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Autore: Dave1994    07/03/2012    2 recensioni
Posso due specie così diverse entrare in contatto l'una con l'altra, e insegnarsi a vicenda?
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Meg correva attraverso i contorti rami della Foresta Proibita, schermando il piccolo che portava in braccio da eventuali ferite. Il bambino strillava, forse perchè voleva il latte, forse perchè voleva dormire, o forse semplicemente perchè era da ben dieci minuti che sua madre correva. Se fosse stato abbastanza grande per capire l'entità del pericolo che li inseguiva su otto zampe e li osservava con altrettanti occhi, sarebbe sceso dalle braccia di sua madre e sarebbe immediatamente scappato a gambe levate abbandonando sul luogo la sua copertina preferita: per fortuna, questo fu il suo ultimo incontro con un Acromantula. Lo stesso si poté dire della madre, sebbene non nella stessa connotazione positiva del figlio.
Il ragno coprì velocemente la distanza che lo separava dalla sua duplice cena, grazie a una maggiore destrezza in un terreno in cui era decisamente pratico e anche grazie al maggior numero di arti impiegati nell'inseguimento. Certo che correva veloce, quella donna.
- Vieni, Meg, ho cose meravigliose da mostrarti! Lo sapevi che il tuo ragazzo aveva una ciondolo a forma di cuore con inciso i vostri nomi? Vieni, voglio solo restituirtela! - sussurrò, con la sua gutturale voce innaturale: al sentire quelle parole, Meg strillò e corse ancora più forte di prima, se possibile. Ma la sua fuga duro poco: il ragno salì sul tronco di un albero e si gettò a capofitto contro di lei, atterrandola con uno schianto di rami spezzati. La immobilizzò con ben cinque delle sue otto braccia e la morse al braccio, iniettandole il suo veleno micidiale. La donna strillò per altri tre minuti, quando il suo fiato cominciò a farsi più fiacco e punti neri cominciavano a comparirle davanti agli occhi. Sapeva che era finita, ma prima di morire volle vedere suo figlio, il suo bambino. Era caduto non molto distante da lei e piangeva a squarciagola per un brutto taglio alla gamba che si era fatto con un sasso affilato: Meg avrebbe voluto dirgli di scappare, di mettersi in salvo, ma naturalmente non poteva certo pretendere tutto questo da un neonato. Aveva solo un anno e sarebbe dovuto morire, tutto per sfamare quel bastardo di un ragno. Lottando contro il crescente senso di svenimento e nausa, la donna si alzò sorprendentemente in piedi: otto occhi stupiti la fissarono mentre raccoglieva lo stesso sasso, grande quanto un pugno, su cui si era ferito suo figlio e lo spaccava sul muso del ragno con una forza a dir poco sovrumana. l'Acromantula strillò di dolore mentre liquido nero le colava dalla bocca: cercò di muovere le tenaglie, ma scoprì di non riuscirci. Gliele aveva spezzate, quello sporco essere umano.
Meg cadde in ginocchio, mentre il veleno cominciava a serrarsi attorno al suo cuore: l'ultima cosa che vide fu il ragno rizzarsi sulle quattro zampe posteriori per stringerla in un abbraccio mortale. Con le ultime forze, prese la bacchetta sotto la camicia sporca di sangue e si rese conto che era spezzata esattamente a metà, con un filo argenteo che teneva unite le due estremità: decise di giocarsi il tutto per tutto, la agitò e ricorse a un Incantesimo di Schianto che esplose tra i due contendenti proiettandoli a diversi metri di distanza. Meg, con una giravolta impossibile, cadde a terra accanto al suo bambino, con gli occhi vacui e spalancati. Era morta, ma il piccolo non poteva saperlo: nel suo piccolo mondo, c'erano solo sua mamma, la sua pappa e la sua copertina, con qualche visita eccezionale di Larry, il Dinosauro Cantastorie. Era il giocattolo preferito di Meg e lo usava quando lui aveva difficoltà a dormire, ma in un microcosmo così innocente e spensierato non vi era posto per qualcosa di così ineluttabile come la morte. Non ancora, almeno.
Il bambino, smettendo di strillare, gattonò verso la mamma e le strinse il dito con il suo minuscolo pugnetto. Non emise nessun verso, come se si fosse reso conto che qualcosa non stava esattamente andando per il verso giusto.
Un rumore di rami spezzati segnalò al piccolo, forse troppo per rendersene conto, che l'Acromantula si era appena rialzata, sebbene con qualche zampa rotta e la tenaglia destra che penzolava dalla bocca gocciolando grosse gocce di sangue nero. Camminava, o meglio dire strisciava, a fatica, ma tutti i suoi otto occhi furiosi erano puntati su di lui.
Sarebbe stata questione di secondi, prima che fosse vicina abbastanza da mangiarlo.
- Cena. - disse, con una voce ancora più rotta e innaturale del solito.
Dire che il piccolo rimase fermo ad aspettare la sua ora non sarebbe stato corretto: per la precisione, fece qualche timido passo per avvicinarsi a quella cosa così nera e pelosa, con tutte quelle zampe e troppi occhi sulla testa.
- Bravo, così. -
Il ragno accelerò la sua moribonda corsa, trascinandosi dietro le quattro zampe ferite mentre il suo sguardo si faceva ogni passo sempre più famelico. Quando fu abbastanza vicino al piccolo protese le zampe buone come in un abbraccio disperato, come quello tra due fidanzati che vedono il treno in procinto di partire e cercano di rubare al tempo stesso qualche attimo in più per loro due.
E ci riuscì quasi, se non fosse stato per quella freccia. Fu così silenziosa che l'Acromantula nemmeno la sentì ed emerse dal verde della foresta solo all'ultimo secondo: il ragno la vide troppo tardi, quando oramai era conficcata in un centro perfetto nel suo addome. Fu il segnale: una salva di frecce, apparse dal nulla degli alberi, si abbatté sulla creatura crivellandola senza pietà, troppo stanca, sorpresa e ferita per poter anche solo gridare. Stramazzò a terra con un tonfo sordo, sollevando una leggera nuvola di terra e polvere. Anni e anni più tardi, per una qualche strana ragione, la scena sarebbe tornata alla mente del ragazzo, che paragonò il suo addome trafitto dalle frecce alla terra di un cimitero dalle lapidi qua e là.
Il bambino guardò stupito il corpo morto della creatura, mentre alle sue spalle un branco di centauri usciva allo scoperto, parlottando animatamente.
- Avremmo potuto salvarla, Conan, se solo fossimo intervenuti prima! -
- Lei non doveva nemmeno trovarsi qua, Fiorenzo, e tu lo sai bene. Quindi pensaci, prima di dire certe cose. - rispose aspramente il centauro più grande, mentre affidava ad un altro suo simile un arco d'ebano grande almeno come un uomo adulto. Portava una faretra fatta con rami e foglie secche sulla schiena.
Il branco si avvicinò al bambino, che stava seduto per terra fissandoli con uno sguardo di innocente curiosità.
- E di lui cosa ne facciamo? -
- Riportiamolo al castello e affidiamolo a Silente, è da là che viene dopotutto. -
- Fratelli - disse Fiorenzo, prendendo la parola e indicando il corpo di Meg accasciato per terra - potevamo prevenire questa inutile morte se solo fossimo intervenuti prima. Ci siamo macchiati di un gravissimo crimine. -
- Fiorenzo, non mi hai sentito poco fa? - rispose Conan, ringhiando: ma voci e sussurri tra i centauri lo misero in allerta. Poteva forse Fiorenzo spingerli a qualcosa di così assurdo che mai si era verificato nella storia del loro popolo?
- Io dico che per purificarci dalla colpa - tuonò Fiorenzo, raccogliendo il piccolo da terra che iniziò a giocare con la punta della sua barba - dobbiamo accudire questo cucciolo d'uomo finché non sarà abbastanza grande per tornare dalla sua specie! -
- E' UNA FOLLIA! - urlò Conan, ma lo sguardo dei suoi simili fu abbastanza eloquente. Sapevano che avrebbero potuto salvare la donna dal mostro e risparmiarla dalla morte, in cuor loro un senso di colpa andava crescendo sempre più. Un centauro scoppiò persino in lacrime, alla notizia che a causa loro negligenza di guardiani della foresta era morta una persona innocente, una madre oltretutto. Colei che dona la vita era una figura sacra agli occhi dei centauri e per questo la colpa poteva essere solo più grave.
Il branco ruggì la propria approvazione.
Tutti, tranne uno.
Conan si allontanò, scioccato per la piega che avevano preso gli eventi. Mai e poi mai era accaduto qualcosa del genere, che il popolo dei nobili centauri crescesse un cucciolo d'uomo! Perchè non un'Acromantula, allora! O uno Kneazle!
Era una follia, e tutto il branco era improvvisamente impazzito. Respinse il nodo che andava formandosi alla bocca del suo stomaco e galoppò lontano tra gli alberi.
  
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