto tempo e ancora non cominciavo ad addormentarmi.
“Non volevo metterti in una situazione imbarazzante la scorsa notte,” disse improvvisamente Frank. “Grazie per non esserti approfittato di me. Pensavo davvero che potesse funzionare. Mi dispiace di essere stato stupido.” scivolò nel silenzio prima di sussurrare a se' stesso come un pensiero ad alta voce, “così stupido.”
“Non penso che tu sia stupido,” gli dissi e mi rotolai sul fianco per guardarlo. Lui fece lo stesso ed era come se fossimo di nuovo in infermeria. Eccetto che questa volta non c'era nessuna sciocca aspettativa o pressione.
Mi appoggiai lentamente e Frank ripeté ciò che mi aveva detto la notte passata. “Mi fido di te.”
Mi misi mezzo seduto in modo da appoggiarmi meglio sopra di lui. Era decisamente più rilassato della notte passata e lo ero anche io. Anche se non avevo ancora idea di cosa stessi facendo, ero calmo. Piegai la mano sotto il suo orecchio di nuovo e Frank stese le braccia per far correre delicatamente le sue dita lungo la mia mascella. Mentre mi avvicinavo, le farfalle nel mio stomaco diventavano sempre di più, fino a quando fu quasi impossibile tollerarle. Quando le mia labbra furono a circa tre centimetri da quelle di Frank, esitai di nuovo. Lui fece un respiro profondo e chiuse gli occhi, alzando il mento. Non volendo deluderlo, coprii quegli ultimi tre centimetri, fino a quando le mie labbra premettero su quelle di Frank.
Aveva le labbra più morbide che potessi immaginare. Anche più morbide di quelle modelle nei centri commerciali con le labbra rifatte. La mia testa sembrò esplodere quando i sensori nelle mie labbra registrarono cosa stessero facendo. I miei pensieri sembravano scivolare nel nulla, eccetto per quella parola ripetuta, 'FRANK'. Aspettai mezzo secondo prima di premere la mia bocca un po' più forte sulla sua e aprirla.
Superai il confine dei denti su cui avevo barcollato per diverse settimane e mi tuffai nell'abisso oscuro. Frank era il mio paracadute. Non sapevo perchè fossi così preoccupato. Era una cosa bellissima e pensavo che in fondo fossi abbastanza bravo.
Frank aprì la bocca e premette le labbra umide sulle mie, spingendo il suo naso sulla mia guancia. Le nostre labbra, tumide di saliva, scivolavano le une sulle altre, mentre il bacio progrediva da essere innocente all'essere intenso e passionale. Pensai che forse dovevo fermarmi. Non pensavo che fosse l'ideale andare oltre l'innocenza in un getto. Sentii Frank che si allontanava ancor prima che si rendesse conto di farlo. Di nuovo preoccupato di aver fatto qualcosa di male, staccai le labbra dalle sue e mi risiedetti. Gli occhi di Frank rimasero chiusi, mentre respirava abbastanza affannosamente, con le guance arrossate. Poi, un adorabile timido sorriso si aprì sulle sue labbra e lui alzò un dito per toccarle, con vero senso di meraviglia nelle sue azioni.
Aprì gli occhi e mi fece un sorriso così puro che il mio stomaco fece una capriola.
“Ha funzionato?” chiesi nervosamente.
“Ha funzionato.”

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance / Vai alla pagina dell'autore: shoved2agree