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Autore: ELE106    06/03/2012    17 recensioni
Una AU che è partita da sola per la tangente e se ne sta andando dove vuole lei, per cui non vorrei svelarvi troppe cose nell’intro. In breve: John Winchester e Mary Campbell, vivono da qualche tempo insieme nella grande casa di lui, a Lawrence (Kansas) e stanno per sposarsi. Lui è un meccanico, vedovo, con un figlio di 20 anni, Sam, che dopo i primi due anni di college, torna in città in pianta stabile per non si sa bene quale motivo. Lei è un’infermiera, single, con un un figlio di 24 anni, Dean, poliziotto, appena uscito da una relazione disastrosa e tornato da poco sotto il tetto dei genitori. I figli di John e Mary, dopo un inizio abbastanza privo di contatti o altro, finiscono con il diventare importantissimi l’uno per l’altro e per dare inizio ad un profondo rapporto di co-dipendenza e di forte amicizia, ma destinato a diventare di più. Inoltre Sam nasconde qualcosa e suo padre John sembra essere l’unico a sapere di che si tratta. Buona lettura!
Wincest...ma non incest! Don't like, don't read! ;D
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Autrice: ELE106
Titolo: Sono qui per te
Capitoli: 6/11
Fandom: Supernatural
Contesto: AU
Personaggi principali: Dean e Sam; Sam per questo capitolo.
Rating: Arancione (argomenti un po’ forti…)
Genere: Commedia, Sentimentale, AU, Slash, per certi versi OOC, e chi più ne ha più ne metta!
Beta: thinias (la martire ;D)
Disclaimer: Dean e Sam non mi  appartengono; questa è un'opera di fantasia; non rispecchia i gusti  sessuali dei personaggi; non ha scopo di lucro ; ecc …
Note dell’autrice: bene bene bene … se siete sopravvissuti fino a qui, siamo finalmente arrivati all’agognato (e sudato) POV di Sam!! Chi di voi aveva già capito cosa fosse successo??? Sono curiosissima di saperlo ^^, ci si rivede in fondo per lo sclero dell’autrice … non ve lo vorrete mica perdere???!!! Buona lettura ;D
 
 

CAPITOLO 6.
Sam: ragazzo interrotto (prima parte)
 




Quando il proiettile si è conficcato nel cranio di Jessica, è stato come se fosse entrato nel mio.
Ed insieme ad esso, una parte di lei si fosse fusa con me, in tutta la sua disperazione e rabbia.
In tutta la sua furia e confusione.
Ero diventato lei.
Oppure … lei era diventata il fantasma che mi ossessionava?
 
E’ stato solo buio e caos per non so bene quanto tempo.

Mi ricordo di mio padre in lacrime.
Me lo ricordo bene.
Ricordo che ero in ospedale.
Ricordo dottori ed infermieri e un miliardo di altre persone, che non facevano che toccarmi dappertutto e puntarmi luci accecanti negli occhi.
Avrei voluto urlare e rannicchiarmi in un angolo.
Avrei voluto diventare talmente piccolo da sparire, così che mi lasciassero in pace, perché quel proiettile aveva smosso l’inferno dentro la mia testa e sentivo solo il bisogno -quasi istintivo- di chiudere tutto e tutti fuori ed attendere di assorbire il colpo.

Ricordo che dormivo in macchina, sui sedili posteriori, durante il viaggio di ritorno a Lawrence e che John parlava sussurrando al telefono con qualcuno. Forse con Mary.
La sua voce tremava e io mi richiudevo nella mia mente, con maggiore ostinazione, cercando di non aggiungere al mio stato anche la preoccupazione di mio padre per me.
Ero scappato da lui per dimostrargli di essere un uomo e di essere perfettamente in grado di cavarmela da solo.
Ed era finita con una folle corsa in macchina per venire a riprendermi in un letto d’ospedale …

Il solo pensiero di averlo deluso … era terrificante.
Non riuscivo nemmeno a guardarlo. Ce l’avevo con lui, solo per sospettarlo capace di biasimarmi, anche in quelle circostanze e ce l’avevo con me stesso, solo per aver pensato una cosa del genere di mio padre.
 
Dormivo tanto.
Ma non era dormire davvero.
Ripercorrevo tutti gli sbagli, tutte le conversazioni, tutte le azioni e le inevitabili reazioni che portarono a quel maledetto giorno.
Il giorno in cui Jessica decise di smettere di essere invisibile.
 
Quando l’ho conosciuta, appena arrivato a Stanford, lei è stata una specie di angelo per me.
Non so perché, mi prese immediatamente in simpatia e mi trattava come un fratello minore, nonostante avessi la sua età.
Frequentavamo le stesse lezioni, studiavamo spesso insieme, la aiutavo dov’era più debole e vice versa.
Passavamo molto tempo insieme e … si, credo di essermi un po’ innamorato di lei.
Di quell’amore platonico ed infantile, quasi fraterno. Nulla di erotico, visto e considerato che il mio orientamento sessuale aveva intrapreso da tempo un’altra direzione.
Non ero propenso a condividere certi miei dettagli intimi con nessuno, quindi non ne parlai mai apertamente, senza negare né ammettere nulla.

Jessica stava già con Brady e, giuro, sembravano la coppia più schifosamente tenera, romantica e perfetta del pianeta.
Anche lui mi prese parecchio in simpatia, seppure una parte di me non abbia mai capito come non si infastidisse di avermi sempre tra i piedi e che Jessica tenesse modi molto affettuosi con me, anche in sua presenza.

Si può dire che diventammo un trio.

Mi piacevano.
Tutti e due.
 
Poi non so cosa sia successo.

Brady cambiò.
Droga, alcol, posti da ricchi snob, squallidi e pieni di spacciatori e puttane.

Trattava Jessica come fosse un oggetto dimenticato e senza importanza.
Peggio.
La trattava come un mezzo per sfogare la sua rabbia e il suo malessere.
La sviliva e la riempiva di insulti, camuffandoli con falsi sorrisi e pessimo sarcasmo.

Lei non me lo disse mai, ma ero assolutamente certo che l’avesse picchiata, in un paio di occasioni.

La vedevo spegnersi giorno dopo giorno.
E lei non concepiva nemmeno lontanamente l’idea di lasciarlo.
Tutt’altro.
Irrimediabilmente convinta che un giorno sarebbe tornato tutto come prima, fingeva semplicemente di non vedere l’essere ripugnante che era diventato il suo uomo.

Cercare di parlare con Brady e farlo ragionare, mi regalò solo il privilegio di prenderlo a pugni, dopo che lui colpì me per primo.
Cercare un approccio più mansueto, provando a capire cosa gli fosse accaduto, per ridurlo così, fu peggio.
Mi accusò di volerlo fuori dai piedi per farmi i comodi miei con Jessica.
Poi, in un delirio assurdo di offese e manie di persecuzioni che non capii mai fino in fondo, si convinse che in realtà era lui che volevo e tentò anche –credo- di baciami o forse di aggredirmi, non so. Lo stesi di nuovo, con un altro pugno sul naso.

Nel frattempo lei assisteva inerme a tutto questo.
Senza mai reagire, né lamentarsi, né esprimersi in alcun modo, se non aggrappandosi a me con tutte le sue forze.

Forse fu proprio questo l’errore.

Avrebbe dovuto aggrapparsi a qualcuno di più solido.
Qualcuno che avrebbe capito davvero che era sull’orlo di un baratro, ancor più profondo di quello da cui pendeva Brady.
Qualcuno che potesse salvarla.

Non io.

Mi concentrai su di lui, con le migliori intenzioni, ma sbagliai.
La lasciai da sola.
 
E quel pomeriggio, quando pensai di andare da lei e portarla con me a mangiare un muffin al cioccolato –che adoravamo- era già troppo tardi.
Entrai da quella porta, urtando il corpo pesante di Brady, riverso per terra con la faccia immersa nel suo stesso sangue e vidi Jessica in piedi, di fronte alla finestra, con la pistola in mano, già puntata alla testa.
Furono solo pochi secondi.
Il tempo di sgranare gli occhi ed allungare una mano verso di lei, inconsciamente, nel gesto di fermarla.
Non riuscii a dire nulla.
E tutto quello che mi resta di lei, sono le sue ultime parole.

“Mi piacevi tanto, piccolo …”
 
Uno sparo.
Le mie orecchie che fischiano.
Vetri imbrattati del suo sangue.
Poi più niente per tanto tempo.
 
Subito dopo il buio, sono arrivate le domande.
E sono state soprattutto quelle a mandarmi in tilt il cervello.

Perché disse quelle cose?
Perché non mi resi conto di cosa stava per fare?
Eppure, ripensandoci, avrei dovuto capirlo.

E ora capivo tutto.
Sentivo tutto, come fosse successo a me.
Come se a subire tutte le violenze, le offese, il dolore soffocante di aver perso la persona amata, fossi io stesso.

C’è stato un momento –forse più di un momento- in cui ho davvero creduto di essere lei.
Che possedesse il mio corpo e la mia mente.
In cui mi convinsi che il mio destino era di fare la stessa sua fine.
Che un colpo alla testa, mi avrebbe liberato e, di conseguenza, avrebbe liberato anche lei.
 
E, proprio quando i miei stavano diventando più che semplici propositi, è arrivato lui.
 
Dean.
 
E’ stato mio padre ad  ‘affibbiarmelo’ per tenermi d’occhio.
Lo sapevo.
L’ho sempre saputo.
Ma non mi interessava.
Cercava la mia compagnia e io desideravo disperatamente la sua, anche senza rendermene conto.
Era tutto quello che sapevo. Tutto quello che capivo. Una luce da seguire nella desolazione che mi circondava.
 
“Posso accompagnarti a casa?”

Sono state le prime parole che mi ha rivolto.
Anzi, a dire il vero, sono state le prime parole ‘normali’ che qualcuno mi ha rivolto, dopo … quel giorno.
Io lo osservavo.
Lo ascoltavo.
Non potevo farne a meno.

Avevo come l’impressione che fosse intimorito da me.
 
Senza sapere quando, come e soprattutto il perché, smisi di insabbiare la testa sotto il cumulo di tormenti interiori della mia mente traumatizzata ed iniziai ad interessarmi a qualcuno che veniva ‘da fuori’.
Smisi di credermi Jessica e ricominciai, lentamente, ad essere Sam.

Lui non sapeva nulla … mi trattava semplicemente come un ragazzo normale, che aveva i suoi segreti e basta. Non come una mente fragile e sotto choc, sull’orlo di una crisi post-traumatica.
E io stavo bene.
Dio, ascoltavo la sua voce e non pensavo più a niente.
Mi arrivava dritta al cervello e lo sentivo rilassarsi e distendersi, al suono roco e basso emesso delle sue corde vocali.
Lo ascoltavo ridere e lo guardavo gesticolare animatamente, mentre mi raccontava di quel suo amico, Gabriel, e dei loro battibecchi.
 
Lo trovavo buffo.
Così sicuro di sé, eppure, in qualche modo, impacciato e timido.

Quando parlava di Castiel arrossiva leggermente.
E si grattava la nuca, segno evidente che l’argomento lo imbarazzava e che era davvero un timido, anche se non sembrava.
Non la ammise mai, ma con Castiel aveva una vera e propria storia.
Una cosa seria.
Lo nominava spesso, anche senza accorgersene.

“Cass dice che …”

“Cass ha pensato che…”

I discorsi li iniziava quasi sempre così.
Con il tempo, notai che succedeva sempre meno di frequente.
E capii che, in qualche modo, era colpa mia e del tempo che trascorreva con me.
Ma non riuscivo a sentirmi in colpa. Avevo così tanto bisogno di lui …
 
Dean l’ho sempre guardato da lontano. Anche prima di tornare da Stanford.
E’ più vecchio di me, fa il poliziotto, è divertente, interessante ed è anche … si, è molto bello.
Attira l’attenzione, per l’uno o per l’altro motivo.
 
Ho sempre avuto un imbarazzante cotta per lui.
Di quelle innocenti e abbastanza sciocche, ma sotto controllo.
Quando me ne andavo da Lawrence non ci pensavo più.
E quando tornavo e lo vedevo, mi si chiudeva lo stomaco.

Lui non se lo ricorda, ma ci eravamo già visti.
Al suo ultimo anno di liceo –ovvero il mio primo- mi aiutò con un paio di bulletti.
I classici falliti, che cercano di auto-convincersi di non essere destinati alle fabbriche e se la prendono con gli altri, per sentirsi dei duri.
Ricordo che prese uno dei miei libri da terra, me lo porse e mi disse:

“Non sei diverso da loro. Se gli molli un pugno sul naso, sanguinano, sai?!”

Poi mi fece l’occhiolino e mi diede una pacca sulla spalla, continuando.

“Anzi, qualcosa di diverso ce l’hai. Tu sei più carino.”

La ridicola cotta che avevo per lui, iniziò allora e non credo di aver mai dimenticato i suoi occhi verdi ammiccare in quel modo.
 
Quando mio padre e Mary me lo presentarono e lui allungò una mano per stringermela, mi sembrò di essere in uno di quei romanzetti per ragazze, in cui il destino mette gli ‘innamorati’ sempre sulla stessa strada.
Avvampai per l’imbarazzo e mi tenni il più lontano possibile per molto tempo, consapevole che stavamo per diventare una famiglia e che, di certo, sentimenti di questo tipo avrebbero solo complicato le cose.

Con Dean, allora, non facevo che collezionare figuracce.
Le poche volte che ci parlavamo o che ci scambiavamo occhiate, io non riuscivo a far altro che arrossire, balbettare e tossicchiare convulsamente.
Ero sicuro che mi considerasse una specie di strano ragazzo-nerd-impedito e che provasse una sorta di compassione per me.
 
Comunque … poi è cambiato tutto.
Sono cambiato io.
 
Può sembrare assurdo, ma sentii da subito il desiderio di aprirmi con Dean.
Ogni volta che incrociavo i suoi occhi, percepivo come un ammasso informe di dolore, frustrazione, lacrime, paura, colpa e rammarico, crescere dentro di me e premere ferocemente per uscire. Per liberarmi.

L’unico motivo per cui non lo feci, fu la consapevolezza che non potevo scaricargli un tale macigno addosso, senza che nemmeno mi conoscesse.
Lo avrei fatto fuggire.
Ero abbastanza lucido per capire questo. Non ero così fuori di testa!
Per non parlare del fatto che, se avesse saputo, avrebbe iniziato a trattarmi diversamente.
Avrebbe iniziato a trattarmi come se non fossi normale, anche lui.
E io non volevo.


La prima volta che mi offrì un passaggio in macchina per riaccompagnarmi a casa, ricordo bene che parlò a raffica durante tutto il tragitto.
Parlava e parlava e io non capivo un accidente. Riuscivo solo a pensare: ti prego, aiutami Dean! Tirami fuori di qui!
Lui doveva solo afferrarmi, prima che il macigno mi inghiottisse al suo interno e non restasse più nulla di me da salvare.

E lo fece.
Forse, senza neanche accorgersene.
 
Penso di poter dare il merito di tutto a Gabriel.
Se non fosse stato per lui, non mi sarei mai sbloccato con Dean.
Non mi sarei mani nemmeno reso conto, di quello che era diventato per me.
 
 




Continua …
 
 
 




Nda (lunghisssssssssime): oh signùr che dramma!!! Siate molto clementi con me … questo capitolo e il prossimo sono stati moooooooooooooooolto difficili … molti pezzi dovevano incastrarsi e combaciare e qualche nodo doveva sciogliersi. Spero di esserci riuscita e di non aver fatto pasticci!!! Penso che fin’ora la storia fili … si *ci spera*... in qualche modo tutto ha un senso nella mia testa. Sono ansiosa di sapere se anche voi abbiate la stessa impressione ^^ Il personaggio di Sam è quello che mi riesce sempre più OOC, perché io ho una visione di lui, molto legata alle prime stagioni! Fatico a vederlo diventare un uomo, tanto quanto John e Dean (e Bobby) ^^ Ma…ho voluto mantenere inalterato il suo senso di inappartenenza. Il suo disagio e il suo sentirsi fuori posto, sempre. Il suo terrore di non essere ‘norame’, agli occhi dei suoi cari. Senza potermi avvalere del sorpannaturale, ho ricollegato questo aspetto del suo carattere ad un trauma subito. Con la seconda parte, arriviamo di nuovo a quella sera … ebbene si! La sera in cui Gabriel tentò di baciare Sam!! Perché il nostro ragazzone ha reagito così??? Lo sapremo presto … come promesso: tutto ha un senso. Aggiornamento previsto per martedì prossimo ^^
Come sempre, ringrazio tutti tutti tutti voi che seguite,  che commentate o che leggete soltato, la mia storia!!! Sono sempre più sbalordita e sempre più terrorizzata di combinare casini! Nel qual caso … vi chiederò perdono in ginocchio, uno per uno ;D Baciotti
   
 
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