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Autore: Signor_G    07/03/2012    0 recensioni
Che Faber fosse un poeta lo sappiamo tutti, ma se la celebre "Via del campo" anzichè una canzone fosse stata un racconto? Chissà, forse avrebbe potuto assomigliare a questo... Buona lettura!
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sara si svegliò di soprassalto e subito compì il gesto istintivo di strofinarsi le manine sugli occhi ancora chiusi. Quando li aprì la prima cosa che decise di guardare fu la sveglia a forma di farfalla dai colori sgargianti, illuminata dalla debole luce della lampada posta al suo fianco sopra al comodino, sempre accesa a causa della sua paura del buio.
Le lancette che segnavano un’ora che lei non era ancora in grado di leggere, erano in una posizione che le ricordava tanto una sedia senza gambe, girata verso quella che aveva ormai imparato a conoscere come ‘destra’.
Quella volta gli strani rumori erano iniziati più tardi, o forse semplicemente non li aveva percepiti prima. La sua mamma non lo sapeva, ma lei tutte notti si svegliava improvvisamente, disturbata da quei suoni che le riportavano alla mente i momenti di gioco, quando, felice si divertiva a saltellare e urlare sul letto cigolante in compagnia dei suoi pupazzi e ogni volta si convinceva che anche lei, la sua mamma, stesse facendo lo stesso.
Ma tutte queste erano solo supposizioni di una bambina di cinque anni che non aveva più il papà, fuggito con un’altra donna subito dopo averla messa al mondo, una bambina vivace e intelligente, dagli occhi azzurri e vispi, con i capelli nerissimi sempre a caschetto e con una buffa frangetta sul viso.
Sara viveva sola con sua madre, una madre che non aveva un lavoro perché, come la bambina era solita ripetersi sentendosi null’altro che un peso, era sola e con nessuno a cui potersi rivolgere, quindi non aveva la possibilità di lasciarla sola. Ogni sera però, da alcuni anni, o almeno da quando la bimba riusciva a ricordarsi, sempre più persone, o meglio uomini, venivano a trovare la donna in quel piccolo appartamento di via Del Campo.
Alla bambina non era permesso uscire dalla sua stanzetta dopo ‘l’ora della nanna’, però li aveva visti, li vedeva sempre, quei signori che fino al mattino entravano e uscivano dalla loro casa e che, forse, portavano del lavoro alla sua mamma, la quale, tutte le volte che andava a svegliarla dal suo sonno reso breve dalle notti insonni, la salutava con un sorriso triste, avrebbe potuto dire rassegnato, se solo ne avesse conosciuto il significato, e dopo averle chiesto, come ogni volta, se avesse dormito bene, le dava un grosso bacio sulla fronte, sussurrando, forse convinta di non essere sentita, che anche per quel giorno avrebbero mangiato.
 
Le strane notti e gli strani rumori erano ormai diventate un’abitudine per Sara, che cresceva sana e bella in compagnia della mamma che continuava però a non volerle dare spiegazioni circa la sua occupazione.
Fu in una di quelle notti, quando aveva ormai sette anni e la sua intelligenza le permetteva di comprendere meglio molte cose, che decise di infrangere la regola che le vietava di lasciare il suo lettino per aprire la porta e finalmente scoprire la verità.
Si alzò di soppiatto, scostando le lenzuola dal suo corpicino e stringendo al petto un pupazzo di pezza, il suo coniglietto preferito, si mise seduta, pronta ad andare. Non indossò nemmeno le pantofole, l’unica cosa di cui aveva bisogno era il coniglietto che teneva tra le braccia, con lui non le sarebbe potuto accadere nulla di male.
Posò la mano sulla maniglia e tirò la porta verso di sé, una sottile fessura le fu sufficiente per sgattaiolare fuori e sentire. Non solo i soliti rumori ma anche, per la prima volta, parole “Sposami. Sposami amor mio…” fu ciò che udì inizialmente e poiché le parvero belle parole decise di prendere coraggio e avvicinarsi ancora alla stanza della madre “No, sai che non posso… Non posso amare i miei clienti…” questa volta la voce le era familiare, era proprio quella della sua mamma.
Non poté fare a meno di chiedersi che cosa avesse voluto dire usando la parola clienti, ciò nonostante proseguì la sua breve marcia tanto da essere abbastanza vicino da poterla scorgere, se solo avesse voluto, ma non ne ebbe il tempo.
“Se non vuoi amare me non amerai nessun altro!” queste grida e l’azione che vide inclinando il capo all’interno, ebbero l’effetto di paralizzare la bimba. L’uomo che aveva parlato prese una lama dai pantaloni che non stava indossando e la mosse con furia in direzione della donna che stava coricata al suo fianco, facendola piangere e morire. Il pupazzo cadde a terra, inerte, inanimato privo di vita, abbandonato. La piccola Sara cacciò un urlo e scappò via senza versare una sola lacrima, nemmeno seguita da quel crudele che le aveva strappato via la mamma, a lei che non aveva nemmeno un papà, una mamma che non avrebbe più rivisto, morta con gli occhi che la cercavano e con il suo nome sussurrato sulle labbra.
 
Il tempo passò e l’uomo crudele non si fece più rivedere.
Di quella storia Sara non seppe mai più nulla e mai più ne volle parlare, anche perché una nuova storia ebbe presto inizio. Quella che era stata ‘la piccola’ Sara, ormai era diventata una giovane donna che cresceva sempre più sana e bella in compagnia del suo nuovo papà.
Sì, la bimba senza genitori aveva un nuovo papà, incontrato durante la sua ultima notte d’infanzia, proprio quella notte, quando era scappata dalla casa dove le avevano strappato anche la mamma. Era stata fortunata, sulla porta, quasi aspettasse proprio lei, un angelo in carne ed ossa l’aveva presa tra le braccia e l’aveva ascoltata piangere. Il suo nome era Fabrizio, un brav’uomo che l’aveva accolta e amata come fosse sua figlia. Con lui aveva vissuto felice e spensierata al riparo dal male del mondo e dalle crudeltà degli altri ragazzini, almeno fino a quando anche nella sua scuola non si venne a sapere la sua storia.
Un giorno, rincasando Fabrizio non vide la ragazza seduta al tavolo, pronta a consumare il pranzo che era solita preparare per entrambi e subito in tutto ciò colse qualcosa di strano. La trovò distesa in camera sua colma di una tristezza che non la caratterizzavano e con una lacrima che le copriva il volto privo di quel sorriso che sempre le faceva compagnia. L’orribile ricordo del loro incontrò raggiunse la mente dell’uomo non appena notò la somiglianza tra quello sguardo e quello della bambina che tenne in braccio anni addietro “Cosa ti turba piccina mia?” le chiese cercando di seppellire quel pensiero mantenendo il suo solito tono di voce caldo e gentile.
Sara si strofinò le mani sugli occhi tenuti chiusi e senza nemmeno rispondere gli porse un bigliettino che proprio quella mattina si era ritrovata appiccicato sullo zaino.
Trovatella di merda
Tre parole. Tre lame nel suo cuore. Tre lame e una nuova lacrima sgorgata nel rileggerle. Tre lame e un sorriso. Quello del suo nuovo papà che abbracciandola sussurrò “Non dimenticare Sara, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior…”.
  
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