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Autore: Il_Genio_del_Male    05/03/2012    13 recensioni
John non si sente troppo bene, e la colpa è di Sherlock.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Mpreg
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- Questa storia fa parte della serie ''We're not a couple'. 'Yes you are'.'
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NOTE: Aggiorno in virtù di non si sa quale grazia divina, perché è davvero un brutto periodo (tra il computer totalmente da reimpostare e che per di più non si connette a internet e i miei vari casini) per cui, a scanso di equivoci, vi chiedo di portare pazienza. Non so davvero quando e come riuscirò a postare il nuovo capitolo, ma sappiate che non ho intenzione di mollare voi lettori, né tantomeno questa storia. Incrociate le dita per me e speriamo che tutto si sistemi.

Detto questo, vi lascio ai nostri beniamini.

Buona lettura!

 

 

 

 

 

“COSA?!” esclamarono all’unisono John e Gregory.

“Sst, non svegliate il bambino” li rimproverò severamente Sherlock, portandosi un dito davanti alla bocca.

“Hai ragione, caro. Scusa” mormorò il dottore.

“Mycroft, come sarebbe a dire che ci sposiamo?” incalzò Lestrade con un tono di voce sufficientemente basso.

“Non porre domande di cui conosci già la risposta e che offendono la mia intelligenza e la tua, Greg” rispose quegli, inarcando un sopracciglio.

“Io pongo domande più che legittime!” si imporporò l’altro, ignorando per amor di pace la smorfia ironica dipintasi sul volto di Sherlock. “Ti è per caso sfuggito di mente che agli occhi della legge risulto ancora sposato con Melanie?”

“Se è per quello, posso ottenere le carte del divorzio già firmate da lei e convalidate dal giudice in meno di mezzora” spiegò serafico l’uomo. “Non c’è cavillo legale che un agente dei Servizi Segreti di Sua Maestà non sappia aggirare”.

“Chiamalo cavillo” rimuginò tra sé e sé John.

“Va bene, fingiamo per un attimo che il problema della mia ex moglie non sussista più. Come la mettiamo con la proposta?” l’ispettore rivolse uno sguardo di biasimo al compagno.

“Proposta?” sillabò Mycroft, tamburellando le dita sul manico dell’ombrello.

“Sì, Mycroft. La proposta di matrimonio, quella proposta. Sai, solitamente quando una coppia si sposa è perché uno dei due si è inginocchiato di fronte all’altra persona offrendole un solitario e chiedendole di trascorrere insieme il resto dei loro giorni” puntualizzò Gregory con delizioso sarcasmo.

“Non capisco. Vuoi che mi metta in ginocchio e ti regali un anello di fidanzamento?” domandò seriamente perplesso.

“Mio Dio, no! No. Sarebbe fin troppo grottesco, alla nostra età e tra uomini” balbettò rosso in faccia, mentre John veniva colto da un improvviso attacco di tosse e il detective sbuffava alzando gli occhi al cielo.

“Cos’è che vuoi, allora?”

“Mi sembra ovvio: che tu mi chieda di sposarti, che non prenda questa decisione senza consultarmi” replicò a muso duro.

“Davanti a mio fratello e a John? Devo proprio?”

“Devi”.

“E sia” sospirò Mycroft dopo un breve attimo di silenzio. “Gregory Lestrade, vuoi fare di me un uomo onesto e convolare a giuste nozze?” domandò arrossendo giusto un pochino.

“Fammi avere la sentenza di divorzio e potrai impalmarmi già questo pomeriggio” fu la subitanea e appassionata risposta dell’ispettore.

“Ti prendo in parola” sorrise soddisfatto Mycroft. “Sherlock, John, siete prenotati come testimoni” annunciò agli altri due.

 

 

“Assurdo” mugugnò il minore dei fratelli Holmes, spingendo avanti e indietro la carrozzina gemellare per conciliare il sonno ai bebè.

Mycroft non aveva lasciato loro possibilità di replica o di rifiuto (era davvero tirannico quando si metteva d’impegno), motivo per cui adesso si trovavano ad assistere all’insolito matrimonio, officiato niente meno che dal sindaco Johnson in persona nell’abbazia di Westminster. John, frastornato, portava Boswell infilato nello zaino port-enfant. Un manipolo di agenti dei SI piantonava tutti gli ingressi della chiesa.

“Uhm” assentì il dottore, sedutogli a fianco su una panca in prima fila. Erano gli unici invitati, del resto. “Devi ancora spiegarmi come facevi a sapere che stessero insieme, io credevo che si conoscessero a malapena”.

“E’ stato durante il nostro soggiorno a Baskerville, quando abbiamo incontrato Lestrade nella hall della locanda. Ad un certo punto si è lasciato sfuggire una frase del tipo: ‘Eseguo sempre gli ordini di Mycroft’ -non mi ricordo le parole esatte, l’ho rimossa dal database- ed è arrossito. Alquanto sospetto, non trovi? La sua reazione unita al fatto che avesse chiamato mio fratello con un tono così confidenziale e che dalla sua camicia mi arrivassero zaffate di L’Eau Par Kenzo -guarda caso il profumo preferito di Mycroft- mi hanno suggerito la risposta. Elementare, Watson” snocciolò tutto d’un fiato.

“Sai, Sherlock, il giorno in cui la pianterai di rinfacciarmi le mie scarse facoltà analitiche mi metterò a ballare la lambada vestito solo di un boa di piume nel bel mezzo di Piccadilly Circus” sorrise amaramente l’altro.

“Non capisco il perché di tutta quest’acrimonia” lo guardò con tanto d’occhi. “Di solito ti piace ascoltare le mie deduzioni”.

“Non quando infili ‘Elementare, Watson’ nel discorso. E’ umiliante”.

“John, è un intercalare come un altro”.

“Tu dici?” ribatté tagliente. “Allora non ti dà fastidio se, per esempio, comincio a darti dello psicopatico ad ogni pie’ sospinto -così, come intercalare?”

“Non è affatto la stessa cosa. Non mi passa nemmeno per la mente di insultarti, o attribuirti un difetto che non ti appartiene” mormorò Sherlock, raggrumando confuso le labbra.

“Per me lo è, Sherlock. E’ la stessa cosa. Sei un uomo brillante ed è uno spettacolo sentirti esporre i tuoi ragionamenti ma, detto fuori dai denti, quando fai pesare agli altri la tua genialità sei solamente irritante, un galletto tronfio con il petto in fuori e la cresta alta” soffiò rabbiosamente.

“John, ascoltami. Capisco dove vuoi andare a parare, ma è ora che tu la smetta di sentirti tanto inferiore a me, perché non lo sei affatto” parlò con voce morbida e sommessa, chinandosi per sussurrare direttamente nell’orecchio del compagno. “Il fatto che tu possieda un’intelligenza normale -bada bene: normale, non inferiore- non è un deficit. Ti ho mai accusato di essere un idiota decerebrato come Anderson e la Donovan, per caso?”

“No, ma ti diverti lo stesso a punzecchiarmi”.

“Perché ho un pessimo carattere. Manco di tatto e gentilezza, metto a disagio le persone, sono molesto. Credi davvero che non invidi la tua capacità di dire sempre la cosa giusta al momento giusto, o la tua umanità? Tu sei il cuore ed io il cervello, è per questo che formiamo una coppia formidabile; l’uno non può andare lontano senza l’altro. E comunque, lo ripeto: non ho mai pensato che tu fossi stupido. Se ti ho involontariamente dato questa impressione me ne scuso”.

John si voltò a guardare lo spilungone al suo fianco. Negli occhi cristallini, nella piega ansiosa della bocca, nella pressione esercitata dalle dita che stringevano il manico della carrozzina lesse tanta di quell’insicurezza, tenera goffaggine e sincerità che non poté che sciogliersi.

“Non so come tu ci riesca, ma ogni volta riesci ad intortarmi” disse tendendo una mano verso il volto del detective.

“E’ anche per questo che mi ami” sorrise Sherlock, appoggiando la guancia contro la mano che gli veniva offerta. “Adesso assolviamo ai nostri doveri di testimoni e poi torniamo a casa, l’odore dell’incenso mi dà la nausea”.

 

 

“E’ stata una bella cerimonia, in fin dei conti. Molto intima” osservò il dottore, salendo le scale con la testolina di Boswell che faceva capolino da dietro la sua schiena.

Sherlock lasciò la carrozzina nell’ingresso, sotto l’attaccapanni, e si caricò in braccio prima Irene e per secondo Hamish. “Dobbiamo pensare alla cena” fece notare, insolitamente prosaico e affamato. “Dovrebbe esserci una lattina di Campbell in dispensa, dietro alla mia scorta di bulbi oculari. Ci sono da preparare i biberon per i piccoli e la minestrina per Boswell”.

Nessuna risposta. “John? Mi hai sentito?” percorse gli ultimi gradini.

John era in piedi, immobile come una statua di sale in mezzo al salotto, gli occhi sgranati e fissi su una donna bionda sulla quarantina seduta in poltrona che sorseggiava tranquillamente una tazza di tè.

“Harry?” mormorò il dottore.

 

 

 

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Di precisazioni inutili da fare ne avrei a bizzeffe, peccato (o per fortuna?) che mi manchi totalmente la voglia e che abbia dita-polsi-avambracci totalmente anchilosati… sicché niente, ecco.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Fatevelo bastare per almeno un’altra settimana, ché sono un po’ presa con le bombe.

Questa, se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).

Un bacio a tutti voi, miei adorabili e fedelissimi lettori! <3

   
 
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