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Autore: Disorientated Writer    05/03/2012    3 recensioni
I Metakiller sono dei ragazzi con un DNA modificato artificialmente e unito con quello di animali.
I Thunderkiller sono assassini di prim'ordine, che combattono un'estenuante battaglia contro i Meta, nel tentativo di eliminarli tutti, sterminando la loro razza di ibridi.
E infine, ci sono i Girovaghi, un gruppo di viandanti che da la caccia ai Thunder e ai Meta, venerando divinità assetate di sangue e dichiarandosi Figli degli Elementi.
La battaglia sta per volgere al termine, e nessuno ha intenzione di tirarsi indietro.
Gli scontri saranno sempre più violenti.
Le morti sempre più precoci.
L'amore sempre più imprevedibile.
Ma forse, il nemico non è così ovvio come sembra.
Forse, gli antichi nemici potrebbero tornare ad essere alleati per combatterlo.
Forse.
NdA : [ metto il rating 'Giallo' perché non so cosa potrà uscire fuori da questa mia mente malata :D ]
Questa Fiction è dedicata a Viola, alias Khyhan . Senza le tue meravigliose idee, nemmeno sarebbe nata.
[ FANFICTION ABBANDONATA! ]
Genere: Avventura, Comico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Chi trova un amico … Riceve un nemico nel pacchetto famiglia.

 
 










Oona – Thunderkiller Accademy.



Erano passate due settimane, e per mia fortuna non c’erano stati episodi rilevanti. Avevo partecipato alle attività, mi ero mescolata con i Thunder .. tecnicamente, era tutto perfetto.
Ecco, appunto: Tecnicamente.
Come, tecnicamente, Alexander Lloyd credeva alla storia di Eileen. O come, tecnicamente, Dimitri non mi faceva sorvegliare da un biondino tutto muscoli ogni santissima ora di ogni santissimo giorno.
Ovviamente, no, ma cosa andavo a pensare io?
 
Il giorno dopo il mio arrivo alla Thunder Accademy mi ero risvegliata con un pizzico di zanzara grande quanto una pallina da baseball sulla gamba.
E fin qui tutto normale, se non fosse che era metà aprile e faceva un freddo cane.
Mi ero arrovellata per tutta la mattina su cosa significasse quel maledettissimo coso, ma quando ero arrivata a pensare che fosse colpa di un ragno radioattivo avevo capito che era meglio lasciar perdere.
La puntura diventava sempre più piccola, via via che passavano i giorni.
Ora era arrivata al diametro di una normalissima puntura di zanzara.
Avevo deciso di chiudere la finestra ogni sera, e stavo seriamente iniziando a pensare di farlo anche di mattina perché, la domenica di quella stessa settimana, mi ritrovai con un'altra puntura, anche se stavolta sembrava più una voglia ed era sull’avambraccio.
Chissà che razza di animali giravano per Blue Hill, o il Maine in generale.
Neanche fossimo a Salem!
 
Tutti i Thunder erano piuttosto simpatici, lo devo ammettere.
Tranne uno.
Lui.
Quell’essere rivoltante di Alexander Lloyd, che mi pedinava, mi guardava come se fossi una lumaca con un tutù di pailettes che ballava il flamenco e mi malediceva con la sola forza del pensiero, probabilmente.
Al contrario di Damiàn, il ragazzo ispanico che stravedeva per me.
O per Eileen, ancora non l’avevo capito.
Quel bambino era una persona d’oro, anzi, di platino.
Mi chiedevo cosa ci facesse in quel gruppo di assassini.  
 
« Posso sedermi, tesoruccio? » una zuccherosa e odiosa voce mi riscosse dai miei pensieri.
Ero seduta su una panchina, durante la pausa pranzo, e cercavo invano di ingurgitare quelle schifezze che ci affibbiavano i cuochi dell’Accademy.
Guardai di sottecchi la moretta che mi aveva parlato e feci cenno di sì col capo.
Audrey Beery, questo era il nome della ragazza, era il vicecapo della squadra di Alex.
Era incredibilmente viscida, viziata e insopportabile. Ancora mi chiedevo come avesse fatto a finire in un posto del genere.
All’inizio credevo che i Thunder fossero un po’ come i Metakiller, cioè ragazzini raccattati per i vicoli bui e impolverati delle metropoli, e invece la maggior parte di loro erano rampolli di ricche famiglie, o addirittura figli di altri Thunderkiller.
C’erano perfino famiglie in cui o eri un Thunder o venivi disconosciuto.
Bah.
« Eileen, tesoro, stai bene? » chiese Audrey, e solo in quel momento mi accorsi che ero completamente assorta.
Scrollai le spalle e annuii.
« Si, certo, sono solo un po’ stanca. » dissi, vaga.
Lei si strinse nelle spalle e si mise in piedi sulla panchina, guardando in tutte le direzioni.
« Cosa cerchi? » domandai, incuriosita dal suo comportamento.
« Non cosa, Eli, ma Chi. » rispose ghignando e indicandomi due persone che si dirigevano verso di noi.
Oh - oh.
Alexander Lloyd e il mio stalker personale ci raggiunsero nel giro di un minuto.
Mi limitai a un sorriso stirato e mi concentrai sul mio disgustoso pranzo.
« Eileen, lui è Jason Hawks, un ex Metakiller, nonché braccio destro di Dim. È ritornato ora da una missione che l’ha tenuto occupato per gli ultimi due anni, perciò non credo tu lo conosca. » disse Alex, con un sorriso soddisfatto sulle labbra, indicandomi lo stalker.
Si, è ritornato ora. Di due settimane fa, però. Pensai, squadrando l’ex Metakiller.
Come si poteva tradire la propria famiglia per unirsi con i nostri peggiori nemici?
Come se io potessi biasimarlo per questo.
Accennai a un saluto e sorrisi.
Lui ricambiò il sorriso, ma gli occhi azzurri continuavano a restare gelidi.
Dio, fra lui e Dimitri Calder non sapevo proprio dire chi mi spaventasse di più.
« Lieto di conoscerti, Eileen. » disse, calcando sul nome.
Ecco, perfetto, mi aveva scoperta. Ero, hum, decisamente morta.
Anzi no, ero più che morta. Polverizzata. Distrutta, disintegrata. Puff.
Feci un lieve sorriso, fingendo di non aver capito i sottintesi di quella frase.
Audrey ci fissava come se fossimo tutti impazziti.
« Bene, ragazzi, forse è meglio che io vada. Ciao ciaaao. » disse, voltandosi e dirigendosi a saltelli verso l’entrata. E quella aveva diciannove anni?
Mi guardai le scarpe, non sapendo cosa fare.
Se avevano veramente scoperto il mio segreto, non potevo fare niente per difendermi.
Ero solo una Metakiller alle prime armi, mentre loro due erano Thunder. Anzi, uno era anche mezzo Metakiller.
Alex mi fissava insistentemente, Jason fissava me e io fissavo Alex, come un circolo vizioso, chiedendomi chi avrebbe fatto la prima mossa.
Fu Jason.
« Eileen, ti dispiacerebbe seguirmi? Dobbiamo parlarti in privato. »
Annuii con un cenno del capo e mi alzai, senza abbassare la guardia di un solo millimetro.
Forse sarei riuscita a volarmene via, se fossi stata una Metakiller Anziana.
Ma siccome ero solo una pivella, il mio DNA del falco non serviva a molto.
Ci incamminammo verso il bosco che circondava la Thunder Accademy senza proferire parola.
Jason e Alex sembravano rilassati.
Io invece, avevo il cuore a tremila.
« Chi sei? » mi chiese Jason, senza troppi giri di parole.
Ecco fatto. E io che speravo che la mia copertura potesse durare più di due settimane.
Stranamente, non ero per niente spaventata.
Anzi, ero incredibilmente calma.
Talmente isterica da essere calma.
Rabbrividii, e non certo per il freddo pungente.
Dovevo dirgli la verità? O continuare con la farsa di Eileen Miller?
« Non provare a mentire, Metakiller. »
Okay, meglio la verità.
« Sono … Oona. » dissi, titubante.
Mi avrebbero uccisa? Probabile.
Torturata e quant’altro? Ancora più probabile.
In fondo, era questo che facevano degli assassini come loro.
Alexander era scuro in volto.
« Te l’avevo detto che non era la vera Eileen. » sussurrò a Jason, in un tono che mi fece nuovamente rabbrividire.
L’ex Metakiller mi guardò, uno sguardo strano, di … pietà?
Era veramente pietà quella che leggevo nel suo sguardo?
« Allora, Oona, adesso ci racconti come sei finita qua. »
Ah no. Non mi sarei fatta comandare a bacchetta da un biondino tutto muscoli e un ragazzino che non riusciva neanche a guardarmi in faccia, chissà perché.
Io ero Oona Harmsworth, avevo in me il DNA dell’aquila reale, la regina dei cieli ed ero una Metakiller.
Ci voleva altro che un branco di pagliacci per spaventarmi sul serio.
Digrignai i denti e attaccai.
Senza pensarci, saltai addosso a Alexander e gli mollai un pugno sullo zigomo, poi un altro nello stomaco. Con una buona e perversa dose di piacere personale, gli tirai un calcio là dove non batte il sole, facendolo accasciare per terra.
Non mi fermai neanche a guardarlo. La mai attenzione era tutta per Jason.
Lui serrò i pugni e mi fissò, guardingo. Era rimasto immobile per tutto il tempo, limitandosi a guardarmi mentre pestavo Alexander.
Passò un tempo infinito prima che si decidesse a caricare, puntandomi con tutta la sua forza.
Mossa errata.
Un secondo prima che i suoi pugni raggiungessero il mio viso, mi tuffai di lato, mandando il biondo a sbattere contro l’albero dietro di me.
Forse fu per fortuna, o per chissà quale ironico gioco del destino, ma riuscii a scappare.
Corsi a perdifiato, senza fermarmi un secondo, temendo che il Thunder-Meta, o qualunque cosa fosse, fosse dietro di me, pronto a uccidermi.
Corsi, senza fermarmi.
Corsi, verso la libertà, ma anche al fallimento della mia missione.
In ogni caso, corsi.
Percorsi tutto il bosco correndo, inciampando, rotolando e saltando.
Finii contro ragnatele, arbusti, rami ricurvi di alberi morti.
Ero quasi riuscita a raggiungere il confine, quando le gambe iniziarono a pulsarmi.
Mi fermai, sfinita, e mi tirai su l’orlo dei jeans.
Inorridii.
Le punture erano diventate viola, e quella sulla gamba sinistra perdeva sangue.
Maledizione!
E quello fu il mio ultimo pensiero.
Qualcosa mi colpì alla testa, e persi coscienza.
 
 
 




Alexander – Thunder Accademy.
 


Dannazione!
La ragazza ci era scappata.
Non potevo crederci!
Lei era lì, davanti a noi, senza possibilità di fuga … e mi era saltata addosso, ridicolizzandomi davanti a Jason.
Quando eravamo tornati nell’Accademy, l’ex Metakiller mi aveva chiesto perché non mi ero difeso.
« Non ne ho avuto il tempo. Ho realizzato ciò che stava succedendo troppo tardi. » avevo borbottato, prima di salire nella mia stanza a rimuginare su ciò che era successo.
Perché, in verità, io avevo lasciato che mi colpisse.
Ancora non riuscivo a capire perché.
Maledizione, era una Metakiller! Avrei potuto tranquillamente strangolarla prima che avesse avuto il tempo di dire ‘A’.
Era il mio lavoro ucciderli.
E mi era anche capitato di farlo.
A volte, i loro fantasmi mi venivano a far visita nel sonno.
Mi prendevano in giro, mi urlavano ‘vendetta!’, ridevano di me.
Eppure, Eileen, o meglio, Oona, aveva qualcosa di diverso.
Forse per la prima volta non li vedevo come manichini privi di qualità, ma come persone.
Anche perché un manichino difficilmente ha tanto coraggio da infiltrarsi nella tana del lupo, e di castrare con un calcio quel lupo.
Forse era per questo che le avevo permesso di ridurmi a una carta straccia vivente.
O forse, perché … no, assolutamente.
Non mi ero innamorato. No. Non era logicamente possibile, maledizione! Lei era il nemico, era della frazione dei cattivi, dei mostri, degli abomini.
Ecco cos’era. Era un abominio, e io non potevo innamorarmi di lei.
Non potevo e non dovevo.
 
Crollai sul letto, esausto.
Erano le sei del pomeriggio, e già non vedevo l’ora che arrivasse la notte.
« Ehi amico, com’è andata? » mi urlò Zach, uscendo in quel momento dal bagno con … beh, assolutamente niente addosso.
« Zach, per l’amor del cielo, mettiti qualcosa! Sei orrendo. »
Lui ghignò, infilando un paio di boxer.
« La tua è solo invidia, Alexander. Lo sanno tutti. »
Io gli tirai il cuscino. Quel ragazzo era incredibilmente irritante.
Possibile che non poteva portare la sua insopportabile e squallida ironia da un’altra parte?
« Sono piuttosto irritabile in questo momento, Monroe. Sparisci. » sibilai.
Lui, per tutta risposta, scoppiò a ridere e finito di vestirsi si buttò sul letto accanto al mio.
« Avanti, Alexander, parliamo dei tuoi problemi di donna. » disse, ridendo come un matto.
« Ah ah, veramente divertente, Zach. Mi sto sbellicando dalle risate. » risposi, laconico, ignorandolo.
Avevo problemi più gravi della convivenza con quell’essere.
Come i miei sentimenti per la Metakiller dai capelli castani e il sorriso meraviglioso.
No Alexander, no. Smettiladi fare l’idiota! Mi rimproverai, senza risultati.
Il volto allegro di lei continuava a fare capolineo tra un pensiero e l’altro.
Eppure, ciò che stavo provando era insensato, ancora più dell’esistenza del mio compagno di stanza.
Avevo praticamente firmato la sua condanna a morte, aiutando Jason e Dimitri con le investigazioni, ero pronto a tutto, e perfino armato, quando l’avevamo portata nel bosco …
Ah, maledettissimi sentimenti!
E a quest’ora probabilmente Oona era già tornata dai suoi amici, raccontandogli quanto fossimo stupidi e ingenui noi Thunder.
Jason era andato a cercarla, ma era tornato a mani vuote, e con la scritta ‘Falliti’ sulla fronte eravamo tornati nell’Accademy.
Continuavo a ripetermi che era tornata dai suoi alleati, sana, salva e sorridente, eppure qualcosa mi diceva che non era per niente così.
Una strana sensazione di pericolo continuava a far suonare la sua sirena nel mio cervello, ma continuai a ignorarla.
Impossibile.
Se era sfuggita a noi Thunderkiller, quali pericoli poteva mai correre quella ragazza?
Tanti, ma all’epoca non potevo certo saperlo.
 



 
 
Moon – Accampamento dei Girovaghi.
 




Il rumore di un elicottero mi fece svegliare di soprassalto.
Thunderkiller, fu il mio primo pensiero.
Ancora in camicia da notte, corsi fuori dalla mia tenda, proprio come tutti gli altri.
Ci guardammo, confusi, e alzammo gli occhi al cielo.
Niente.
Tutto vuoto, limpido, senza nemmeno una nuvola.
C’era qualcosa che non andava.
« Moon, credi che stiano per attaccarci? » mi chiese Juan Javier, il più grande di noi. E nonostante questo, all’ultimo gradino del comando.
Io ero il capo della spedizione, in qualità di figlia della Notte.
Scossi la testa, fiutando l’aria e ascoltando i suoi della foresta.
Niente.
« Credo che per stanotte possiamo starcene tranquilli. » mi limitai a dire, pensierosa.
Green, mia sorella gemella, annuì e si voltò per rientrare nella sua tenda verde prato.
La mia, nera come la notte, mi aspettava accogliente, ma dovevo pregare prima di poter tornare a dormire in pace, o il sonno non sarebbe mai arrivato.
Feci segno a tutti gli altri di tornare nelle loro tende, e quando rimasi sola nel piazzale, mi inginocchiai davanti alla statua della Grande Madre, sospirando.
Sembrava triste, la Dea Bianca. Sembrava in pena per i suoi figli mortali, costretti ai dolori terreni per punizione da Marvhal, il suo nemico.
La pregai di aiutarci, di proteggerci, sempre.
Pregai gli altri Dei di rendere sicuro il nostro viaggio, positiva la sua fine.
Non vedevo l’ora di tornare a casa, dagli altri Girovaghi, a Rio de Janeiro.
Mi mancavano le danze intorno al fuoco, i canti sotto le stelle, i viaggi spossanti per le terre aspre di questo mondo malato.
Un vento tiepido si alzò in risposta alle mie preghiere, e sorrisi.
Laelia mi stava ascoltando, era con me, e ci avrebbe aiutati.
Mi rialzai dal terreno umido con fatica, e tentennando rientrai nella mia tenda, cadendo sul letto, stanca come non mai.
Ero arcistufa di quel viaggio, che sembrava non finire mai.
Mi toccai il ciondolo a forma di stella e sperai che terminasse in fretta.
Nel bene o nel male.
Peccato non aver specificato ‘solo nel bene.’
Perché, forse, per un mio errore di pensiero, Jezi la Dea Nera ascoltò solo una parte della mia preghiera.
E ascoltò la parte sbagliata.
 
 
 



Oona – Rio de Janeiro, DTM Corporation.
 



Ero stesa su un lettino bianco, come quello degli ospedali.
La stanza era anch’essa completamente bianca, e un uomo vestito di bianco mi guardava, corrucciato.
Un Thunder? Un Girovago? Non riuscivo a decifrare cosa fosse.
L’uomo mi sorrise, facendomi rabbrividire.
Ancora non riuscivo a capire perché tutte le persone che mi sorridevano, ultimamente, lo facessero sempre pensando al modo più lento e doloroso di uccidermi.
« Ben sveglia, bambina. » mi disse l’uomo calvo, continuando a fissarmi insistentemente.
« C-chi s-sei, t-tu? C-cosa s-sei, tu? » domandai, non riuscendo a impedirmi di balbettare.
Continuando a sorridere, mi fece cenno di tacere.
« Io sono il Dottor Lacroix, vicecapo della DTM Corporation, nonché tuo sorvegliante. E, per quello che possa valere, sono un semplice umano. »
Disse sorvegliante come se volesse dire carceriere.
E poi, cos’era la DTM Corporation? L’ennesima associazione contro i Poveri e Indifesi – più  o meno – Metakiller ?
Vista la mia fortuna, probabile.
« Ehm, nonno, il Signor Dìaz ha bisogno di te! »
La voce allegra di un ragazzo mi fece voltare la testa di scatto.
Aveva si e no la mia età, forse poco più grande. Aveva i capelli neri e gli occhi azzurrissimi.
Feci per sorridere, quando ripensai alla mia ipotesi di poco prima, e mi limitai a scoccargli un’occhiata assassina.
Lui sembrò a disagio, ma il Dottor Lacroix gli diede una pacca sulla spalla e lo incaricò di sorvegliarmi. Poi, fischiettando un motivetto anni ’60, se ne andò, lasciandomi sola con Mr. OcciAzzurroCielo.
« Ehm … hei! Ciao, io sono Emmett Evans. E tu? » mi chiese.
O meglio, chiese ai lacci delle sue scarpe.
« Oona. » risposi, laconica, fissando il soffitto.
Lui continuava a fissarsi le scarpe, a disagio.
Dio, che fastidio!
Alla fine decisi che con il silenzio non avrei concluso nulla, perciò mi misi faticosamente a sedere e, massaggiandomi la testa dolente, lo fissai di traverso.
« Che razza di posto è questo? Chi siete voi? Cosa volete da me? » domandai, nel modo più assassino possibile.
Emmett continuò a stritolarsi le mani, poi, dopo una decina di minuti buoni, si decise a graziarmi.
« Questa è la DTM Corporation, ovvero la Death to The Murderers. »
Death to The Murderers. Morte agli assassini.
« Il capo di questa organizzazione, il signor Dìaz, ce l’ha, hum, a morte con voi Killer. E con i Girovaghi, credo. Non so perché. Non sono tenuto a sapere certe cose. » terminò Emmett, lasciandomi non spaventata.
Di più.
E no, non era tanto il fatto che ci finissi sempre io in mezzo ai nemici.
No, nemmeno il fatto che un pazzo scatenato ce l’aveva coi noi Metakiller.
Ciò che mi faceva veramente paura, era il fatto di non poter scappare, di rimanere imprigionata lì dentro finché i miei amici non mi avessero salvata.
Perché, guardandomi intorno, mi sembrava impossibile avere anche solo una minima speranza di fuga.
Ero in un grattacielo. La mia stanza si trovava al, beh, a un altissimo piano, e la parete-finestra circondata di telecamere, esattamente come la porta e ogni altro angolo della stanza non mi facevano sentire per niente tranquilla.
Guardai Emmett.
Non sembrava tanto male, per essere uno dei miei possibili assassini.
« Perciò tu sei davvero, una, ehm … »
« Ibrida? Abominio? Metakiller? Cosa volevi dire? » chiesi, pungente. Erano quelli i termini che ci lanciavano addosso di solito.
Mostri.
Come se non fossimo stati altro che ragazzini indifesi, che per trovare un tetto sotto cui vivere e un pasto caldo avevano dovuto accettare in sé un DNA esterno, animale.
Come se non fossimo tutti dei ragazzi alla ricerca di un po’ d’affetto.
« Un’orfana. » terminò lui. 













Author's Conner:
TADADADAAAAAN. 
I'm not dead. Yeppa! 
Allora, che capitolo strano °-° 
Sono arrivati AAAALTRI cattivi, i ... boh, non so nemmeno come chiamarli.
DTMani (?) 
Tenete d'occhio Alex. Lui e i suoi sentimenti mi ispirano. Yeah.
Oona, hum, che personaggio complicato! [ e sfigato, soprattutto 
♥ ]
Emmett, tenete d'occhio anche lui. Lo svilupperò molto, in seguito :3 
Spero che nel prossimo capitolo avremo qualche illuminazione in più sui DTMani [ anche io, perché, davvero, sono curiosa quanto voi di sapere come andrà avanti la storia °----° ] 

Bene, pass e chiudo.
SBAM!

Madamoiselle Nina.
   
 
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