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Autore: Sylphs    04/03/2012    5 recensioni
Sei mesi dopo la notte del don Juan, una giovane pianista un po' inopportuna arriva al teatro dell'Opera per seguire delle lezioni...ma un misterioso e ambiguo incidente capitato durante una rappresentazione la porterà ben presto a indagare sull'esistenza del temibile Fantasma dell'Opera e una domanda opprime l'animo di tutta la compagnia: è realmente scomparso, oppure la loro era solo una speranza vana?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Apparenza

 
 
 
 
 
Calma.
Dopo tante notti trascorse tra mille paure e ansietà, dopo tanti incubi, Vivian cadde in un sonno profondo e senza sogni, un sonno riposante e tranquillo che la trascinò in un limbo oscuro e ve la tenne durante le ore del riposo, meravigliosamente quieta e pacifica. Il baldacchino era morbido sotto il suo corpo e le braccia di Erik che la avvolgevano protettive la riscaldavano piacevolmente. Aveva appoggiato la testa sul suo petto ampio e tiepido, cullata dal poderoso battito del suo cuore, e lui le aveva accarezzato dolcemente i capelli finché non si era addormentata, deliziosamente esausta dopo le ore di sfrenato amore appena trascorse. Nel ventre era rimasto un fremito caldo così dolce da annullare il lieve bruciore in mezzo alle gambe.
Era piena di Erik, satura del suo corpo e del suo respiro caldo, delle sue carezze e dei suoi baci che avevano risvegliato una femminilità mai creduta esistente e che l’avevano portata a dimenticare ogni cosa che non fosse lui, i muscoli saldi della sua schiena, la sua lingua bollente nella bocca, la soffice consistenza dei capelli a cui le sue dita si erano avvinghiate, il color zaffiro dei suoi occhi che la fissavano bramosi. Si era unita a lui non soltanto carnalmente, mentre i loro corpi si congiungevano in una gioia incontenibile anche le loro menti avevano trovato la pace, si erano capite in modi tanto profondi e autentici che non ne avrebbe potuto spiegare la dinamica, sapeva soltanto di aver percepito improvvisamente lo scorrere dei suoi pensieri come se le fossero propri e di aver condiviso con lui tutta se stessa. Si erano offerti all’altro completamente, e l’atto sessuale aveva suggellato qualcosa di eterno e indissolubile.
Come aveva potuto rinnegare una simile felicità? Come aveva potuto rifuggire la gioia di un rapporto così completo e gratificante, in cui nessuna delle finzioni di sua madre trovava spazio? Era stata una folle a negarsi l’amore, a giudicarlo in base ad una sola esperienza, ma ringraziava il cielo di aver evitato di caderne vittima in passato, perché in quel caso non avrebbe mai incontrato Erik. E una parte di lei aveva l’assoluta certezza d’essere destinata a lui e a lui soltanto, a quell’uomo unico e geniale che aveva scacciato i demoni del suo passato e l’aveva riportata alla vita e al desiderio con un semplice bacio, con un respiro soffiato in bocca che l’aveva liberata da tutti i suoi vincoli. Le apparteneva e lei apparteneva a lui. Nessuno l’avrebbe messo in discussione, e se per caso ci avessero provato, li avrebbe costretti a rimangiarsi tutto. Christine Daaé poteva andare gentilmente al diavolo.
Il profumo selvaggio e salato della sua pelle fu la prima cosa che percepì al risveglio. Erano nudi sul baldacchino devastato, ai cui piedi ricadevano le coperte stropicciate e calpestate, i guanciali strappati dalla forza della loro passione, stretti l’uno all’altra sul materasso bollente, e i capelli corvini di Vivian si spargevano sul petto di Erik come scampoli di seta, intrisi di sudore e adornati da qualche piuma. Puntò i gomiti contro il suo torace, sperando di coglierlo nella vulnerabilità del sonno, ma incontrò invece le sue iridi azzurro scuro, sveglie e dolci come non erano mai state, che la guardavano come se fosse stata un tesoro di inestimabile valore, capitato inaspettatamente tra le sue mani indegne.
Lusingata e imbarazzata insieme, tirò fuori un piccolo sorriso: “Buongiorno”.
Lui glielo restituì immediatamente e con sincera gioia. Non si era rimesso la maschera, un gesto assai significativo; probabilmente il fastidioso oggetto era da qualche parte lì intorno, scagliato lontano da loro con tante altre futili cose: “È bello guardarti dormire”.
La giovane arrossì: “Tu non lo hai fatto?”
“Non volevo che i ricordi di questa notte sbiadissero tanto presto”.
L’uomo aveva parlato un po’ goffamente, rivelando senza volerlo la scarsa familiarità che aveva con la situazione, ma il suo imbarazzo suscitò in Vivian un’ondata di prorompente tenerezza. Il freddo, controllato Fantasma dell’Opera cercava di esprimerle i suoi sentimenti, di mostrarle il suo amore, e cadeva vittima di un’insicurezza che non aveva mai palesato prima. D’impulso, avvicinò il volto al suo e lo baciò impetuosamente sulle labbra, ritrovandovi quel delizioso sapore di cui si era riempita durante la notte. Egli approfondì immediatamente il bacio, serrandola al petto e insinuando le mani tra i suoi capelli, e il corpo di Vivian reagì all’impetuoso abbraccio, accendendosi. Avrebbe voluto sentirlo dentro di sé di nuovo, sfogare un fuoco che non si era affatto chetato, ma si costrinse ad allontanarsi da lui. Le braccia di Erik la lasciarono andare con riluttanza.
La ragazza si chinò e raccolse una coperta da terra, avvolgendosela sulle spalle. Sentiva addosso lo sguardo dell’uomo, intenso e penetrante, e finse di pettinarsi i capelli con le dita per non essere costretta a guardarlo e a cedere al desiderio: “Erik, io…”
“No” lui la interruppe con impeto, alzandosi dal letto dopo essersi infilato i calzoni alla spicciolata e raggiungendola rapidamente. Vivian dovette forzarsi a guardarlo in volto, poiché la tentazione di abbassare lo sguardo era insostenibile come mai prima. Lui era…bellissimo. Il suo corpo alto e muscoloso le ispirava un senso di protezione, la spingeva a cercare rifugio tra quelle braccia lisce e possenti e a seppellire il viso sull’ampio torace, i suoi capelli lucidi la invitavano ad immergerci le dita e i suoi occhi fiammeggianti la catturavano, facendo crollare ogni difesa. Le piaghe, l’orrore della deformità, erano ormai svanite dalla sua considerazione: c’erano, ma non le percepiva più. Era capace di questo, l’amore? Di chiuderle gli occhi e di farla guardare con l’anima? Di renderla indifferente a qualsiasi orrore?
“Ascolta, Vivian” Erik parlò con sorprendente fermezza, prendendole le mani e stringendole con affetto disperato. Per quanto il suo tocco fosse ardente, era mitigato da un curioso timore, quasi lei fosse stata qualcosa di delicato, squisito e prezioso, che egli temeva di rompere da un momento all’altro: “Non voglio legarti a me senza che tu sia consapevole di chi sono veramente. Ho commesso questo sbaglio con Christine e non intendo ripeterlo con te. Ho ucciso delle persone. A mia discolpa posso dire di averlo fatto, nella maggior parte dei casi, per difendere me stesso o per vendicare qualche torto, ma non è andata sempre così. A volte, ho tolto la vita a degli innocenti, perfino a delle donne”.
Ecco dunque la confessione che tanto fortemente aveva desiderato quando si era stabilita nella Dimora sul Lago. Ripensando al proprio piano di allora, alla smania di punire il fantasma per i suoi crimini e di consegnarlo alla giustizia, provò una sorta di amara ironia. Adesso sarebbe stata disposta a vendere tutto ciò che aveva di più caro, pur di tenerlo lontano da coloro che lo volevano morto o rinchiuso: “Il mondo non è stato buono con te, Erik. Si può dire che le ingiustizie e i soprusi di cui sei stato fatto oggetto abbiano giocato una parte fondamentale nelle tue azioni successive”.
“Ma il risultato non cambia” le sfiorò il viso, come se non riuscisse ad allontanarsi da lei, e chiuse gli occhi in un’espressione rabbiosa e sofferente: “Presumo che tu sappia benissimo di avere la possibilità di scegliere un uomo più degno di me con cui trascorrere la vita. Qualcuno che non sia sfigurato, e che non abbia idea di cosa vuol dire guardar morire un essere umano”.
“Sprechi fiato e basta” la giovane sbuffò, esasperata: “Io mi sono innamorata di te, Erik. E non ti amerei se non fossi indisponente, freddo, arrogante, volubile e geniale. Non ho nessuna intenzione di lasciarti per uno di quegli idioti là fuori. Sono tutti così…uguali” fece una smorfia di ripugnanza, immaginandosi a letto, nuda come adesso, tra le braccia di un giovanotto come Antoine: “Il mio posto è al tuo fianco, monsieur F!”
Egli fece un piccolo sorriso, sentendosi chiamare con l’antico soprannome: “Sei sicura che la mia deformità non avvelenerà mai il nostro rapporto?”
“Conosci già la risposta. Credo di avertela data piuttosto esplicitamente stanotte, ma se non ti basta posso benissimo…” tenne a freno la sua lingua impudente appena in tempo, mordendosela con ferocia. Era sicura che lui la amasse, ma non aveva cessato di far paragoni con la pudica Christine e non voleva sembrargli una sfacciata, sebbene bruciasse dalla voglia di toccarlo.
Erik reagì facendo qualcosa di sorprendente: scoppiò a ridere. Da che ricordasse, Vivian non aveva mai udito la sua risata in dieci giorni di convivenza, né qualcosa che le assomigliasse anche solo lontanamente, e si sentì ridicolamente felice e soddisfatta d’essere riuscita, infine, a strappargliene una. Aveva un suono magnifico: era forte e melodiosa come uno strumento.
“Dovresti ridere di più” la sua lingua non ne voleva sapere di star zitta: “È bello”.
Lui scosse la testa: “Siete una ragazza alquanto strana, mademoiselle Leroix” fece eco, scherzosamente, a parole già pronunciate in un passato che appariva così lontano: “Ve l’hanno mai detto?”
“Senti da che pulpito!” Vivian si prestò volentieri al gioco: “Non sono io quella che continua ad avere dubbi dopo aver passato la notte a far l’amore!” finse di volergli dare uno schiaffo, che egli evitò afferrandole il polso, mentre entrambi ridevano, creando una melodia più bella di qualsiasi canzone, e si guardavano con occhi brillanti e allegri. La ragazza si sentiva piacevolmente leggera, viva e autentica per la prima volta. Non provava più alcun rimorso per aver macchinato di tradirlo, poiché le sue opinioni in merito erano cambiate in modo così radicale che non c’era alcun bisogno di indugiare inutilmente nel passato. Avevano un intero futuro per rimediare ai loro errori, una valanga di nottate da trascorrere come la precedente e di momenti in cui giocare così dolcemente, come se, proprio loro, non avessero alcuna preoccupazione al mondo. Non aveva intenzione di rovinarseli rammentando i motivi che l’avevano spinta ad accostarsi all’uomo che amava.
“Promettimi che mi terrai con te, Erik” sussurrò quelle parole con i suoi ultimi residui di timore, il corpo ad una spanna da quello di lui, le mani strette alle sue nella foga della lotta scherzosa, gli occhi dentro a quelli azzurro scuro: “Giurami che mi amerai come adesso, che non sono per te…un contentino”.
Se l’aveva accettata per quel motivo, per avere accanto un pallido riflesso di Christine, se aveva ricambiato i suoi baci e le sue carezze poiché non aveva nessun’altra con cui poterlo fare, le si sarebbe spezzato il cuore. Voleva essere amata per quella che era, per il suo carattere e le sue stranezze, e non avrebbe tollerato che questo. Se Erik l’aveva salvata solamente per sentirsi meno solo, sarebbe scomparsa per sempre dalla sua vita, anche se lo amava con tutta se stessa. Si proibiva di calarsi in un ruolo che non le apparteneva.
Lui reagì con inaspettato vigore. L’afferrò per il mento, costringendola a guardarlo dritto in viso, ed ella si stupì moltissimo vedendo sui lineamenti di Erik un’espressione rabbiosa e decisa: “Nessuno a parte te sarebbe mai riuscito a riportarmi in vita e a farmi apprezzare delle gioie che avevo abbandonato per sempre. Prima di incontrarti, Vivian, ero un morto che cammina. Un fantasma nel vero senso della parola. Dopo che Christine…dopo che se n’era andata con il suo visconte, persi me stesso. Non avevo più un nome, non rammentavo più la mia identità…” rise amaramente: “Il mio nome…sai che sono stato io stesso a darmelo? Ho scelto il nome Erik a caso. Se mia madre mi chiamava in altro modo, non lo ricordo. Gli zingari, d’altronde, usavano solo l’espressione Figlio del Diavolo. Ma in quei mesi…in quei mesi avevo dimenticato perfino questa specie di identità. Ho vagato in lande che non riconosceresti mai, mangiando cibo senza sapore e dormendo dove mi capitava, nella lordura, tra le bestie, in gelide caverne sulle montagne. Ero a pezzi, lacerato, consumato in modi che neanche immagini.
“Il Fantasma dell’Opera, la mia dannazione e la mia salvezza, giunse in mio aiuto nell’oscurità e mi rimise insieme, saldando i brandelli con l’odio e la sete di vendetta. Si impossessò completamente di me e mi indicò una strada nella desolazione che mi circondava, ingiungendomi di seguirla e di fidarmi di lui. Trascinando il mio corpo pesante, obbedii alla sua voce insinuante e mi diressi dove voleva, facendomi strada a fatica nella nebbia e nella macchia intricata di foreste intoccate da mano umana. Camminai per giorni, incitato da lui, consapevole solo della direzione che mi indicava con un lembo del suo immenso mantello, e alla fine riconobbi, nel chiarore della neve, Parigi e il teatro dell’Opera. Cercai di oppormi. Non volevo che la tragedia si ripetesse, non avevo la forza di ricominciare tutto daccapo, ma ero…debole. Così debole. Ero riuscito a scacciarlo dalla mia anima quando avevo lasciato andare Christine e il suo fidanzato, lacerando la cortina delle menzogne che mi sussurrava all’orecchio per giustificare le azioni che mi spingeva a compiere, ma lo sforzo era stato troppo grande. E quel demone…non muore…mai”.
Mentre raccontava queste cose, Erik era avvolto da un tormento così forte che se Vivian avesse avuto un copricapo, se lo sarebbe senz’altro tolto in segno di rispetto per quell’uomo che, scrollando le spalle, con le mani sul petto, pareva combattere contro un lato di se stesso che gli gridava di fermarsi.
“Mi disse che la nostra mano giudicatrice doveva calare sul teatro dell’Opera e salvare l’umanità da se stessa. Che era nostro dovere, e non piacere, recidere gli esemplari appassiti, per sollecitare la nascita di altri più degni…sempre che esistessero. Che la vendetta sarebbe stata la nostra compagna di letto. Era così facile credergli, e senza Christine…senza amore…come potevo resistere?!” la sua voce crebbe di volume, gli occhi che si sollevarono su di lei bruciavano come tizzoni ardenti: “L’ho ascoltato. No, è diverso…gli ho ceduto letteralmente il posto. In questo modo, non avevo neanche bisogno di motivi per proseguire con la mia opera. E non dico questo per discolparmi dai miei crimini, per apparire ai tuoi occhi come una vittima innocente. Presumo che tu conosca la credenza secondo la quale il male lo devi sempre invitare a entrare. E io gli avevo lasciato la porta spalancata. All’epoca ero solo un ragazzino, è vero, ma non sai cosa significa essere percosso ogni giorno incessantemente, essere esposto allo scherno generale, vedere gli esseri umani solo come una massa di facce grottesche che ridono…ridono…ridono…
“Il Fantasma dell’Opera è stato con me da allora. Oh, mi portava anche numerosi vantaggi, è innegabile. Le mie creazioni più mirabili e crudeli mi sono state ispirate da lui, tu hai avuto persino il privilegio di provarne una sulla tua pelle, la Stanza della Sfinge. Ma anche la Camera dei Supplizi, il trucco della Sirena, la cavalletta e lo scorpione, è stato tutto concepito da lui…da me…da noi. Soltanto nella musica, la più pura forma di arte, mi liberavo completamente di lui ed ero solo con me stesso”.
Vivian non poté fare a meno di ricordare l’espressione calma e pacificata che si diffondeva sui tratti di Erik quando suonava o cantava.
“La notte del Re degli Elfi, lui ha mosso il mio corpo e mi ha fatto recidere la corda che teneva il lampadario appeso al soffitto. Io glielo permettevo, attenzione, non opponevo alcuna resistenza. Ha riso quando quei corpi terrorizzati sono stati sepolti dalla sua mole, e ridevo anch’io con lui. Era mio diritto, diceva, era ciò che meritavano quei parassiti. Ero talmente svuotato da non aver bisogno di altro. Ma con te è stato diverso, fin dall’inizio, tu hai rappresentato senza volerlo l’ostacolo più grande per quel demone. Forse è per questo motivo che mi infastidiva così tanto l’idea di vivere con te per dieci giorni…forse, in fondo, avevo paura…chi può dirlo? Ma ti ho lasciata andare. Rammenti? Quando ti sei introdotta senza permesso nella mia dimora e ti ho colta sul fatto, non ti ho uccisa, anche se lui mi imponeva di farlo. Eri alla mia mercé, completamente indifesa, potevo strangolarti da un momento all’altro, e in effetti era ciò che voleva la mia mente. Ma quando, con quel disprezzo, mi hai spronato a portare a termine quanto avevo cominciato, quando hai detto che non ti aspettavi niente di meglio da me…ho desistito. Avrei dovuto capire allora cosa avresti rappresentato per me, quanto ti avrei amato.
“Ma il Fantasma dell’Opera ti odiava, Vivian. Con tutto il cuore. Ti odiava perché sapeva perfettamente che miravi alla sua rovina, alla distruzione totale delle menzogne e degli alibi che mi propinava ogni giorno. E il Fantasma dell’Opera è una parte di me. Perdonami per tutte le occasioni in cui ti ho derisa e trattata ingiustamente, per averti sottoposta alla prova della Sfinge e per aver lasciato che ti facessi…questo” gli tremò la voce, mentre sfiorava, con delicatezza timorosa, i segni violacei sul collo: “Ho voluto tenermi accanto il Fantasma dell’Opera fino all’ultimo, negando cosa provavo per te. E forse sarebbe riuscito perfino a vincere, a farti morire, ma tu ti prendevi gioco di lui, chiamandomi monsieur Fantòme, tenendomi testa ogni volta… non pensare mai che ti voglia accanto per avere ciò che Christine non mi ha dato. Lei non è mai stata capace di contrastare i miei demoni, era troppo ingenua, troppo cieca, troppo spaventata. E quando mi baciò, non fu per lei che ritrovai la ragione, ma per il suo canto, per le dolci parole che intonò prima di incontrare le mie labbra…forse amavo solo la sua voce, poiché solo quella risvegliava il mio cuore.
“Ma tu non hai avuto bisogno di nulla, né della musica né delle belle parole, per fronteggiare il mio lato oscuro. Lo hai fatto in quanto Vivian, utilizzando tutte le tue caratteristiche, ed è per questo che ti amo davvero. Probabilmente più di quanto tu ami me…ma ti prego di credermi”.
La ragazza non sapeva cosa dire. Una nebbia acquosa le aveva offuscato la vista, e l’asciugò prima che potesse tramutarsi in lacrime. Dunque, aveva realmente dato qualcosa ad Erik, aveva rappresentato per lui la salvezza, la luce, il bene…non era sicura di esser degna del ruolo che le aveva conferito. Sarebbe riuscita, in futuro, a rimanere per lui una speranza, a dimostrarsi la giusta compagna per quell’uomo complicato e diverso da ogni altro? Spesso si era sentita più adulta della sua età, ma adesso avvertiva addosso i suoi miseri diciotto anni, la sua giovinezza, la sua immaturità, la sua incapacità di comprendere appieno le dinamiche di una mente stanca e antica.
Ma non era, in fondo, ciò di cui Erik aveva bisogno? Gli slanci di una maturità precoce, mescolati però all’allegria e alla spensieratezza dei suoi diciotto anni? L’aveva fatto ridere, aveva giocato con lui con estrema naturalezza ed aveva avuto l’impressione di averlo liberato da un peso, di aver rimosso dal suo cuore parte dell’oscurità che si portava appresso. Non doveva farsi donna del tutto per portare avanti efficacemente il loro rapporto, poiché era della sua giovinezza che egli necessitava.
“Il Fantasma dell’Opera non se ne andrà mai del tutto, Vivian” Erik le strinse le spalle con forza, nel tentativo di imprimerle il messaggio in testa: “Ci saranno momenti in cui sarai costretta a combatterlo insieme a me, ed io mi conosco fin troppo bene, so già che…” chiuse gli occhi, i lineamenti distorti in una smorfia di dolore: “So già che sarò estremamente geloso di te e che sarò tentato di tenerti tutta per me, che temerò in ogni momento di perderti e che capterò segni di un imminente abbandono anche dove non ve ne saranno affatto. Queste rivelazioni potrebbero allontanarti da me, lo so bene, ma è giusto che tu sappia. Vuoi ancora essere la mia compagna?”
Non osava guardare in volto la ragazza. Ma non c’erano tracce di paura, di orrore o di incomprensione negli occhi castani di lei, nell’espressione del suo viso rotondo. Scosse appena la testa, curvando le labbra in un sorriso sincero e consapevole, e prese tra le mani le guance di Erik, quella liscia e quella frastagliata, scostandogli dolcemente una ciocca di capelli da davanti agli occhi: “Io sono estremamente lunatica”.
Lui alzò un sopracciglio, disorientato dall’inaspettata risposta: “Come?”
“Sì, lunatica. Mi sveglierò al mattino con un umore magnifico e ti trascinerò a fare lunghe passeggiate e a provare nuove esperienze, poi per un qualsiasi motivo, magari un pasto scadente, o un battibecco con un passante, o anche solo un piccione che mi intralcia la strada, crollerò di punto in bianco in un nervosismo ingiustificato e me la prenderò con te, oppure ti costringerò a tornare a casa perché ho deciso che non mi piace più la nostra destinazione. Ci saranno momenti in cui chiacchiererò senza interruzione per ore, per poi zittirmi di colpo e piombare in uno stato passivo. Peraltro dovrai cucinare tu, non sono capace nemmeno di cuocere un uovo, e sono una pessima massaia. Queste cose possono sembrarti stupide in confronto al tuo dilemma interiore, ma ti assicuro che hanno il loro calibro. Per me, penso che lo scambio sia equo. Che ne dici?”
La risata squillante di Erik fu una risposta sufficiente, ma se anche la giovane avesse avuto dubbi, scomparvero totalmente quando la prese tra le braccia e la baciò.
“Vestiti” le sussurrò all’orecchio dopo aver staccato le labbra dalle sue: “Voglio portarti a fare un giro in gondola, come l’altra sera”.
Lei sorrise e gli baciò i palmi delle mani, incapace di separarsi da lui in modo troppo traumatico: “D’accordo”.
L’uomo uscì dalla stanza per lasciarle un po’ di intimità e Vivian lo seguì con occhi sognanti finché non voltò l’angolo, ogni fibra del corpo desolatamente attratta da lui e da ciò che lo riguardava. Non se ne era mai accorta in passato, ma aveva un meraviglioso modo di camminare, sostenuto ma silenzioso ed elegante, con un fascinoso ondeggiare delle braccia. Ed era suo. La parola le risuonò nel cervello varie volte, talmente assurda, talmente bella, che quasi non ne accettava completamente il senso. Non amava più quella smorfiosa boccoluta dalla voce di sirena, amava lei. Lei! Improvvisò una goffa piroetta, ridacchiando tra sé e sé, si scompigliò i capelli già scompigliati in un inconsulto gesto di eccitazione gioiosa e si lasciò cadere all’indietro sul letto, sollevando un polverone di piume candide. Si rotolò sulle lenzuola bollenti dimenando allegramente le gambe e si passò la punta delle dita sulle labbra che solo pochi minuti prima avevano provato il vanto di incontrare quelle di Erik, delusa che non ci fosse qualcuno, lì intorno, a cui rivelare la stupenda verità, ossia che lo amava più di ogni altra cosa e che finalmente erano insieme davvero.
Tirò fuori dal baule un abito bianco e se lo infilò dalla testa, lasciando che il lino purissimo le scivolasse sino alle caviglie. Di solito detestava il bianco, era convinta che conferisse un aspetto troppo sacrale, ma quella era proprio l’occasione giusta per vestirsi di quel colore. Si pettinò vigorosamente i capelli finché non li ebbe domati a dovere e se li legò con un nastro candido in una coda fluente, districando alcuni riccioli e sistemandoseli ad incorniciare l’ovale del volto. Voleva essere bellissima per Erik, lasciarlo a bocca aperta, e in quel momento lo era davvero, illuminata dalla gioia, dalla radiosità e dall’amore, che donavano ai suoi lineamenti un fascino nuovo e le facevano brillare gli occhi come non mai.
Egli la stava aspettando sulle rive del lago Averno, nuovamente abbigliato dei suoi indumenti di seta e pelle nera e con la maschera a coprirgli metà del volto. La giovane si lasciò sfuggire un sospiro esasperato, riflettendo che quella sua mania di girare nascosto dietro la bianca patina sarebbe stata assai più restia a scomparire. Indubbiamente non temeva più di disgustarla o atterrirla con il suo aspetto, dal momento che in sua presenza aveva evitato di coprirsi, ma il suo approccio con la gente in generale era ben diverso. In ogni caso, avrebbe utilizzato ogni mezzo per persuaderlo a mostrare orgogliosamente le sue sembianze in giro e a gettare definitivamente l’odiosa maschera. Non aver paura del giudizio degli altri era il primo passo verso l’accettazione da parte del mondo. Certo non si sarebbero mai potuti presentare ai balli o alle feste e avrebbero dovuto fare attenzione a non menzionare il loro passato, ma entrambi non amavano affatto la vita mondana e ne avrebbero fatto a meno di buon animo.
Allungò una mano ed Erik la prese immediatamente, osservandola con sincera ammirazione: “Sei bellissima”.
Lei simulò un cipiglio severo: “E tu un bugiardo coi fiocchi”.
La aiutò ad issarsi sulla gondola e stavolta si accomodò al suo fianco, passandole un braccio intorno alla vita con una certa esitazione e avvicinandola a sé. Vivian accettò la prossimità di buon grado, posando la testa sulla sua spalla: “Remeremo insieme, stavolta”.
Lui parve contrariato: “Non se ne parla. Farei una pessima figura come gentiluomo se ti lasciassi svolgere una simile incombenza”.
“Erik” la ragazza levò gli occhi al cielo: “Se vuoi andare d’accordo con me, mettiti in testa fin da subito che non ho intenzione di essere trattata come se fossi di vetro. Sono una donna forte e sana perfettamente in grado di aiutarti a manovrare questa barca, o di fare qualsiasi altro lavoro manuale, chiaro?”
Egli aprì la bocca, ma la richiuse senza dir nulla. Lo sguardo di Vivian era così risoluto, le sue piccole mani così salde sul remo di cui si era prontamente impadronita, che ogni possibile obiezione morì sul nascere e venne sostituita da un rassegnato cenno d’assenso col capo: “Come preferisci. Lo dicevo per non farti affaticare”.
Lei si ammorbidì: “Lo so. Ma voglio che non ci siano differenze tra noi. Anche nelle conversazioni. Se esprimerò le mie idee, gradirò che tu le prenda in considerazione e che non le giudichi sciocche o insensate”.
“L’ho mai fatto?”
“Di solito apri bocca molto raramente”.
La strinse di più, godendo del calore del fianco morbido nella sua mano e del profumo dei suoi capelli: “Va bene. Ma sappi che non ho mai fatto distinzione tra uomini e donne. Non mi considero affatto superiore mentalmente a voi”.
Lei gli diede uno scherzoso colpetto sul naso: “Buon per te”.
Reggendo un remo per uno, lo affondarono nell’acqua scura e gelida e la gondola si staccò dal piccolo molo con un cigolio, imboccando gli stessi tunnel sotterranei che l’avevano condotta fuori dal teatro due notti addietro, nella solitudine di Rue Scribe. Le torce appese ai muri di pietra erano l’unica fonte di illuminazione che permetteva loro di orientarsi (in realtà, Erik sarebbe riuscito a ritrovare la strada anche nella completa oscurità) e Vivian si affidava totalmente al suo compagno, remando quando egli remava e voltando la barca ad una sua indicazione. L’acqua che andava a domare era assai recalcitrante e i muscoli delle braccia le dolevano un poco, ma non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ed era contenta di contribuire all’incerto viaggio della splendida gondola. Il timore e il disagio provato in passato in quell’atmosfera di immobilità fuori dal tempo, in quella caligine pressante e in quel buio costellato di piccole luci rosse, avevano cessato di opprimerla ed era tranquilla come lo sarebbe stata in uno scenario più ameno.
“Stavo pensando…” Erik, che non le aveva tolto il braccio dai fianchi e che si serviva della sola mano sinistra per svolgere il suo compito, ebbe una leggera esitazione nel rompere il silenzio dei tunnel, e Vivian lo sollecitò con tono animato: “Sì?”
“Ti…ti piacerebbe fare un viaggio?”
Smise di manovrare il lungo remo e l’andatura della gondola rallentò a poca distanza dall’uscita dei sotterranei: “Un viaggio?”
Lui distolse leggermente il viso, come se una simile proposta lo imbarazzasse: “Sì, un viaggio. Al mondo esistono tanti luoghi degni di essere visitati e sarebbe un delitto restare confinati per anni nei sotterranei. Parigi è molto bella, certo, anzi, è una delle più belle città che abbia mai visto, ma perché negarsi la possibilità di operare un confronto con Roma, Vienna, San Pietroburgo o Barcellona? Sono sicuro che trarresti un godimento immenso dall’ammirare queste meraviglie, e potremmo perfino spingerci nel lontano Oriente”.
La ragazza sgranò leggermente gli occhi, il cuore che batteva forte nell’esile cassa toracica. Non era mai uscita dalla Francia, il suo basso ceto sociale non lo aveva reso possibile. Suo padre aveva spesso affermato che se avesse avuto il denaro necessario, non avrebbe esitato un attimo a girare il mondo e a recarsi nei panorami più selvaggi, raggiungendo persino il Nuovo Mondo, e lei si era fatta influenzare ben presto dal suo istinto di viaggiatore, fantasticando su savane popolate da minacciosi turchi, fiordi argentati e piramidi egizie. Poter ammirare tutto questo insieme ad Erik, realizzare un sogno che suo padre non aveva mai potuto tramutare in realtà sarebbe stato così…
“Sarebbe…” sussurrò: “…magnifico. Dici sul serio?”
L’esitazione di lui si dissolse in un sorriso e si curvò a baciarla sulla fronte: “Certo. Temevo che avessi paura di recarti così lontana dal tuo paese di origine”.
“Assolutamente no!” le venne fuori un mezzo grido, mentre si drizzava con impeto, il viso acceso di eccitazione: “Anzi, desidero partire al più presto! Quanto tempo abbiamo a disposizione per il viaggio?”
“Tutto quello che vogliamo” ribatté l’uomo, ugualmente preso dal progetto: “Anche anni, se così ci aggrada”.
“Anni!” la giovane si portò una mano alla bocca, tremante: “Ma allora potremo visitare moltissimi luoghi! Dobbiamo senz’altro recarci in Italia, pare sia la patria delle belle arti, poi in un paese nordico, l’Inghilterra, forse? Oppure l’Austria? La Russia? Non riesco a decidermi! E mio padre mi parlava in toni così entusiasti del Nuovo Mondo…so che la distanza è molta, ma…”
“Nessuna distanza sarà insormontabile. Viaggeremo quanto vorremo, ovunque vorremo, finché non ci stancheremo e non faremo ritorno a Parigi… sempre che nel corso della nostra traversata non ci capiti di trovare una casa più adatta di questa”.
“Ricominceremo da capo…” mormorò Vivian. Stentava a credere nell’esistenza di una simile felicità. E anche Erik rabbrividì, incredulo che una prospettiva del genere fosse per lui possibile: “Ricominceremo da capo”.
Una voce aspra interruppe brutalmente quei progetti audaci: “Fermi dove siete!”
Restarono paralizzati dalla sorpresa e dallo sgomento, colti completamente di stucco nel momento meno propizio, mentre si abbandonavano a sogni mai concessi prima e non erano consapevoli di nulla, fuorché dell’altro. Erik, che non permetteva mai a nessuno di avvicinarglisi senza che se ne accorgesse con largo anticipo, prendendo i dovuti provvedimenti, che aveva un udito e una vista di gran lunga superiori a quelli di qualsiasi altro essere umano, si era concesso per un attimo di abbassare la guardia, rassicurato dal silenzio e dalla pace circostanti, e di concentrarsi totalmente sulla giovane al suo fianco, perciò la secca esortazione ebbe su di lui l’effetto di una doccia fredda e lo portò ad irrigidirsi da capo a piedi e a volgersi tempestivamente con un ringhio roco che gli sfuggiva inavvertitamente dalle labbra. Vivian, dal canto suo, si lasciò scivolare la voce aspra nelle vene, il cervello che tentava disperatamente di registrare quel nuovo avvenimento, e fu assalita da un’improvvisa sensazione di panico e di orrore, che le chiuse la bocca dello stomaco ed eliminò il colore dalle sue gote. Conosceva il proprietario di quella voce. Non osava neanche pronunciare il suo nome.
“No!” avrebbe voluto gridarlo a squarciagola, ma le uscì un miserevole bisbiglio.
Erano circondati da soldati.
 
La gondola era emersa dall’imboccatura che collegava il tunnel con Rue Scribe nella potente luce del sole parigino ed aveva trovato ad attenderla un vastissimo “comitato di benvenuto”. Su entrambe le rive della Senna, appostati con le balestre puntate verso di loro e con le frecce impeccabilmente incoccate, uomini abbigliati della rigorosa divisa della gendarmerie di Parigi scrutavano le loro due prede con occhi implacabili e sprezzanti, aspettando con ansia, o almeno così sembrava, l’ordine di tirare la loro selva di dardi da parte del comandante, un cinquantenne imponente che montava un corsiero bianco con tanto di speroni e che esibiva con orgoglio il tipico cappello a tesa larga da cui spuntavano due folte basette. A differenza dei suoi subalterni, egli impugnava un moschetto, anch’esso puntato nella loro direzione, ed era inoltre fornito di un lungo fucile appeso sulla schiena.
Ad un suo cenno imperioso, un gendarme posizionato accanto all’entrata del tunnel girò a fatica una grossa manovella in ferro e il passaggio venne ostruito da una parete irta di sbarre che s’abbassò con clangore metallico e ricadde pesantemente alle spalle della gondola, inondandola di schizzi. Erik ebbe un sobbalzo e si voltò con un movimento felino verso la fonte del tonfo, le movenze analoghe a quelle di un leone che non concepisce di essere caduto nella trappola dei cacciatori, Vivian invece non si mosse; giaceva nella barca con il volto pallidissimo e lo sguardo assente e pareva incapace di far fronte alla situazione, lei sempre così audace e risolutiva.
La voce piena di malcelato trionfo che li aveva apostrofati prima tornò a farsi sentire, elevandosi sfacciatamente in quel clima di terribile immobilità: “Sorpresa!”
Vivian chiuse gli occhi, travolta da una disperazione così grande, così assoluta, che sentì scemare dalle membra tutte le sue energie. Quel demonio non poteva averla raggiunta in quel momento di pura felicità, non poteva averle rovinato l’unico rapporto che per lei contava davvero…come ci sarebbe riuscito, dopotutto? Non sapeva nulla degli ultimi avvenimenti, nulla di quanto era accaduto tra lei ed Erik, e col passare dei giorni aveva preferito dimenticarlo, relegarlo nell’oscurità delle cose spiacevoli e indigeste che non avevano più la capacità di farle del male. Cosa lo spingeva ad essere così costante nel tormentarla?
Il Marchesino Antoine Baptiste Rappenau era in piedi accanto al comandante dei gendarmi, avvolto in un ricco completo di seta rossa come il sangue che evidenziava il candore della sua carnagione e l’oro dei folti capelli, e li scrutava con gli occhi del rapace che ha appena catturato la preda, le iridi cerulee scintillanti, dando mostra di un sorriso colmo di compiaciuta malevolenza e tenendo il capo inclinato in modo da rivelare (apposta? O involontariamente?) l’orecchio mozzato. Quando la ragazza incontrò il suo sguardo, squassata da un brivido di ribrezzo e di terrore allo stato puro, il giovane le esaminò il corpo con bramosia, guardandola come se la considerasse uno squisito giocattolo che gli era ingiustamente sfuggito, e che finalmente aveva recuperato. Non c’era un briciolo di pietà sul suo bellissimo volto, neanche una traccia di riconciliazione nel suo sogghigno crudele. Egli non aveva dimenticato e si era preso la sua rivincita.
“Proprio come vi avevo detto, comandante” si rivolse all’uomo al suo fianco con il solito tono di insopportabile soddisfazione, accennando ai due nella gondola con un gesto della mano: “Il Fantasma dell’Opera in persona e…” i suoi occhi si posarono sulla ragazza e vennero animati da un luccichio pericoloso, pieno di folle godimento: “...la nostra agente”.
Tanto Erik quanto Vivian trasalirono, risvegliati bruscamente dallo stato di stupore in cui erano caduti. Il primo, che aveva reagito alla presenza dei gendarmi armati con una sorta di sbalordito furore, guizzando uno sguardo incredulo e rovente sulle frecce incoccate, sulla parete che gli impediva di tornare indietro, sull’impressionante quantità di soldati appostati per catturarlo e sul comandante a cavallo, i denti digrignati e il viso mascherato contratto in una smorfia animalesca, parve tornare leggermente in sé e per la prima volta si girò in direzione del marchesino, dilatando le pupille: “Che cosa?”
Vivian avvertì una stretta gelida alle viscere. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo percepiva nella stessa misura in cui aveva percepito l’imminente crollo del lampadario, e lei non poteva fare nulla per impedirlo esattamente come allora, il demonio senza un orecchio aveva sicuramente ideato un piano e, qualsiasi fosse, non le avrebbe certo portato del bene: “No!” ripeté.
Anziché rispondere ad Erik, Antoine continuò a guardare lei, le soffici labbra che le sorridevano gentili mentre gli occhi (erano lo specchio dell’anima, non potevano fingere) brillavano del sadico luccichio: “Sei stata davvero meravigliosa, ma chére. Una missione così difficile, così rischiosa! Ben poche fanciulle avrebbero avuto il coraggio di osare tanto” appoggiò una mano sulla gamba del comandante e assunse un tono confidenziale: “È tutto merito suo, monsieur, ve l’assicuro!”
“Che cosa significa?!” la voce di Erik era un ruggito sonoro in cui si mescolavano in pari misura stupore e rabbia, intuizione e disperazione. Vivian lo vide allontanarsi improvvisamente da lei, mutare sguardo ed espressione, e uno scoramento terribile si impossessò in pochi secondi di tutto il suo essere: “No!” era consapevole di quanto inutile suonasse la parola, ma Erik doveva captare lo strazio che conteneva, la sincerità che vi aveva posto: “No, non è vero!”
“Infiltrarsi nella dimora del Fantasma dell’Opera per rivelarcene gli ingressi e la maniera di coglierlo di sorpresa era considerata un’impresa pressoché impossibile” continuò imperterrito Antoine: “Ma fortunatamente, la nostra squisita Vivian vi è riuscita con successo”.
“No!” la ragazza si alzò in piedi, incapace di credere a tanta malvagità. Erik la fissava immobile, e nelle sue pupille c’era qualcosa che le spezzò il cuore: “Sai che non è vero, sai che mente!” gli tese le mani, supplice: “Ha cercato di violentarmi, vuole vendicarsi, non capisci?”
“Forse la situazione le è sfuggita di mano e si è fatta coinvolgere troppo” concesse Antoine, che dava l’idea di trarre un selvaggio godimento dall’intera faccenda: “Ma il suo intento iniziale era senza dubbio quello di consegnarvi a noi, caro Fantasma. Non è forse così, Vivian? Sei pronta a negare di esserti avvicinata a quest’assassino per venderlo a questi uomini che vedi qui riuniti?”  
“È così?” sussurrò Erik, con un tono impossibile da decifrare. La sua pelle era bianca come il marmo e il suo corpo era prigioniero di un’immobilità assoluta, i pugni tanto serrati che le nocche avevano perso tutto il sangue. Vivian si prese la testa fra le mani, cercando disperatamente le parole giuste, la frase che avrebbe rimesso tutto a posto e che avrebbe restituito calore agli occhi di lui: “Io…io…sì, all’inizio io…ma poi…è naturale che io…però dopo quanto è successo…dopo…dopo…”
Il suo patetico balbettio si innalzò, solitario, in un silenzio che aspettava da lei una spiegazione di gran lunga più efficace ed esauriente. Ascoltandosi mentre si impappinava in un discorso vano, provò un immenso disgusto per se stessa e non riuscì neppure per un attimo ad incolpare Antoine. Alla fine, nonostante i suoi sforzi, nonostante i baci e le promesse, i nodi erano venuti al pettine.
“Visto?” il marchesino avrebbe potuto benissimo tacere, dal momento che la sua vittoria era evidente, ma non era famoso per l’umiltà o la delicatezza dei modi e non resistette alla tentazione di mettersi ulteriormente in mostra, affondando il dito nella piaga: “La sua è una chiara ammissione! E non valgono nulla i suoi attuali sentimenti, perché si è insediata in casa vostra con lo scopo di tradirvi e sedurvi!”
Erik non sembrò ascoltarlo davvero. Non lo guardò neppure. Guardava solo Vivian. Con delusione. Con sofferenza. Con disperata rabbia. Con stanchezza immane. Non aveva la forza di superare l’ennesimo rifiuto, l’ennesima rivelazione sgradevole, l’ennesimo tradimento. Stava andando in pezzi.
E Vivian sapeva perfettamente di esserne la responsabile. Antoine aveva dato il suo contributo, certo, ma se si fosse chiarita con lui quando era ancora in tempo, spiegandogli a fondo la situazione e chiedendogli perdono, non avrebbe mai favorito i piani del marchesino. Egli non voleva semplicemente la cattura di Erik: egli voleva spezzargli il cuore, rovinare il suo rapporto con lei, distruggere totalmente la felicità che per un attimo li aveva sfiorati. E la ragazza non aveva la possibilità di giustificarsi o di farsi comprendere dall’amato, poiché effettivamente era andata da lui per tradirlo, e non lo aveva ammesso quando se ne era innamorata.
“È vero, mi sono stabilita nella Dimora sul Lago per consegnarti alla giustizia” ormai era inutile negare. Ignorò il sorriso compiaciuto dipintosi sul viso di Antoine e tenne lo sguardo fisso in quello vuoto e apatico di Erik: “Non ho scuse per il mio comportamento. Ma non ti conoscevo, Erik. Non sapevo nulla di te, mi era noto solo il Fantasma dell’Opera…sai cosa intendo. Però adesso è tutto diverso!” sorrise disperatamente e si arrischiò a prendergli le mani, che rimasero totalmente inerti nelle sue: “Adesso so chi sei veramente! E ti amo!”
Lui reagì alla dichiarazione con una smorfia di completo disgusto, orribile e disumana, che tolse ogni barlume di coscienza al suo aspetto e rese gli occhi color zaffiro gelidi come schegge di ghiaccio, che le si conficcavano spietatamente nella carne. Ritrasse le mani con uno strattone e parlò in un sibilo imbevuto di odio e di dolore: “Dovevo immaginarlo, che saresti stata come tutti loro”. 
Gli occhi di Vivian si riempirono di lacrime. Non fece nulla per trattenerle. Lei lo amava, era così difficile da credere?! Il suo amore aveva annullato ogni precedente macchinazione! Voleva soltanto andare con lui in un paese lontano, dove né Antoine, né la gendarmerie, né i loro peccati avrebbero potuto importunarli, ed essere felice per un poco. Perché tutto doveva rovinarsi così?
“Erik, credimi!” la sua voce smozzicata dai singhiozzi suonò teatrale alle sue stesse orecchie. La smorfia rancorosa e disumana sui lineamenti di lui non mutò di una virgola: “Credevo che fossi diversa. Credevo che le tue belle parole fossero sincere, che mi avessi chiesto ospitalità perché desideravi che ti proteggessi. Ma l’umanità non si smentisce mai” scoppiò in una risata incontenibile e grondante disperazione, talmente insana da strapparle un brivido: “L’umanità non si smentisce mai. Falsi, siete tutti falsi. Avrei dovuto ucciderti quando ne avevo la possibilità…avrei dovuto uccidervi tutti”.
“No!” la ragazza piangeva senza controllo: “Ti prego, devi ascoltarmi! Io ti amo! Io…”
“Sta zitta!” fu un ruggito. Gli occhi di Erik erano quelli di una bestia. Non era più se stesso, era il Fantasma dell’Opera, un Fantasma dell’Opera che non aveva più la forza di opporsi al proprio destino, ma che non per questo aveva cessato di odiare: “Sono stanco delle vostre menzogne, delle vostre falsità. Mi hai battuto, mi hai fatto catturare. Sei contenta adesso? Questo spettro malefico non vi tormenterà più. Sono stato uno stolto a credere di meritare un posto in questo mondo”.
“Basta così!” il comandante della gendarmeria intervenne con secca autorità, segnalando ai suoi uomini di prendere il bersaglio: “Seguiteci senza fare storie, monsieur, e non vi verrà fatto alcun male”.
Erik si produsse nuovamente nella sua risata di folle disperazione: “Oh, sicuro! Non mi è stato fatto alcun male!”
Vivian si rese conto soltanto in quel momento dell’obiettivo di quel gruppo di uomini. Erano lì per rinchiudere il suo Erik. Per condurlo in una prigione e sottoporlo ad un processo. Il popolo avrebbe chiesto a gran voce la sua morte, ed era la condanna comune per aver commesso un omicidio. L’avrebbero impiccato in Place de Grève, o messo alla gogna, o decapitato! E lei aveva voluto questo per lui? Aveva macchinato per consegnarlo nelle mani di quegli avvoltoi che lo odiavano e lo aborrivano, i quali non aspettavano altro che averlo tra le mani per sbranarlo?
“Non potete farlo!” gettò quell’esclamazione con sgomento, mentre Erik saltava sulla riva con docilità rabbiosa e porgeva le mani unite, in un gesto non scevro di amara ironia, all’autoritario comandante, che gliele legò con una corda di canapa: “Non potete prenderlo!”
“Suvvia, Vivian” Antoine si inginocchiò e afferrò la gondola per la fune con cui solitamente il proprietario la assicurava al molo sotterraneo, tirandola a sé: “Non c’è motivo di dare spettacolo in questo modo, dal momento che lo stesso Fantasma dell’Opera intende collaborare. Sarò ben lieto di accompagnarti dalla tua tutrice, era terribilmente in pena per te”.
“Perché mi hai fatto questo?” Vivian parlò tenendo lo sguardo fisso su Erik, che si avviava con le spalle curve, ridendo sguaiatamente e con abbandono, in mezzo ai suoi carcerieri: “Perché te la sei presa con lui? Non ti aveva fatto alcun male”.
“Au contraire, ma chére” ribatté il giovanotto con galanteria, levandosi il sontuoso copricapo di piume rosse dalla capigliatura dorata in una sorta di ironico saluto: “Mi aveva tolto ciò che mi spettava di diritto. E mi sorprende che tu sia coinvolta a questo punto…a proposito, eravate carini l’altra sera. Abbiamo atteso a lungo che ripeteste la gita, ma si trattava pur sempre del Fantasma dell’Opera, erano tutti ansiosi di catturarlo. E adesso che è nelle mani della giustizia, poi…puoi bene immaginare”.
Gli occhi della ragazza si ridussero a due fessure: “Sei un mostro”.
Antoine sollevò le mani, ridendo: “Modera i complimenti, tesoro. In effetti, considerato il tuo apprezzamento per i mostri, lo prendo come tale. Come puoi sopportare anche solo di toccarlo? Girano certe voci relative al suo viso…pare sia completamente devastato!” fece un gesto di ripugnanza: “In ogni modo, ti conviene seguirmi dalla tua tutrice. I Rappenau sono una famiglia influente e, guarda caso, mio zio è anche un giudice…te lo saresti mai immaginato? Capisci, dunque, che la sentenza a carico del tuo fantasma dipende molto da una buona parola da parte mia. Sei una ragazza intelligente, Vivian, presumo che tu abbia colto il messaggio”.
Il disgusto e l’odio quasi la soffocavano. Egli la stava ricattando utilizzando la sorte di Erik come mezzo per ottenere da lei ciò che voleva, intuendo benissimo che sarebbe stata disposta a tutto pur di salvarlo. E dato che nella cappella aveva tentato di violentarla, probabilmente…
Con un piccolo grido disperato, si accasciò sulla gondola, nascondendo il volto tra i capelli, e maledisse con tutta se stessa quel rivoltante individuo che aveva frantumato i suoi sogni e quelli di Erik per soddisfare il suo ego e la sua lussuria, e che lei adesso avrebbe dovuto accontentare…dal momento che le era impossibile lasciare che Erik venisse condannato a morte.
Antoine si chinò sul suo orecchio e vi premette le labbra: “Io vinco sempre, ma chére. È inutile ignorarlo”.
 
  
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