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Autore: Lady Snape    07/10/2006    2 recensioni
Salve! Questa è una fanfiction di protesta. Non mi è andato giù il modo in cui la vita del dottor Robert Romano è stata stravolta e conclusa. Ho scoperto questo personaggio quando ormai era troppo tardi, ma pochi mi hanno colpito quanto lui. Non conoscendo perfettamente lo svolgimento della trama, anche se ho letto riassunti delle stagioni, potrei stravolgere personaggi e avvenimenti. Chiedo scusa. Non me ne vogliate e accettatela come un mondo parallelo, dove qualcosa è diverso! E’ la mia richiesta di indulgenza. Grazie! Cosa sarebbe successo se Robert "Missile" Romano non fosse morto il giorno del Ringraziamento? E se qualcuno gli avesse salvato la vita?
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Robert Romano
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Salve!

Questa è una fanfiction di protesta. Non mi è andato giù il modo in cui la vita del dottor Robert Romano è stata stravolta e conclusa. Ho scoperto questo personaggio quando ormai era troppo tardi, ma pochi mi hanno colpito quanto lui.

Non conoscendo perfettamente lo svolgimento della trama, anche se ho letto riassunti delle stagioni, potrei stravolgere personaggi e avvenimenti. Chiedo scusa. Non me ne vogliate e accettatela come un mondo parallelo, dove qualcosa è diverso! E’ la mia richiesta di indulgenza.

Grazie!

Lady Snape

*************

“L'egoismo non pecca tanto nelle azioni, quanto nella incomprensione.”

Hugo von Hofmannsthal, Il libro degli amici, Bompiani, Milano, 1983, p. 83

“Tutti si scagliano contro l'egoismo come se fosse possibile sopravvivere senza. Da biasimare è solo il suo eccesso.”

Alessandro Morandotti, Le minime di Morandotti (2), Scheiwiller, Milano 1980, p. 147

Dedicata al Dr. Robert “Missile” Romano.

Orgoglio e Pregiudizio

Perché doveva accompagnare quel paziente all’eliporto? Perché proprio lui!? Non lo sopportava, proprio no. Ormai tutte le volte che sentiva rombare un’elica alzava lo sguardo al cielo per poter vedere il maledetto. Ora, però, doveva ritrovarselo a dieci metri di distanza. Maledizione! Perché?!

Romano sentì il terrore paralizzarlo alla vista del “mostro”. Sentì le sue gambe bloccarsi, la mascella serrarsi, il cuore accelerare. Il suo sguardo era fisso su quelle dannate eliche. Accompagnò il diabolico paziente fino in cima, ma non riuscì ad uscire dall’ascensore, poi fuggì via.

Fuggì per davvero, al diavolo la sua reputazione: stava scappando come un ragazzino dal buio.

Aveva bisogno di aria!

Si sentiva soffocare. Era terribile. Terribile.

Sentiva il suo sudore gelato corrergli lungo la schiena.

Sentiva il suo respiro affannato per la corsa.

Arrivò al piano terra. Il pronto soccorso. Si appoggiò alla porta e vide la luce. Sentì l’aria fresca del mattino entrare nei suoi polmoni. Finalmente. Si passò una mano sulla fronte.

Qualcosa non andava nell’aria. Guardò verso l’alto. Un’esplosione. L’elicottero. Precipitava.

La paura bloccò qualsiasi suo movimento.

Si sentì spingere, sorreggere dalla protesi. Si costrinse a correre, spinto da chissà quale forza misteriosa.

Sbatté sulla porta che aveva appena oltrepassato, il suo peso la fece aprire e cadde sul pavimento del pronto soccorso. Vide l’elicottero esplodere davanti ai suoi occhi.

Iniziò a tremare come un idiota, un imbecille, un cretino. Si sedette per terra. Il suo respiro era affannato, quasi asmatico.

< Sta bene? > disse qualcuno accanto a lui. Non aveva la forza di rispondere. Una mano gentile si posò sulla sua guancia e lo costrinse a spostare lo sguardo. Una donna. Una donna gli aveva salvato la vita. Robert, i miei complimenti! Una donna ti ha salvato.

La donna lo guardò fisso negli occhi. Estrasse qualcosa dalla sua borsa.

< Mandi giù questa. > gli mise in mano una pillola. Valium. La riconobbe. Meccanicamente, obbedendo a quello strano ordine, ingoiò il medicinale. Quella presenza misteriosa scomparve dalla sua vista.

Il County General Hospital era nel caos: feriti, gente terrorizzata. Romano si costrinse a rialzarsi. Si sentiva molto meglio: quella pillola era stata provvidenziale. Come quella donna, d'altronde. Soccorse qualcuno, non ricordava chi. Gli sembrava di essere tornato al suo tirocinio: sintomi-cura, sintomi-cura. Non guardava in faccia i suoi assistiti.

Era ormai molto tardi. La notte era scesa, portando una parvenza di calma nel pronto soccorso. Romano era esausto. Aveva fatto un doppio turno massacrante per forze di causa maggiore. Aveva sentito alcuni infermieri parlottare tra loro: a quanto pareva, quello avrebbe potuto essere il suo ultimo giorno di vita! Dubitava che a qualcuno importasse la sua sopravvivenza. Non rispose a quegli stronzi: era stanco e intontito dal Valium. Non aveva mai sopportato molto quel tranquillante.

Si appoggiò alla parete. Il volto verso l’alto. Gli occhi chiusi.

< Si è ripreso dallo shock? > una voce. Quella voce. Era lei, la donna che gli aveva salvato la vita. Aprì gli occhi e posò lo sguardo sulla donna. Capelli lunghi mori (preferiva le bionde…anche se, da un anno a questa parte, nessuna preferiva lui!), occhi scuri, belle labbra, non molto alta, bel fisico, sui trenta-trentacinque anni.

< Sono solo stanco. > rispose caustico, mani in tasca (!), assumendo l’espressione più indifferente che gli fu possibile.

< Sono felice per lei. > la donna sorrise. Uno di quei sorrisi rassicuranti, da mamma. < Sono la dottoressa Catherine Knightley. > e porse la sua mano.

< Dr. Robert Romano > rispose al gesto di cortesia. Lo sguardo di Catherine era cambiato nel sentire il suo nome. Possibile che qualcuno le avesse raccontato della sua triste e macabra vicenda? Sperava di no. Farsi compatire da un’estranea non era tra le sue aspirazioni, nemmeno se la donna avrebbe voluto consolarlo portandoselo a letto!

< Piacere di averla conosciuta. > disse Catherine e scappò via. Che tipa!

La dottoressa Knightley era una psichiatra. Quella mattina era andata al Policlinico perché un suo paziente era stato ricoverato: una delle persone più insicure che avesse conosciuto! Aveva chiesto un suo parere riguardo un intervento al fegato che avrebbe dovuto subire quel giorno. In realtà a chiamarla era stato il medico che avrebbe dovuto operarlo: il suo paziente era in piena crisi isterica violenta. Aveva annullato quattro appuntamenti quel giorno. Aveva rimandato le sedute psichiatriche nel suo studio. Tutto per quell’idiota.

Il giorno non era stato infruttuoso comunque. Si sentiva l’eroina del momento: aveva salvato la vita ad un uomo! Tutta gasata per la sua impresa, si preparava la cena.

Robert Romano. Questo nome lo aveva già sentito. All’inizio pensava si trattasse di un uomo immaginario, inventato da Alvin, il giornalaio, meglio conosciuto come Nonno Alvin. Un giorno di un anno prima il vecchio Alvin aveva la faccia più nera di questo mondo.

< Cosa è successo, nonno? > Cahte era curiosa. Nonno Alvin non era totalmente a posto con la testa. Aveva anche raccontato di essere stato rapito dagli alieni, ma questa è un’altra storia.

< Povero ragazzo! >

< Chi? > Cathe rischiava di impazzire a sua volta: Alvin era capace di parlare per ore senza nominare mai il soggetto delle sue chiacchiere.

< Il dottore! > ovvio, no?

< Quale dottore? >

< Il dr. Robert Romano. Povero ragazzo! Un braccio è stato tagliato da un elicottero! > a volte era difficile comprenderlo, anche grammaticalmente parlando. Comunque, come potesse essere successa la disgrazia, non si sapeva. Alvin sapeva tutto e niente. Ne parlò per un po’, poi cambiò argomento: le tette di Britney Spears!

Cathe aveva una memoria infallibile per i nomi; una storia del genere e un nome insolito li ricordava con facilità. Certo, non avrebbe mai immaginato di trovarsi faccia a faccia con il dr Romano. Per una volta, poi, Nonno Alvin aveva fatto centro sulla storia: il dottore che aveva incontrato non aveva un braccio. Aveva sentito benissimo sotto la mano il metallo della protesi. Ora, però, voleva i particolari!

Cathe dovette recarsi altre volte in ospedale. Il suo paziente era una vera piaga e lei, di solito, non riservava a nessuno questo genere di trattamento. Lui era un’eccezione, solo perché era un malato terminale. Il buon cuore della psichiatra aveva deciso di rendergli le cose più semplici.

Quella mattina era nella sua stanza.

< Allora sig. Macy, come si sente oggi? > continuava le sue sedute.

< Meglio, ma aspetto ancora la visita della dottoressa: potrebbe dirmi qualcosa di brutto, non crede? > era il genere di persona che pensa al peggio anche quando tutto andava per il verso giusto.

< Io la vedo meglio del solito. > ed ecco il suo sorriso materno farsi strada sulle sue labbra. Questo sorriso stava diventando la sua espressione più falsa. Beh, non poteva certo allarmare qualcuno già instabile di suo! E poi si sa: i pazzi si assecondano!

In quel momento entrò una dottoressa: capelli rossi a boccoli, occhi azzurri. Una donna molto bella.

< Salve! > disse vedendo che il suo paziente era in compagnia. Aveva conosciuto la psichiatra il giorno dell’intervento.

< Dr.sa Corday. > Cathe la trovava simpatica.

< Sig. Macy, facciamo il nostro controllo mattutino. > e procedette con la visita di routine. < Tutto a posto. La ferita si sta rimarginando e le sue analisi sono positive. >

< Visto? > disse la Knightley, continuando la sua politica del “pensare positivo” (manco Jovanotti! Nd Lady Snape). Il sig. Macy parve convinto.

La sua visita in ospedale durò ancora una mezz’ora, durante la quale attraversò i ricordi di infanzia del suo paziente: sempre, immancabilmente negativi!

Quando finalmente si fu liberata dell’uomo, decise di usare le scale per uscire dal Policlinico: gli ascensori non le piacevano molto. Era arrivata in fondo, mancavano pochi scalini, quand’ecco arrivare un imbecille di corsa che la spinse e le fece scendere gli ultimi gradini con il fondoschiena! Come se non bastasse, diede una testata alla ringhiera del corrimano. Oltre al danno la beffa! Quattro idioti si fecero delle belle risate alle sue spalle. Sulle sue belle labbra rosse stava per fiorire un “Vaffanculo!”, quando qualcuno si avvicinò.

< Oddio, sta bene? > un’infermiera di colore l’aiutò ad alzarsi.

< Insomma…. > Cathe aveva una mano sulla sua fronte. Stava sanguinando. L’infermiera la portò in sala suture.

< Chiamo un medico: potrebbero volerci dei punti. > disse la donna di colore, allontanandosi.

< Non è necessario! > Punti?! Era così grave? Sperava di no. Fatto sta che restò nella stanza da sola in attesa del medico. Andarsene non sarebbe stato educato. Si sedette sul lettino. L’odore di disinfettante era terribile. La porta si aprì e…..ebbene si, proprio lui, il dr Romano!

Il medico si fermò un attimo sulla porta, interdetto. Poi entrò deciso. Sembrava si stesse trattenendo dal ridere: che avesse assistito alla scena? Può darsi.

< Bene, bene. Ha deciso di stabilirsi qui? > il dottore prese disinfettante e garze, filo per suture e pinze.

< Forse. E’ un posto grazioso. > era una chiara presa per il culo! < Piano! > urlò quasi a Romano. Per tutta risposta quello premette più forte sulla ferita: il medico era lui e nessuno poteva dargli ordini!

< Non faccia storie!….. Ci vogliono un paio di punti. > decretò infine.

< Per una botta in testa? >

< Per una botta in testa. Dovrà fare anche un rx-cranico e una tac, per escludere un trauma cranico. >

< Andiamo! Sto bene! Metta i punti e poi vado via. Ho un impegno! > non poteva rimandare un altro appuntamento!

< Il medico sono io e sono io che decido cosa deve fare, intesi? > quanto era odioso! Cathe sbuffò.

< Guardi che ho davvero un impegno. > doveva almeno provare a convincerlo.

< Stia ferma e zitta! > non era un consiglio, ma un ordine! Di quelli perentori e indiscutibili.

Nonostante i modi bruschi del medico, i punti furono messi con un delicatezza fuori dal comune. Non si sarebbe detto, anche perché si aiutava con una mano d’acciaio. Romano, con l’aiuto dell’infermiera, le piazzò un bel cerottone bianco sulla fronte: una vera perla!

< I miei complimenti! > Cathe si sentì in dovere di farli.

< Per cosa? > Romano era scettico.

< Per i punti: non li ho sentiti. >

< Le sono piaciuti? Non si faccia venire il vizio! > acido! Che stronzo! < Ora la mando a fare la tac. > prese una cartella e la compilò.

< Sta dicendo sul serio? >

< Ho la faccia di uno che scherza? >

< No. >

< Bene. Si muova! >

Mentre saliva le scale con l’infermiera, incrociò la dottoressa Corday.

< Cosa le è successo? > chiese questa preoccupata sinceramente.

< Sono caduta per le scale come una cretina. > bene mondo! Qualcun altro lo vuole sapere?!

< Sta bene ora? >

< Sì, ma per il dr Romano necessito di una tac: per lui ho il cervello compromesso…..una domanda: ma è sempre così oppure ho beccato la giornata giusta? >

La dottoressa rispose con un sorriso: era sempre così! Meraviglia!

< Allora deduco che fa colazione bevendo acido muriatico. Però mette i punti da dio! > la Corday rise alla battuta. Era la verità, non uno scherzo!

< Devo trovare un lato positivo ad ogni costo, altrimenti sarei la prima a votarmi al suicidio!>

Dopo una decina di minuti era di nuovo nel pronto soccorso. Romano guardava la tac preso. Cathe era di nuovo seduta sul lettino e lo fissava. Non era bellissimo, era un tappo a dirla tutta, ma attraente allo stesso tempo. E va bene, non era il massimo: pelato, barba incolta (ma per questo c’era rimedio). Però aveva degli occhi molto belli, magnetici.

< Quanto mi resta da vivere? > era stufa di attendere. Romano le lanciò uno sguardo seccato e astioso.

< Sa una cosa? Credo che il danno sia precedente alla caduta. > rispose maligno.

< Oh oh oh! Lei è un pozzo di gentilezza nei miei confronti! >

< Perché dovrei essere gentile con lei? Perché mi ha salvato la vita? > forse sarebbe il caso…

< Quando si aiuta qualcuno non si desidera niente in cambio: lo si fa e basta! Non voglio nulla da lei. > la donna si alzò dal lettino. < Visto che è tutto a posto, vado via…..A proposito, lei ha qualche problema. > e indicò la sua testa < Si fidi: è il mio campo. > e uscì, lasciando Romano con la sua cartella in mano!

La vita continuò a scorrere come sempre tra lavoro, casa e tempo libero (questo non era mai abbastanza!). Catherine non frequentava più l’ospedale, per fortuna! Il sig. Macy era stato dimesso e incontrava la sua psichiatra una volta a settimana, come molti altri.

La dottoressa Knightley passava la mattinata e parte del pomeriggio nel suo studio, pranzava con la sua segretaria Martha e tornava a casa per le sette di sera. Nel suo appartamento si dedicava ad una buona cenetta (non quelle porcherie che spesso, per necessità, si trovava a ingurgitare) e alla lettura di un buon libro, un film o un’uscita con qualche vecchia amica del college.

Era ora di pranzo e con Martha si era recata in un self-service: niente di eccezionale. Comprarono due insalate e qualche tramezzino, non erano molto salutari, ma in mancanza di meglio dovettero accontentarsi. Durante il pranzo preferivano passeggiare: passare tutta la giornata con il sedere incollato alla sedia non era giovevole.

Uno degli argomenti preferiti dalle due donne era proprio il fondoschiena: si lamentavano continuamente di forma e dimensione: una vera psicosi!

Martha era sposata e aveva due figli adolescenti e non faceva altro che ammonire Cathe sul fatto che lei, a trentacinque anni, era single. Pareva che dovesse trovarsi un compagno per il bene del mondo!

< Non voglio compromettere la mia carriera. Ho studiato troppo per rovinare tutto per un uomo. Non valgono tanto! >

< Devi stare attenta nella scelta. > Martha tentava di convincerla.

< Ho avuto qualche relazione e tu conosci i particolari. Diciamo che sono in pausa di riflessione e preferisco star sola al momento. >

Erano arrivate al Lincoln Park quando videro un cane, un bovaro delle Fiandre, scuro, con il collare, un po’ malconcio e tirato. Guaiva: forse era ferito, forse aveva avuto qualche brutto incontro con qualche auto.

< Vieni qui! > Cathe fu commossa da quell’apparizione. C’erano momenti in cui pensava che gli animali fossero decisamente migliori degli umani. Controllò se avesse una medaglietta.

< Come si chiama? > chiese Martha che si teneva a distanza: non amava molto i cani.

< Gretel…..sei una signorina! > disse alla bestiola coccolandola. < Non sembra sia ferita > le porse uno dei suoi tramezzini: fu divorato in meno di dieci secondi! < E’ affamata, però! >

Catherine portò la cagna nel suo ufficio, nel frattempo Martha fece un salto al supermercato per comprare qualcosa di più adatto da darle da mangiare.

La psichiatra la pulì con un panno umido.

< La pulizia è importante…… Vediamo se c’è scritto altro sulla medaglietta. > Martha nel frattempo aveva svuotato un’intera scatoletta per cani in un piatto di carta. < Madison Avenue 1254. >

< E’ un quartiere residenziale. > Martha conosceva la città meglio di chiunque altro.

< Vuol dire che dopo il lavoro l’accompagnerò a casa. Forse è stata persa da qualche dog-sitter. >

Alle sette in punto, cacciato via l’ultimo paziente, agguantò Gretel dal collare e la accompagnò verso l’auto. Non era un’impresa semplice trattenere un cane grosso come quello e mantenere l’equilibrio sui tacchi delle sue scarpe. Fosse stato per lei, avrebbe tenuto le sedute in jeans, ma la professionalità richiedeva il suo stile.

Guidò alla ricerca del numero 1254. Lo trovò in fretta. Una bella casa, un bel giardino. Cathe pensò che il proprietario avesse un bel po’ di quattrini da spendere. Non notò giochi di bambini in giardino, quindi il cane poteva appartenere ad una coppia o ad una persona sola. Scese dall’auto.

Gretel saltò giù alla velocità della luce e prese a grattare sulla porta. Era la casa giusta. Cathe si avvicinò alla cassetta della posta per leggere il nome del proprietario.

< E’ un incubo?! > si disse. “Dr. R. Romano” < Non è possibile! > si avvicinò alla porta. Ci volle qualche minuto, ma la porta si aprì. Romano non guadò la persona sulla sua soglia, ma si impegnò nel salutare e coccolare il suo cane.

< Tesoro, stai bene? > disse accarezzando la cagna che lo leccava ovunque. < Ammazzerò Bud, sta’ tranquilla! > Bud doveva essere il dog-sitter malcapitato. Povera bestia!

Romano controllò che Gretel non avesse graffi, ferite o altro. Notò che era pulita nonostante i due giorni di lontananza. Alzò lo sguardo verso chi le aveva riportato a casa la sua bambina e vide una donna in completo grigio perla e tacchi alti. Non una donna: lei!

< Lei?! > chiese stupito.

< Io! > Catherine incrociò le braccia al petto (abbastanza generoso!) < Lo so, sembra una persecuzione, ma è la realtà! >

< Vuole entrare? >

Cathe guardò verso il cielo < Vuole far piovere? Se è gentile con me rischiamo l’uragano! >

< Potrei cambiare idea. > ecco il vecchio Romano!

La donna entrò. Si guardò intorno: quella casa era davvero bella! Romano era insopportabile, ma aveva buon gusto e stile!

Il dottore la guidò verso la cucina; diede da mangiare al suo cane, ma questo rifiutò il pasto.

< E’ piena come un uovo: non ha fatto altro che mangiare nel mio studio! > disse Catherine rispondendo allo sguardo perplesso dell’uomo.

< Quanto ha speso? > ma che voleva fare? Restituirle i sodi?

< Non ha importanza. Si figuri! > non sarebbe mai scesa così in basso!

< Come preferisce. Dove l’ha trovata? >

< Al Lincoln Park. Era spaventata e sporca. Ho tentato di ripulirla, almeno in parte, ma nel mio studio ho solo una doccia. Non è stato possibile fare di più. >

< Come diavolo è finita fin là? > chiese Romano un po’ innervosito.

< Questo non lo so. Dovrebbe chiederlo a Bud, immagino. >

< Bud è un morto che cammina! > era arrabbiato per davvero.

< Ora non esageriamo: ha sbagliato, ma merita una seconda possibilità! > Cathe aveva avuto la sensazione che se avesse detto che Gretel era “solo” un cane e che non avrebbe dovuto prendersela così, sarebbe stata buttata fuori a calci! Mai sottovalutare i padroni di animali domestici!

Romano le propose una tazza di tè. Cahteirne accettò e fece ciò che sapeva fare meglio: osservare. Senza il camice bianco quell’uomo incuteva meno paura, sembrava più umano. Era senza protesi. Faceva quasi compassione, ma Cathe ricordò quanto fosse antipatico e problematico e questo pensiero fuggì dalla sua mente.

< Ha un turno al Policlinico? > chiese quando l’uomo le porse la sua tazza.

< No. > che uomo di compagnia!

< Vive solo? > tanto valeva ritentare.

< Secondo lei? >

< Ha intenzione di chiacchierare un po’ oppure facciamo il gioco del silenzio? > vediamo che rispondi ora, pensò la donna.

< Odio le domande stupide! > era irrecuperabile.

< D’accordo, faccia lei una domanda intelligente. >

< Il suo trauma cranico? > prendeva anche per il culo!

< Non avevo un trauma cranico. Comunque sto bene, grazie. La ferita alla fronte sta bene anche lei. >

< Quel genere di ferite se le procurano i bambini, di solito. >

< Io sono l’eccezione, contento? >

Romano sorrise. Era divertito. Strano modo di divertirsi: giocare col fuoco, sfiorando le offese. Mah!

< Felice di vederla sorridere! Diventa più sopportabile alla vista! > caricò Cathe, sorseggiando il suo tè.

< Perché mi perseguita? > chiese lui.

< E’ il destino che perseguita entrambi. Mi creda, non mi piace essere maltrattata e non sopporto molto i medici, in generale. >

< Pensa davvero che io la maltratti? E poi perché odia i medici? Lei è un medico! >

< Innanzi tutto credo che lei sappia fare di meglio, in quanto a maltrattamenti. In secondo luogo odio gli ospedali più che i medici: sa, gli ospedali puzzano! >

Romano parve trovare le sue battute divertenti, peccato che non erano battute, ma la pura verità!

< Ha sempre avuto questo caratterino? > domanda cruciale: le reazioni potevano essere due: o la buttava fuori a calci oppure avrebbe risposto. Forse più la prima…

< Il mio caratterino è sempre stato così. Non è dovuto all’incidente, se è lì che vuole andare a parare. >

< Ok…. Credevo che mi avrebbe sbattuto fuori per la domanda. > tirò un sospiro di sollievo.

< E’ stata la prima cosa che ho pensato. > ammise l’uomo. Fu il turno di Catherine nel sorridere.

< La diverte? >

< Molto! Lei è un tipo strano. Più parlo con lei più penso che sia un delitto lasciarla qui da solo: non può consumare così il suo talento caustico! >

< Non tutti lo apprezzano. > si era rattristato un po’.

< A volte gioca al limite ed è egocentrico….. Credo che sia anche un tantino egoista, orgoglioso e testardo. > ecco: gli aveva fatto le analisi! Dannata deformazione professionale!

< Ognuno è fatto a modo suo. > questa era una difesa.

< Devo andare adesso. E’ stato un piacere rivederla, nonostante tutto. >

< Grazie per il cane. >

< Vuole provare l’ebbrezza del diluvio universale? Non esageri! >

Erano due settimane che la strana coppia non si vedeva. Troppo presi dai loro impegni professionali, e poi, diciamoci la verità, non si erano mai dati appuntamento!

Catherine aveva parlato del dr Romano a Martha durante un’altra pausa pranzo. Martha era rimasta sconcertata: non amava le persone arroganti e troppo sicure di sé! Cathe aveva glissato sul fatto che al simpatico dottore mancasse un braccio. La sua segretaria aveva la sindrome della crocerossina: conoscendola avrebbe preparato una torta di mele da regalargli!

In effetti Cathe voleva i particolari della tragedia dell’elicottero: Nonno Alvin non aveva spiegato granché, anche perché, sospettava la psichiatra, probabilmente era una notizia di trentesima mano e quindi non precisa. Voleva sapere cosa fosse successo, perché aveva intuito che c’era qualcosa che non andava in Romano.

L’aveva capito quando lo aveva salvato: anche lei era spaventata dalla caduta dell’elicottero, ma il dottore era terrorizzato, tremava ed era a rischio convulsioni, motivo per cui gli aveva somministrato il Valium.

Unica persona che conosceva e che poteva essere al corrente degli avvenimenti era la dottoressa Corday. Il problema era che non poteva andare in ospedale, cercare la donna e chiederle: cosa è successo al dottore? I calci nel sedere non glieli avrebbe tolti nessuno!

Doveva vivere con questa incertezza. Fine della storia.

Gli eventi vollero che dovette tornare al County General Hospital. Durante una seduta un suo paziente diede i numeri: la aggredì e le morse un braccio. Una cosa del genere non le era mai successa, ma nella professione psichiatrica se ne potevano vedere di tutti i colori. La maggior parte dei pazienti erano persone normali con qualche problema relazionale o mancanza di fiducia in se stessi o semplice bisogno di parlare. Altri erano persone con seri disturbi mentali: dai depressi agli schizofrenici, dai paranoici ai sociopatici (potenziali serial killer). Questi erano inviati dall’ente di Igiene Mentale.

Era riuscita a bloccare il suo aggressore ed aveva chiamato la polizia.

Martha guidava verso il Policlinico: era il più vicino.

< Perché accetti quei pazienti? > la rimproverò la segretaria.

< Perché fanno parte del mio lavoro e mi romperei a sentire delle cretine con problemi sessuali del cazzo, idioti che mi raccontano i loro sogni, nella speranza che io li traduca in numeri per la lotteria, già che ci sono. > era dolorante. Il morso era profondo e sanguinava parecchio.

Giunsero al pronto soccorso. Cahte si avviò alla reception da sola: aveva detto a Marta che poteva tornarsene a casa.

< Qualcuno può aiutarmi? > disse mostrando il braccio al tizio che prendeva le telefonate.

< O mamma! Le mando qualcuno subito. Ma che ha fatto? >

< Mi hanno morso! >

La sorte volle che la dr.sa Corday passasse di là. Quando vide il braccio la portò in sala suture. Che bei ricordi!!!

< Capita spesso? > chiese Elizabeth.

< No. Non mi era mai capitato di essere morsa. Ho ricevuto altri tipi di attenzioni dai miei pazienti. >

La Corday la guardò sconcertata.

< Coltelli e pistole? >

< Solo a volte. Molti se la prendono con la mia auto. I peggiori sono gli schizofrenici e i sociopatici. >

< Vengono da lei? >

< Fa parte dei programmi di riabilitazione. Quando scaricate qualcuno da qui che ha qualche problemino, l’ente pubblico li manda da noi con un bonus di trecento dollari. Ma, mi creda, non valgono il rischio. >

< Lo immagino. Per fermare alcuni di loro servono infermieri della stazza di John Cena! >

< Ora immagini me in una situazione del genere! Sono alta un metro e sessanta! Per fortuna avevo a portata di mano un tranquillante. >

La dottoressa le mise un paio di punti, le fece iniezioni antirabbia e antitetaniche.

< Deve tornare per le medicazioni. Questo tipo di ferite possono infettarsi con facilità. >

< Si rischia la setticemia? >

< Sì. >

< Grandioso! > stava per alzarsi quando un malore la costrinse a risedersi. Sudava freddo. La dottoressa le controllò il polso.

< Si stenda sul lettino. E’ solo lo shock dell’aggressione. > l’accompagnò in fondo alla stanza.

Si sentiva a pezzi. Tremava leggermente. Si costrinse a respirare profondamente per calmare i nervi. Che giornata era stata quella!

La dottoressa Corday cercò la sua cartella e stava aggiungendo il suo intervento all’elenco, quando qualcuno le arrivò alle spalle.

< Giornata tranquilla? > disse Romano appena arrivato.

< Abbastanza. E’ tornata la dottoressa Knightley. > lo informò.

< Si è uccisa da sola? > che simpatico!

< No, ma è stata morsa da un suo paziente. E’ un po’ sotto shock, ma si riprenderà. Non andare a salutarla. > disse Elizabeth con l’aria di chi la sa lunga.

< Perché dovrei? >

< Non si sa mai! > una risposta criptata.

Era l’ultima medicazione della sua ferita. Era con la dottoressa Corday.

< Finalmente è finita! > disse felice Catherine.

< Odia le bende? >

< Abbastanza. E poi sono più tranquilla: non ci sono state complicazioni. > sorrise. Viva la politica del “pensare positivo”!

< Ha programmi per stasera? >

< Vado a cena con delle vecchie amiche. Serata tra donne. >

< Fidanzato? >

< No, per carità! Ultimamente sono troppo isterica per avere un uomo. Ammetto che in certi momenti non mi dispiacerebbe, ma per ora non se ne fa niente. >

< Non le interessa nessuno? > insistente!

< Perché insiste su questo argomento? Sono una psichiatra: non faccia giochetti mentali con me! > il suo sguardo era intenso e stava valutando la donna seduta accanto a lei.

< All’inizio pensavo che venisse qui per il dr Romano. > una bella insinuazione.

< Scherza, vero? >

< No. Robert mi ha raccontato che è stata lei ritrovargli il cane e che è stata gentile nei suoi confronti. >

< Parliamo della stessa persona? Perché sa, sono stata a casa sua, ma credevo che la mia visita fosse stata più una guerra che un piacere. > non ci stava capendo niente. Romano parlava di lei ad una sua collega elogiandola? Misteri dell’occulto!

< E’ un tipo strano, ma in fondo non è una cattiva persona. >

< Cattiva no, ma difficile sì! Attacca in maniera preventiva e il suo modo di fare potrebbe….offendere!….Però, è vero, non mi dispiace! > lo aveva ammesso: il matto l’affascinava. A volte. < Potrei farle una domanda? > ed ecco qui soddisfatta la sua curiosità. La Corday, dopo un momento di titubanza, parlò dell’incidente sul tetto con l’elicottero, del riattacco del braccio, delle difficoltà negli interventi, dell’incidente con il fuoco e dell’amputazione. Cathe era frastornata. Perché la sorte si accanita così su un uomo?

< Il pronto soccorso non è il suo ambiente. > disse Elizabeth. Fissava il vuoto.

< La sala operatoria gli andava meglio. > Cahte stava facendo due più due nel suo cervellino: l’abilità del dottore nel mettere punti era un indizio. E poi un uomo ambizioso e arrogante come lui doveva conoscere benissimo le proprie capacità, grandi capacità, e non poteva accontentarsi del primo intervento! < E’ un po’ depresso. >

< Gli ha fatto le analisi? > la Corday non era molto meravigliata, in realtà.

< Deformazione professionale….Osservandolo, ad occhio e croce, prima non portava la barba, vero? >

< Infatti…come fa a…. >

< La barba serve per nascondersi. Una sorta di scudo protettivo. Inoltre era il cambiamento più drastico e veloce che potesse fare. Quando si affronta una situazione difficile si ha voglia di cambiare. Una donna si taglia i capelli, un uomo cresce la barba….. Donne? > chiese ancora.

La Corday la fissò: perché proprio a lei quella domanda?

< Beh…..diciamo che…. >

< Oddio, le ha fatto il filo? > che spasso!

< Ci ha provato. Prima frequentava parecchie donne. Una alla volta comunque, non vorrei che si facesse un’idea sbagliata di Robert. Per lo più alte e bionde. > ricordò molti incontri galanti di Romano.

< Dall’incidente, però, non batte chiodo. Succede spesso: non ha perso solo un braccio nell’incidente, ma parte della sua attrattiva. Diciamoci la verità: ha un caratterino tutto particolare, è senza un braccio e non ha più una posizione di rilievo nell’ospedale. Non è più considerato come una volta. La maggior parte delle sue conoscenze, deduco, erano persone superficiali, poco interessate a lui come persona. Ci credo che è depresso! > perché si agitava tanto? Non sapeva spiegarselo. Non avrebbe dovuto: quell’uomo non avrebbe mai provato gratitudine nei suoi confronti.

Salutò la dottoressa e prese un taxi. Che storia!

Il Coconut era un locale sul lago Michigan. C’era una sala ristorante e una zona adibita a pub con divanetti e luce soffusa. Aveva un bel bancone nero lucido dove servivano alcolici con la velocità di una Ferrari Testarossa! Non era il posto giusto per ubriacarsi, perché a frequentarlo erano tutti professionisti che avevano bisogno di mantenere una certa classe e stile. Se volevi affogare i tuoi dispiaceri nell’alcol, ti recavi in birreria: potevi incontrare altre persone che come te erano scoraggiate dalla vita e fare anche terapia di gruppo, già che c’eri!

Catherine non amava molto quel locale. Preferiva qualcosa di meno impegnativo. Per frequentare quel posto, elegante come un ballo delle debuttanti, era necessario vestirsi con diecimila dollari di abiti, scarpe e borse ed essere affettati e tirati. Una palla! Quasi preferiva un posto dove poter ruttare in libertà! Non che lei avesse queste abitudini, ma trovava quel locale e i suoi frequentatori eccessivi.

Era nella zona pub con un nutrito gruppo di amici. Sorseggiava un Martini con poca convinzione. Trovava esageratamente attillato il suo vestito in velluto verde. Era ingrassata negli ultimi mesi, colpa dello stress. A sceglierlo era stata la sua amica Alex, che si era fiondata a casa sua, piena di consigli estetici, perché doveva presentarle un amico del marito: un coglione! Interessante quanto uno sputo e con argomenti fissi: football e lavoro. Ma dove pescava certi elementi la sua amica? Nelle discariche? Era single, non disperata!

Cathe giocherellava con l’oliva del Martini. Decise di prenderne un altro: aveva stabilito di bere per dimenticare. Invece di aspettare il cameriere, si diresse lei stessa al bancone del bar. Almeno si sarebbe allontanata dall’uomo dei suoi sogni!

< Mike fammene un altro. > disse al barista.

< Giornata nera? > i baristi sono meglio degli psicologi, a volte!

< Hai visto che imbecille mi hanno presentato? Ti sembro così disperata? >

< Non mi sembri affatto disperata. >

< Appunto! > mentre Mike le versava un altro drink, Cathe spostò lo sguardo verso destra, tanto per controllare chi fosse presente lì quella sera. Eh si, quando si dice il destino! Quattro posti più in là un uomo pelato, barba rossiccia, era seduto al bancone e sorseggiava un J&B, fissando il fondo del bicchiere.

< Sai un cosa, Mike? Ho trovato qualcuno di molto interessante! > e preso il suo Martini si spostò più in là.

< Quando si dice che il mondo è piccolo! > disse in tono sarcastico.

< Quando si dice che la iella ti perseguita! > Romano era di umore nero….che novità!

< Cosa ci fa tutto solo in questo locale? Se vuole ubriacarsi, le consiglierei il bar all’angolo: prenda la birra doppio malto e ci dia dentro. >

Romano non rispose. Era depresso sul serio e aveva perso parte del suo cinismo.

< Le va di unirsi a me e alla mia compagnia? Alcuni di loro sono una vera palla, ma almeno alziamo il livello della conversazione. >

< Mi sta adulando? > la guardò negli occhi scuri.

< Beh, non ho mai detto che lei mi pare un rincoglionito. >

< No, grazie. > disse dopo aver squadrato il gruppo ai divanetti.

< Allora le faccio compagnia io. Non sopporto più di stare lì in mezzo. > disse fissando il giuggiolone che le era stato appioppato quella sera. < Prendiamo un tavolo e ordiniamo qualcos’altro, le va? > Romano annuì con il capo: era sabato sera ed era una vita che non usciva con una donna. Anche la psichiatra gli andava bene in quel momento, nonostante a volte fosse troppo invadente.

Mike li accompagnò ad un tavolino appartato. E, tanto per prenderli un po’ in giro, accese una candela tra loro due. Lo sguardo di Robert fu omicida e Cathe spense la candela al più presto. Meglio non scherzare col fuoco!

< Come mai qui stasera? > a iniziare la conversazione fu Catherine, come sempre.

< Una serata diversa. Ci venivo spesso prima. > e quel prima era eloquente.

< Non l’ho mai vista…..io invece non ci vengo spesso; quando sono qui è perché mi hanno trascinata. >

< Incontro galante? > chiese Romano, sorseggiando il terzo bicchiere della serata.

< Sì. Tutti insistono affinché metta la testa a posto e decida di fare la moglie. Quando li avrò accontentati, mi pregheranno di sfornare un bambino e via così, verso l’infinito e oltre! Mi presentassero qualcuno di decente, potrei farci un pensierino, ma ultimamente si tratta di scarti di produzione! >

< Perché? Lei crede di essere Miss Universo? > non era carino da dire ad una donna.

< No, penso di essere meglio! Sotto alcuni punti di vista. > Romano sorrise. < Mi piace quando sorride. >

< Stia zitta! > il complimento gli era piaciuto e tentava di nasconderlo. Cathe sorrise sorniona, felice della sua vittoria!

< Lei non ha questi problemi? >

< No, per fortuna no. > a quanto pareva non aveva nemmeno qualcuno che gli rompesse le palle! A questo c’era rimedio.

< Fortunato. Il lavoro procede bene? > era un tasto dolente.

< Mmh > fu la risposta. Sottointeso: mi rompo i coglioni!

< E’ sempre così di compagnia lei? Ho saputo che qualche tempo fa era un playboy: che faceva per tutto il tempo con le donne? >

< Provi ad immaginare. > uno strano luccichio attraversò gli occhi del medico. Per tutta risposta Cathe stava per strozzarsi con gli arachidi. < Che ci trova da ridere? >

< Scusi, ma sa, mi pare un po’…..difficile….crederlo. >

< Vuole una dimostrazione? > ahi ahi caramba!

< No….qui davanti a tutti mi sentirei a disagio! Nonostante il vestito scollato sono pudica più di quel che crede. >

< Capito il genere: una di quelle che non la da se prima i muli non volano. E’ vergine? >

< No…. Perché sta partendo in quarta? Stiamo solo conversando, anche se non le piace molto. >

< Qual è il mio problema, secondo lei? > il suo sguardo si era fatto tagliente.

< Non le faccio alcuna diagnosi! Per averla, di solito, si sborsano ottanta dollari l’ora. >

In quel momento Alex, l’amica della psichiatra, giunse al tavolo.

< Ti ho cercata per tutto il locale. Perché sei sparita? > quando si accorse che la donna era in compagnia si bloccò di colpo < Non sapevo fossi impegnata. Io sono Alex Cassidy. > disse porgendo la mano a Romano.

< Dr Robert Romano. > rispose quello, alzandosi e rispondendo cortesemente al gesto.

< Lei è il dr Romano? L’uomo dal tocco…..> non finì la frase.

< Che c’è Alex? > la interruppe Cahte: sapeva cosa stava per dire: l’uomo dal tocco fatato! Una frase del genere l’avrebbe fatta morire di vergogna!

< Cosa? Ah, sì….andiamo all’Obart. Vieni con noi? > dì di no, dì di no! Si ripeteva Alex. La sua amica con un uomo dopo anni di nulla? Un miracolo! Alleluia!

< Resto qui. >

< Bene! > disse Alex con entusiasmo. Troppo entusiasmo, molto sospetto. < Ci sentiamo, allora! Ciao! > e si volatilizzò alla velocità della luce.

Romano pareva shockato dall’ultimo incontro.

< Chiedo scusa per l’intrusione. >

< Qual era l’aggettivo mancante? > aggettivo?! Oh mamma….non aveva perso una parola!

< Quale aggettivo? > tentativo di fare l’indifferente, sorseggiando il drink e guardando ovunque tranne davanti a lei.

< La sua amica ha detto: l’uomo dal tocco…e poi? >

< Se glielo dico lei ne approfitterà, quindi preferisco mantenere il segreto. >

< Visto che mi riguarda, vorrei saperlo. >

Cathe capì che non c’era verso: avrebbe insistito finché non avrebbe svuotato il sacco. Cominciarono a colorarsi le sue guance: non le capitava da anni che qualcuno la facesse arrossire. Nell’imbarazzo totale sussurrò a mezza voce: < Fatato. >

Romano ne parve compiaciuto.

< Cambiando argomento… > tentò la donna.

< Perché mai? Approfondiamo il discorso. > ma che bastardo! Il suo sguardo era più luminoso.

< Non ho altro da dire sull’argomento, se argomento può essere. >

< Mettiamola in questo modo: parla di me ai suoi amici? >

< Mi hanno chiesto perché avessi un cerotto sulla fronte. Che dovevo dire? Che era una trovata di moda? >

< Avrebbe potuto limitarsi a dire che era caduta come un’imbecille! >

< Grazie per il complimento! > questa se l’era legata al dito: ora quell’uomo stava esagerando.

< Non se la prenda. Scherzavo. > Romano aveva annusato il pericolo. In fondo gli dispiaceva trattarla male, ma a volte non resisteva alla tentazione.

< A volte esagera, lo sa? > il suo sguardo era cupo.

< Lo so e per questo le ho chiesto scusa. > le prese la mano. Cahte fu stupita da quel contatto. Le mancò un battito. Lo guardò negli occhi e si addolcì.

< Va bene. > disse lei, interrompendo l’idillio < E’ perdonato. >

< Bene. > rispose Romano sorseggiando ancora.

Chiacchierarono ancora un po’. Meglio: Catherine chiacchierò e Romano si limitò ad annuire e a fare le sue solite battutine snervanti.

La serata era giunta al termine. Uscirono dal locale.

< E’ stato un piacere rivederla. > disse Cathe, stringendosi nel suo cappotto. Le sue parole furono accompagnate da sbuffi di vapore acqueo.

< Dove ha la macchina? > chiese il dottore.

< Dietro quell’isolato. >

< L’accompagno. > allo sguardo interrogativo della donna rispose: < Non sono maleducato. Sono le tre del mattino, non posso lasciarla andare sola fin là! >

< Grazie! > e si incamminarono fianco a fianco. Iniziò a nevicare. Piccoli fiocchi scesero dal cielo e i due arrivarono all’auto.

< Vuole un passaggio? > chiese Cathe.

< No, ho la macchina più in là. > rispose lui.

< Ok. > continuavano a fissarsi, provando strane sensazioni. Robert le ricacciava indietro con prepotenza e arroganza. Cathe….lei si accorse della politica adottata dal suo accompagnatore e non fece nulla per aggirarla. < La saluto! Magari ci incontreremo ancora…. Il mondo è strano! > stava per entrare in macchina, quando si fermò un momento. Si avvicinò all’uomo e gli sfiorò la guancia. Romano si tirò indietro istintivamente. < Ha fiocchi di neve nella barba! > disse lei, rassicurandolo < Se posso darle un consiglio, io la taglierei. Le dà un’aria uggiosa…. Buonanotte! > e lo lasciò lì, come un baccalà!

La dottoressa Knightley era nel suo studio. Attendeva uno dei suoi pazienti, la signora Halliwell. Era in ritardo. Nell’attesa passeggiò per la stanza per sgranchirsi le gambe. Quello sarebbe stato l’ultimo appuntamento della giornata. Era stanca di ascoltare gli altri. Voleva starsene un po’ da sola nel silenzio del suo appartamento. Quel lunedì, invece, aveva un incontro con Alex al cinema. Sospettava che non avrebbero visto alcun film: Alex le aveva dato appuntamento con la scusa del film, ma con la chiara intenzione di indagare su ciò che era successo il sabato sera precedente. Cosa era successo? Niente! Ecco la risposta. La sua paziente arrivò e dimenticò per un po’ il suo problema.

< E’ un vecchio film. > disse Alex, porgendo a Cahte il suo biglietto.

< L’ho notato. Alla faccia di quei poveretti che si sbracciano per le ultime novità degli effetti speciali! >

< E’ una storia d’amore bellissima. Di quelle con il lieto fine, non come Titanic! Che tristezza. >

< Non dirmelo. > rispose senza entusiasmo. Catherine aspettava l’esplosione: Alex non sarebbe riuscita a trattenersi per sempre. Stava giocherellando con il biglietto, con i capelli, con qualsiasi cosa le capitasse a tiro. Cathe sospirava: questione di momenti.

< Allora? >

< Cosa? > indifferenza.

< Lo sai! >

< No, non lo so! >

< Dr. Tocco Fatato! >

Basta chiamarlo così! Era imbarazzante.

< Se ti sente chiamarlo così ti ammazza. Comunque, cosa vuoi che sia successo? >

< Non….insomma… >

< Hai problemi a trentatre anni nel parlare di sesso? Mi meraviglio! > e ti pareva.

< No! >

< Mi sembrava…..comunque no, niente di niente! Non siamo nemmeno amici! Ognuno per sé. Fine della storia. >

< Non te la cavi così. Mike mi ha detto che siete usciti dal locale alle tre. Che cavolo avete fatto? >

< Abbiamo solo chiacchierato, ci siamo offesi a vicenda e mi ha accompagnato alla macchina. >

< Non ha chiesto il tuo numero? > Alex pareva meravigliata.

< Non ha chiesto niente e io non ho chiesto niente a lui. Possiamo cambiare argomento? Non tutti gli uomini che conosco chiedono il mio numero. > non ne poteva più. Alex rispettò i suoi silenzi. Per tre minuti.

< Secondo me ti dispiace. >

< No, invece. E’ un uomo problematico e complessato. Ne vedo già troppi al giorno così. Faccio a meno volentieri. > era una bugia e Cahte lo sapeva.

Quel tipo le piaceva. Non era il solito idiota che pendeva dalle sue labbra, ma discuteva con lei. Era stimolante anche solo la sua presenza, perché sapeva che aveva una sua opinione, un suo modo di pensare. Non era più un chirurgo? E allora? Non aveva un braccio? E chi se ne frega! Unico problema: aspettava una sua mossa. Una qualunque mossa. E questa non sarebbe mai arrivata: Romano aveva problemi interiori e doveva risolverseli da solo; conoscendolo non avrebbe accettato aiuto da nessuno. Non poteva farci niente.

< Stai mentendo! >

< Alex! Basta. Non ho voglia di parlare di lui. >

< Cosa abbiamo? > chiese il dr Romano a un tirocinante.

< Il paziente lamenta dolori addominali, occlusione intestinale, sudorazione elevata e temperatura in aumento. >

< Pressione? >

< Centoquaranta su novanta. Normale. >

< Stabilizzatelo e fategli un clistere. Non dimenticate di idratarlo. > e uscì dalla stanza.

Percorse il corridoio e arrivò al bancone principale. Firmò cartelle e altri moduli del caso: autorizzazioni per esami e comunicazioni varie.

< Sono in arrivo sei persone coinvolte in un tamponamento a catena sulla statale. >

Dopo pochi minuti arrivarono le ambulanze. Tre pazienti erano molto gravi, uno non arrivò vivo all’ospedale e gli ultimi due avevano ferite superficiali. Tutto il pronto soccorso era in fermento: medici e infermieri correvano da una stanza all’altra.

Romano collaborava con la Corday (l’unica che lo sopportava!) nel tentativo di salvare la vita ad uno dei pazienti. I loro tentativi furono vani e in pochi minuti un uomo di quarant’anni fu dichiarato morto. Il dr Romano buttò via il camice sporco di sangue e passò nella stanza accanto.

< Serve una mano? > ridete alla battuta!

Appena si fu avvicinato alla paziente gli prese un colpo: Alex Cassidy.

< La pressione sta scendendo! > aveva urlato la Weaver < Muoversi! >

Romano prese una strana decisione in quel momento: invece di intervenire in qualche modo, uscì fuori dalla sala emergenza tre e tornò al bancone.

< Trovami il numero della dottoressa Knightley! E’ una psichiatra. > urlò alla ragazza alla reception. Il numero fu trovato in fretta e composto.

Catherine era nel bel mezzo di una seduta. A prendere la telefonata fu Martha.

< Studio della dottoressa Knightley. >

< Sono il dr Romano. Chiamo dal policlinico. Voglio parlare con la dottoressa. >

< In questo momento non… >

< Me la passi ora! > Romano lo urlò quasi. Martha fu spaventata dal tono dell’uomo. Chiamò la linea interna. Cathe si scusò con il suo paziente.

< Pronto? >

< Sono il dr Romano >

< Che sorpresa! >

< Poche chiacchiere. Alex Cassidy è qui al pronto soccorso. Ha avuto un incidente stradale. È grave. >

< A-arrivo subito! > Catherine era stordita. Dopo un momento di vuoto totale nel cervello, compose il numero di Mark, il marito della sua amica. Dopo pochi minuti era al County General Hospital.

Quel luogo era nel caos, come sempre: gente che andava, che veniva, medici di corsa, sala d’attesa piena come un uovo, ambulanze che arrivavano e ripartivano. La psichiatra individuò subito Mark e si diresse verso di lui.

< Dov’è? > chiese.

< In sala operatoria. Oddio…. > l’uomo era disperato. Si sedette per terra. Cathe rimase in piedi. Con lo sguardo cercava qualcuno che conoscesse e potesse darle qualche informazione. Mark era inservibile in quel momento e non poteva chiedergli con chi aveva parlato. Non notò nessuno. Guardandosi intorno aveva visto persone piangere. Parenti delle vittime, ad occhio e croce. Nulla di più triste e traumatico come perdere qualcuno all’improvviso.

Passò mezzora e non si seppe ancora nulla. Il piano terra si era leggermente svuotato. Cathe si era sciolta i capelli scuri. Era stanca a causa della tensione. Voleva avere notizie. Mark era ancora sotto shock. Lo lasciò lì in cerca di un medico. Fu il medico a trovare lei.

< Dr.sa Knightley. > una voce alle sue spalle.

< Dr. Romano! > era felice di vederlo.

< La sua amica è di sopra sala rianimazione quattro. È fuori pericolo. >

Catherine sospirò. La tensione si sciolse e due lacrime le solcarono il viso. Non riuscì a ringraziare Romano: corse a dare la notizia a Mark.

Qualche minuto dopo era al quarto piano fuori dalla stanza: non le era permesso entrare. La dr.sa Corday era passata a dare ragguagli sulle condizioni della paziente. Era stata lei ad operarla.

< E’ sua amica? > chiese la dottoressa.

< Sì. Mi ha chiamato il dr Romano. >

Elizabeth parve sorpresa, ma non tantissimo. Aveva qualche sospetto. Nulla di definitivo, ma qualcosa c’era. Mentre scendeva le scale pensava al fatto che Robert non si era mai comportato così. Lo cercò.

< La dottoressa Knightley è di sopra. > disse, quasi per caso.

< Lo so. >

< C’è qualcosa che non so? > era curiosa. Forse non era più la donna dei desideri proibiti del medico. Forse un po’ le dispiaceva. O forse no?

< Cosa intendi? >

< E’ un bel po’ che non corteggi una donna. > era questo quello che le sembrava.

A Romano stava per andare il caffè di traverso.

< Non sto corteggiando nessuno! >

< Allora perché l’hai chiamata? Sai benissimo che non è da te. >

< Volevo sdebitarmi con lei. > era la verità?

< Non è da te. > Elizabeth era chiara e decisa. Ormai conosceva bene quell’uomo. Inoltre pensava che corteggiare una donna lo distraesse dal deprimersi per la sua situazione. E questo andava più che bene.

< Lizzie , io non sto corteggiando nessuno. Figurati se poi…. >

< Lei accetti di uscire con te? > si fissarono negli occhi.

< Non la sto corteggiando! >

Elizabeth stava per prendere un taxi quando un clacson richiamò la sua attenzione.

< Vuole un passaggio? > era Cathe.

< Grazie! > ed entrò in auto.

< Per oggi ha finito? >

< Sì. Torno a casa da mia figlia finalmente. Mi dia del tu e mi chiami Elizabeth! >

< D’accordo! Allora per te sono Cahte! O Catherine, come preferisci! Dove ti porto? >

< North Street. > Cathe annuì con il capo. In sottofondo c’era una vecchia canzone di David Bowie.

< Puoi cambiare cd se vuoi, ce ne sono un mucchio lì dentro. >

< Oh no, va benissimo!……posso farti una domanda? È un po’ indiscreta. > ammise la Corday.

< Va bene….forse ho intuito l’argomento. > disse sorridendo.

< Cosa c’è tra te e Robert? > tombola! Tutti erano curiosi riguardo qualcosa che non esisteva nemmeno in un universo parallelo.

< Anche Alex, in questo momento tua paziente, me lo ha chiesto. Non c’è niente. Non l’ho mai neanche chiamato Robert! Per me è il dr Romano e io sono per lui la dr.sa Knightley! >

< Non si direbbe. >

< Vuoi la pura e semplice verità? > chiese. Qualcosa le diceva di essere più sincera con lei.

< Decisamente. > finalmente luce sulla vicenda!

< Il burbero non mi dispiace. E’ un gran rompipalle, un immenso testone, ma alla fine, nonostante tutto, lo trovo interessante. So di essere masochista: è sempre stato il mio problema!….lui, però, resta sulle sue. Non posso rincorrerlo. >

< Vi siete visti altre volte? > la storia si stava facendo interessante!

< Abbiamo avuto un mezzo appuntamento. > le raccontò del sabato galeotto.

Elizabeth restò in silenzio per un attimo.

< Wow! E’ tutto quello che posso dire. Chi l’avrebbe mai detto? > si voltò verso Cathe: pensava di vederla felice, invece…

< Cosa c’è? >

< Sono una psichiatra e so che non dovrei farlo con tutti quelli che incontro, ma…Ha un bel po’ di problemi. Deve scrollarseli di dosso. E’ depresso. La questione è che vorrei fare qualcosa per lui, ma non so cosa! In teoria dovrei saperlo, ma non ci riesco. >

< Parlagli. Non si farà mai avanti senza una spinta. >

< Che vuoi dire? >

< Che non gli sei indifferente. Non aveva mai chiamato i parenti delle vittime. “Lavoro da infermiere”, lo definisce così. Però ha chiamato te. E’ più chiuso del solito, perso in chissà quali meandri della sua mente…. Credo si senta inadeguato. > era una chiara allusine < Di solito non aveva problemi a provarci con le donne. >

< Se fa così a causa del braccio, lo strozzo! Si sta tirando indietro perché crede che lo consideri un menomato? >

< Non è da escludere. >

< Che idiota! > era arrabbiata con lui < …….mi sto scaldando troppo, vero? > chiese alla dottoressa. Questa si tratteneva dal ridere. Annuì con il capo < E’ che….non so cosa mi abbia fatto quell’uomo. Mi sento….rincretinita!….Credevo non mi capitasse più una cosa del genere; pensavo…. di riuscire a controllare tutto….mi sbagliavo… Signore e signori, sono persa di un uomo! >

Il clima era ancora impietoso a Chicago. La neve continuava a scendere inesorabile su tutto e tutti. Era passato Natale e Capodanno. Catherine aveva passato le feste con la sua famiglia a New York. Un po’ lontano, vero? Lo so.

Era rimasta in contatto con Elizabeth. L’aveva chiamata il giorno di Natale per porgerle i suoi auguri.

< Felice Natale anche a te , Cathe! > aveva risposto la dottoressa.

< Molto gentile…..ah…faresti gli auguri da parte mia al burbero? >

< Vuoi il suo numero? > tentò Lizzie.

< Non saprei…..puoi anche darmelo, ma non so se chiamerò. Però fagli gli auguri, poi mi dirai la sua reazione…..un bacio. >

La cara psichiatra aveva il numero di telefono del dr Tocco Fatato da un mese, quasi. Non lo aveva chiamato. Si sarebbe sentita una stupida: che avrebbe dovuto dirgli? Non sapeva da che parte incominciare. Preferiva incontrarlo di persona.

Purtroppo ultimamente il lavoro la teneva molto impegnata tra pazienti e convegni. Non ebbe il modo di parlare nemmeno con Elizabeth.

Era gennaio inoltrato. Le giornate peggioravano a vista d’occhio. La neve si faceva più fitta e il traffico più serrato. Il gelo impediva una circolazione delle auto decente. Cathe era in auto quando il suo cellulare squillò.

< Dr.sa Knightley. > disse rispondendo.

< Sono Elizabeth. >

< Ciao! Dimmi! >

< Puoi passare dal policlinico? Abbiamo un problema. Un grosso problema. > la sua voce era preoccupata.

< Ho bisogno di un po’ di tempo. Il traffico è lento. Venti minuti, credo. >

< Va bene. Ti aspetto. > e la comunicazione fu chiusa.

Chissà cosa fosse successo.

Ci mise mezzora per arrivare in ospedale. Entrò e si informò al bancone principale. Fu inviata al sesto piano. C’era la polizia. Ma cosa era successo?

< Finalmente sei arrivata. > era la Corday.

< Cosa è successo? Perché c’è la polizia? > non capiva. Proprio no.

Elizabeth l’accompagnò dall’ispettore Conrad, un uomo alto quasi due metri, fisico atletico, di pelle scura. Si presentò.

< L’ho fatta chiamare perché abbiamo un problema con un suo paziente. Morgan Twain. E’ stato soccorso al piano terra ed è stato inviato qui per una perizia psichiatrica. Ha preso in ostaggio una psicologa e due pazienti. Ha una pistola. >

Catherine fissò il poliziotto, poi sospirò.

< Non è più mio paziente da due anni. Era stato mandato da me in terapia dal padre. Alla sua morte è passato sotto tutela della madre. La signora ha interrotto le cure e le sedute. Ho provato a convincerla, ma ho fatto solo buchi nell’acqua. >

< E’ stata sua madre a farci il suo nome. > disse Conrad.

< Vi ha anche detto che doveva essere segnalato alle autorità perché è uno schizofrenico violento e che le terapia non doveva assolutamente essere interrotta? > disse la psichiatra. Nella sua voce c’era frustrazione.

< Perché non era segnalato, allora? >

< Perché due anni fa le denunce non poteva farle uno psichiatra: era compito di un struttura ospedaliera o del tutore. A quanto pare, però, non è mai stata fatta alcuna visita ospedaliera prima di oggi…..bisogna fermarlo prima possibile. >

< Purtroppo non riusciamo a vederlo. E’ barricato dietro l’armadio. > disse ancora Conrad.

< Vuole che ci parli, vero? Posso provare, ma non so se mi ascolterà. >

Con un megafono l’ispettore richiamò l’attenzione di Morgan.

< Che volete? > urlò il ragazzo.

< Sono la dr.sa Knightely. Ti ricordi di me? > urlò di rimando Cathe.

< Cosa vuole? Anche lei vuole uccidermi? > era in pieno delirio. Bisognava disarmarlo in fretta oppure avrebbe ucciso qualcuno.

< Nessuno vuole ucciderti. Sai che puoi fidarti di me; ci conosciamo bene. Morgan, ricordi cosa facevamo qualche tempo fa? >

< Mandavamo via i folletti. >

< Esatto. Ci sono ancora? >

< Sì. >

< Vuoi che li mandiamo via? Che li facciamo star zitti? >

< Si può? >

< Si può provare. Ci stai? >

< Sì. >

< Ok. Allora lascia andare le persone che sono lì con te e lancia la pistola verso la porta. >

< La pistola la tengo io. >

< Morgan, questo non puoi farlo. I folletti potrebbero farti fare qualcosa di sbagliato, qualcosa che non vuoi. Mi serve la pistola. >

< No! >

Gli ostaggi furono liberati dal ragazzo. Nessuno era ferito. Nemmeno un graffio.

< Siamo solo io e te ora. > l’ispettore le aveva fatto cenno di far uscire allo scoperto il ragazzo per sparargli un tranquillante e farla finita. Catherine odiava mentire alla gente, imbrogliarla, ma non aveva scelta. < Guardami. Esci da lì e guardami: sono sola. >

Morgan si fidò di lei e venne fuori completamente dalla sua barricata. Non ebbe il tempo di capire cosa stesse succedendo. Un poliziotto sparò e lui fu atterrato.

< Ha mentito…. > furono le ultime parole di Morgan prima di addormentarsi.

Il ragazzo fu portato in un centro di cure lontano da Chicago. Catherine ricevette ringraziamenti dalle autorità.

< Hai fatto la cosa giusta. > le disse Elizabeth.

< Non lo so. >

Per tirarla su di morale la Corday propose di andare a prendere qualcosa di caldo a Doc Magoo. All’interno del locale l’aria era molto calda e carica di profumi mangerecci. Si sedettero ad un tavolo e qualche minuto dopo la cameriera portò loro i menù.

< Fanno anche il chili! > notò Cathe: non poteva restare depressa tutto il tempo.

< Felice che ti sia ripresa! > rispose l’altra donna, alzando lo sguardo verso di lei.

< Pensare positivo!…..E’ una filosofia di vita. Preferisco pensare che se non l’avessimo fermato avrebbe potuto fare del male a qualcuno. >

Erano lì da qualche tempo, quando entrò Romano. Lo sguardo della psichiatra puntò verso di lui. La Corday se ne accorse e decise di interpretare Cupido per quella sera, con tanto di alucce e frecce dorate!

< Ti unisci a noi, Robert? > chiese all’uomo, dopo aver richiamato la sua attenzione.

< Perché no? > fu la sua risposta. Si sedette di fianco ad Elizabeth.

< Felice di vederla! > disse sorridendo Cathe.

< Ho saputo della sua impresa. Una domanda: tutti i suoi pazienti sono così? >

< Matti dice?……la maggior parte no, ma passano inosservati.. >

Chiamatela fortuna, chiamatela coincidenza, ma il cercapersone di Elizabeth la richiamò ai suoi doveri.

< Devo lasciarvi. In arrivo un ferito di arma fa fuoco. Voi restate pure. > dopo questa frase era sceso un imbarazzo palpabile.

I due non parlarono molto. Era la prima volta che succedeva una cosa del genere. Forse, però, questo era dovuto al fatto che entrambi avevano avuto modo di riflettere. E poi, diciamolo, il gesto di Lizzie era stato più che indicativo! Per quanto potessero essere testardi e fare gli indifferenti, Elizabeth li aveva messi in condizione di non poter negare l’evidenza davanti a lei!

Dopo la confessione di Catherine, la Corday era riuscita a far capitolare anche Romano.

Robert era fuori a prendere una boccata d’aria fresca. Probabilmente cercava un po’ di solitudine.

< Non hai freddo qui fuori? > Elizabeth era appena arrivata.

< No, sto bene qui. > il suo sguardo era perso nel vuoto.

< Vuoi congelare? >

< Libererò questo posto dalla mia presenza per un po’. Forse faranno una festa per questo. >

< Non dire così. > poche volte l’aveva visto così depresso, una delle quali risaliva alla consapevolezza di non poter più operare. In quella occasione gli aveva detto che lui sapeva di non piacere a molte persone e che molte non piacevano a lui…..ma salvava la loro vita lo stesso. Era più buono di quel che dimostrava.

< A chi vuoi che importi? > Robert la guardò negli occhi. Elizabeth si sedette accanto a lui.

< Forse conosco qualcuno a cui importerebbe. >

< E chi sarebbe? > chiese scettico. A nessuno importava della sua vita! Una voce dentro di lui gli diceva che, se fosse morto, forse solo Lizzie sarebbe andata al suo funerale. (no comment. Nd Lady Snape)

< Una persona interessante. > gli sorrise.

< Non credo! > decretò il medico.

< Che sia interessante? >

< Che le importi qualcosa di me. >

< Perché Catherine ti importa, vero? Io non ho fatto il suo nome, eppure hai capito che parlavo di lei. Non negare, Robert. Lei ti importa eccome! Fatti avanti! >

< Tu sei impazzita! Perché dovrei farmi avanti? >

< Allora ti piace! >

< Io non…. >

< Non hai negato! Hai solo detto che non vuoi farti avanti. Fallo Robert! Fallo! > e lo lasciò immerso nei suoi nuovi pensieri!

All’interno di Doc Magoo, Robert e Cathe continuavano a fissarsi.

< Ha intenzione di parlare? > chiese Cathe. Non sapeva più che dire.

< Senta, per Lizzie io dovrei invitarla a uscire. >

< Per Lizzie?….se lei non vuole non è obbligato. > l’aveva ferita. L’aveva davvero ferita.

< Mi lascia finire almeno? O vuole tirare a conclusioni subito? > era nervoso. Per la prima volta dopo anni non sapeva come comportarsi con una donna.

< Continui pure. > il tono di lei era teso. Non aveva più l’umore giusto per ascoltare nessuno. Nemmeno lui.

< Io non so se…. > non trovava le parole giuste.

< Quando sarà sicuro di quello che vuole, mi faccia un fischio. > Catherine prese il cappotto e uscì di lì, pagando il conto.

Romano restò un minuto lì, poi si alzò e decise di rincorrerla.

< Aspetta! > urlò, facendo voltare anche i passanti. Era anche passato a darle del tu.

< Dr Romano? > Cathe si era voltata.

< Lei non sa cosa ho passato… >

< No, la prego, me lo risparmi! Mi creda, certe chiacchiere le sento dalla mattina alla sera e non sono affatto piacevoli. Io non metto in dubbio che lei abbia passato momenti bui. Ma non usi questa disgrazia come scudo per giustificare i suoi comportamenti odierni. >

< Perché, secondo lei, quello che ho passato non influisce sul mio presente, vero? >

< Guardi che non sono stupida! Io non sto parlando della sua carriera, io parlo dei suoi rapporti sociali: sono nulli! E sa perché sono nulli? Perché lei li rifiuta come fossero una malattia infettiva! >

< Non sono mai stato un uomo di compagnia! > era stato punto sul vivo. Sapeva che Cathe non era stupida e sapeva anche che sarebbe arrivata al bandolo della matassa molto presto.

< Sì, quello che vuole. Sa cosa credo? Che con il braccio ha perso anche parte del suo cervello! La smetta di sentirsi un menomato, perché io non la considero tale. Non ho mai pensato una cosa del genere. Lei lo pensa di se stesso, però. Non si sente all’altezza di niente……A me non importa se lei ha un braccio solo. > detto questo, riprese a camminare verso la sua auto. Voleva andarsene.

Romano la guardò sparire.

Romano era nella sua casa, più confuso di quel che credeva. Non riusciva nemmeno a guardare la televisione. Le parole di Catherine gli rimbombavano nella testa. Sapeva che erano vere! Aveva sempre odiato gli strizzacervelli, ma ora si era reso conto che sapevano sbatterti in faccia le tue paure, i tuoi problemi e, una volta fatto ciò, non potevi non affrontarli. Un motivo in più per odiarli! Ma non poteva odiare lei. Non poteva neanche provare altro per lei. A cosa sarebbe servito?

Si alzò dal divano del salotto e salì al piano superiore. Entrò in bagno. Si guardò allo specchio. Vedeva un uomo maturo, con la carriera distrutta, un lavoro che gli piaceva poco ormai e senza uno straccio di amico. Non che ne fosse così sorpreso, ma credeva di averne almeno qualcuno. Tutte quelle persone che frequentava a feste e convegni, colleghi e donne che incontrava ovunque e giocavano di seduzione con lui erano scomparse. Quante donne si era portato a letto? E chi lo sapeva? Mai portato il conto. Robert, venivano a letto con te perché eri un uomo di successo! E ora? Ora non hai più attrattive!

Continuò a fissarsi nello specchio del suo bagno. La sua barba era cresciuta ancora. Sembrava uggioso davvero, una sorta di orco cattivo. Orco.

Basta! Via la barba!

Si guardò allo specchio: si sentiva scoperto, era come se Linus avesse perso la sua coperta. Ma, dopotutto, a lei avrebbe fatto piacere. A lei……..se mai gli avesse parlato ancora!

Doveva fare qualcosa. Necessariamente. Lizzie diceva che Cathe era interessata a lui come uomo. Valeva la pena provare, anche perché andava in bianco da tempo e……..andiamo, ammettilo, Robert! Non si tratta solo di sesso! Lei è una sfida. Non è uguale alle donne con cui uscivi una volta, non centra nemmeno con Lizzie. E’ una donna molto più decisa e forte. E’ quasi peggio di te! Riesce a tenerti testa. Ti sei innamorato, Robert? Questo è presto per dirlo, ma vorresti provare a conquistarla. A lei non importa se hai un braccio solo, se non sei più un chirurgo di successo.

L’avrebbe corteggiata, a modo suo.

Erano le dieci del mattino e Catherine era nel suo studio in attesa della signora Martin. Controllava la sua cartella, quando Martha bussò alla sua porta.

< C’è una cosa che devi vedere. >

Cathe si alzò dalla sua poltrona dietro la scrivania e raggiunse la sua segretaria.

< Chi è il tuo ammiratore segreto? > la donna indicò un cesto di rose rosse in composizione. La psichiatra era shockata. < Nessuna idea su chi può averle mandate? >

< Non c’è un biglietto? > chiese avvicinandosi ai fiori.

< Niente. Ho chiesto al fattorino e ha risposto di non saperne nulla. >

Cathe sospettava che….ma no! Era impossibile! In ogni caso ogni sua congettura non era supportata da nessuna prova.

I fiori continuarono ad arrivare, non tutti i giorni, ma in una settimana il suo studio era pieno di vasi e fiori di tutti i tipi. Arrivarono margherite, orchidee, primule, gigli. Non sapeva più dove metterli! Nessuno di quei regali aveva un biglietto con il mittente. Pazzesco! Chi poteva essere così matto? Sperava non uno dei suoi pazienti. Sarebbe stato un colpo per lei.

La settimana successiva le fu recapitato una busta con all’interno un biglietto per la Traviata di Verdi al Julliadr Theatre, accompagnato da un messaggio che le dava appuntamento a venerdì sera alle otto al suo studio. Non c’era alcuna firma.

< Che farai? >

< Non ne ho idea!…Il biglietto è vero…..non so se fidarmi dell’uomo misterioso. Potrebbe essere chiunque! > Catherine era pensierosa. Era un rischio fidarsi del messaggio: poteva essere un maniaco, un pazzo. Oppure poteva essere davvero un corteggiatore. Di quelli veri che si sognano per tutta la vita, di quelli che le fanno tutte giuste e ti senti una dea!

Il venerdì arrivò più in fretta di quanto pensasse. La mattina si ritrovò a prendere una decisione in merito al misterioso appuntamento. Non sapeva davvero cosa fare. Nell’indecisione decise di portare con sé il suo abito da sera color avorio in chiffon a balze e corpetto di raso. Avrebbe deciso dopo.

Il tempo passava troppo in fretta. Non aveva mai guardato l’orologio così spesso. Sta calma, sta calma! Continuava a ripetersi. Erano le sette e l’ultimo paziente fu liquidato.

< Cosa hai deciso? > Martha era in ansia quanto lei.

Cathe la fissò.

< E chi lo sa! > era frustrata.

< Ho un’idea: resto con te fino a quando non avrai visto chi sarà il tuo misterioso accompagnatore. Non voglio certo rischiare che ti capiti qualcosa. >

< Questa è un’idea splendida! Speriamo vada tutto bene…..speriamo sia mentalmente a posto! >

Catherine si infilò sotto la doccia dell’ufficio. Per fortuna aveva avuto la brillante idea di attrezzare il bagno dello studio con tutti i comfort possibili. Indossò il suo abito. Sistemò i suoi capelli in un’acconciatura semplice, ma che lasciasse il collo scoperto. Piccolo vezzo di seduzione!

< Vorrei poter indossare io un abito del genere! George non mi porta mai da nessuna parte! Mi accontenterei anche di un semplice ristorante, anche perché l’opera credo sia eccessiva per lui. > disse Martha osservando la psichiatra mentre dava gli ultimi ritocchi con il rossetto.

Erano quasi le otto. Catherine non faceva altro che camminare avanti e indietro nel suo studio.

< Datti una calmata! Rovini il vestito così! >

< Non ci riesco……sono un pessimo esempio! Se mi vedessero i miei pazienti cambierebbero terapeuta! >

Alle otto in punto il campanello suonò. Entrambe le donne fecero un respiro profondo guardandosi negli occhi. Martha guardò dallo spioncino.

< Mmmh, è elegante!…..un tantino….”tantino”, parecchio calvo! Quarantacinque, quarantasette anni…. >

< Martha, è il dr Romano. > disse arrossendo leggermente.

< O mamma! Allora posso andare? >

< Sì, chiudo io qui. Facciamo così: io vado di là, tu digli di aspettare e va via. >

< Bene. Buona serata! > e le fece l’occhiolino! Che donna!

Catherine tornò nel suo studio e chiuse la porta. Sentì Martha far accomodare Romano e chiudere la porta dietro di sé. Si guardò allo specchio un’ultima volta: poteva definirsi attraente. Aprì la porta.

< Buonasera, dottore. > disse con un tono talmente serio da fare quasi paura. Lo fissò negli occhi.

< Buonasera a lei. E’ molto bella stasera. > disse senza mostrare il benché minimo imbarazzo.

< Anche lei è molto elegante…. Ha tagliato la barba! > disse Cathe, sorridendo.

< Ho seguito un consiglio. Non prenda l’abitudine, però! >

< Potrei consigliare di darci del tu, oppure vuole continuare a mantenere le distanze? >

Romano la fissò negli occhi, come per leggerci le sue reali intenzioni.

< D’accordo, Cathe. > aveva accettato al volo!

La strana coppia scese giù nel parcheggio. Romano osservava il comportamento di un vero gentiluomo. Mai visto un uomo così premuroso senza eccessi, perfetto in ogni suo gesto.

Lo spettacolo avrebbe avuto inizio alle otto e trenta. Presero posto nel loro palco privato.

< Perché non fai altro che fissarmi? > chiese il dottore dopo aver incrociato per l’ennesima volta lo sguardo della donna.

< Mi hai stupito! I fiori, il teatro……la barba! Credo che quella sia la mia preferita! >

< La barba? > era scettico.

Cathe non fece in tempo a rispondere: lo spettacolo iniziò.

Povera Violetta, malata e innamorata. Qual era peggio?

Lo spettacolo era stato diviso in due parti. Durante l’intervallo il teatro offriva champagne nell’atrio. Da vero cavaliere Robert recuperò due bicchieri. Cin cin!

Non facevano altro che fissarsi negli occhi.

< Che mi venga un colpo! Catherine! > disse un uomo sui quaranta, moro e molto alto.

< Will. > salutò lei. William Granger era una avvocato, allo stesso tempo era un rompiscatole incredibile. Tempo prima aveva tentato di conquistare Cathe. Aveva avuto un bel due di picche!

< Non sapevo venissi a teatro stasera. >

< Dovevo mettere dei manifesti per annunciarlo, per caso? >

< Figurati! Acida come sempre! Un amore! > non voleva davvero capire che la sua presenza non era affatto gradita.

Cathe fece gli onori di casa.

< Will ti presento il dr Robert Romano. Robert, William Granger, avvocato difensore. >

I due uomini si strinsero la mano, scambiandosi uno dei sorrisi più finti che Cathe avesse mai visto.

< Un medico? Non eri mai uscita con un medico. >

< C’è una prima volta per tutto. > questa volta fu Robert a parlare.

< Una bella coppia! Anche in privato siete così…..amorevoli? A letto fate scintille, immagino. >

< Splendidamente. > rispose Catherine prima che Robert potesse anche solo formulare una risposta. < Parlami un po’ di te, Will. Hai fatto scarcerare Mason, l’assassino di cameriere? >

< Cathe, Cathe, sei troppo dura con me! Comunque sì. E’ incapace di intendere e volere! > disse gongolando.

< Non prova mai rimorso nel suo lavoro? > domandò Romano < Sa gli psichiatri > disse indicando la Knightley < si preoccupano di curare le anomalie comportamentali e sociali, per evitare che le persone come Mason compiano crimini, e noi medici ci troviamo a dover rimediare per salvare la vita alle vittime. Non è d’aiuto quando difende certi soggetti. > concluse sorseggiando dal suo calice.

< Beh…..è pur sempre un lavoro. > si difese Will.

< Appunto: per lei è solo un lavoro. > lo sguardo che Robert lanciò all’avvocato era di puro disprezzo. Cahte pensava che, se Robert avesse potuto sbattere fuori alle palle Will, lo avrebbe fatto.

La maschera annunciò l’inizio della seconda parte dello spettacolo, quando il cercapersone di Robert emanò il suo classico bip.

< Merda! > si lasciò sfuggire il medico sottovoce. Recuperò il suo cellulare dalla tasca della giacca e compose il numero del Policlinico. La telefonata durò pochi secondi. < Cathe, devo andare in ospedale subito: sono in arrivo non si sa quanti pazienti intossicati a causa di un incendio in una discoteca. Se vuoi restare qui, non c’è problema. Mi dispiace per l’appuntamento.> disse con sguardo triste.

< Vengo con te! >

< Forza, allora! > disse Robert, sorridendo, prendendola per mano e guidandola al guardaroba.

Recuperarono i loro cappotti (era fine gennaio) e l’auto di Robert fu portata davanti al teatro dal parcheggiatore.

Arrivarono in ospedale in meno di dieci minuti.

< Parcheggio io. > si offrì Catherine. Romano le sorrise e le sfiorò velocemente le labbra con le sue per ringraziarla. Cathe passò al posto di guida e trovò parcheggio ad un isolato di distanza.

Quando entrò nel pronto soccorso, le parve di essere penetrata in un incubo! Feriti ovunque, seduti sul pavimento con le mascherine per l’ossigeno. Quelli più gravi su barelle o sedie a rotelle. I medici erano troppo pochi. Scorse Robert urlare indicazioni e due infermiere e passare da una stanza all’altra.

< Dove eri stasera? > chiese Elizabeth vedendo il suo collega in smoking.

< A teatro. > rispose secco. Era impegnato a visitare un paziente con una mano sola: non era una cosa semplice!

< Solo? > dì di no….sperava la Corday, anche se, allo stesso tempo, sperava di non aver fatto la guastafeste chiamando Romano d’urgenza.

< Con Catherine. > rispose ancora secco. Elizabeth chiuse il discorso.

Era ormai molto tardi quando il pronto soccorso tornò alla sua normale attività. I corridoi furono liberati e molti pazienti tornarono a casa. Catherine vagava in sala d’aspetto con il suo cappotto bianco addosso per il freddo. Elizabeth la raggiunse.

< Bel vestito! > Cathe scostò il cappotto per mostrarsi in tutto il suo splendore < Mi dispiace di avervi interrotti. > disse maliziosa

< Non eravamo nel bel mezzo di niente, se si eccettua la Traviata. Non ho visto Violetta morire e cantare “Amami, Alfredo!”. >

< Disturbo? > disse Robert appena giunto, mentre tentava di infilarsi la giacca dello smoking.

< Affatto. > rispose la Corday.

< Se non avete più bisogno di me io andrei via, anche perché il mio turno inizia domani mattina alle otto e siamo già arrivati alle due di notte. > Robert represse uno sbadiglio. Guardò Cathe < Possiamo andare? >

< Sì. Ci vediamo, Elizabeth! > salutò la psichiatra.

Usciti dal piano terra Cathe guidò Robert al parcheggio.

< Mi dispiace. Una gita al pronto soccorso non era nei miei programmi. > era dispiaciuto sul serio.

< Non fa nulla! Non è stato un problema fare un salto qui. Dico davvero! > Robert l’aveva guardata come a dire “Sì, certo…”

Il percorso in auto non durò molto. L’appartamento di Catherine era in una zona residenziale a sud di Chicago. Preferiva vivere in un appartamento piuttosto che in una casa con giardino: tanto a casa ci tornava solo per dormire!

Robert fermò l’auto davanti al portone illuminato. Barnie, il portiere, leggeva il giornale nel suo gabbiotto.

Il medico pareva un ragazzino al primo appuntamento. Non sapeva cosa dire o fare. Era in imbarazzo totale. Potrebbe sembrare strano, in fondo era stato una sorta di playboy in tempi non molto lontani. Ma la situazione era diversa. Non era più uscito con una donna dal giorno dell’incidente e, dopo l’amputazione, le sue compagnie erano diventate inesistenti: se prima qualche sua fiamma aveva chiamato (più per cortesia che per reale interessamento) per sapere come stava e quando si sarebbe ripreso, da allora il suo telefono non aveva squillato più.

In quel momento si sentiva impacciato dal suo braccio artificiale e da un nodo sul petto che bloccava anche il suo cervello: pareva fuori servizio!

< Stai bene? > Cathe era un tantino preoccupata dal suo comportamento.

< Sì, sì, sto bene. > si affrettò a rispondere; la guardò fisso negli occhi e fece un respiro profondo.

Catherine sorrise.

< Rilassati. > gli disse dolcemente. Gli accarezzò con delicatezza la guancia. Lo sguardo di lui si fece più intenso. La attirò verso di sé prendendola dalla vita. Si fissarono negli occhi a pochi centimetri l’uno dall’altra. Robert soffiò con leggerezza sulle sue labbra. Cathe chiuse gli occhi, aspettando il suo bacio. Fu un bacio audace, ma dolce. Catherine si strinse a lui, sfiorandogli il viso. Sentiva Robert molto vulnerabile. Fu lui a mettere fine al bacio; non si allontanò molto da lei: continuò a fissarla negli occhi e le sorrise.

< …Ehm…credo che si sia fatto tardi. > disse Romano.

< Scusa, tu domani lavori….l’avevo dimenticato! > e gli fece una linguaccia!

< Ti perdono. >

< Grazie! Quanto sei magnanimo! > Catherine uscì dall’auto. Prima di entrare nel portone, si accostò al mezzo dalla parte del guidatore, dove Robert aveva abbassato il vetro del finestrino. < Buonanotte. > sussurrò.

< Buonanotte. Ti chiamo. > aggiunse lui.

< Quando vuoi! > gli diede un bacio a fior di labbra e andò via.

Nei giorni seguenti Catherine aveva la testa fra le nuvole. Le pareva di essere tornata adolescente: sembrava una ragazzina alla prima cotta! Lei e Robert si sentivano spesso: il medico la chiamava tutte le sere (rispettava i suoi orari di lavoro!). Riuscivano a vedersi raramente a causa dei turni al policlinico.

< Sei libera stasera? > le chiese un martedì.

< Mi dispiace: esco con Alex. > disse Cathe ridendo.

< Ah-ah! Divertente. Dico sul serio. Andiamo a cena insieme. >

< Mmmh….perché dovrei preferire te ad Alex? >

< Provochi? Ok….d’accordo: sono molto meglio di Alex per due motivi: io sono il dr Robert Romano e ho prenotato al Reen. > il Reen era un ristorante indiano vicino al Lincoln Park.

< Il Reen è allettante, ma cos’è la storia che dovrei preferirti perché tu sei il dr Robert Romano? > adorava stuzzicarlo.

< Perché il dr Romano ti piace….. e parecchio anche. >

< Modesto…..comunque non parlare di te in terza persona: è preoccupante. Alle otto sotto casa mia, ok? >

< Perfetto. >

Robert arrivò in orario, spaccando il secondo, meglio di un orologio svizzero. Nonostante non fosse una serata impegnativa Robert era elegante, un po’ casual: non aveva la cravatta! Chiese al portiere dello stabile di avvisarla del suo arrivo. Dopo qualche minuto erano in auto diretti al ristorante. Catherine indossava pantaloni aderenti neri: le mettevano in risalto il fondoschiena e Robert non aveva potuto non notarlo. Ogni volta che i suoi occhi fissavano troppo in basso, distoglieva lo sguardo: non era semplice. Cathe, da brava bambina, se ne era accorta e sorrideva sorniona: che l’avesse fatto di proposito?

Il ristorante era un locale non molto grande, rinomato per la sua cucina: se volevi mangiare indiano dovevi andare al Reen. Era il migliore e si entrava solo per prenotazione.

< Ci sei venuta altre volte? > chiese Romano. Si versò un bicchiere della birra che aveva appena ordinato, dopo aver riempito anche il bicchiere di Cathe.

< Un paio, tu invece? >

< Qualche volta. >

< Per qualche appuntamento. Ho indovinato? > Cathe non era una persona gelosa….forse….in ogni caso preferiva che Robert fosse sincero.

< Sì… > era in imbarazzo, così volle ricambiare la domanda < Dove ti portavano i tuoi amori passati? >

< Ah, ecco, parti in quarta…..va bene. Una delle mie storie è durata parecchio, tre anni circa, e siamo andati ovunque: al cinema, nei pub, allo stadio….. negli ultimi tempi troppo spesso allo stadio. > Robert si stava per strozzare con la birra: voleva ridere contemporaneamente < Non c’è niente da ridere! Dovresti difendere la tua categoria, non credi? >

< No, non credo. Quella non è la mia categoria e, se posso darti un consiglio, io non centro niente con quelle nullità con cui uscivi in passato. >

Cathe cominciò a ridere. Tentava di trattenersi, ma non ci riusciva davvero!

< Ah ah…dimenticavo: tu sei fuori da qualsiasi genere di persone: ne crei uno tutto tuo! >

< Lo prendo come un complimento. > dichiarò, infine < Tanto per dire: allo stadio ci vai con un amico, non con la tua fidanzata, almeno non troppo spesso. >

< Un momento, frena….io sarei la tua fidanzata? > lo fissò negli occhi.

< Questo mi pare presto per dirlo, no? > faceva lo spavaldo.

< Ma non lo escludi. >

< Ehi, sei tu quella che mi detto che dovevo relazionarmi con gli altri. Imparare a socializzare. E per il momento ho deciso di “socializzare” con te! >

< Questo include anche fantasie sessuali? > Cathe si morse le labbra. Robert sorrise, messo al muro dalla sua audacia.

< Non ci ho ancora pensato. > disse serio. Cathe gli lanciò uno sguardo scettico < Davvero! >

< Io sì. > e la donna sorseggiò la sua birra. Robert era rimasto spiazzato dalla rivelazione. Non credeva di poter interessarle davvero sotto quella prospettiva. Arrivarono le portate fumanti. Per qualche minuto non parlarono; Catherine osservava il suo accompagnatore.

< Ti ho zittito completamente? >

< Mi hai spiazzato, questo sì. > fu sincero.

< Credi di non avere attrattive da “quella” prospettiva? >

< Non analizzarmi, strizzacervelli!……non conosco la risposta alla tua domanda. >

< Ti fai troppi problemi. Io ti vedo come un uomo….. stimolante…. sotto tutti i punti di vista. Sei intelligente e pungente. Buona combinazione! Ti trovo anche attraente…per i miei canoni, si intende….vedi di non fare il modesto dopo questi complimenti: non lo sei! >

< Non sono mai stato modesto in vita mia!…A cosa devo tutti questi…..elogi: hai bisogno di soldi? >

< Sei incredibile! >

La serata passò in modo piacevole tra chiacchiere e risate. Passeggiarono in riva al lago nonostante il freddo. Era stata Catherine a insistere. Nonostante la temperatura sotto zero e l’inutile giacca in pelle che indossava voleva passeggiare con lui. Robert era silenzioso. Si fermarono e la donna sia appoggiò al parapetto, guardando verso il lago.

< E’ molto profondo, secondo te? > gli chiese.

< Un bel po’, credo. > si appoggiò anche lui alla ringhiera. Gli erano tornati in mente alcuni ricordi un po’ tristi. Il suo sguardo si era un po’ incupito, ma non fece in tempo a deprimersi pensando a se stesso: Cathe si avvicinò molto a lui e il profumo di lei lo distrasse.

< Non mi hai dato nessun bacio, stasera. > disse mettendo il broncio, come una bambina di cinque anni, delusa perché Babbo Natale ha sbagliato bambola.

Robert le sorrise. Fu su di lei, bloccandola contro la ringhiera con il suo peso. Si inumidì le labbra in un gesto nervoso.

< Ne sei sicura? > perché una donna intelligente e bella come lei, che poteva avere uomini migliori di lui, si ostinava a cercarlo?

< Perché non dovrei? >

< Non si risponde con un’altra domanda: non te l’ha insegnato nessuno? > dimmi il perché!

< Perché no? Per me sei una piacevole sfida, non uno qualunque. Mi sento bene con te, nonostante le discussioni, le battute pungenti e il tuo caratterino…interessante. Non sarà facile starti dietro, ma che importa? > lo guardò negli occhi: tutto questo per Robert era irrilevante. O meglio, c’erano cose che reputava più importanti, che le sue esperienze passate reputavano imprescindibili: carriera, posizione sociale e…il suo dannato braccio. Perché lei lo desiderava nonostante fosse invalido?

< Cathe, dall’incidente non sono più l’uomo che credevo. >

< Non credere che non sia dispiaciuta. Mi dispiace per il braccio e la tua carriera di chirurgo, ma per quelle non c’è rimedio. So che ci hai provato, che hai tentato di riprenderli entrambi, ma non ce l’hai fatta. Tutto questo ti rende triste, lo capisco, ma devi guardare avanti; devi guardare ciò che hai e potresti avere. Sei forte e non sei uno stupido: puoi riuscirci. Puoi fare ciò che vuoi, anche se ora non mi credi. >

Robert la fissò negli occhi. Sentiva il suo respiro nervoso. Sapeva che lei credeva davvero in lui anche senza conoscerlo alla perfezione. Non conosceva il suo passato, il suo lavoro come chirurgo, ma era comunque convinta che era stato tra i migliori. Romano voleva renderla fiera di lui, lo voleva, ma non sapeva come fare. Si sentiva debole in quel momento. Molto debole e non voleva che Cathe se ne accorgesse. Tempo sprecato: lei era diventata brava a leggergli negli occhi la verità. Lo abbracciò stretto. Robert si abbandonò al suo calore.

< Vuoi rischiare? > Catherine gli sussurrò all’orecchio. Romano non rispose. La fissò negli occhi e annuì con il capo. Fu un bacio ristoratore quello che seguì. Dolce e dissetante. Forse c’era ancora speranza!

Ad essere sinceri, non fu solo un bacio! Quella sera non smettevano più di stare appiccicati e coccolarsi a vicenda. Tanto che le coccole proseguirono a casa di Robert. Nella sua camera da letto!

Avevano abbandonato le inibizioni. Ora per loro era importante solo il contatto dei loro corpi, sentire il calore dell’altro, il suo respiro e, se possibile, il battito del suo cuore.

Robert si sentiva la mente vuota in quel momento: gli pareva di non riuscire formulare nessun pensiero sensato, coerente. Allo stesso tempo si chiedeva se stesse facendo la cosa giusta. Fissò Catherine ancora una volta negli occhi. Lei gli sorrise e i loro vestiti toccarono il pavimento. Romano sganciò la sua protesi.

Volete anche il resto? Non c’è molto da dire, la natura fece il suo corso, non senza la testardaggine di Robert che non voleva agevolazioni del caso: il comando della situazione voleva prenderlo lui, ma stare in equilibrio su un braccio solo non era semplice. Ci riuscì. Su questo, nessuno aveva dubbi!

Era notte fonda. Erano stanchi e accaldati, nonostante la temperatura esterna segnasse –10. Cathe aveva appoggiato il capo sulla spalla di lui. Robert aveva le dita tra i capelli della donna.

< Sei pensieroso. > disse Catherine.

< Cosa?…..no, sto bene. >

< Mmmh…se lo dici tu. > e si strinse di più a lui.

< Hai freddo? > chiese preoccupato.

< No, va bene così…….che hai? > Catherine si sollevò per guardarlo negli occhi. Robert ricambiò lo sguardo. Fece un respiro profondo.

< Sto bene, solo….non so se abbiamo fatto la scelta giusta. >

< Robert, se non la pianti ti prendo a pugni e non ti conviene! >

< Che gentile! > rispose sarcastico.

< Tu piantala di farti seghe mentali! >

Robert e Catherine erano una coppia come tutte le altre. Non bisogna credere che la dottoressa Knightley fosse riuscita a cambiare il carattere del burbero dr Romano. Imparò a conviverci. Non è un “felice e contenti” quello che la loro storia dimostra. Tutto ciò che conta è che insieme hanno imparato a superare le difficoltà che la vita gli ha proposto. Hanno affrontato i loro difetti, le loro manie. E’ vero, spesso Cathe deve sorvolare sugli strani comportamenti di suo marito……oh, non ve l’ho detto? Robert e Cathe si sono sposati in un caldo pomeriggio di giugno.

A dire la verità hanno accelerato i tempi. Li avevamo lasciati alla loro prima notte insieme.

Le cose sono andate bene. Oddio, hanno anche litigato pesantemente quando Robert ha accusato Cathe di essere una rompicoglioni e che doveva smetterla di tentare di spiegare ogni suo comportamento come derivante da una turba psichica e che, forse, la turba ce l’aveva lei nel cervello! Oppure quando Cathe ha accusato Robert di essere un dannato egocentrico e che il mondo non girava intorno a lui, quindi poteva smetterla di farsi i complimenti da solo per il suo lavoro!

Comunque, Robert dopo un mese di “dormi da me, tanto c’è posto” le ha chiesto di vivere insieme. Cathe ha accettato subito, tanto lei a casa ci andava solo per dormire!

In aprile Robert ha proposto di legalizzare la loro relazione, perché, se dopo tre mesi Catherine non era scappata dalle sue grinfie, allora non c’era più pericolo: sarebbe durata a vita!

Al policlinico nessuno voleva credere che una donna sana di mente avesse intenzione di sposare il dr Romano. L’unica sinceramente felice era Elizabeth che fece i suoi complimenti al collega!

La cerimonia fu bella e per pochi intimi, che nel caso di Robert furono davvero pochi! Ma il dottore non ci fece caso: era stato praticamente adottato dalla famiglia di sua moglie. Catherine era bellissima, come tutte le spose, nel suo abito bianco. Luminosa e raggiante…..in barba a chi aveva asserito che era diventata troppo vecchia per sposarsi!

Robert non rinunciò a prenderla in braccio per varcare la soglia del loro nido d’amore: è sempre stato un uomo che vince le sue battaglie…..e questa per lui era una battaglia importante!

Hanno passato momenti bui quando, a causa di un incidente, Robert ha dovuto scegliere se salvare la vita di sua moglie o quella del bambino che portava in grembo. Ha scelto sua moglie: “Senza di lei non posso farcela.” ha detto ad Elizabeth. Cathe l’ha odiato per questo: lei avrebbe preferito salvare il bambino, ma aveva perso conoscenza e non poté dire la sua. Ebbero una brutta crisi matrimoniale, durante la quale Robert dormì sul divano con Gretel. Solo un mese dopo la tragedia, Catherine decise di accettare la sua scelta: per Romano era stato difficile decidere tra la vita di due persone così vicine a lui.

Quando può Robert porta a teatro sua moglie. I bambini, entrambi coi capelli rossi e un caratterino da sovversivi, restano da Martha e per qualche sera i loro genitori fanno la coppietta libera e felice. Robert sa di essere fortunato per aver avuto una seconda possibilità dalla vita.

Il suo lavoro procede come sempre. A volte entra in sala operatoria per rinvangare il passato, o nelle sale emergenza pratica piccoli interventi di routine: lo so, pare un maniaco del bisturi, ma non ha mai ucciso nessuno, al contrario ha salvato molte vite, nonostante non piaccia molto alla gente!

Con i suoi colleghi, o sottoposti come preferisce lui, è peggio della Gestapo! E’ anche arrivato alle mani un paio di volte e Cathe ha dovuto impedire che i suoi figli imitassero il padre, facendo a pugni tra loro e con i figli dei vicini!

Alti e bassi, come è giusto che sia. Non esiste la felicità eterna, ma quella quotidiana, quella che crei con i tuoi sforzi, portando avanti un progetto comune.

Credo sia meglio interrompere qui la narrazione della loro vita insieme, iniziata per caso e continuata per amore.

Con te dovrò combattere
Non ti si può pigliare come sei
I tuoi difetti son talmente tanti
Che nemmeno tu li sai
Sei peggio di un bambino capriccioso
La vuoi sempre vinta tu
Sei l’uomo più egoista e prepotente
Che abbia conosciuto mai
Ma c’è di buono che al momento giusto
Tu sai diventare un altro
In un attimo tu
Sei grande, grande, grande
E le mie pene non me le ricordo più!
Io vedo tutte quante le mie amiche
son tranquille più di me
non devono discutere ogni cosa
come tu fai fare a me...
ricevono regali e rose rosse
per il loro compleanno
dicon sempre di sì
non han mai problemi e son convinte
che la vita e' tutta lì...
invece no, invece no
la vita e' quella che tu dai a me...
in guerra tutti i giorni sono viva
sono come piace a te...
ti odio e poi ti amo e poi ti amo
e poi ti odio e poi ti amo...
non lasciarmi mai più.
sei grande grande grande come te
sei grande solamente tu.
Ti odio e poi ti amo e poi ti amo
e poi ti odio e poi ti amo...
non lasciarmi mai più.
Sei grande grande grande come te
sei grande solamente tu.
Non lasciarmi mai più.
Sei grande grande grande come te
sei grande solamente tu.

*****************

Grazie per essere arrivati fino in fondo.

Dedicato ad uno dei personaggi migliori della serie.

Romano sei ancora qui con noi!

   
 
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