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Autore: daykiria    05/03/2012    1 recensioni
Tutti i giorni vediamo, sentiamo, tocchiamo, gustiamo, odoriamo e proviamo sensazioni è un peccato che non si riesca mai a prestarci attenzione
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aveva sentito l’odore della morte quella mattina, quell’odore penetrante di carne putrida, di sangue coagulato che ti entrava nelle narici e non ti lasciava più, un corpo consumato da dentro che non trattiene più nulla, un corpo senza vita, quello era l’odore della morte. L’auto viaggiava veloce sulla strada, mancava poco all’alba, le giornate si erano allungate ed a quell’ora c’era più luce. Viaggiava veloce, sempre troppo veloce, senza nessuna paura, nessun timore, nelle narici quell’odore che non sarebbe passato, aveva capito che l’avrebbe sentito tutto il giorno, ma non sapeva ancora perché. Guardò l’ora, il display indicava le 6:35, ancora dieci minuti di strada e sarebbe arrivata a lavoro, intanto correva, non era in ritardo, ma correva sempre più forte, voleva lasciarsi in dietro la morte, o voleva andarle in contro, non sapeva precisamente cosa voleva, anche solo smettere di sentire quell’odore.

Arrivò puntuale, qualcosa era davvero morto in le, lo stomaco cominciava a ribollire di succhi gastrici non digeriti, il caffè non era servito, ed  il thè nemmeno. Prese le consegne come sempre, tolse la giacca e cominciò ad accogliere i pazienti. Stanza 110 prego si accomodi, stanza 117 sono subito da lei, cosa deve fare signora? Gli esami vada dalla mia collega. Al 121 arrivo subito signora che lei è la prima. Odore di vernice, pungente, fastidioso, irreale odore di solvente di vernice, un chimico pulito che trapassa le narici, disturba le cellule olfattive e se ne va come è arrivato lasciando quel senso di asetticità, disinfezione finta, come se le avessero pulito il cervello, lo stomaco ancora non le dava pace, mangiò una caramella e lo ignorò, come ignorò l’odore come ignorò quella lugubre sensazione, come ignorò se stessa. Scrollò la testa, andò avanti, mancavano ancora sei ore e mezza, sarebbe sopravvissuta, concentrata sul suo lavoro ce l’avrebbe fatta. Smarrita ecco come si sentiva, completamente smarrita, mentre faceva i ricoveri , provava le pressioni, parlava con i medici del più e del meno, smarrita, c’era ma non presenziava, sentiva ma non ascoltava, solo sussurri nelle suo orecchie e non di chi le parlava, erano le parole dei suoi odori, quelli che aveva voluto scacciare, tornavano pretendendo la sua attenzione sempre con più forza, il sangue, la vernice, la morte. Basta non voleva più sentire, ascoltare, odorare nulla, voleva solo lavorare, nulla più, cancellò tutto e fece attenzione a quello che aveva davanti, intorno a se lasciò il vuoto.

Sette ore di lavoro, calmo, organizzato, pacifico, burocratico lavoro, ce l’aveva fatta, tranquillamente niente più odori, niente più sussurri, niente più stomaco. Bevve un altro caffè e nel momento in cui batté le palpebre per assaporarlo sentì  un forte dolore al ventre, un dolore acuto, lancinante che le tolse il respiro, si trovò piegata in due a terra, senza avere la forza di dire una parola, sentì un liquido caldo scorrerle tra le gambe, vide la sua candida divisa macchiarsi gradualmente di sangue, tornò quell’odore, la morte e poi il buio.

Aveva gli occhi chiusi, ma la forte luce della stanza le impediva  di aprirli e di tenerli chiusi allo stesso tempo, ancora l’odore di vernice, di pulito, socchiuse gli occhi, la strumentista stava contando i ferri riponendoli  nel cesto della trousse, girò i viso alla ricerca di un voltò familiare, vide due occhi dietro una mascherina, due occhi di cui si fidava e con cui aveva lavorato per molto tempo, la sua mano guantata si posò sul suo viso, vernice, ecco cos’era, quell’odore di pulizia, ciò che ha cancellato tutto. Non avrebbe dovuto ignorare quegl’odori, aveva sentito la morte arrivare, l’aveva avvertita nel migliore dei modi, ora lui non c’era più, una parte di lei è morta davvero quel giorno.

  
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