Nel cuore della notte
-
Dammi la pistola.
Nessuna
reazione. Lei sospirò, riempiendo quel silenzio fin troppo pesante.
-
Dammi la pistola, ora. – ripeté, il tono duro.
Lui scosse
la testa, limitandosi poi a fissare la canna nera con espressione assente.
-
Non me la vuoi dare? – borbottò la ragazza, sempre più irritata –
Benissimo. – sentenziò, decisa.
Posizionò
le mani sui fianchi sottili, le labbra strette tanto forte da diventare pallide:
- Premi quel grilletto, allora. – lo sfidò, furiosa
– Premi il grilletto, Lello. Non indugiare oltre, te ne prego. Se proprio
devi, facciamola finita! -
Lui sollevò la pistola, avvicinandola alla tempia. Non la
guardava.
- Fallo! – inveì la ragazza, sbattendo violentemente
un piede sul selciato umido – Forza! Premi quel dannato grilletto!
– continuò a gridare, imperterrita.
E finalmente i loro occhi si incontrarono. Ginevra tremò
impercettibilmente, forzandosi a non indietreggiare di un solo passo di fronte
alla disperazione che lesse in quelli umidi di lui.
S’impuntò, come era solita fare, piegando le labbra
in un broncio infantile e abbassando la voce:
- Dammi la pistole, Lello.
– mormorò, avvicinandosi piano – Per favore. -
Percepì l’incertezza di lui e decise di
approfittarne all’istante:
- Uccido Bis. – minacciò, assottigliando lo sguardo
– Quant’è vero lo faccio fuori, questa volta. -
La bocca del ragazzo si piegò: se anche aveva voluto
essere un sorriso, tutto quello che ne uscì fu una smorfia a metà strada fra lo
scherno e la disperazione. Abbassò il braccio, lentamente, quasi al
rallentatore.
E la presa sulla pistola si allentò. Le dita di lui
lasciarono la presa, lanciandola in direzione di Ginevra.
Un lampo di sorpresa attraversò gli occhi della ragazza
che, impreparata, afferrò al volo l’oggetto all’ultimo secondo:
strinse la pistola con mani tremanti, mettendo la sicura come lui le aveva
insegnato.
Prese un bel respiro, relativamente sollevata.
Fu con sconforto che poi sollevò nuovamente lo sguardo
verso di lui, fissandolo decisa:
- Ora scendi di lì, Lello. – sibilò, fingendo
sicurezza.
Lui sembrò non sentirla neanche. Le diede le spalle,
voltandosi a fronteggiare il vuoto sotto di sé.
Ginevra rabbrividì, perdendo anche quell’ultimo
briciolo di autocontrollo che le rimaneva: ora che lui non aveva modo di
vederla non doveva più dissimulare il terrore che la stava invadendo,
incontrollabile.
- Scendi. – ringhiò ancora, le lacrime che le
pizzicavano gli occhi – Scendi, Lello, scendi! – proruppe, alzando
la voce. Tremava per lo sforzo di non correre verso di lui e tirarlo giù dal
muretto: non avrebbe funzionato, non sarebbe servito a nulla. Rischiava di
peggiorare solamente le cose, vero? Vero?!
- Ti scongiuro. – sussurrò, la voce ormai spezzata
– Ti prego, vieni qui. –
Sentiva un groppo in gola, qualcosa di amaro che le
impediva quasi di respirare.
Una lacrima le rigò la guancia, calda. E sentì di non
poter reggere ancora per molto.
- Lello… - chiamò un’ultima volta, le ginocchia
che rischiavano di cederle.
Vide le spalle del ragazzo avere un tremito e sussultò,
temendo il peggio: smise di pensare e semplicemente si tuffò verso di lui,
raggiungendolo in pochi secondi. Protese le dita e strinse un lembo della sua
camicia.
Lo strinse con tutte le sue forze, aggrappandovisi con le
unghie e con tutta la speranza che le rimaneva.
Fu questione di un attimo. Un misero, infinitesimale,
attimo.
Dietro il velo delle lacrime vide il piede di lui che si
sollevava, muovendo un passo.
Poi il tempo sembrò rallentare, scandito dalla
disperazione, come per dar modo al suo cervello di realizzare il tutto: la
camicia che le sfuggiva dalla mano, il corpo di lui che spariva dalla sua
visuale.
Boccheggiò, la vista appannata.
Crollò in ginocchio, incapace di pensare a qualsiasi cosa…
E l’unica cosa che riuscì a fare, senza nemmeno
sapere perché, fu guardare l’orologio.
§§§