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Autore: bacinaru    07/03/2012    4 recensioni
"Alla verità non si può fuggire in eterno e Gregory la trovò a casa, ad aspettarlo tra le lenzuola del letto disfatto. Non fu tanto la vista di sua moglie che si scopava allegramente il vicino di casa – neanche si erano accorti della sua presenza sulla porta, tanto erano forti (e volgari!) i loro gemiti di piacere – ma piuttosto la triste consapevolezza di aver sempre saputo e non aver mai fatto nulla a riguardo, che lo fece voltare ed uscire fuori dall'appartamento di corsa, senza una parola."
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lestrade , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I Capitolo

S. H.



Il suono dell'acqua corrente aveva isolato qualsiasi altro rumore all'interno dell'edificio, non che questo fosse una sorpresa, dal momento che la gran parte degli ufficiali erano ormai a casa da tempo.
Lestrade fissò per qualche minuto l'acqua che scorreva nel lavandino, alzando di tanto in tanto gli occhi per guardare il proprio riflesso nello specchio, senza poter fare a meno di notare un altro capello grigio che faceva capolino tra gli altri più scuri, un po' sbiaditi.
Immaginava fosse tutta colpa dello stress.
Non era mai stato vanitoso, ma per ogni capello grigio si accorgeva di star invecchiando e non era affatto piacevole. Aveva solo quarant'anni, per la miseria!
Quando finalmente si accorse della leggera nube di fumo che si era distesa attorno a lui, Lestrade immerse le mani sotto l'acqua, ignorando volutamente il bruciore provocato dal flusso bollente. Non era autolesionismo. Sperava solo che l'acqua calda potesse portargli via il sangue dalle mani, sangue che in realtà non aveva mai toccato, ma che le vittime di ogni giorno gli davano la sensazione di averne le dita piene.
Amava il suo lavoro, ciò non voleva dire, però, che gli piacesse la vista del sangue.
Una volta soddisfatto, chiuse il rubinetto, attento che non versasse neanche più una goccia – Dio solo sapeva se avevano bisogno di altre spese lì dentro – e uscì dal bagno, con le mani ancora umide.
Scotland Yard era deserta a quell'ora, doveva essere l'una di notte.
Lestrade tirò fuori il cellulare dalla tasca e cercò tra le voci in rubrica il nome di Cecilia, poi, come ripensandoci, decise di mandarle un messaggio, invece che chiamare:


“Torno a casa tra dieci minuti”


Probabilmente non gli avrebbe nemmeno risposto, ma Lestrade voleva essere sicuro che lo sapesse, per evitare sorprese.
Erano passati solo due mesi da quella volta e nemmeno lui sapeva perché avesse continuato a tacere.
Era solo stanco, stanco e vecchio, e forse un po' ingenuo. In fondo credeva ci fosse ancora speranza per loro, sebbene lui stesso non facesse nulla a riguardo, a parte il pugno che si era scontrato con la mascella del vicino pochi giorni dopo l'accaduto – come osava anche rivolgergli la parola? - e che con molte probabilità aveva fatto insospettire la moglie, tanto da farle cambiare partner per stare sul sicuro. Questa volta non sapeva chi fosse, ma Gregory pregò per lui che non incrociasse mai la sua strada.
Una volta entrato in ufficio, l'ispettore guardò un po' amareggiato i documenti che ricoprivano la scrivania al centro della stanza, l'unico mobilio con del disordine in superficie, mentre attorno regnavano del tutto immacolati un piccolo fax, un attaccapanni con addosso il suo cappotto e un cestino nell'angolo, già svuotato.
Avevano un caso difficile in corso, una donna assassinata in un centro benessere, nel bel mezzo del giorno, con le telecamera in disuso e nessun testimone. Sarebbe morto felice il giorno in cui un omicida si fosse presentato alla sua porta, senza alibi e con una confessione già pronta.
Sospirando - cosa che faceva spesso oramai - raccolse i documenti e li ordinò tutti all'interno di un'anonima cartellina, che ripose, poi, nell'ultimo cassetto della scrivania. Avrebbe continuato il lavoro l'indomani.
Preso il cappotto e spente le luci, Lestrade uscì finalmente da Scotland Yard.
Londra illuminava la notte inoltrata, in sottofondo il rumore delle auto che correvano per strada. Una città insonne.
L'ispettore raggiunse con passo stanco la propria auto - non aveva poi tutta questa fretta di tornare a casa. Quando, però, cercò le chiavi nelle tasche dei pantaloni e in quelle del cappotto e poi, alla fine, si ricordò d averle lasciate sulla scrivania, non poté fare a meno di imprecare a  denti stretti.
Si strofinò gli occhi con il pollice e l'indice - non aveva alcuna voglia di salire di nuovo, aprire l'ufficio e prendere le chiavi. Se fosse salito sapeva che non se ne sarebbe più andato e la sua schiena gli stava categoricamente proibendo di passare un'altra notte seduto alla sua scrivania.
Fu anche per questo che decise – contro ogni ragione, per altro – di tornare a casa a piedi.
Non abitava poi così lontano.


Camminava con passo svelto, tenendo la testa bassa e le spalle alzate, in un vano tentativo di ripararsi dal freddo gelo di dicembre.
Aveva iniziato a fioccare e per un attimo Lestrade si domandò se qualche diabolica divinità non ce l'avesse con lui a causa di qualche torto subìto.
Almeno, peggio di così non può andare.
Non ebbe neanche il tempo di formulare quel pensiero che udì degli strani rumori provenire da un vicolo buio, a qualche passo di distanza da lui.
Un uomo comune avrebbe semplicemente ignorato l'evento, perché di suoni sospetti ne è piena ogni strada di Londra, ma Lestrade era un poliziotto, o meglio, un Detective Inspector, e indagare faceva parte del suo lavoro.
Si avvicinò lentamente, rimuovendo per sicurezza la pistola dalla fondina. Doveva capire cosa stesse succedendo prima di buttarsi a capofitto in una situazione potenzialmente pericolosa; glielo avevano insegnato tanti anni di esperienza.
Una volta all'entrata del vicolo, si nascose vicino al muro, in ascolto. Tutto quello che udì, però, era il respiro pesante di - quanti? Due, tre uomini, forse? - insieme al rumore non distinguibile di qualcosa che veniva ripetutamente sbattuta a terra o contro il muro. Solo quando Lestrade si sporse  per dare un'occhiata si accorse di ciò che stava davvero accadendo: c'era un uomo a terra ripiegato su se stesso, nel tentativo di proteggersi dai calci di tre uomini che lo sovrastavano.
D'istinto Lestrade si mise a correre verso il piccolo gruppetto, urlando “Polizia!”.
Come previsto, i tre uomini fuggirono immediatamente, spaventati.
Poteva sembrare una mossa sciocca, ma catturarli non era stato l'obiettivo primario dell'ispettore. Dopotutto erano in tre e lui era solo, e provare ad arrestarli, nonostante avesse una pistola in mano, sarebbe stato controproducente.
Quello che a Lestrade era importato davvero, in quel momento, era allontanare quei teppisti dalla loro vittima. Era sempre stato troppo emotivo, i suoi colleghi glielo ripetevano in continuazione.
Senza pensare al fango che gli avrebbe macchiato per sempre i pantaloni, Lestrade si mise in ginocchio accanto alla figura ancora a terra, immobile.
La prima cosa che l'ispettore notò fu il lungo cappotto scuro che avvolgeva l'uomo privo di coscienza. Era così strano che una persona con addosso un cappotto del genere, che costava sicuramente molto più del suo stipendio, girasse per i vicoli di Londra a quell'ora della notte.
Non sapeva bene cosa fare - di solito le vittime erano già morte da un po’ quando lui arrivava sulla scena del crimine - mentre questa respirava ancora.
Forse cercare di svegliarlo era una buona idea, avrebbe potuto avere una commozione celebrale.
Con quanta più delicatezza potesse raccogliere, Gregory girò l'uomo sulle spalle, in modo da guardarlo in volto.
- Gesù...-
Il viso era imbrattato di sangue, fuoriuscito da uno squarcio abbastanza profondo che solcava la fronte dell'uomo.
Lestrade si morse il labbro inferiore, sentendo quel familiare istinto di protezione che nasceva in lui quando si trovava di fronte a qualche povero bastardo in difficoltà. Non aiutava affatto, poi, che quell'uomo sembrasse davvero giovane - doveva avere poco più di vent'anni.
Lo scosse piano per una spalla nel tentativo di svegliarlo, senza ottenere risultati.
-Maledizione-
Mormorò tra sé e sé, prendendo in mano il cellulare per chiamare aiuto. Sperò solo che il giovane non gli morisse tra le braccia, sarebbe stato sconveniente.
Quando, però, fu sul punto di digitare il numero di emergenza, dita sottili gli afferrarono il polso, costringendolo a desistere.
Guardò in basso e si sorprese nel vedere due languidi occhi grigio-azzurri, un po' infuocati dalla luce rossastra del lampione in fondo alla strada.
-Non farlo-
Lo disse così piano che quasi Lestrade non ne afferrò il senso, ma prima che questi potesse dire qualsiasi altra cosa, il giovane tentò di mettersi a sedere, gemendo per il dolore.
Forse aveva anche qualche costola rotta.
L'ispettore lasciò cadere immediatamente il cellulare a terra per aiutare il ragazzo a mettersi seduto, le spalle e la testa appoggiate al muro.  
Lestrade, guardandolo, si sentì un po' in soggezione. Con il sangue che continuava a fuoriuscire dalla ferita aperta, gli occhi del giovane iniziarono a fissarlo con un'attenzione inquietante, quasi volessero leggere per intero la sua vita solo osservandolo.
Aveva il viso affilato, gli zigomi sporgenti, e profonde occhiaie gli ombreggiavano la parte di viso sotto agli occhi. Nonostante  la poca luce rimasta ad illuminare il vicolo, Lestrade pensò  che quel volto era davvero troppo pallido.
Le dita dell'altro erano ancora sul suo polso, ma la presa era troppo debole per impedire a Lestrade di scivolare via e riprendere in mano il telefono.
-Devo chiamare un'ambulanza. Hai bisogno di andare in ospedale-
Su questa decisione non si sarebbe mosso, che al ragazzo piacesse o meno.
L'altro non disse niente, ma continuò a fissarlo.
Era piuttosto inquietante.
-Accidenti!-
L'ispettore si accorse solo allora che non c'era campo in quella parte del quartiere, sarebbe dovuto uscire dal vicolo per poter chiamare qualcuno.
Ritornò a guardare verso il basso, al ragazzo che aveva finalmente smesso di fissarlo e adesso si stava guardando attorno, un po' accigliato, come immemore di dove si trovasse.
Non sembrava, comunque, sul punto di addormentarsi, né di andare da qualsiasi altra parte.
-Non c'è campo. Devo allontanarmi per qualche minuto, ok?-
Il giovane non diede segno di averlo sentito, ma Lestrade era sicuro del contrario.
Anche testardo, doveva essere.
-Non si muova da qui-
Ancora niente.
Bene o male che fosse, l'ispettore iniziò ad allontanarsi, dovendo uscire dal vicolo per poter chiamare.
I paramedici gli fecero un sacco di domande - alla maggior parte delle quali non seppe rispondere – e fu solo dopo aver perso minuti preziosi che decisero di lasciarlo andare, con la promessa che sarebbero giunti lì in poco tempo.
Conclusa la telefonata, Lestrade si passò una mano sul viso. Forse avrebbe potuto chiamare domani al lavoro e fingersi malato.
No, non lo avrebbe fatto.  Stupido senso del dovere.
Sospirando per l'ennesima volta, fece marcia indietro e si addentrò di nuovo nel vicolo. Meglio controllare che il ragazzo fosse ancora vivo.
-Dannazione!-
Lestrade fece gli ultimi passi correndo, ma vide già che lì dove avrebbe dovuto esserci la figura accucciata del giovane, non c'era più nessuno.
Corse nella direzione opposta a quella dalla quale era venuto, e poi tornò indietro. Del ragazzo non c'era più traccia.
Eppure era convinto fosse troppo debole e malridotto per muoversi.
Come aveva potuto essere così idiota?
A volte si odiava per essere quello che era, sempre pronto a  mettersi in prima fila - e mai una volta che venisse ringraziato come si deve.
Guardò ancora una volta nel punto esatto in cui ricordava seduto il giovane e fu per caso che notò qualcosa, nascosto dietro ad una vecchia scatola di cartone.
Si chinò per afferrare l'oggetto.
Sembrava essere una piccola agenda di forma rettangolare; al suo interno le pagine erano cosparse di strani appunti, formule e quelli che sembravano essere degli esperimenti di un gusto davvero cattivo.
Lestrade si accigliò. Si rigirò l'agenda tra le mani e notò sulla quarta di copertina, in basso a destra, una piccola incisione: S. H.
Per qualche motivo, tutta la faccenda lo incuriosiva parecchio.
Aveva la strana sensazione che quella non sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto quel ragazzo.
Mise l'oggetto trovato in tasca proprio quando udì le sirene dell’ambulanza avvicinarsi.
Gemette frustrato. E adesso cosa si sarebbe inventato?


*  *  *


-Andiamo!-
Colpì la parte superiore della macchinetta ancora un paio di volte, ma quella sembrava non ne volesse proprio sapere di preparargli il caffè. Le aveva dato anche i suoi ultimi spiccioli, perché le cose a lui non funzionavano mai?
-Brutta giornata, eh?-
Il sergente Sally Donovan gli apparve alle spalle, porgendogli un bicchierino colmo di caffè, con una piega delle labbra leggermente divertita.
-Grazie-
Lestrade accettò volentieri l'offerta e ne bevve subito un sorso.
Ne aveva davvero bisogno.
-Allora, abbiamo qualcosa di nuovo?-
Chiese non appena ebbe finito la magra colazione, dal momento che non gli era sfuggita la cartellina che la giovane donna reggeva nella mano destra.
Donovan gliela porse, iniziando a parlare mentre entrambi si dirigevano verso l'ufficio di lui, dove avrebbero potuto continuare a lavorare sul caso con maggiore tranquillità.
-Non molto, ma abbiamo scoperto che aveva un amante: Mark Thompson. E'... -
-Sir!-
I due furono interrotti dal grido un po' traumatizzato di un giovane agente, entrato a far parte del corpo di polizia da poco, evidentemente.
-Che c'è da gridare così tanto?-
Lestrade era abbastanza nervoso quella mattina. Non solo non aveva dormito e la macchinetta del caffè lo odiava e aveva anche quel dannato caso che non ne voleva sapere di essere risolto, ma c'erano anche giovani agenti che gli urlavano nei timpani giusto per il gusto di provocargli una terribile emicrania.
-Sir... nel suo ufficio... -
L'agente gli si fermò di fronte, respirando a fatica. Sembrava avesse appena concluso una lunga maratona, o meglio… sembrava fosse appena uscito da uno scontro corpo a corpo con qualcuno, dato lo stato in cui era ridotto.
-Per favore, dimmi che il fax non è di nuovo impazzito-
L'ultima volta era quasi esploso e sinceramente Lestrade non voleva ripetere l'esperienza.
-No, sir... c'è... c'è un intruso-
L'ispettore scambiò uno sguardo confuso con il sergente, che lo guardava un po' accigliata, prima di affrettare il passo verso il proprio ufficio.
Se qualcuno aveva osato disturbare l'ordine del suo schedario lo avrebbe ammazzato seduta stante.
-Che cosa è successo?- chiese nervoso avvicinandosi alla porta, dove un altro agente, un po' più anziano ed esperto del giovane di prima, sembrava fare la guardia a qualcuno.
-Lo abbiamo trovato a rovistare tra i documenti del caso e lo abbiamo ammanettato alla  scrivania- gli disse quello. Lestrade però lo aveva già oltrepassato, ascoltandolo solo per metà.
Quando vide chi era seduto alla sua scrivania - se non fosse stato per gli occhi e il cappotto inconfondibile - Gregory Lestrade pensò che non lo avrebbe mai riconosciuto.
-Lasci perdere l'amante. E' stato il marito-
La domanda che ne seguì gli uscì spontanea, tanto era la sorpresa.
-Di che diavolo sta parlando?!-
Lo sguardo che ricevette in cambio lo lasciò senza più alcun dubbio.
Dio doveva avercela con lui.








NDA: Hi, e dopo l'ottimo betaggio della mia carissima beta, ecco a voi il nuovo chap! Contenti? Su, non fate quelle facce terrorizzate, non è poi così brutto XD Scherzi a parte spero davvero che vi piaccia e se avete un pò di tempo me lo lasciate un commentino? *occhi da cucciolo*
Vabbuò, ci sentiamo al prossimo aggiornamento XD
Baci!
  
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