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Autore: givemetherapy    04/03/2012    2 recensioni
Never say never. La vita ti riserva sempre delle sorprese, è un treno in corsa da prendere al volo. Questa è la storia di una ragazza italiana, normale ma con una vita difficile. Ma la vita le saprà riservare delle emozioni uniche.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.Amore.
 
Dopo la morte di papà fu tutto diverso. Ero piccola quando successe e quindi ho pochi ricordi di lui. Mi ricordo solo i suoi capelli ricci e neri. Chissà come sarebbe la mia vita con al mio fianco una figura maschile. La mia vita è una foto con rappresentata mamma, io e una figura bianca alla mia destra che mi tiene in braccio. Voglio sapere di più su quella figura bianca. Voglio sapere come era la mia vita da piccola con questa figura al mio fianco.  Mamma svolge un lavoro part-time per poter stare più tempo con me. Non le importa fare fatica a gestire i soldi in casa la sola cosa che le importa veramente  sono io. E’ una donna giovane, attiva e bellissima. I suoi capelli rossi le cadono  fluidi sulla schiena, sono così morbidi! Profumano sempre di pesca. Da piccola adoravo addormentarmi con la testa sul suo seno tenendo in mano una ciocca di capelli. E’ una donna amorevole e sempre gentile anche quando la facevo arrabbiare da piccola.
Erano parecchi giorni che pensavo a papà. Volevo sapere la verità del perché non era più qui con noi. Finii in fretta in compiti di matematica e corsi giù in cucina. Mamma stava preparando la cena. Apparecchiai la tavola e iniziammo a cenare. Parlammo della mia giornata scolastica e di tanto altro. Amavo parlare con lei, prima di tutto per me era una amica, una consigliera e poi anche una mamma. Finita la pasta mamma si alzò a posare i piatti nel lavandino. Calò il silenzio.
“Mamma…” accennai. La voce mi si fermava in gola.
“Dimmi amore, che succede?” mi domandò lei con quel suo tono amorevole.
“Voglio sapere la verità sul papà.”
Mamma rimase in silenzio, respirò e si sedette al tavolo. Mi prese la mano tra le sue e iniziò a raccontarmi la verità su papà.
“Ci eravamo appena trasferiti qui, tu eri piccolina,avevi circa 2 anni, vivevamo felici e in tranquillità. Non avevamo problemi con nessuno nel vicinato. Una sera il papà mi portò fuori a cena per festeggiare il nostro 10° anno di matrimonio … tu eri dalla nonna Adele … ecco vedi … nel tornare a casa una macchina fece un frontale con la nostra, il vetro si frantumò in mille pezzi una ruota colpì papà in pieno e per poco restò cosciente. Con tutta la forza che avevo in corpo cercai di metterlo in salvo. Ebbi la forza di chiamare i soccorsi che arrivarono dopo poco. Ci hanno portato all’ospedale ma il papà appena salito sull’ambulanza non ce l’ha fatta. Hanno cercato di rianimarlo più e più volte. Ma il suo cuore era fermo. Non batteva più. Straziata dal dolore iniziai a piangere, mi scaraventai sul suo corpo inerte, lo scossi con forza, continuavo a urlargli di riprendersi, che a casa aveva una bimba e una moglie che lo amavano ma lui era li immobile. Io me la sono cavata con una frattura al braccio. E questo non me lo perdonerò mai, mai, mai. Mi dispiace molto tesoro. Era ora che sapessi tutta la verità. Io lo amavo tanto, è stata la perdita più grossa della mia vita.” Fece una pausa. Si asciugò le lacrime. “ Il papà ti voleva bene, ricordatelo per sempre.”
Rimasi in silenzio. Ero troppo scossa da questa terribile verità. Abbracciai mamma e un fiotto di lacrime mi sgorgarono dagli occhi, non riuscivo più a trattenerle. In quel momento non la odiai per avermi tenuto nascosta la verità anzi la amai come non mai. L’aveva fatto per il mio bene, perché mi amava.  Mi staccai dall’abbraccio, mi alzai dal tavolo e corsi in camera mia. Piangevo. Salii le scale di corsa.
“Ti voglio bene papà” sussurrai con le lacrime che mi inondavano il viso.
Mamma rimase seduta al tavolo a piangere. Aveva fatto la cosa giusta a dirmelo. Chiusi la porta e mi buttai sul letto con la testa affondata nel cuscino. Mi mancava il respiro, volevo provare ciò che provò papà quella sera. Resistei qualche minuto poi alzai la testa dal cuscino di scatto. Con la bocca spalancata cercavo di prendere tutta l’aria possibile. Piangevo. Piangevo a dirotto.
“Perché?!” continuai a ripetermi quella domanda per tutto il giorno. E quel giorno non fu l’unico, fu il primo di una lunga serie.  Quella sera non cenai. A dir la verità non uscii da camera mia per dei giorni interi. La mia stanza aveva l’aria pesante, irrespirabile ma anche solo alzarmi dal letto mi costava fatica. I miei capelli erano sporchi e non avevo voglia di lavarmi. Nona avevo voglia di curarmi, non avevo voglia di fare nulla, volevo solo starmene rannicchiata a letto a piangere. Le ante delle finestre erano sempre aperte così potevo guardare che tempo faceva fuori. Per molti giorni il tempo è stato brutto, cielo cupo e rotto da grandi goccioloni di pioggia. E cosi ero io, cupa e rotta da grandi lacrime che mi percorrevano le guance. Non c’era il sole nella mia vita. Finalmente dopo giorni di pioggia usci un sole timido da dietro le nuvole che dopo poco si trasformò in un sole splendete che da lassù dominava incontrastato nel cielo. Con il suo calore asciugava i prati, le foglioline dei fiori e delle piante. Gli uccellini tornarono a cinguettare. Gli insetti tornarono a ronzare. Le piante tornarono a fiorire. Decisi che anche la mia vita doveva ricominciare. Dovevo dare una svolta alla mia vita. Una svolta positiva. Mi alzai dal letto con molta fatica, senza cibo ero molto debole, appena mi alzai mi girò la testa, mi appoggiai con la mano al muro e mi sostenni finchè questa sensazione brutta passò. Aprii per la prima volta dopo un eternità le finestre. Una folata fresca di aria entrò in stanza e mi invase le narici. Aria fresca, ne sentivo la mancanza. Guardai il telefono, sullo schermo apparvero 34 chiamate perse e 21 messaggi. Tutti dello stesso mittente: Sally.
 
Sally è la mia migliore amica, direi mia sorella. Lei è l’unica su cui posso contare, l’unica che so non mi tradirà mai. E’ un’ amicizia sena ipocrisia, senza nessun tornaconto. E’ una vera amicizia, caratterizzata solo da amore. Sally ha la mia stessa età, ci siamo conosciute fuori dai banchi di scuola. Decidemmo di fare entrambe la stessa scuola, l’istituto tecnico agrario. Non ci importava dei pregiudizi che alcuni avevano sulla scuola, è una scuola come le altre. Anzi forse è molto più interessante di certe scuole. Entrambe siamo dei maschiacci: giochiamo nella stessa squadra di calcio. Adoriamo spaparanzarci sul divano a bere una coca, mangiare patatine e giocare alla Play Station. Rigorosamente a Fifa. Tutte e due abbiamo la passione per la musica punk-rock. I nostri idoli sono gli All Time Low e gli eterni inimitabili Ramones. Passavamo anche pomeriggi interni chiuse nella mia stanza ad ascoltare musica. 
 
La chiamai subito. Mi rispose dopo solo uno squillo. Iniziò a urlarmi nelle orecchie tanto che dovetti tenere il telefono spostato dall’orecchio e non volevo rischiare di diventare sorda. Le dissi di passare da me nel pomeriggio che le avrei spiegato tutto. Chiusi la chiamata e aprii la stanza.
Quando varcai la soglia sentii profumo di plum-cake al cioccolato. I miei preferiti. Scesi in cucina e trovai mamma indaffarata ai fornelli.
“Spero siano buoni come quelli della nonna.” Si scusò, ma sapevo che i suoi erano i più buoni su tutta la terra. Le sorrisi. Poi andai a prepararmi per andare a scuola.
Ci volle un bel po’ per attutire il colpo. In breve tempo raccolsi tutte le informazioni necessarie per saperne di più sulla figura bianca che mi tiene in braccio nella foto.
Si chiamava Stefano, il mio nome maschile preferito. Aveva 36 anni, quando morì il 31 gennaio 1997. Era alto, muscoloso e forte, mamma dice che quando la abbracciava lei si sentiva come un pulcino sotto le ali di mamma chioccia. Si sentiva al sicuro, protetta. Papà aveva i capelli neri e ricci, due zaffiri al posto degli occhi. Era poliziotto. Si occupava di crimini sessuali. Odiava vedere le donne sfruttate, maltrattate, usate come oggetti su cui uomini pervertiti possono sfogare il proprio desiderio egoistico di predominanza. Era molto impegnato con il lavoro, a volte lo chiamavano anche di notte. Ma per lui non era un problema anzi era un piacere, voleva sbattere in cella quei bastardi. Creai anche un album di fotografie in memoria sua. Lo misi in bella mostra sulla mensola della libreria, tutte le sere, prima di addormentarmi mi sedevo alla scrivania e lo sfogliavo e cercavo di immaginarmelo. Tutti i mesi andavo a trovarlo al cimitero. Era doveroso dopo quello che aveva fatto per me: mi aveva messo al mondo, mi aveva procurato una casa in cui vivere. Mi aveva donato la vita. E quella vita che mi ha donato se l’è portato via da me, così senza preavviso in una maniera insopportabile da accettare. Gli portavo sempre una rosa rossa. Amore. Quello che provavo per lui e per quello che aveva fatto per me.



   
 
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