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Autore: xNewYorker__    05/03/2012    1 recensioni
Broken Bones 2. Che altro?
Quando si è sicuri di qualcosa, non si va più alla ricerca della verità, ci si abitua, si va avanti. Ma se in realtà non si fosse mai stati veramente convinti? Se si iniziasse a cercare la verità, si troverebbero le risposte?
Tre anni dopo continuava a sentire che qualcosa dentro le mancava
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Non passava giorno in cui non rimpiangesse quegli occhi azzurri che piangevano una morte finta.
Semi crossover Bones-Castle.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Seeley Booth, Temperance Brennan
Note: AU, Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Broken Bones'
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Booth si guardò intorno, amareggiato da se stesso più che dalla dottoressa.
Ormai non poteva più chiamarla “sua partner”, non poteva più chiamarla “Bones”.
Avrebbe ricevuto un altro schiaffo fisico, oltre a quelli morali che si era dato da solo in tutto questo tempo.
Aveva sbagliato. Doveva pagare. Lo sapeva.
Ignorò le parole di Castle e Beckett: erano futili per il suo animo. Ignorò i rumori e il vocio che provenivano dalle sue spalle.
Sembrava che una guerra nucleare dovesse scoppiargli affianco da un momento all’altro, e si sentiva come se probabilmente non se ne sarebbe accorto.
Sentì la calda mano di Castle sulla spalla sinistra. Iniziò a camminare.
Non sapeva dove andare, non c’era un posto dove realmente volesse andare, senza che le immagini di quel che era successo e di quel che non sarebbe successo lo perseguitassero.
Non aveva neanche voglia di parlare.
Preferiva che le parole proferite da quei due gli scivolassero addosso, come avrebbero dovuto fare le sue addosso alla dottoressa Brennan.
Tutto questo non sarebbe successo, se lei avesse lasciato che il tempo le permettesse di smettere di considerarlo.
E invece, lei, continuava a chiedersi “chissà cosa farebbe Booth” su ogni scena del crimine che vedeva.
Continuava a chiedersi “chissà cosa avrebbe detto Booth” in qualsiasi situazione, ad ogni battuta, ad ogni occasione di risata mancata.
 
Lei se ne stava nel suo angolino, in ufficio, dietro alla scrivania, con la testa tra le mani.
Una parte di sé l’invitava ad accettare le scuse del suo vecchio collega, mentre un’altra parte, l’orgoglio, le suggeriva di stare a crogiolarsi nel suo dolore a fare la vittima. E quella dannata parte era sempre quella che vinceva.
Si malediceva moltissimo per il suo comportamento.
Avrebbe tanto voluto spezzare le catene che la legavano alla sua fredda immagine di scienziata.
Avrebbe voluto essere solo…Temperance, per una volta.
E Temperance, probabilmente, si sarebbe fatta guidare dal cuore, che non era solo un muscolo involontario.
In quei tre anni erano cambiate parecchie cose.
Si era nuovamente chiusa in se stessa, aveva perso quel lato mediamente umano che Booth aveva tirato fuori dopo tanto tempo.
Prima di rivederlo sembrava che non le importasse di riavere il suo lato umano. Era solo una parte di sé che era esistita e che non voleva ricordare.
Non avrebbe potuto sopportare di soffrire allo stesso modo.
Però, non appena aveva visto Booth, quel lato era tornato più forte che mai.
Aveva prevalso sul suo lato da scienziata, sulla cosa più importante che avesse avuto durante la sua assenza. Non era giusto.
Non doveva più essere così. Non avrebbe permesso che nessuno la facesse più soffrire in quel modo.
Si drizzò sulla sedia e rilassò le bracca lungo i fianchi, stringendo i pugni per un po’ e trattenendo le lacrime.
Riuscì a non farle scendere e quello fu il suo primo traguardo. Il secondo sarebbe stato…dimenticare.
 
Castle era stanco di aspettare in piedi. Lanciò uno sguardo a Beckett.
Lei sembrò non notarlo neanche, e fissava Booth, preoccupata.
«S-Seeley…vuoi che ce ne andiamo?» Gli chiese.
Lui annuì e uscì dall’edificio, seguito a ruota dai suoi amici.
Non voleva più avere niente a che fare con Washington.
Quando furono in macchina, si sedette dietro come prima.
L’atmosfera non era più “leggera” come quella iniziale. Era piena di silenzio e di vuoti incolmabili.
Le parole non sarebbero servite a niente.
Le sue parole erano inutili, e quelle di Castle lo erano ancora di più. Non si può aggiustare un cuore infranto, specie se la coltellata è stata inferta dallo stesso proprietario di quel cuore. In questi casi ci vuole solo del tempo, e forse una buona dose di coraggio per affrontare le giornate restanti alla fine della propria vita.
«Rick…posso chiederti un favore?» Interruppe quel silenzio con questa domanda.
Lo scrittore lo guardò dallo specchietto retrovisore. La sua espressione era spenta come non mai. Non lo aveva mai visto così.
«Certamente» Rispose, soltanto, sorridendo appena e mettendo in moto definitivamente.
«Posso…ecco, venire a vivere da te? È una cosa temporanea, prometto. Sloggerò non appena avrò trovato un altro posto…»
Rick drizzò la schiena istintivamente. Non si aspettava una richiesta del genere.
«Naturalmente…non preoccuparti per i limiti di tempo. Quando tornerà Alexis ti cederò la mia stanza» Sorrise ancora una volta, mentre Beckett lo prendeva in giro solo con le sue occhiate.
Non se la sentiva di sdrammatizzare in quella situazione.
Booth aveva appena deciso che avrebbe iniziato una nuova vita.

Angolo autrice:
Ciao, odiatemi pure, ciao. 
So che questo capitolo non è proprio ricco di avvenimenti.
La mia idea era di farlo più pieno di riflessioni, più introspettivo. 
E ho aggiunto una mia classica caratteristica: i finali di mer...brutti (?).
In ogni caso, spero che vi sia piaciuta anche questa. E' finita. TAN TAN TAAAAN.
-xNewYorker__/Chris
   
 
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