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Autore: Snafu    08/03/2012    3 recensioni
A chiunque creda nell'amore.
E magari nelle seconde possibilità.
Perché la notte fondamentalmente è il momento migliore per coltivarli entrambi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brian May, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Made in Hell Series'
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When you’re screaming in the night

Capitolo IX - Mama! (didn't mean to make you cry)



«Non ti stai dimenticando qualcosa?» Dorothy assaggiò con le labbra la guancia sudata del suo amante. Roger si drizzò in piedi sulle ginocchia. Era bellissimo, nudo, e persino eccitato.
Stava andando tutto piuttosto bene.
Inaspettatamente.
Il viaggio, una meraviglia: Roger aveva guidato, e Dorothy non aveva fatto obiezioni. Poi la ragazza aveva conosciuto la madre del batterista, e le era pure sembrata simpatica. Le possibilità erano due: o Dorothy era straordinariamente di ottimo umore, oppure qualcosa non andava. Ovviamente era la prima, e di conseguenza anche la seconda.
«Ci ho pensato, sai... non credo che dobbiamo usarlo più» rispose il batterista. La mora cercò di riprendere la lucidità che, soprattutto in quei momenti, non le apparteneva, e lo guardò, concentrandosi quanto più poteva sul suo viso.
«Ah no? E perché?» domandò, in cerca di chiarimenti.
«Perché sto bene con te, mi sento felice, mi sento a posto, e, del resto, se resti incinta, sarò costretto a sposarti, no?» stava scherzando, era ovvio, il tono era ilare, la proposta indecente, ma la donna deglutì, nervosa, mentre l'uomo si stendeva di nuovo su di lei, premendole contro la sua virilità tesa.
«Che intendi?» proseguì lei, indietreggiando, guardandolo di sbieco.
«È difficile da capire?» insistette il batterista, strusciandosi con sempre maggior foga, attento al suo peso, ma dimenticandosi completamente di quello delle sue parole. Dorothy lo allontanò con la semplice forza dei palmi delle mani.
«Spiegamelo.» ordinò perentoria
«Dorothy, che c'è?» Roger si arrese e si mise a sedere, preparandosi all'ennesima discussione per una sciocchezza. All'ordine del giorno, insomma.
«Spiegamelo, su!» ripeté la donna.
«Dicevo solo che... oh, accidenti, siamo io e te, con mia mamma di là, non ti ricorda quando eravamo dei ragazzini...? Con i tuoi...? Credevo ti sarebbe piaciuto...»
«Sì, è... ok. Non è questo il punto.»
«Dico sul serio. L'età per un bambino ce l'abbiamo, o no?» chiese, passandosi una mano tra i capelli.
«Noi non avremo mai l'età per un bambino. Non abbiamo una storia, figurati se abbiamo l'età per un bambino!» Dorothy si sforzava di mantenere la voce bassa ma con il nervosismo che saliva non era così semplice.
«Noi abbiamo una storia! Segreta, ma ce l'abbiamo. E siamo innamorati.»
«Non basta l'amore per fare un bambino, Roger. Siamo una coppia troppo instabile per mettere su famiglia. Ci prendiamo, ci lasciamo, e poi c'è una terza persona in mezzo.» -e a dire la verità anche una quarta...-
«È il pretesto che mi serve...»
«Hai bisogno che io resti incinta per sentirti costretto a sposarmi? Buono a sapersi» sbuffò lei. Si stese di fianco e gli diede le spalle, coprendosi fino a sopra la testa con le coperte
«Non dico questo! Solo... sarebbe bellissimo.»
«Sei un fottuto immaturo Roger, non sai un cazzo della vita, e ovviamente il fatto che i tuoi si siano separati non ti ha aiutato a ficcarti nella testa il fatto che l'amore non è davvero solo un gioco e che per fare un figlio ci vuole un briciolo di maturità!»
«Ehi... non capisco perché te la prendi tanto...»
«Lascia perdere» Dorothy fece per alzarsi, ma lui la inchiodò al letto.
«No, io non lascio perdere. Non su questo argomento importante. Non vuoi avere bambini da me?»
«Possiamo parlarne un'altra volta? Sono stanca adesso.» improvvisò. Di solito il biondo lasciava correre, di solito al biondo non importava un granché. Subiva passivamente i suoi sbalzi d'umore senza rimanerne ferito, né lamentarsi. Aveva imparato a ignorare quel lato del suo carattere che infondo infondo gli era del tutto indifferente.
«Ho detto di no. Ora mi dici che cosa c'è che non va, basta rimandare. Il problema siamo io e te, non è il tempo, la stanchezza, la storia, le bugie... è una vita che non parliamo, che non facciamo l'amore, che non facciamo niente se non litigare per inezie...»
«Per piacere...» supplicò lei, con le lacrime agli occhi.
«Se non ti apri a me come faccio io a capire?... se non mi dici...»
«È una cosa più grande di noi, lascia perdere.»
«Niente, ti dico, niente è più grande di noi. Devi credermi, per una volta, e qualsiasi cosa sia, la affronteremo insieme. Devi fidarti di me.»
«Non voglio affrontarla con te, Roger. Tutto qui» il biondo ringhiò. «Che stai dicendo?»
«Non preoccuparti di quello che dico, preoccupati piuttosto di quello che sto per fare.»
«Roger, non voglio!»
«Pensi mai, dico anche una volta sola all'anno, a quello che potrei volere io? Pensi mai se mi facciano male i tuoi silenzi, le tue sfuriate senza ragione, e allo stesso tempo quanto io ami queste cose di te che mi fanno soffrire? Pensi mai al fatto che se io non sono una parte di te, tu perlomeno lo sei di me e il tuo dolore è anche mio? Pensi mai che, cazzo, io ti amo e ho bisogno di te?»
«Roger, anch'io ti amo, ma questo non posso dirtelo... fidati tu di me, questa volta.»
«Lo so, cosa vuoi dirmi, voglio solo sentirlo dire dalla tua voce. Voglio sentirtelo ammettere...» quella frase lasciò interdetta Dorothy, che però non perse la sua capacità di replicare.
«Tu non sai un bel niente e stai fraintendendo tutto» la ragazza pensò che Roger credesse che lei volesse lasciarlo. Niente di più lontano dal vero.
«Non penso proprio, sai? Altrimenti per quale motivo avresti dovuto prendertela così tanto per una stupida battuta sulla maternità? Perché la tua rabbia contro Anthea nello scoprire che era incinta? Perché le tue allusioni al non accennarmi a nostro figlio...? Perché la tua felice rassegnazione al mio ritorno?» la donna deglutì, stringendosi d'un tratto contro il muro freddo, piuttosto che stare vicina a lui.
«Straparli, ragazzino» la voce tradita dal pianto, si rinchiuse nel suo guscio di coperte, soffocando a stento i singhiozzi. «Lasciami in pace! Lasciami in pace, cazzo, non lo vedi che sto male?»
«Dove è?» domandò il suo compagno. Roger aveva gli occhi più aperti del solito, ma non sgranati. Una via di stupore che rasentava la normalità. «Dove è nostro figlio?» Dorothy smise di respirare, ma non rispose: continuò a fissare la città buia e la pioggia che scrosciava al di là del vetro «L'hai tenuto dai tuoi fino ad ora? Come si chiama? È... è biondo?» un sorrisetto da ebete si dipinse sul volto del giovane, immaginando come sarebbe stato vederlo. Era del tutto innaturale che non provasse rabbia profonda, era infantile questa sua ansia di possedere il giocattolo nuovo.
«Come fai a saperlo, chi te l'ha detto? Lo sapevamo solo in tre e...» esclamò lei «È stata Anthea?» il biondastro scosse il capo «David?! Tu e David neanche vi parlate!»
«David?» strillò il batterista «David lo sapeva?»
«Come credi che abbia abortito, con l'aiuto dello Spirito Santo?» l'io di Roger vacillò. La parola aborto rischiò quasi di ucciderlo. Smise di respirare, letteralmente. Preso dal panico si mise una mano sul petto e, accorgendosi che non si muoveva, iniziò a farsi vento con le mani.
«Roger!» esclamò Dorothy, aprendo la finestra per far entrare più aria, poi si gettò su di lui e iniziò a scuoterlo «Respira, cazzo, respira.»
Ci vollero un paio di minuti prima che si riprendesse definitivamente. Stavolta non poteva neanche dare tutta la colpa al fumo.
«Oh mio Dio» annaspò «non posso credere che tu abbia davvero fatto questo a me, anzi, a lui!»
«Pensa a respirare, razza di idiota.»
«Smettila. Ora basta, basta davvero.» Dorothy lo guardò di sbieco «Sono stanco di essere trattato così da te, di essere insultato, di non essere preso minimamente in considerazione. Smettila! Smettila di tenermi all'oscuro di tutto, di trattarmi come un bambino. Quando è successo? Perché non me l'hai detto? Io non capisco, non capisco proprio! Non ero solo il tuo fidanzato, ero anche il tuo migliore amico...»
«Ed eri anche il padre se è per questo. Eravamo troppo piccoli per tenere un bambino, il semplice fatto che io fossi rimasta incinta per me bastava come mia colpa, prova di immaturità, sufficiente a farmi rendere conto di quanto in realtà ero ormai più simile a te che a me... ma conoscendoti, mi avresti costretto a tenerlo e avresti sofferto nel non poter fare ciò che volevi. Allo stesso tempo, se te l'avessi detto e avessi deciso di abortire, avresti sofferto ugualmente.»
«Allora è una questione di fiducia! Tutto quello per cui ho combattuto con te fino ad ora non era cercare di avere il tuo amore, ma conquistare la tua fiducia! Se tu non hai fiducia in noi... ecco perché non riesco a dire addio a Debbie, perché so che tu credi che io non ce la farei. Se tu mi avessi detto del bambino le cose sarebbero state diverse, lo avremmo tenuto, non ti saresti portata dietro tutta questa paura, non saresti stata costretta a mentirmi fino a oggi. Se non hai fiducia in noi...» Roger iniziò a obiettare, poi si zittì, rendendosi poi conto che era tutto vero, che non c'era niente da dire. Il punto cruciale della discussione, a tutti gli effetti, non esisteva, perché quel bambino, non esisteva. Avrebbe potuto, sì, odiarla, avrebbe avuto, sì, il diritto di gridare. Ma a cosa sarebbe valso? Non ne aveva neanche tanta voglia. Si sentiva così enormemente triste, dispiaciuto, voleva rintanarsi in un angolo come di solito faceva lei, e piangere. Chiudersi per una volta nel dolore. E cercare conforto nell'unica persona che, per la verità, gli aveva inferto la ferita, e che era anche l'unica che sapeva come curarla.
   
 
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