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Autore: Lilianne    07/03/2012    2 recensioni
Fra le striature rossastre caratteristiche dell’imbrunire e un paio di nuvole che vagavano solitarie, riuscii a leggere un enorme scritta di colore rosa, evidentemente creata per mezzo di un aereo. Era a dir poco stupenda.
“Vuoi sposarmi?”
C: Oh mio Dio, chissà per chi è quella scr…
Mi voltai all’indietro, e non so come ma ebbi la sensazione che quella scritta in cielo fosse dedicata a me. Il cuore mi saltò in gola e il sangue mi si gelò nelle vene vedendo un Joseph Adam Jonas con occhi sognanti, in ginocchio, esattamente di fronte a me, che stringeva fra le mani una scatolina di un inconfondibilmente color Tiffany & Co. con all’interno un meraviglioso anello di fidanzamento.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Are you alive?

 

 

Maledetta me.

Maledetto lui.

Maledetti tutti.

 

Quell'ansia struggente che predominava oramai le mie giornate da un mese stava diventando insostenibile.

Quell' atroce dolore che infliggeva il mio petto dalla mattina alla sera.

L'assenza di un qualcuno che non c'era più.

La noia dell'attesa...

 

Inutile dire che lo amavo e che avrei potuto donare tutta me stessa per rivederlo negli occhi anche solo per un istante, eppure potevo, anzi DOVEVO, solo e soltanto aspettare.

 

I farmaci non facevano effetto.

Non rispondeva a nessuno stimolo.

Era come morto, un peso morto che giaceva inerte al di sopra di un insignificante letto.

 

Fanculo a me.

Fanculo a lui.

Fanculo a tutti.

 

La parola “futuro” riusciva a terrorizzarmi soltanto al pensiero.

Quale sarebbe stato il mio futuro?

Quale sarebbe stato il suo futuro?

Quale sarebbe stato il nostro futuro?

 

Erano le nove di un caldo mattino di Aprile. Le finestre della camera da letto erano spalancate, e la porta era chiusa.

Me ne stavo immobile sopra il letto ancora sfatto a gambe incrociate con le spalle rivolte alla testata.

I capelli raccolti in un disordinato chignon. Gli occhi stracolmi di angoscia e disperazione. Un pigiama di seta rosa ormai senza più alcun valore.

Ogni secondo sembrava interminabile.

Come un giogo stretto al collo dal quale è impossibile liberarsi.

Si sveglierà? Non si sveglierà? Come si sveglierà?”

Tutto un se, un ma, un forse, un però.

 

<< Buongiorno Cristina, vuoi del caffè? >> Mio padre piombò in camera mia con uno strofinaccio da cucina appoggiato sopra la spalla destra e con le maniche alzate.

Tipico.

Dal giorno dell'incidente i miei genitori tornarono a Los Angeles, precisamente nella nostra casa, per evitare che io stessi sola. Secondo loro avevo bisogno di “assistenza” solamente perchè la loro figlia aveva la pancia un po' più sporgente di prima.

<< No, per colpa di Tiffany non lo bevo più da un tempo!>> Gli risposi io totalmente assente con la mia classica acidità.

Al suono delle ultime mie parole, mio padre si sedette accanto a me visibilmente affranto. Che fosse forse stato per l'offesa recata alla sua prossima nipote?

Mise una mano sopra la mia coscia fredda: << Perchè dici questo Cristina? Quello che è successo a Joe non è per causa di Tiffany, ne tanto meno per colpa tua. E' stato un incidente te l'ho già spiegato. >> Sussurrò lui addolorato guardandomi diritta negli occhi.

<< Risparmia il fiato babbo. Tanto non si sveglierà mai. >> Affermai con tono

dogmatico stropicciandomi gli occhi per nascondere il mio sguardo.

<< Dire queste cose, non aiuterà certo a far riacquistare i sensi a Joe >> Ribadì mio padre in maniera quieta.

<< Ti prego babbo, portami da lui, voglio solo vederlo per un secondo >> Chiesi con il pianto in gola alzando appena lo sguardo deturpato dall'affanno.

<< Lo sai, i medici che seguono Joe ti hanno espressamente vietato di entrare addirittura nel reparto terapia intensiva. Potrebbe causare uno schock devastante alla bambina, e anche a te. >> Replicò lui rassegnato.

 

Ecco il solito pianto che oramai era diventato mio amico.

I singhiozzi taglienti e gli stessi fazzoletti bagnati dalle infinite lacrime amare che fuoriuscivano dai miei occhi senza più alcun riflesso di luce.

Non volevo piangere davanti a mio padre, volevo evitare di farlo soffrire ulteriormente facendolo assistere ai miei unici sfoghi, ma da quando Joseph finì sotto i ferri dissi “momentaneamente” addio alla mia dignità.

<< Senti, lo faccio solo perchè sei mia figlia e perchè non c'è tua madre e soprattutto perchè ti amo sopra ogni altra cosa al mondo. Vestiti velocemente, andiamo all'UCLA. >> Esclamò mio padre tutto d'un fiato con un mezzo sorriso stampato sulle labbra alzandosi in piedi.

<< Grazie. Ti voglio bene...>> risposi io con un fil di voce regalandogli uno di quegli abbracci che difficilmente si rimuovono dai ricordi, mentre una lacrima rigò la mia guancia.

 

Un vestito lungo.

Rosso come il fuoco.

Un paio di occhiali da sole.

Molto grandi per nascondere gli occhi privi di trucco.

 

Eccoli.

Il peggiore incubo che si possa incontrare per le strade.

Si erano appostati anche lì.

Paparazzi e giornalisti scandalistici.

<< Come sta suo marito Joe Jonas? >>

<< Si sveglierà oppure morirà? >>

<< Reagisce alle cure? >>

<< Quali saranno le conseguenze dopo il risveglio dal coma?>>

<< Lei come sta? >>

<< La bambina? Come sta la bambina? >>

 

Tutti quei flash e quei microfoni puntati addosso a me senza alcun briciolo di rispetto.

Tutte quelle domande, quelle fastidiose domande che risuonavano come sirene nei miei pensieri.

Senza indugio afferrai la mano di mio padre, come per cercare un appiglio, un qualcosa che mi desse la forza per attraversare quella marmaglia di sanguisughe che giocavano con il mio dolore come se s trattasse di una partita a Bridge.

Loro volevano solamente vedere il mio volto sbattuto in prima pagina per accaparrarsi un minimo di gloria.

Avrei voluto farli cadere a terra con un calcio per poi vederli soffrire, ma mio padre fu più furbo di me:

<< Vi conviene andare via, Cristina non risponderà a nessuna delle vostre domande e soprattutto cercate di avere un po' più di rispetto, perchè siete davanti ad un ospedale. >> Tuonò lui entrando all'interno della struttura.

 

Era come lo avevo lasciato.

Il solito posto cupo.

Gelido come una coperta di ghiaccio.

Dannato, come l'amore che provavo per quel ragazzo al piano superiore.

 

Scalino dopo scalino riuscivo a sentire sempre più il freddo che regnava attorno a me.

L'angoscia saliva sempre di più.

La paura si tagliava con il coltello.

Il cuore oramai stanco di battere continuamente faceva concorrenza alle mie gambe che erano ad un passo dal cadere a terra per il terrore.

 

Il corridoio del reparto terapia intensiva era deserto.

Le porte delle stanze erano tutte chiuse.

<< Amore mio è la A27. Vuoi che ti accompagni dentro? >> Mio padre indicò l'ultima porta a destra. Un po' nascosta rispetto alle altre.

<< No, è una cose che devo fare da sola. Me lo hai sempre insegnato tu che per crescere bisogna anche saper ingoiare le cose che non ci piacciono. Ho bisogno di diventare grande >> singhiozzai io trattenendo a stento lo spavento.

<< Adesso si che riconosco la mia bambina. Va', io sarò qua fuori ad aspettarti >> Lui mi strinse forte a se depositando un bacio sulla mia fronte commosso.

 

Presi un respiro molto profondo.

Appoggiai la mia mano gelida sulla maniglia in ferro di QUELLA porta.

Mi voltai nuovamente nella direzione di mio padre.

Egli mi intimò con lo sguardo di entrare e di farmi forza, ma in quel momento fu come se la mia mano si fosse bloccata.

Come se il sangue non scorresse più all'interno delle mie vene.

Come se i miei muscoli si stessero rifiutando di muoversi.

Non riuscivano a spostarsi minimamente.

Mio padre si avvicinò a me mettendo la sua mano sopra la mia:

<< Ricordati: sarò sempre dietro di te per aiutarti >>

Fra di noi ci fu un' intesa di sguardi, seguita da un suo sorriso appena accennato giusto per darmi un minimo di coraggio mentre io cominciai a mordere spudoratamente con i denti il mio labbro inferiore.

 

 

Le nostre due mani scivolarono insieme sulla presa.

Fu come un salto nel buio.

Scivolare giù in picchiata verso il vuoto.

 

Una volta varcata quella fottutissima porta fui sola.

 

Alzai gli adagio gli occhi stringendomi nelle mie spalle.

Dopo tutto quel tempo senza averlo minimamente visto era rimasto meraviglioso come al solito, forse anche di più.

Pareva fatto addirittura di cristallo.

Aveva qualche taglio sul viso ma allo stesso tempo era candido.

Era immobile.

Fermo.

Nella stanza regnava sovrano soltanto il mio respiro lento.

 

Una morsa violenta colpì di sorpresa il mio stomaco, accompagnato da altrettanti calci di Tiffany.

Gli occhi bruciavano.

La mia espressione si fece seria ed impassibile.

La mia mano si era posata automaticamente al di sopra della mia pancia, come per far calmare la bambina.

 

Avanzai pian piano verso la sedia posizionata al lato destro del letto.

Il mio sguardo non si staccò da lui per un nano secondo.

Era perfetto persino con una mascherina dell' ossigeno riposta sopra la bocca e con non so quante flebo infilate nelle braccia.

Si.

Sembrava quasi una figura angelica.

Bellissima e terribilmente incantevole, anche se priva di vita.

 

Gli accarezzai con cautela la mano come se fosse un gioiello prezioso.

Era fredda. Molto fredda.

Eppure era la stessa che fino a poco tempo prima era sempre sopra il mio ventre.

 

<< Beh Joseph, è l'ora di pranzo e se tu parlassi, molto probabilmente le tue parole sarebbero ' adesso mangi tutte le barbabietole e niente storie signorina ' con il tuo solito tono da finto militare arrabbiato. Sai, mi mancano le tue verdure schifose...>> Gli sussurrai con una accennata risata forzata osservandolo ancora più attentamente.

Il rumore costante della macchina che segnava le attività celebrali di Joe, ruppe quel silenzio che si era creato fra di noi.

Chissà se mi ascoltava?

Chissà cosa diceva?

Forse nulla o forse tutto.

 

<< Joseph, so che in questo momento non mi senti e che hai la mente nel “mondo dei sogni”, ma voglio che tu sappia che in tutti questi anni passati insieme, non ti ho mai amato come ti amo in questo momento. Per questo desidero vedere di nuovo i tuoi occhi che brillano, sentire le tue parole dolci e ascoltare la tua voce che rimbomba nella vasca da bagno quando fai la doccia.

Voglio cantare a squarcia gola le tue canzoni nella Mercedes quando torniamo a casa la sera tardi mentre mi obblighi a mettere giù i piedi dal cruscotto senza risultati. Ho bisogno dei tuoi rimproveri quando non mangio a cena, anche se finisci sempre per imboccarmi come una bambina piccola. Voglio continuare a prenderti in giro dicendoti che hai le cosce terribilmente grosse e urlarti che sei stupido ad usare la crema anti cellulite solo perchè sei un uomo, aggiungerei cretino. Voglio inseguirti per tutta la casa con in mano una pinzetta delle sopracciglia mentre tu scappi gridando. Potrà sembrarti un po' strano e insolito ma mi mancano come l'aria anche le nostre gare di rutti a tavola quando compriamo la Coca Cola. Ho un bisogno disperato dei tuoi baci e delle tue carezze quando mi sveglio al mattino e delle tue dita nei miei capelli. Ho bisogno delle tue battute deficienti e del tuo sorriso a trentadue denti quando vuoi pregarmi di fare qualcosa insieme a te. Voglio udire la tua risata contagiosa quando dici che la mia bocca è sproporzionata rispetto alla faccia.

Il giorno prima dell'incidente, mi avevi giurato che ci saresti stato sempre per ogni cosa. Adesso voglio che tu stia con me, fino alla fine dei nostri giorni. Tu non puoi abbandonarmi adesso, non ora, no. Ora non è il momento. Forse quando saremo vecchi e saremo circondati di nostri nipotini vicino d un camino a leggere favole e a raccontare di tutto ciò che abbiamo vissuto, davanti ad una tazza di cioccolato caldo arriverà il nostro turno, ma ora è troppo presto. Ti prego non lasciarmi da sola. Ho paura, Joseph, ho tanta paura di non riuscire ad essere più la stessa senza di te. Ti prego Joseph...ti scongiuro, non andartene...>>

 

Gli parlai con il cuore in mano.

Svuotai la mia anima da ogni sentimento stringendo la sua mano e chinando la testa sopra il suo letto mentre le mie lacrime sfiorarono appena la sua mano.

 

Silenzio.

Vuoto.

Il nulla.

 

Improvvisamente il rumore della macchina che monitorava Joseph accanto a me si fece più spedito piano piano.

Quel maledetto e antipatico marchingegno che non faceva altro che scandire il SUO tempo a suon di “bip bip”. Odiosi “Bip bip”.

In un primo momento non ci feci nemmeno caso.

Fu come se fossi estranea a tutto ciò che riguardasse il mondo, quando ad un tratto, mi parve di percepire un piccolo movimento della Sua mano all'interno della mia.

 

No. Non poteva essere.

Non era possibile.

 

Alzai adagio lo sguardo.

I miei occhi schizzarono fuori dalle orbite e le lacrime cominciarono a riempirsi di gocce di gioia alla vista di ciò che stava accadendo.

 

No. Non era vero.

Non poteva essere vero.

NO.

 

<< D-d- dove sono? C-chi sei?>> Si lamentò Joseph aprendo a fatica gli occhi più scuri della pece corrugando il volto dal dolore.

 

<< Oh mio Dio! Dottore! Dottore! Mi serve un dottore! Presto! >> Mi affacciai io gridando aprendo la porta della camera senza nemmeno chiedergli come si sentiva.

Mio padre accorse per primo dal fondo del corridoio quasi sorridendo, mentre io gli saltai letteralmente addosso dalla gioia facendomi fare una giravolta che solo una bambina di 5 anni sa fare.

Arrivarono immediatamente due infermieri accompagnati da un dottore per fare degli accertamenti e controllare la salute di Joe.

<< Babbo, si è svegliato si è svegliato. Ha aperto gli occhi! >> Depositai la mia testa sulla mia spalla, macchiandogli la camicia con le mie lacrime “buone”.

<< Tesoro mio, è un miracolo ti dico. É un miracolo...>> Affermò lui visibilmente sollevato.

 

 

Era passata un ora da quando i medici si chiusero in concilio nella camera di Joe.

Per l'emozione erano accorsi i genitori Denise e Paul che ci tenevano compagnia seduti sopra le sedie in corridoio.

Uscì un medico dalla stanza.

Solo a vederlo indossare quel camicie bianco, avevo i brividi dalla disperazione.

Non seppi nemmeno decifrare la sua espressione che subito chiamò a se solamente Denise e Paul.

 

Non vedevo l'ora che ritornasse a casa, insieme a me.

Straripavo armonia da tutti i pori della mia pelle.

Finalmente si era ripreso.

Lo sapevo che ce l'avrebbe fatta.

Era sempre stato un ragazzo forte.

Sapevo che che sarebbe tornato più forte di prima, fino a che le parole avvelenate di Denise non si schiantarono violentemente su di me:

<< Cristina, Joe ha perso la memoria... >>

 

 

 

 

Piccoli pensieri dell'autrice:

 

TiffanyBrandyj è tornata gente, ed è qui per voi! ( vi eravate accorte che non scrivo più da Dicembre, si o no? Boh.)

So che a molte di voi non importerà più niente della storia, oramai vi ho stufato, ma mi sono ripromessa che QUESTA fanfiction la avrei comunque portata a termine ( rispetto a molte altra lasciate a marcire!)

Dopo mesi di assenza da EFP, mi accorgo con moltissimo dispiacere che questa sezione è VUOTA. Ahimè, ciò mi da molta tristezza...

Ok, adesso la smetto.

Spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto (?)

Vi avverto che si sta avvicinando sempre di più la fine di “Diario di due cuori”, più o meno mancano circa tre o quattro capitoli (più o meno).

Baci

Cri

  
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