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Autore: Ely79    04/03/2012    6 recensioni
Una guerra lunga e sanguinosa, apparentemente senza fine, a cui guardano carichi di aspettative gli occhi di tre figure. Aleshanelsi, il sovrano della profezia. La sfortunata Tinave, prigioniera delle proprie speranze. E Derai, l'androgino generale vestito di misteri.
Storia prima classificata all' "Epic Music Contest" indetto da Aysis e seconda classificata al "Ready, set... GO! - Ovvero il diabolico Contest fantasy" di Reeleshan. Entrambi i giudizi sono riportati al ternime della storia.
Genere: Fantasy, Guerra, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il patto
Storia prima classificata all' "Epic Music Contest" indetto da Aysis e seconda classificata al "Ready, set... GO! - Ovvero il diabolico Contest fantasy" di Reeleshan. Entrambi i giudizi sono riportati al termine della storia.

reeleshan

Nickname sul forum: ely 79    
Nickname sul Efp: ely79
Titolo: Il patto

P
ROMPT "EPIC MUSIC CONTEST - WAR OF CAOS" DI AYSIS.
Canzone scelta: Two steps from hell - Epilogue
Parola scelta: Attesa

PROMPT "READY, SET... GO! -OVVERO IL DIABOLICO CONTEST FANTASY" DI REELESHAN.
Opzione scelta: 2
Mestiere: Giullare
Ambientazione: Prateria
Razza: Incubo
Titolo: Il patto

Generi: Dark, mistero, sovrannaturale
Rating: Arancione
Avvertimenti: One shot
Beta-Reader: No
NdA: Per la figura dell’incubo mi sono ispirata alle diverse forme con cui viene rappresentato (destriero infernale, mostriciattolo, figura seducente, entità indefinita), conferendogli però alcuni poteri che esulano dalla sfera onirica.


Il sole calava lento all’orizzonte, in un cielo arrossato quanto le acque del grande fiume che serpeggiava verso nord. Una lieve brezza spirava lungo i bastioni della fortezza, facendo rabbrividire i vessilli laceri. All’interno delle mura, la vita scorreva lenta solo all’apparenza, avvolta dal silenzio sospeso di chi tendeva l’orecchio ad ogni ora del giorno e della notte, in attesa di segnali. Segnali che annunciassero battaglia o pace. I soldati, lungo i camminamenti merlati, scrutavano incessantemente il mondo in cerca di minacce troppo distanti per poter essere scorte.
Si udì uno scoppio di folgore nel cuore della cittadella, che scosse le pietre fino alle fondamenta. Un’onda di tempesta s’infranse lungo le vie ritorte, facendo sbattere gli scuri e le porte, strappando stendardi dai muri e miserandi stracci dai fili del bucato. I bambini scoppiarono in pianti dirotti, gli animali si agitarono nei recinti, gli anziani intonarono salmodie di preghiera e perdono agli dei.
Passò a tale velocità, che le sentinelle ai cancelli della strada per Rish’Izànne quasi non fecero in tempo a scansarsi e si trovarono gettate a terra. Videro a malapena il tumulto di fumo e lingue di fiamma che l’orribile creatura si lasciava dietro.
Dalle fauci erompevano grida angosciose e furibonde, che si spandevano nell’aria immobile per miglia e miglia, raggelando il sangue di chi le udiva. Zanne fameliche scintillavano ad ogni levata di muso. Occhi incolori fissavano con folle attenzione la via. Gli zoccoli, tenebrosi quanto il manto, mandavano bagliori sanguigni ogni volta che il terreno si faceva meno arido e le magre sterpaglie più rade.
La fortezza scomparve, dissolta in una foschia malata. Rimase solo la piatta vastità del terreno, sventrata dalla strada che si protendeva in avanti fino a svanire.
Ad un tratto, il mostruoso animale abbandonò la strada, fendendo il basso tappeto erboso. Dietro restava una scia di fumigante desolazione. Nubi e venti non gareggiavano nella corsa, sconfitti in partenza. La terra fuggiva impaurita sotto le mortali zampe.
In lontananza si profilò una palizzata irta di spuntoni aguzzi, costellata di torrette da cui proveniva il tremulo luccichio delle fiaccole. Una profonda depressione nel terrapieno indicava l’accesso.
La bestia interruppe bruscamente la sua corsa con un nitrito agghiacciante, scalpitando furente poco fuori il portale. Un turbine di fiamme e polvere rovente lambì le pietre che rinforzavano il basamento dell’imponente protezione. Dalla nube tempestosa emerse un cavaliere. Il capo accuratamente rasato pareva una sfera di metallo bruno e spiccava in stridente contrasto sulla corazza candida come neve. Non vi erano sopracciglia a disegnare espressione nel volto bronzeo e androgino.
Il pesante cigolio dei cardini che ruotavano fece eco al corno che annunciò il suo arrivo. I soldati s’inchinavano rispettosamente, molti volgendo altrove gli occhi. Nessuno osava sostenere il suo sguardo d’argento, neppure i suoi miliziani: attorno alla sua figura giravano troppi racconti, troppe parole che ormai prendevano i contorni della leggenda.
Di Derai di Brianosse si sapeva solo che aveva preso parte al primo giorno di quella sanguinosa guerra, più di cent’anni prima, e da allora non aveva mai perduto uno scontro. Le sue vittorie costellavano gli annali del regno come gemme preziose: era assai raro che un membro dei Kerth, il Popolo Bianco, decidesse di abbandonare la consueta neutralità per schierarsi apertamente con una fazione, quella imperiale in questo caso. C’era chi diceva che l’avesse fatto solo per brama di violenza e crudeltà, chi invece si trattasse di sete di gloria, chi insisteva che a spingere quell’essere a scendere in battaglia fosse un’antica onta. I più fantasiosi parlavano di un amore perduto, pur non sapendo se si trattasse di uomo, donna o di un altro Kerth.
Persino la cavalcatura, che appariva e scompariva al suo richiamo, era oggetto delle più astruse e cupe dicerie. Qualcuno giurava d’averla vista abbeverarsi nel petto squarciato di un nemico.
Derai attraversò senza alcuna fretta la strada centrale dell’accampamento, che conduceva ad una  grande tenda. Al suo ingresso, i presenti ammutolirono in un ticchettio d’armi e corazze. Le apparizioni del Popolo Bianco turbavano anche i combattenti di lungo corso: nessuno sapeva da dove venissero, né chi fossero in realtà, ma le cronache erano colme di accenni a queste figure pallide e misteriose, cariche di segreti, che amavano muoversi nell’ombra.
«Domando venia, Vostra Altezza, Trionfo dei Cieli, Splendore del Sud, Mano delle Notti. Invoco perdono per il ritardo con cui rispondo alla vostra convocazione.» salutò inginocchiandosi.
Aleshanelsi III porse la mano callosa al generale, che ne sfiorò il dorso con le labbra prima e la fronte poi, in segno di sottomissione. Gli anelli sulle dita mandarono vibranti scintillii.
«Sono certo abbiate avuto ottime motivazioni per recarvi in città, Derai» replicò il Sovrano, facendo segno che accostassero un seggio. «Tuttavia, dovranno attendere. Come potete ben intuire, ci stiamo approssimando ad uno scontro che parrebbe decisivo».
L’ampio tappeto srotolato a terra altro non era che una mappa, dove schiere di soldati e macchine belliche in miniatura erano state disposte a simulare i fronti di guerra.
«Da giorni i nostri esploratori inviano notizie di movimenti sospetti lungo l’affluente del Ger. C’è stato un breve scontro, dove abbiamo avuto la meglio. All’incirca qui» esordì uno dei comandanti presenti, indicando col piede una stretta ansa.
Rapida, una figura corse a spostare le statuette. Era una ragazza, abbigliata in maniera tanto bizzarra quanto succinta. Un ingombrante cappello con molte punte ondeggiava sui capelli biondi, trattenuto a stento da un laccio di cuoio. Numerosi campanelli d’argento erano cuciti lungo i bordi degli abiti sgargianti. Fece una capriola, ricadendo accucciata in avanti, il fondoschiena ben sollevato a far mostra di sé. Gli sguardi maliziosi dei generali abbandonarono la simulazione del campo di battaglia per posarsi altrove. Uno di loro le rifilò un sonoro sculaccione e lei si finse offesa, lamentandosi e dimenando le natiche mentre tornava da dov’era arrivata, ancheggiando lungo i contorni della mappa. Più di un ufficiale riuscì a palpeggiarla e a strapparle di dosso qualche velo.
«Come dicevo, Maestà, i nostri uomini ci hanno riferito che le truppe di Agotar muovono verso la Gola di Kadif, un luogo adatto ad intrappolarli» insisté il generale.
«Ne convengo, Viconio» fece eco un altro. «Costruiremo una diga e faremo piovere su di loro un muro d’acqua al momento opportuno, ma non possiamo rischiare di fallire un attacco simile. Dobbiamo considerare che quel tratto di fiume è piuttosto infido, sia a valle che a monte».
Aleshanelsi si sporse leggermente in avanti, il volto scavato segnato dal dubbio.
«Ditemi, Derai, voi potreste impiegare…»
Il Kerth levò rapidamente una mano, facendo cenno d’aver capito cosa gli veniva chiesto e confermando che fosse nei suoi poteri: avrebbe usato la magia per fare in modo che l’esercito nemico fosse già sufficientemente provato da non resistere alla corrente di una piena improvvisa.
Il piano era tutt’altro che definito. Gli uomini di Agotar, al seguito della loro Regina-Sacerdotessa, potevano contare su un gran numero di stregoni, Fiere Mistiche ed esperti strateghi. Per quanto un solo Kerth fosse in grado di tener testa tutte quelle forze, lasciò che i generali si mostrassero all’altezza dei propri blasoni, introducendo idee e schemi d’attacco e difesa. Ci furono lunghi dibattiti e discussioni accese fin nel cuore della notte.
La fanciulla danzò più volte in mezzo al consiglio di guerra, lasciando che altri veli venissero strappati tra risolini e sospiri, mostrando il corpo quasi nudo mentre disponeva con buffe movenze i segnali. La fecero inciampare, le rivolsero apprezzamenti pesanti a cui lei rispose con altrettanta lascivia. Il suo volto era una maschera: il trucco pesante ne involgariva i tratti delicati, senza tuttavia conferirle un’aria allegra. I pochi abiti, succinti e guarniti di campanelli e nastrini, avrebbero dovuto darle un aspetto comico, ma erano solo una scusa per strizzarne le forme sottili ed evidenziare ogni movimento, per stuzzicare i bassi appetiti dei presenti.
«Derai?» chiamò il Sovrano, preoccupato dal suo silenzio.
Ormai il consiglio di guerra aveva stabilito la strategia. Solo lui taceva, distratto da altri pensieri.
Il Kerth prese tempo, meditando. Passò un dito sulle labbra, in maniera tanto elegante e sensuale da costringere gli ufficiali ad interrogarsi riguardo la nefasta capacità del Popolo Bianco di sedurre chiunque. Il loro aspetto equivoco ne aveva fatto gli amanti di molti e  il tormento di altrettanti.
Gli occhi argentei passarono lentamente in rassegna i presenti, indugiando per lunghi istanti sulla mappa e risollevandosi sul volto affilato di Aleshanelsi.
«Le mie truppe necessitano solo del segnale che le spinga al massacro» rispose distaccato, muovendo le dita nell’aria e facendo spostare le proprie schiere lungo il tappeto. «Tuttavia, Vostra Magnificenza, ardisco rivolgervi una richiesta».
Tutti trattennero il fiato: da che la guerra era iniziata, Derai aveva espresso i propri desideri solo in rare occasioni e sempre in udienza privata con i sovrani. Perché ora si dichiarava pubblicamente?
«É insolito, da parte tua. Ciò nondimeno, non posso esimermi dall’ascoltare la tua domanda. Chiedi e ti sarà dato».
«Lei» disse, indicando la fanciulla giullare. «Voglio lei, per questa notte».
***
Viconio non si era mostrato molto accondiscendente riguardo la pretesa di Derai, ma alla fine, aveva dovuto cedere per non scontentare il Sovrano e crearsi un pericoloso nemico.
Il giullare ora sedeva sul letto del generale, osservando con immenso stupore l’interno della tenda. Ricche decorazioni e preziosi panneggi ornavano lo spazio, togliendole il fiato. Scudi dorati e vasi di piante sconosciute facevano bella mostra di sé negli angoli.
Il generale, seduto poco lontano, non indossava più l’armatura bianca, bensì una lunga tunica dello stesso colore, con profonde aperture che lasciavano scoperte le gambe fino a mezza coscia. Il tessuto fasciava il corpo asciutto, mettendo in risalto muscoli forti e guizzanti.
«Io…» iniziò, confusa. La baldanza mostrata all’assemblea era svanita. «Io… non conosco donna. Solo uomini, ma non donne» si giustificò, fissando i piedi minuti, le mani strette sulle ginocchia.
Era un azzardo pericoloso. Non si sapeva per certo se il Kerth fosse uomo o donna: nessuno aveva mai conosciuto il privilegio di giacere nel suo letto e svegliarsi vivo per raccontarlo. Non portava gioielli, né si truccava. Eppure la sua camminata era troppo flessuosa per appartenere ad un uomo. Era difficile capire se ciò che riempiva la veste fossero seni appena accennati o pettorali prominenti.
«E con ciò?» domandò indispettito il generale, sorseggiando una coppa.
Quelle poche parole la gettarono nel terrore più profondo. Avrebbe dovuto tacere e salvarsi la vita.
«Io… i-io temo di non potervi soddisfare, generale. Vi prego… vi prego, p-perdonatemi» singhiozzò, serrando le palpebre e stringendo le mani al petto in una misera difesa.
«Avvicinati, giocoliera».
Il tono era perentorio, sebbene non infastidito. Lei obbedì, avanzando alla cieca, sentendo le ginocchia che minacciavano di cedere. Due dita la sfiorarono, un tocco gentile ed inaspettato che la invitò a guardare. Iridi argentee l’osservavano attente. Notò che le ciglia erano bianche e rade, minuti aghi di ghiaccio che circondavano la rima palpebrale. Ciglia maschili. E maschili erano gli zigomi, alti e spigolosi, ed il mento squadrato. Così in disaccordo con la linea dolce della mascella.
«Ostenti il tuo copro con lascivia, permetti a molte mani di posarsi su di te, ridi e gemi divertita. Però non guardi mai in faccia colui a cui ti offri, il trucco sfatto agli angoli degli occhi parla di lacrime che trattieni a malapena, sei coperta di lividi e graffi che nascondi tra i veli e i campanelli».
In quella voce indefinibile, acuta ma pastosa, si scorgeva un qualcosa di simile alla comprensione che spinse la fanciulla ad assentire timidamente.
«Ti domandi come faccio a saperlo».
Annuì di nuovo, sorpresa al punto tale da non riuscire a trovare le parole.
Derai accennò un sorriso, sollevando la testa per guardare altrove.
Labbra femminili, carnose e seducenti. Sulla gola c’era solo un vago accenno della sporgenza tipica degli uomini. La pelle liscia, levigata, priva di qualsiasi accenno di barba o peluria.
Le fece cenno di tornare a sedere e le porse un piatto colmo di dolci leccornie, che lei cominciò a mangiare con foga. Era evidente che non toccasse cibo da giorni.
«Un tempo avevo una sorella. Fu stuprata davanti ai miei occhi quand’ero molto più giovane di te. Ero un bambino e lei pure. Furono i luogotenenti del sovrano di quelle terre. Erano altri tempi, altri luoghi. Un’altra guerra, ma le medesime usanze di oggi. Ci presero come bottino di guerra dal nostro villaggio, trascinandoci in un accampamento come questo, dove insegnarono a lei a prostituirsi, a me a violentare ed uccidere. O quello o la morte. Ecco come l’ho indovinato» concluse con un sorriso amaro, passandole una mano fra i capelli. «Temevo troppo il mondo degli spiriti per mettervi piede, mia sorella no. Resistette finché non fui abbastanza forte da poterle assicurare la giusta vendetta e si lasciò morire».
La fanciulla trasalì alla rivelazione, accorgendosi in quel momento che qualcosa le stringeva la gamba: un animaletto dal pelo scarlatto, simile ad un gatto ma più snello ed affusolato. La testa triangolare si ergeva su un collo innaturalmente lungo e la coda smisurata terminava in un sonaglio corneo che vibrava piano. Le zampette picchiettavano curiose sui campanelli, facendole il solletico.
«Puoi giocarci» la invitò il generale, mentre l’animaletto si avvolgeva miagolando attorno alla caviglia della fanciulla. «Non ti farà alcun male».
La giovane sorrise appena, tendendo incerta la mano. La bestiola si allungò verso il suo palmo, cercando carezze. La prese in braccio, cominciando a coccolarla.
«Qual è il tuo nome? Non certo “giullare” o quelli usati dai miei commilitoni durante la riunione».
«Tinave» cinguettò, divertita dalle moine del nuovo amico.
Il generale la guardò mangiare e giocare da bambina spensierata. Anche se truccata e abbigliata da sgualdrina, pareva aver dimenticato il deplorevole scopo cui era stata destinata. La trovò fuori posto, sbagliata, un curioso scherzo del destino. Eppure era deliziosa, fresca, invitante.
Un fruscio appena percettibile allertò il Kerth, che raggiunse con indifferenza l’ingresso, quasi volesse prendere una boccata d’aria. Camminò attorno alla tenda, silenzioso, fino a raggiungere l’intruso che stava chino sulle corde. Era distratto ad ascoltare i risolini della fanciulla per accorgersi della sua presenza.
«Viconio, cosa ti porta qui?» mormorò, conoscendo la risposta.
Il comandante si volse di scatto, lasciando cadere il coltello con cui stava tentando di farsi strada nel tessuto. Aveva sperato di riuscire a sottrarre non visto il pagliaccio, senza correre rischi.
«Rivoglio la ragazza!» strillò, la voce che vibrava di timore.
Per darsi coraggio e tentare d’intimidire l’avversario, snudò la spada, puntandogliela alla gola. Derai si limitò a tacere, studiando la disperazione che sconvolgeva il volto e la mente dell’uomo.
«È mia! Il Sovrano non aveva il diritto… Non doveva dartela! Mi appartiene! Non puoi averla… solo io! Io!» gridò, stringendo entrambe le mani sull’elsa.
L’accenno di un fendente sottolineò quanto fosse sconsideratamente fuori di sé.
Tinave osò spiare oltre l’entrata nell’attimo in cui l’animaletto domestico svaniva fra le sue mani ed il Kerth balzava avanti, gonfiandosi e perdendo ogni grazia. La spada cadde a terra con un clangore assordante. Stridii e versi disumani lacerarono il buio. Al posto del generale apparve dapprima un destriero avvolto dalle fiamme, poi un omuncolo tozzo e sgraziato, infine un essere senza identità, un grumo d’oscurità più densa della notte, solida e terribile come un esercito sbucato dal regno dei morti. Questo si avventò sul generale, gettandolo a terra e dilaniandone le carni. La vita fuggì rapida dalle membra strette in una morsa ferale. Il sangue fiottò copioso sulle erbe riarse e le ossa si spezzarono sotto zanne smisurate.
Un grido salì alle labbra della danzatrice, che cadde a terra.
Il mostro si volse sbuffando. Dalle fauci spalancate, rivoli liquidi colavano a terra in pozze luminose. I bulbi oculari brillarono famelici nell’oscurità.
«Avevo altri piani per te, piccola acrobata, ma a quanto pare dovrò modificarli» annunciò roco, scostandosi dal corpo esanime per farsi incontro a Tinave, che indietreggiò carponi.
Riprese le sembianze del condottiero e la prese fra le braccia, sollevandola senza sforzo.
«G-generale… vi… vi prego io… manterrò il segreto! Lo giuro! Non dirò nulla di quel che ho visto, ve lo giuro!» supplicò divincolandosi e cadendo ai suoi piedi. «Farò ogni cosa domanderete! Ogni cosa! Vi appartengo, ma non uccidetemi!»
Il volto di Derai si scompose in una lieve sorpresa. Non aveva osato sperare in tanta fortuna.
«E sia. Voglio crederti» disse, la voce distorta in mille echi. «Ti concederò di dar prova immediatamente che quanto hai detto corrisponde a verità».
Piena di gratitudine, la giovane si chinò a baciare i piedi del demone.
«Nutrimi» ordinò.
Tinave s’irrigidì, le labbra ancora poggiate sulla pelle del suo salvatore.
«N-nutrirvi?» domandò, sgranando gli occhi per la paura e l’orrore.
«Non temere. Quanto accaduto a Viconio non capiterà a te» la rassicurò, facendola stendere sul giaciglio.
Lei tentò di ribellarsi, con poca fortuna: la stretta di Derai le impedì la fuga, la sua espressione le impose di zittire ulteriori proteste. Incombeva su di lei, tanto ammaliante da dare i brividi.
«Lascia che faccia quel che devo, rilassati piccina. Quietati» cantilenò cullandola, strusciandosi sul giovane corpo facendo suonare i campanelli. «Il mio morso è mortale solo da svegli. E tu non lo sarai, quando ti prenderò» sussurrò dolcemente, accarezzandole il viso e le spalle.
A poco a poco uno strano torpore aveva preso ad invaderla. Le palpebre divennero pesanti, i tremiti diminuirono fino a scomparire, il respiro si fece regolare. Le labbra si dischiusero in un’ultima supplica, che lo spirito mise a tacere con nuove lusinghe.
«Dormi, tenero giullare. Lascia che le mie zanne affondino profonde nel tuo sonno, lascia che scavi nel tuo petto, lasciami violare i tuoi segreti» mormorò lascivo al suo orecchio.
L’ultima cosa che Tinave percepì furono la bocca di Derai che si posava delicata sulla sua fronte.
Non lo vide rapprendersi in un coagulo deforme sul suo seno, il volto indecifrabile sostituito da un grugno rugoso, il dorso ampio e solido ora ingobbito e peloso, le mani forti tramutate in artigli che le afferravano i capelli e stracciavano le poche vesti.
Tinave ansava nel sonno, mugolava, gemeva. Il sudore sul viso scioglieva il trucco e le membra si agitavano scomposte fra le lenzuola. L’orrendo omuncolo restava accovacciato sul suo petto, leccandosi voluttuosamente il muso man mano che i fluidi onirici lo dissetavano.
Dalle ombre dell’alloggio emerse Aleshanelsi. Pareva compiaciuto. Aver liberato la fanciulla dal suo aguzzino era stata una mossa più utile di quanto avessero immaginato: avevano guadagnato la sua gratitudine con facilità imprevista e ciò avrebbe permesso loro di accelerare i tempi.
L’uomo sedette all’entrata, volgendo le spalle al banchetto. La prateria era immersa nel buio e nel silenzio. Le luci dell’accampamento andavano morendo con l’approssimarsi dell’aurora. Nell’aria avvertiva gli umori del cadavere di Viconio mescolarsi a quelli dei caduti della giornata. Avrebbe ridotto i suoi nemici alla stregua di quella piana: una distesa di sangue e corpi inerti, sopra i quali sarebbe svettata solenne la sua gloria.
Un sonoro rutto disse che il pasto era ormai concluso. Kerth, Popolo Bianco, erano solo nomi dietro cui si celavano gli spiriti della notte, i divoratori di sogni, i ghermitori di sospiri. Gli Incubi. Non c’erano mai state vere richieste, pubbliche o private, da parte di Derai. Si era trattato di farse per giustificarne la presenza ed il rapporto privilegiato con la casata reale: l’Incubo era stato soggiogato da suo nonno per primo e in seguito da suo padre, e lui ne aveva ottenuto i servigi a sua volta perché si compisse l’antica profezia riguardo il Trono delle Quattro Corone: il grembo dell’erede obliato, culla della radice nemica, donerà lo scettro al terzo discendente. Viconio era convinto si parlasse di un terzogenito, come lui era, ma Aleshanelsi conosceva l’intera profezia, che i saggi non declamavano di proposito: il grembo dell’erede obliato, culla della radice nemica, donerà lo scettro al terzo discendente che ha domato la stirpe della notte. E lui l’aveva fatto: gli Incubi gli obbedivano ed era il terzo della sua casata a poterlo fare.
«È la secondogenita di Nuroth?» chiese senza voltarsi.
«Sì, è la prossima erede al trono di Agotar, se sua sorella maggiore sarà così gentile da farsi uccidere nei prossimi giorni. Ahimè, non è vergine, ma i suoi sogni hanno comunque un sapore delizioso» mugolò, stiracchiandosi soddisfatto.
«Lieto d’averti potuto dare di che saziarti» replicò pacato il Sovrano.
«Paura, desiderio, angoscia, sciocche fantasie. E speranza. Una vena molto sottile e densa, succulenta. Ci si aggrappa di continuo, la principessina. È stata decisamente la parte migliore, una prelibatezza. Pensa sempre al paparino che l’ha data in ostaggio a Viconio per salvare qualche comandante incapace. Crede che il sacrificio delle sue grazie contribuisca a mantenere il patto, ma il defunto generale si è ben guardato dal dirle che anche il caro genitore marcisce sotto terra da un pezzo. Astuto» commentò maligno.
Aleshanelsi concordò tetro, rammentando la promessa fatta all’Incubo da suo nonno: un nuovo, sontuoso banchetto. Un ricco convito fatto dei sogni e delle anime di un’intera armata.
Derai rise con una voce gutturale sproporzionata per le sue dimensioni. I bulbi oculari fiammeggiarono nella penombra della tenda. L’Incubo non attendeva altro che scatenarsi sulle truppe, sconvolgendo le menti dei soldati e portando alla follia quelle degli ufficiali e dei sovrani. Un banchetto di proporzioni spropositate.
E quella ragazzina sarebbe stata la chiave di ogni cosa.
Aleshanelsi sedette accanto alla fanciulla, sfiorandole il ventre scoperto. La culla in cui avrebbe visto la luce la sua stirpe.
«Interessante la bugia sul tuo passato, molto toccante. Tu, come lei, vittima di abusi e angherie. Come te la sei inventata?»
L’Incubo sogghignò senza rispondere. Aver memoria di quei trascorsi faceva parte del privilegio di nutrirsi dei tormenti altrui.



Giudizio di Aysis
ELY 79: Il Patto
64.75/65 PRIMA CLASSIFICATA

- Correttezza Grammaticale1, sintattica2 ed ortografica3 (14.75/15)*

   Ho trovato un paio di errori di battitura. Per quanto riguarda la grammatica e la sintassi non ho nulla da dire. La lettura è scorrevole ed il lessico è ricercato. Complimenti.

- Sviluppo della trama (10/10)

   La trama è molto intrigante, l’ho notato subito. Non ci sono punti meno complessi rispetto ad altri: l’intera storia è equilibrata. Lineare. La trama è chiara, esaustiva ed autoconclusiva. Davvero un bellissimo lavoro.

- Caratterizzazione dei personaggi (15/15)

   Sono letteralmente impazzita per i personaggi che hai saputo descrivere così bene. L’Incubo è sempre un personaggio ambiguo, ultraterreno. Benché sembri appartenere a questo mondo, obbligatoriamente ci riconduce a qualcosa che non possiamo toccare con mano. La cosa sorprendente di questa storia sta nel fatto che, anche nelle scene in cui prevale la realtà sul mondo onirico, ci sono comunque aspetti fantastici e dark. Tinave è semplice, di riflesso, immediata. Si adatta a vivere nel peggiore dei modi, tenta di aggrapparsi alla speranza (anche se è labile, volubile). Loro sono i principali, ovviamente. Ma anche i personaggi secondari s’intrecciano bene con la trama (Aleshanelsi, per citare un esempio).

- Originalità (15/15)

   Molto originale, sia nella scelta stilistica (ut supra) sia nella vicenda in sé.

- Attinenza al tema e ai parametri posti (10/10)

   Rispettato sia il tema sia i parametri posti.



GIUDIZIO DI REELESHAN
2a CLASSIFICATA: "Il Patto" di ELY79 - 42,35/45
GRAMMATICA E SINTASSI: 8/10

Un turbine di fiamme e polvere roventi correggi con Un turbine di fiamme e polvere rovente
s’chinavano correggi con s’inchinavano
Gli pochi abiti correggi con I pochi abiti
erano solo una scusa strizzarne manca preposizione; correggi con erano solo una scusa per strizzarne
Iridi argentee l’osservavano attenti. correggi con Iridi argentee l’osservavano attente
E la pelle liscia eliminerei la “e” all’inizio
deplorevole scopo a cui era stata destinata. Cambierei con deplorevole scopo cui era stata destinata.
Non c’era mai state vere richieste Cambierei con Non c’erano mai state vere richieste
patto. Ma il defunto generale
L’ho considerato un errore di entità lieve in quanto inserito in un dialogo.
le menti dei soldati e portando alla follia quella degli ufficiali Cambierei con le menti dei soldati e portando alla follia quelle degli ufficiali

FORMA E STILE: 9,35/10
9,5 – 0,15

PUNTEGGIATURA: - 0,15 Punti

alla vostra convocazione» salutò inginocchiandosi manca il punto.
-0,05

la pretesa di Derai, ma, alla fine,
Eliminerei la virgola. Non considerato errore.

ed il mento squadrato. Così in disaccordo con la linea dolce della mascella
Sostituirei il punto con una virgola
-0,05

e stracciavano le poche vesti manca il punto.
-0,05
Tu come lei, vittima di abusi e angherie. Come te la sei inventata? Non considerato errore. Inserirei un inciso qui: Tu, come lei, vittima di abusi e angherie.

COERENZA (rispetto parametri e traccia – coerenza razza) :9/10
I parametri e la traccia sono stati rispettati tutti eccezzion fatta per il mestiere, che avrebbe dovuto essere attribuito al protagonista. I personaggi sono in totale accordo con la razza ricevuta.

ORIGINALITA' e sviluppo personaggi : 10/10

GRADIMENTO PERSONALE: 5/5
Nonostante la presenza di qualche errore, penalizzante soprattutto per quanto concerne la grammatica, questa storia resta comunque una delle migliori one-shot fantasy che io abbia mai letto.
Nonostante la casualità non ti avesse favorito – incubo e giullare, mi chiedevo davvero cosa ne avresti tirato fuori – trovo che tu abbia rielaborato i temi in maniera estremamente creativa, soffermandoti su un istante e al contempo dando indicazioni sia degli antefatti sia d’una possibile continuazione che, non ti nego, amerei molto leggere.
Lo stile di questa storia è fluido, abbastanza ricercato – hai un buon vocabolario - e sicuramente evocativo: sai trascinare il lettore all’interno della storia, ammaliarlo con immagini vivide e ben delineate, trascinarlo con discorsi verosimili e non stereotipati. Unica pecca, forse, questa “Viconio non si era mostrato molto accondiscendente riguardo la pretesa di Derai, ma, alla fine, aveva dovuto cedere per non scontentare il Sovrano e crearsi un pericoloso nemico.”. Mi spiego: ho dovuto rileggere il pezzo precedente per capire chi fosse Viconio, nominato quasi di sfuggita, tanto che inizialmente avevo creduto che la giullare appartenesse al Monarca. Il tutto viene chiarito con la lettura, più avanti, quindi immagino fosse voluto, però questo nome riportato quasi di sorpresa spiazza un poco.
Passando ad altro, il tuo personaggio è ricco di sfaccettature, molteplici come varie sono le nature che porta in sé: la figura dell’in cubo è delineata alla perfezione, il suo modo d’agire è consono e verosimile per un’appartenente a tale razza. I personaggi secondari sono sviluppati in maniera ottimane, nessuno di essi è stereotipato; trovo buona anche la scelta dei nomi, particolari ma non estremamente ardui, dunque facilmente memorizzabili.
Nel complesso dunque una storia avvincente, che avvolge il lettore trascinandolo in un susseguirsi di eventi concatenati abilmente fra loro e dall’apparenza sfuggevole, non molto dissimile da quanto Derai stesso è; una di quelle one-shot, in pratica, che vorresti fossero una saga. Complimenti!

PUNTI BONUS: 1/1
   
 
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