Eccoci qua. Non ci posso
fare niente, ma non lo faccio apposta. Ogni volta passa un mese prima che
riesca a pubblicare l’ultimo capitolo. Si vede che mi serve questo tempo per
metabolizzare che sto per terminare una storia.
Diciottesimo capitolo.
Diciotto passi dove abbiamo visto Diego e Greta cambiare. Sono cresciuti e con
questo capitolo il cerchio si chiude. Come? Me lo direte voi. Forse… sì,
proprio no.
Vedremo.
Vi ringrazio qua.
Preferisco chiudere la storia e lasciarvi con l’ultima battuta di Diego.
È stato divertente entrare
e vivere nel mondo di D&G e lo stesso spero lo sia stato per voi.
Grazie a tutti. Proprio tutti-tutti, in primis a Kukiness
per la pazienza.
Bene, * distribuisce
fazzoletti * finiamola qua, prima che ci commuoviamo tutti.
L’ultima scena è quella
che ha fatto partire il tutto.
Ora non dico più niente.
Lascio a voi la parola.
Buona lettura
Lights
Forse…
sì, o proprio no!
Silenzio.
Ecco cosa regna tra di noi
da diversi giorni: silenzio.
Non mi parli. Non mi
guardi. Mi senti, mi respiri, mi sfiori, ma la risposta è sempre solo…
silenzio.
Io esisto, io vivo ma in
realtà io non sono con te.
L’hai fatto allora e lo
stai facendo ora. In fondo non cambi mai. Hai la tua strategia ed è così
efficace che neanche questa volta riesco a trovare una crepa per abbattere il
tuo muro.
Lo sguardo scivola su di
te indeciso su come agire, perché qualsiasi cosa io faccia, sarà vana. Questa
volta non demordo, ti dimostrerò fino allo sfinimento che io voglio te. E tu,
alla fine, cederai, lo so, perché i miei attacchi faranno crollare quel muro.
Lo so.
Mi alzo piano dal divano e
mi avvicino a te che stai finendo di lavare i piatti della cena. Sono pronto.
Mi sento forte. Il ghigno compare sul mio viso. Ce la posso fare.
Mi avvicino alle tue
spalle, non ti sfioro, ma ti do solo la sensazione di farlo. La distanza che
divide il mio petto dalla tua schiena è lievissima. Alzo il braccio e con quel
gesto la mia mano tocca i tuoi capelli raccolti a coda. Li sposta leggermente. Brividi. Li sento e so che li avverti
anche tu. Per un attimo le tue mani si fermano. Il piatto rimane a mezz’aria e
nell’altra stringi forte la spugna mentre la schiuma del detersivo ti cola
sull’avambraccio.
Afferro il bicchiere dal
mobile con un gesto lento. Hai iniziato a contare. Lo so. L’ho capito da come
hai abbassato le palpebre. Conti i secondi che ti separano da me, per la tua
libertà, per riprendere a respirare. Sì, so anche questo. Ho notato in questi
ultimi giorni, ogni volta che ti sto troppo vicino, trattieni il fiato, cerchi
di restare indifferente per non cedere all’istinto di seguire quello che ti
suggerisce il cuore ma che la ragione rifiuta completamente di accettare. E io,
ogni volta, indugio qualche secondo in più, crogiolandomi nella tua dolce e
straziante agonia, nell’attesa della tua resa.
Respiro profondamente. Il
mio fiato ti solletica il collo e la pelle è scossa da un brivido e si
raggrinza. È la reazione che aspettavo, ma tu no, resisti e io cedo di un
passo, sconfitto.
Ti lascio libera, mi
allontano da te. Prendo dal frigo una bottiglia di birra e mi riaccomodo sul
divano.
- Ricordi?
Un ultimo attacco, quello
più decisivo. Il passato mi darà una mano.
Ti volti leggermente verso
di me confusa. Mi osservi per un attimo, indugiando sul mio viso. Con gli occhi
ti indico il calendario che è appeso al muro.
- È il ventuno gennaio, -
sussurri piano.
- Ne è volato di tempo, -
proseguo avvicinando la bottiglia fredda alla guancia.
A quel gesto sorridi. Finalmente e io vedo la prima crepa in
questo solido muro.
- Te lo sei meritato, - decreti
infine. Ti asciughi le mani e rimetti a posto le ultime stoviglie senza
aggiungere altro. Chiudi l’ultimo sportello e con quel gesto termini anche la
conversazione tra di noi.
- Aspetta. - Mi alzo di
scatto dal divano e mi metto di fronte a te bloccandoti il passaggio.
- Sono stanca, - dici, ma
non m’interessa.
Rimango lì fermo mentre la
mia mente cerca freneticamente il modo per trattenerti.
- Fammi passare. - Il tono
è serio e nel dirlo mi appoggi la mano sul petto.
È la prima volta da quel
giorno che mi sfiori. Un gesto involontario, fatto senza pensarci, che
sorprende anche te. I tuoi occhi, leggermente sgranati per la sorpresa, si
riversano su di me. Levi la mano come se ti fossi scottata e la rifugi contro
il tuo petto nell’altra.
È tutto diverso da allora,
l’unica cosa che non è cambiata è che continui a scappare da me. Non ce l’hai
più con il mondo, ma solamente con il sottoscritto. In fondo, anche allora era
così.
Le labbra si deformano in
un mezzo sorriso al ricordo.
21
gennaio 2007
- Ehi! - Un colpo di
clacson attira la mia attenzione. Chiudo l’auto e la guardo. Una ragazza è
scesa dalla sua macchina e mi osserva con uno sguardo omicida. Carina, gran bella carrozzeria.
Spudoratamente mi avvicino
a lei e lascio vagare i miei occhi sul suo corpo. Guarda che tette. Ma ciao, posso fare un giro?
- Ehi!
La guardo e per poco non
resto incenerito da quello sguardo. Ops.
- Non hai visto che avevo
la freccia?
Come?
- No, - obietto con
ovvietà.
- Invece sì. Quindi quel
parcheggio aspetta a me.
- Perché, c’è scritto per
caso il tuo nome? - Incrocio le braccia al petto e la guardo dall’alto del mio
metro e ottantacinque. Certo che sei
proprio una nana.
La tipa apre un paio di
volte la bocca senza dire niente, ma alla fine desiste.
- È inutile che perda
tempo con uno come te, - decreta infine e fa per risalire in macchina.
- Con uno come me?
- Sì. In fondo è risaputo
che è inutile discutere con gli idioti. Sanno solo trascinarti al loro livello
e ti battono con l’esperienza. Quindi, ti faccio vincere a tavolino.
Questa volta è il mio
turno a rimanere senza parole. Ma tu
guarda! Mi osserva con aria di sfida. Nei suoi occhi leggo tutta la sua
soddisfazione. Stronza.
- Zitella, immagino. - La
guardo con sufficienza, sicuro della mia ipotesi. Mi avvicino di più a lei,
lasciando solo una misera distanza tra i nostri visi. - Un consiglio? Dovresti
essere più carina con gli uomini, altrimenti non ti scoperà mai nessuno. -
Sogghigno divertito, ma dura giusto un attimo, prima che la sua mano destra si
stampi sulla mia guancia. Cazzo, che male!
Ma che cos’ha, le mani di pietra?
Sale in macchina e mi
lascia lì come uno stoccafisso. Mi volto e mi accorgo che dei ragazzini ci
stavano guardando.
- Ma che ci farò io alle
donne? - esclamò divertito e loro ridono con me.
- Diego, sono felice che
tu abbia accettato di entrare nella nostra squadra. Mi serviva un art director della tua esperienza e sarai sicuramente un valido
aiuto per il copywriter. Vedrai, ti troverai molto bene con lei. È una persona
disponibile, gentile e soprattutto è appassionata del suo lavoro. Ti avviso
però, all’inizio non è un tipo facile, ma se riesci a conquistarla andrete
d’amore d’accordo.
- Non c’è problema. Le
donne non hanno misteri per il sottoscritto. - Rido di gusto, già pregustandomi
la mia prossima conquista. Il posto di lavoro è un ottimo campo per soddisfare
la voglia di serate di sesso sfrenato.
Il supervisore mi
accompagna dalle mie nuove colleghe. Entriamo di soppiatto nello studio e alle
mie orecchie arriva la sua voce.
- Valeria, non sai che
essere insulso ho incontrato stamattina. Un vero idiota. Anzi, deve essere
stato il re degli idioti.
- Che tipo era? - domanda
curiosa l’altra. Mmm, bel bocconcino.
- Alto, trasandato,
spettinato, barba incolta, occhi neri da pesce lesso. Il classico tipo guardami quanto sono figo,
ma in realtà era solo un bradipo idiota. Senza offesa per il bradipo,
ovviamente.
La tipa mi osserva.
Annuisce in silenzio e alla fine la vedo realizzare.
- Per caso indossava jeans
sdruciti e felpa a righe bianca e blu?
- Sì, esatto, ma tu come
lo sai?
- Ho tirato indovinare. -
Mi sorride e io ricambio. È troppo divertente.
- Ragazze, siete tutte e
due qui. Perfetto.
La tipa attraente scende
dalla scrivania dov’era seduta e la nana finalmente si volta. Un secondo e i
nostri sguardi s’incrociano. Il gelo scende tra di noi a mo’ bufera di neve,
come si vede nei cartoni animati giapponesi. Tempo pochi secondi e il vulcano
esplode scongelando l’atmosfera all’istante.
I suoi occhi, così castani,
assumono quasi la tonalità del nero. Non distoglie lo sguardo da me, ha quasi
il potere di farmi sentire in soggezione. Mi è venuta anche la tentazione di
fare dietrofront.
- Vi presento Diego della
Valle, sarà il nuovo art director.
- Piacere, io sono Valeria.
- La tipa subito si fa avanti, mi porge la mano e mi bacia cordiale. La serata è assicurata.
La nana mi osserva. Rimane
in silenzio e continua a osservare. Leggo nei suoi occhi che sta meditando
qualcosa. Con una mossa elegante e lenta si sfila gli occhiali e li appoggia
sulla sua scrivania. È un gesto naturale, ma rimango ipnotizzato dalle sue
mosse. Con passo calmo si avvicina a me, mi fronteggia e rimane in silenzio,
tanto i suoi occhi parlano per la sua bocca. Mi sa che non gli sono simpatico.
D’istinto faccio un passo
indietro e a quella mossa, noto le sue labbra incurvarsi leggermente verso
l’alto soddisfatta.
- Valeria si occupa della
grafica, mentre lei, - Il Direttore indica la nana che non mi stacca gli occhi
gelidi da dosso, - è Greta, il copywriter.
- Creta, che nome buffo. Come
l’isola?
Il silenzio cala tra di
noi. Che ho detto? La vedo chiudere
per un attimo gli occhi e portarsi sconsolata la mano sulla fronte. Perché questa tipa ha il sano potere di
farmi sentire a disagio?
- Greta, con la G, -
specifica e mi porge la mano.
- Scusa tanto, Greta con
la G. - Mamma mia, è proprio acida. Chissà,
forse con una bella scopata posso rimetterla apposto. Le stringo la mano.
Il contatto è piacevole, caldo. La trattengo più del dovuto nella mia. È strano, penso, incuriosito da
quell’inconsueta sensazione che ci unisce.
- No. - Il suo no è
categorico e mi lascia di scatto la mano. I suoi occhi non mi abbandonano mai e
ho la netta sensazione che abbia appena interpretato alla perfezione i miei
pensieri.
- Greta, lascio a te il
compito di fare ambientare Diego, in fondo d’ora in avanti lavorerete insieme.
Valeria, tu invece con me, che vediamo le modifiche da apportare al tuo ultimo
lavoro.
I due escono dallo studio
e ci lasciano da soli.
- Diego, giusto?
- Sì, Diego con la D. - A
quell’affermazione Greta mi trafigge con un’occhiata omicida. Non ci posso fare
niente, è troppo divertente stuzzicarla.
- Di dove sei?
Quella domanda scatena il
mio ego. Inizio a raccontarle il mondo. La mia vita, come sono capitato in
Italia, che cosa ho fatto, chi sono e le mie origini Argentine. Mi piace
parlare con lei, i suoi occhi mi osservano attenti e curiosi come se volessero
individuare quanto c’è di vero in quello che le sto dicendo. Lei rimane per lo
più in silenzio. Tento anch’io di farle domande, ma ha una abilità tale che
riesce sempre a tenersi sul vago e, alla fine della nostra chiacchierata, Greta
sa tutto di me e io di lei non so un bel niente.
Il trillo del telefono
interrompe la nostra conversazione.
Greta risponde e il suo
tono di voce cambia completamente. Da serio e inflessibile, si trasforma in
professionale e cordiale, nonché molto disponibile. Discute del più e del meno
con l’interlocutore, molto probabilmente un cliente abituale dello studio, e a
un certo punto succede.
Sorride. Il volto
s’illumina e io non posso fare altro che rimanere affascinato da quel viso e
dai suoi occhi che brillano. Si accarezza lentamente la ciocca di capelli che
l’è caduta sul viso, e con un movimento delicato la riporta dietro
all’orecchio. Si siede sulla scrivania, accavalla le gambe e prende in braccio
un blocco di appunti. Annota alcune cose e poi saluta cordialmente.
Ma
chi sei? La guardo
ammirato. Mi sembra di avere di fronte a me la versione femminile del dottor Jekyll e Mr. Hyde.
- Che c’è? - domanda,
rimettendosi sulla difensiva.
- Niente, ti osservavo
all’opera.
- E tu? Che sai fare?
Il ghigno parte in
automatico. Il suo sbuffo pure.
- Oltre a quello, che poi
è tutto da valutare, - borbotta tra sé.
Lo prendo come un invito e
in un attimo sono vicino a lei.
- Te lo mostro subito. -
L’afferro per la vita e la porta vicino a me.
La sento irrigidirsi
mentre il suo dolce profumo alla vaniglia mi solletica i sensi.
Passano secondi di
silenzio. - Ma tu ti comporti sempre così?
La sua domanda mi
disorienta e il mio ego si spezza.
- Che male c’è?
Greta non risponde e
sbuffa. - Lavoriamo?
- Per questa volta. Andrà
meglio al prossimo tentativo.
- Non credo proprio. Mai
con un collega. È una delle mie regole.
- E ce ne sono tante, di
queste regole?
- Un paio.
- Sono per caso scritte?
- No.
- Come faccio a saperle?
- Te le insegnerò strada
facendo.
Sono disorientato. La
osservo io questa volta, sono senza parole e già questo è un vero miracolo. Non
so cosa dire. Mi ha completamente spiazzato.
Lo sguardo mi cade sulle
foto che ha sopra la scrivania.
- Sono per la nuova
campagna pubblicitaria. - Spiega precedendo la mia domanda.
- Non le accosterei in
questo modo.
- No? - Mi sfida.
- No, - affermo sicuro. Le
prendo in mano e le guardo con occhio critico mentre nella mia mente inizia a
visualizzarsi e comporsi il quadro. - Ecco così.
Posiziono le foto seguendo
un ordine ben preciso e creando tra loro un’armonia del progetto. Apro la
sequenza con la foto della modella appoggiata alla balaustra che guarda
l’orizzonte con aria delusa in una giornata grigia e fredda. In mezzo inserisco
quella dello spiffero di vento che fa svolazzare le foglie e volantini per
strada, mentre un piccolo raggio di sole spunta dalle nuvole. Infine, come foto
di chiusura, metto quella dell’auto con a bordo la ragazza sorridente in una
giornata serena.
Silenzio. La osservo e
noto il sorriso soddisfatto che ha sulle labbra. Esame superato.
Raccoglie le foto e le
appoggia sulla scrivania di fronte alla sua.
- Buon lavoro.
Afferra la sua valigetta,
inserisce un paio di documenti e prende qualcosa dal suo cassetto. Si avvicina
a me e di nuovo quello sguardo che mi fa sentire a disagio.
- Bella guancia. - Afferra
la mia mano e ci appoggia un tubetto di crema. - Se fossi in te, ce ne metterei
un po’. Fidati, fa miracoli contro l’idiozia umana. - Mi fa l’occhiolino e si
avvia verso l’uscita.
- Isola. - Stranamente a quel richiamo si volta, anche se il suo
sguardo è di puro fastidio. - Grazie. - Sorrido contento e per la prima volta
il suo sorriso illumina anche a me.
- Isola, - tento e la mano
mi scatta automaticamente alla sua guancia e gliela accarezzo con il pollice.
Greta chiude gli occhi. La
sento combattere la sua lotta.
- Tregua, - propone
infine.
I suoi occhi mi osservano
in attesa di un mio verdetto.
- Non mi basta più, -
confesso. La mano scivola dalla guancia al suo collo fino ad accogliere la
nuca. - Greta, - sussurro piano.
Mi avvicino lentamente. La
paura dentro di me cresce ogni secondo di più ma lo devo fare.
Le mie labbra sfiorano le
sue. Chiudo gli occhi, mi sembra di essere appena atterrato in paradiso. Mi
fermo un attimo e sono questa volta le sue labbra a sorprendermi. Mi morde il
labbro inferiore e a quel gesto mi sveglio. La spingo verso il muro mentre
accolgo tra le mani il suo viso. Mi è mancata tanto che mi sembra di impazzire
ora che sento la sua lingua che mi accarezza la bocca e le sue mani che
scivolano lentamente sulla schiena.
Plasmo il mio corpo sul
suo e lo accarezzo lentamente, in un movimento dolce e calmo.
- Ti desidero, - le sussurro
sulle labbra. A quella consapevolezza il fiato mi manca, e si crea un vuoto
nello stomaco.
Le mani scivolano sul suo
corpo e a occhi chiusi me la immagino senza vestiti.
Greta mi bacia il collo.
Con piccoli e sensuali baci arriva al lobo dell’orecchio.
- Anch’io. - La sua
conferma mi manda in tilt. L’istinto animale che c’è in me si sveglia. La
sollevo e lei mi allaccia le gambe intorno alla vita.
Mi muovo a piccoli passi
senza mai abbandonare le sue labbra. Ci appoggiamo diverse volte sulla parete
fino a quando non ci distendiamo sul letto.
La osservo attentamente. I
suoi occhi mi gridano di non smettere, le sue labbra, gonfie per i miei baci,
m’implorano di continuare. Mi avvicino a lei e lascio una lunga scia di baci
dalla clavicola al collo, fino a far incontrare nuovamente le nostre labbra.
Con frenesia ci leviamo i
vestiti a vicenda e la sensazione di essere a contatto con la sua pelle mi
eccita come un ragazzino.
- Oh Greta, - gemo alla
sua ennesima carezza.
La sento sorridere
soddisfatta, ma ben presto è sostituito dal gemito di piacere della mia spinta.
Ci amiamo intensamente,
con frenesia, con calma, recuperando tutto il tempo perso in quest’anni.
Stanchi e appagati
rimaniamo abbracciati. La mia mano le accarezza con un movimento lento e
continuo la schiena, che la fa rilassare totalmente fino a farla addormentare.
Solo quando sento il suo respiro regolare solleticarmi il petto, mi abbandono
anch’io all’estasi del sonno.
Stringo le palpebre. Il
raggio di sole che filtra dalla persiana mi ferisce gli occhi. Mi porto il
braccio sul viso mentre abbandono l’altro alla ricerca di lei. Tasto più volte
il letto, ma non trovo quello che ho sperato di trovare al mio risveglio. La
sua parte è fredda e lei non c’è.
Tendo l’orecchio e rimango
in ascolto dei rumori della casa. Sento il ticchettio dei suoi tacchi in
salotto. Dove va?
Quando avverto lo scattare
della serratura della porta mi alzo di scatto e arrivo da lei in un attimo.
Sta per uscire ma
l’acciuffo per il polso e l’attiro a me.
- Dove vai? - Sorrido al
suo sguardo sorpreso ma non le lascio neanche il tempo di rispondere che la
bacio.
Greta fa un attimo di
resistenza ma alla fine cede e si lascia andare, circondandomi il collo con le
braccia.
- Buongiorno, - sussurro sulle
labbra.
Lei non risponde, mi sorride
e basta.
- Lo sai che sei molto
sexy con questo tailleur da segretaria impeccabile, però… - avvicino le mani
alla sua camicetta. - Questo lo abbottoniamo.
Greta al mio gesto sgrana
gli occhi scioccata, per dispetto mi schiaffeggia la mano e si slaccia ben due
bottoni.
- Che fai? Provochi? - La
riacciuffo tra le mie braccia.
- Tu potevi indossare
anche qualcosa. - Mi bacchetta e finalmente sento la sua voce.
- Non era in ferie? Resta
a casa. - Le accarezzo il collo con il naso. Adoro il suo profumo.
- Non posso. Mi hanno
chiamato. La collega si è ammalata e devo sostituirla. - Si stacca da me.
E
questa reazione? Sono
disorientato. La osservo attentamente.
- Stai bene?
- Sto bene. - Ma i suoi
occhi mi dicono tutt’altro.
- Quando dici sto bene, non stai bene.
I suoi occhi si sgranano a
quella affermazione dura che mi lascio sfuggire.
- Devo andare. - Mi bacia frettolosamente sulle labbra. Mi
osserva da vicino per qualche istante. - Copriti,
svergognato. - Accenna un sorriso e se ne va lasciandomi immerso nei miei
pensieri, a risolvere il rompicato Greta Lapilli.
La suoneria del mio
cellulare mi distrae dai miei pensieri.
- Ehi, Val!
- l’accolgo felice. - Certo! Arrivo tra mezz’ora.
È quasi l’una. Tra poco
potrò tornare a casa da Diego. Non ci posso credere a quello che è successo. Mi
porto la mano sulla guancia e la sento scottare. È stato meraviglio, e avverto ancora le sue carezze. Mi sento così
strana. Disorientata da tutti questi sentimenti contrastanti: felici, appagati
emozionanti. Mi fanno girare la testa e sorridere.
- Siamo felici?
Paolo mi arriva alle
spalle e mi guarda con occhio attento.
- Può essere.
- Te lo dico io, sei
felice. - Mi fa l’occhiolino e ritorna nel suo ufficio.
Sì. Sono così felice. Ora che l’ho
realizzato, potrei urlarlo al mondo intero. Io sono felice. Io sono
immensamente felice.
Afferro cappotto e borsa e
mi preparo a uscire.
- Io vado, ci vediamo
domani.
Paolo fa capolino dal suo
studio e mi guarda stranito. - Non hai bisogno di me, oggi pomeriggio, vero?
Tanto l’ufficio è chiuso.
Mi osserva attentamente e
io lo guardo speranzosa.
- E va bene, puoi
continuare le tue ferie in santa pace. In fondo è giovedì.
Lo squillo del mio
cellulare interrompe il nostro discorso. Lo afferro nella tasca e quando vedo
che è Diego sorrido in automatico. Sono
felice.
- Ciao, - lo saluto
facendo le fusa. - Valeria. Come all’ospedale?
Il cellulare mi cade dalle
mani e il mio cuore si frantuma insieme a esso.
Non
è possibile. Non un’altra volta.
19
febbraio 2006
- Matteo, mi vuoi dire perché
hai parcheggiato qui? E cosa ci facciamo in piedi di fronte a questa fermata
dell’autobus?
Lui mi guarda e sorride
divertito.
- Visto la tua arguzia, mi
aspettavo qualcosa di più da te, - mi stuzzica.
Mi puntello il mento con
l’indice e fingo di pensarci.
- Non ne ho idea.
Matteo mi afferra per la
vita e mi stringe a sé. - Donna senza cuore. Il tuo amato ritorna dopo sei mesi
dalla sua prima missione e tu? Hai già dimenticato tutto di lui.
Mi schiaffeggio la fronte
con la mano, divertita dalla sua espressione finta offesa.
- Ma allora sei tu il
sergente di cui sono follemente innamorata. - E senza aggiungere altro lo
bacio. - Mi sei mancato, e non sai quanto.
- Sì che lo so. Non ho
fatto altro che pensarti per tutto questo tempo.
Appoggio il capo sul suo
petto.
- Sono passati nove anni
da quel giorno, chi l’avrebbe detto. - Sorrido felice.
- E lo so, ero così bello
che ti devo essere apparso come un sogno. - Sogghigna divertito sul mio capo.
- Sei uno stupido.
- Per questo mi ami.
- Non solo. - Alzo il capo
e lo guardo negli occhi. - Allora questo palo della fermata dell’autobus fu
galeotto. Hai fatto breccia nel mio cuore di giovane ragazzina con quella
domanda Ciao, da qui passa l’autobus che
porta in centro? Che approccio romantico. - Scoppiamo a ridere insieme. -
Come se non lo sapessi. Era da una settimana che lo prendevi a un’altra
fermata.
- Allora sei stata
perfida. Lo sapevi, ma mi hai lasciato continuare in quella misera figura.
- Mi piaceva chiacchierare
con te e sapere che ogni mattina ti avrei trovato qui ad aspettarmi mi faceva
stare bene.
- Già, io e te iniziamo da
qui e da qui che voglio ripartire.
Lo osservo indecisa, non
riesco a capire dove voglia arrivare.
- Sai, Greta, quando ero
nel deserto, in Iraq, ho capito una cosa fondamentale. - Mi stacca da lui di
qualche passo. Infila la mano nella tasca e mi porge la scatolina. - Che io,
senza di te, non posso stare. La mia vita ha un senso solo se tu sei al mio
fianco e che tutto quello che voglio sei tu.
Apre la scatolina e in
bella mostra c’è il famoso Trilogy oggetto di scherno delle nostre discussioni.
Mi porto le mani alla
bocca sorpresa. Non me l’aspettavo. Non so cosa dire. Mi ha lasciato
completamente senza parole. Non riesco neanche a ragionare.
- Greta, mi vuoi sposare?
- Matteo… io, - ma mi
manca il fiato per proseguire.
- Dì semplicemente sì. -
Sorride imbarazzato.
Mi butto tra le sue
braccia e lo bacio con passione. Tutto il mondo si ferma e tutto il resto
scompare. Esistiamo solo noi.
M’infila l’anello al dito
e insieme rimiriamo la mia mano, increduli che le nostre chiacchiere si siano
realizzate.
- Ancora sei mesi e poi la
missione sarà finita e non ti lascerò più. Promesso, - mi sussurra tra i
capelli.
- Mai più?
Lui conferma con il capo.
- Permesso accordato,
Sergente. Ma sia chiaro, ti concedo solo sei mesi o ti verrò a cercare in capo
al mondo per riportarti a casa… - Lo bacio, - da me.
Matteo sorride a quella
finta minaccia. - Ora devo andare, mi attendono in caserma. Ti amo.
- Ti amo anch’io. - Lo
bacio un’ultima volta e poi mi avvio verso casa mentre lui va alla macchina.
Il tutto accade in un
attimo.
Lo stridere delle ruote.
Il clacson del camion. Davanti ai miei occhi accade tutto così rapidamente che
ci impiego un sacco a realizzare quello che sta accadendo e l’esplosione dell’urto
riecheggia nelle mie orecchie.
- No! - e la mia ragione
di vita muore.
Apro gli occhi mentre il
mio urlo sconvolto rimbomba nella mente, proprio nell’attimo in cui Paolo ferma
la macchina di fronte all’ospedale. Scendo senza dirgli niente e mi avvio di
corsa verso l’entrata del pronto soccorso.
Guardo tutti con la paura
che il passato possa tornare. A stento respiro e a stento il cuore non smette
di battere.
Quando lo vedo, lì, in
piedi in mezzo alla sala, mi blocco di colpo. Mi sento mancare.
- Greta!
Diego mi viene in contro e
mi trascina tra le sue braccia.
- Stai bene, - sussurro
tra le lacrime che, senza neanche accorgemene, mi bagnano il viso.
- Shh,
- mi culla, - non hai dato neanche il tempo a Valeria di spiegare. Ha provato a
chiamarti ma il tuo cellulare è spento. Non è successo niente. - Mi accarezza i
capelli. - Stavamo accompagnando Gabriele alla stazione quando un’auto c’è
venuta addosso. Io ho solo quattro graffi.
Alzo il capo e solo allora
mi accorgo delle piccole ferite che ha sul viso. Appoggio la mano sulla sua
guancia e l’accarezzo dolcemente. Diego mi toglie via con il dito il residuo
delle lacrime.
- Sto bene, Greta. - mi
soffia sul viso.
E io torno alla vita.
Lo bacio con passione.
Diego non risponde subito al mio gesto, sorpreso da quell’impeto, poi con
delicatezza mi riporta alla dolcezza.
Appoggiamo il capo sulla
fronte dell’altro.
- Ti amo, - sussurro a
bassa voce con gli occhi chiusi.
È un attimo e poi li
riapro.
Lo
so. - Fa uno strano
effetto sentirselo dire. - Sorrido lieve all’espressione incredula che Diego ha
sul viso.
- Sì.