Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Miss_Gwyn    09/03/2012    0 recensioni
"Guardava in silenzio, l’artista, il volto di lei arrabbiata, incattivita dal tempo e, probabilmente, dalla vita stessa..."
Genere: Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La fanciulla che legge

Tutta l’arte è al tempo stesso superficie e simbolo.
Chi penetra la superficie lo fa a suo rischio e pericolo.
Chi legge il simbolo lo fa a suo rischio e pericolo. (Oscar Wilde)
 


-Chi siete voi?
-Il pittore
-Cosa siete venuto a fare?
-Cosa fanno i pittori?
-Dipingono
-Dipingo
-Dipingete?
-E’ quello che fanno i pittori.
 
Guardava in silenzio, l’artista, il volto di lei arrabbiata, incattivita dal tempo e, probabilmente, dalla vita stessa. In quel breve scambio, misteriosamente, gli era parso di cogliere fra le righe, l’esile filo di una storia, che forse, avrebbe avuto il privilegio di conoscere. Sorpresa, per un attimo, sul suo volto. Non aveva mai dipinto nulla di così singolare.
Sistemò il cavalletto. Doveva dipingerla. Dipingere una fanciulla consumata, forse, dalla pazzia e dalla disperazione.
Prese il pennello. Intrappolare quella rabbia su un foglio, rinchiudere quell’esistenza tetra su una tela bianca.
Intinse il pennello. Triste. Era triste. Fermare il tempo con dei colori ad olio, impedire a quella metà volto che stava per disegnare di poter urlare.
 
-Avete già iniziato?
-Non ancora.
-Ricordate di dipingermi solo di profilo. È importante.
-Lo terrò a mente.
 
Elinor si sedette immobile, aspettando che il pittore facesse il suo lavoro. Lui dipingeva, i pittori dipingono. Era così ovvio, così matematicamente perfetto. I pittori dipingevano, gli scrittori scrivevano, i musicisti suonavano. Perfezione. La loro vita era caratterizzata da una perfetta armonia. Un susseguirsi di azioni talmente logiche che nessuno si era mai davvero soffermato a riflettere su quanto fossero fortunati. Il loro nome era strettamente legato al loro lavoro, al loro scopo nella vita. Sgranò gli occhi. Il loro nome era legato alla loro vita. Il loro nome era la loro vita.
Elinor. Quello era il suo nome. Elinor. Lo conosceva, è vero, ma non sapeva più cosa significasse. Qual’era la sua vera vita?
Rinchiusa in quel castello aveva perso persino se stessa.
 
Il pittore continuava a sistemare i suoi attrezzi, con una meticolosità spaventosa. Usciva gli oggetti uno dopo l’altro, esente dalla fretta. Non aveva mai datato una sua opera, era convinto che l’arte non avesse tempo. Necessitava di tempo, ma ne era inspiegabilmente immune.
 
Elinor si guardava immobile nello specchio. Osservava la figura pallida di quel fantasma, che un tempo era stata lei. Il colorito sempre roseo della pelle, aveva lasciato il posto a profonde occhiaie violacee, la bellezza di un tempo era sbiadita proprio come la sua felicità. Un fiore che muore non profuma più. Lei aveva perso il suo profumo, oltre che il suo nome. Appassita. Non sarebbe più tornata l’Elinor di un tempo, lo sapeva. I giorni, le settimane, i mesi in quella tetra stanza buia, che era diventata la sua prigione, la stavano distruggendo, le portavano via tutto. Persino il suo nome, persino il suo nome.
Doveva essere casa sua, quella. La sua bellissima residenza, sede di eterna gratificazione, luogo di piacere e compiacimento per una novella sposa. Si era innamorata di quell’uomo, l’aveva amato. Ora quella parola la ripugnava. Amore. Cos’è l’amore? Un’eterna costrizione e fonte di dolore, un tempo allegria ed entusiasmo, ora violenza e crudeltà. Lui pronunciava spesso quella parola, amore, soddisfazione per gli amanti, insulto sulle sue labbra. La amava, o meglio, diceva di amarla e invece l’aveva ingannata.
 
Il pittore soffermò i suoi pensieri su quella figura quasi evanescente che avrebbe racchiuso, protetto in quella tela. Proteggerla. Lui  voleva proteggerla o rinchiuderla? Obbligarla in quel foglio bidimensionale, racchiudere la sua figura, come lei, evidentemente, era chiusa lì.
Si diceva molto di lui, il proprietario del castello, il committente del quadro, in paese lo chiamavo il Signor Nessuno. Signor: importante, ricco, imponente, signore; Nessuno: vano, privo di qualsiasi reale verità. Un paradosso. E lei era caduta nel limbo di questa contraddizione.
“Fortunata, lei, a vivere in quel castello, in quella reggia. Una dimora così lussuosa non può che renderle benessere.”
Dimora, la definivano, ma se anche loro potessero vederla, qui, adesso, chiusa in quella che loro chiamavano dimora, non avrebbero avuto il coraggio di riprendere il discorso, si sarebbero persi nella profondità di quegli occhi, colmi di rammarico e vergogna.
-Siete pronta? Sto per iniziare.
Con movimenti leggiadri e abili cominciò a tracciare lo schizzo del dipinto, mentre osservava il suo soggetto. Lei non aveva risposto, non aveva reagito. Il capo chino verso lo specchio, il peso di una tortura interiore che le impediva di sollevare totalmente il viso.
Dipinse per primo il volto, voleva immortalarlo in quella posizione, con quell’espressione carica di odio, verso se stessa, verso il suo carceriere. Con un tratto continuo dipinse la linea delicata del mento, poi il piccolo naso leggermente all’insù e infine i capelli raccolti in una crocchia disordinata con un nastrino.
 
Elinor vicina allo specchio, vicina al pittore, vicina alla pazzia,  riviveva i dolorosi momenti che l’avevano condotta fino a lì. Ricordò i fiori, il caldo sole primaverile che illuminava il suo candido ombrellino da passeggio, ricordò lo svolazzante vestito di seta che aveva indossato per l’occasione, ricordò il suo volto, ricordò persino di essersi chiesta perché veniva chiamato Signor Nessuno, ricordò l’amabile sorriso che si era dipinto sotto i suoi sottili e curati baffi, lo stesso sorriso che le aveva provocato sensazioni mai provate prima. Il suo cuore era, forse, più caldo di quel sole, che costantemente illuminava i loro visi e il loro amore. Amore. Tornava inevitabilmente alla mente quel termine, più veloce e doloroso di un pugnale, conficcato, dove un giorno c’era la sua felicità.
 
Dipinse per secondo il corpo, cominciando dalla leggera curva della spalla, continuando con una linea persistente per dipingere il  braccio che poggiava sul piccolo mobiletto in mogano, contenente chissà quali oggetti. Una spazzola, magari, un diario, un libricino. Il pittore interruppe il suo viaggio sul dipinto. Un diario. Forse, quel mobile, conteneva un diario. Fidato confidente, ascoltatore inestimabile, per quanto immobile, prova tangibile di quell’esistenza.
 
Elinor non spostava lo sguardo da quello specchio, che rifletteva inevitabilmente la sua immagine, quella stessa superficie riflettente che l’aveva salutata la prima notte di nozze. Si erano sposati, lei e il signor Nessuno, sposati, in quella piccola chiesa che aveva popolato i suoi sogni di ragazzina, quando sperava, un giorno, di coronare il suo sogno d’amore.
Maledizione! Fece pressione sul mobile che aveva di fronte, immersa nella disperazione di quel dolore, di quel costante ritorno, l’amore, tornava, a tormentarla. Proprio come lui, aveva mandato quel pittore. Sollevò per un attimo lo sguardo, uscendo, per così dire, da quel profondo stato di concentrazione, ricordandosi del personaggio che era, in quel momento, nella sua stanza.
 
-Avete già iniziato?
-Si
-Potevate avvertirmi
-L’ho fatto, ma non mi avete risposto.
 
Quel breve scambio aveva risvegliato anche il pittore, concentrato sul pensiero di un diario, il diario di Elinor.
Osservò per un momento il viso della fanciulla, pronto a riprendere la sua opera.
 
Dipinse per terzo la veste gialla, l’unico elemento solare in quella buia persona, lo sbuffo delle spalline e l’orlo ricamato del colletto, tipico dell’abbigliamento dell’epoca, forse l’unico fattore che la accomunava alle altre signorine del paese. Un dettaglio nell’abbigliamento, l’unico sentore, in quella donna, che l’avrebbe confusa con il resto della città. Unico. Solo. Proprio come lei. Sola. Lontana e distinguibile fra mille.
 
Così, insieme al  movimento leggiadro ed elegante di un pennello, Elinor riprendeva il racconto della sua storia. Un pennello ed una mente all’opera, contemporaneamente, nella stessa stanza. Due persone, che con la propria arte scrivevano lo stesso racconto. Meravigliosa opera della mente, meravigliosa opera di un pittore.
 
Elinor si immerse nuovamente nello specchio, sprofondando nell’abisso della sua anima. Una gara contro il tempo, la sua. Sapeva, o cominciava a intuire, che il suo tempo stava per finire. La vita non è come l’arte, pensò, la vita è scandita dall’instancabile lavoro di due lancette.
Schiava del tempo, schiava di se stessa, schiava del signor Nessuno. Costretta a scoprire la sua vera natura giorno dopo giorno. Il sole nasceva e calava e la sua disgrazia con lui. Emergeva la vera forma del suo amato, come l’enorme stella infuocata, emergeva la sua bramosa gelosia. Possessivo, avido. L’aveva aggiunta alla sua collezione, di persone, di sentimenti, di oggetti. E ora, con quel quadro, la trasformazione sarebbe stata completa. Definitiva.
 
Quasi del tutto completa la sua opera. I colori, il viso, la veste.  Ma qualcosa mancava, lo percepiva il pittore, osservando il suo ultimo lavoro, si rendeva conto di quanto fosse ancora vuoto. Era stato attento ad ogni piccolo dettaglio, ogni elemento aveva un preciso significato. Con pochi colori aveva raccontato la storia di una fanciulla. Cosa, si chiedeva. Cosa mancasse, si domandava, in quella vita? Sollevò lievemente lo sguardo, cercando la risposta nell’originale. La guardava, piegando leggermente il capo, cercando, qualcosa. Perché qualcosa c’era, in lei, e non c’era nel suo quadro.
 
Mancava poco, lo sapeva. Rivivendo in quelle ore, la sua, vita, e quella che lei aveva chiamato vita, fino a quel momento, aveva compreso. Ora sapeva, cosa fare. Come il pittore, spostò lo sguardo dallo specchio, verso il piccolo mobiletto che aveva di fronte. Sapeva cosa cercare. Gli occhi cercavano, attraverso il mogano, l’arma, la chiave, della sua, tanto attesa, libertà.
 
Come un fulmine, nel pieno della notte, la risposta raggiunse la mente del pittore. Sapeva, anche lui, cosa mancava al dipinto. Sembrava fossero, strettamente e involontariamente collegati i due, lei cercava l’ultimo tassello, e lui la imitava. Cercavano e trovavano le risposte nel medesimo istante, seppur, neanche loro, se ne rendessero realmente conto.
Intinse il pennello.
Delicatamente, lo avvicinò al quadro.
Immobile. Per qualche secondo, spaventato. Terrorizzato. Cosa sarebbe successo dopo? Lui, il pittore, aveva paura, non per se stesso. Non per la sua vita. No di certo.
Pochi attimi ancora, prima di scrollare, impercettibilmente, le spalle. Doveva finire.
Poggiò il pennello sulla tela, quella, sapeva, era la fine.
Per ultimo dipinse il diario. Un braccio posato sul mobile che aveva dinanzi, l’altro a sorreggere quel piccolo libro. Simbolo della sua storia, della vita della fanciulla, di quella, che lei, aveva sempre chiamato vita.
Velocemente, col cuore che batteva, il pittore concluse il suo operato. Quella, lo sapeva, era la fine.
Il cuore di Elinor perse un battito. Sapeva che il pittore aveva finito, il suo intero corpo le suggeriva quell’inevitabile verità. Si alzò, lasciando che la leggera veste gialla le ondeggiasse lungo le gambe sottili, lunga fino alla caviglia, danzava, la stoffa, offrendole quell’ultimo saluto.
 
-Avete finito, non è vero?
-E’ vero.
 
Il pittore, per quanto provasse a mostrare indifferenza, soffriva. Un dolore che partiva da dentro, incomprensibile, non la si può immaginare, quella sofferenza.
 
Quella, lo sapeva Elinor, era la fine. Stava per morire. Per amore. Un sorriso amaro le si dipinse sul volto. Non moriva per amore, moriva a causa dell’amore. Un amore che, tra l’altro, lei non aveva neanche mai provato. Buffo, come il destino, ti ponga davanti a situazioni così inverosimili. Morire a causa dell’amore, senza averne assaggiato il sapore, sentito l’odore, senza sapere, in realtà, che cos’è.
 
Fece un passo verso il pittore, lanciando un ultimo fugace sguardo verso il cassetto. 
 
Lui, d’altro canto, aspettò che lei si avvicinasse, ondeggiando, danzando. Con quei pochi passi era riuscita a creare una coreografia, che lui non avrebbe mai dimenticato.
Una mano sulla spalla, l’altra sul viso, lievemente e per pochissimi secondi, lei, decise di poggiare le labbra su quelle del pittore, appena conosciuto. Decisa a racchiudere, in quel gesto, in quel brevissimo bacio, tutto l’amore che mai aveva conosciuto e che mai avrebbe incontrato, intrappolato, per sempre, sulle labbra del pittore, la cui arte aveva raccontato la storia, di Elinor, la fanciulla che aveva perso tutto, persino il nome.
 
I passi lenti, di un pittore qualsiasi, in un epoca qualsiasi, rimbombavano lungo una scala di marmo bianco.
I passi lenti, di una fanciulla qualsiasi, in un epoca qualsiasi, si avviavano verso un piccolo mobiletto in mogano.
La mano di un pittore, silenzioso, coraggioso, a suo modo, si allungava verso la maniglia di un portone troppo grande.
La mano, di una fanciulla, silenziosa, coraggiosa, a suo modo, si allungava vero il pomello di un cassetto troppo piccolo.
 
I piedi di un pittore, sensibile, creativo, e a conoscenza di una storia che, in realtà, nessuno gli aveva raccontato, si spostavano lungo un viale acciottolato. Riscaldato da un tiepido sole primaverile, Fragonard, si chiedeva cosa avrebbero detto in città di quella sua sensazionale visita e se mai, l’avesse raccontata.
Fischiettando con le mani in tasca e il sapore di una storia sulle labbra, se ne andava, lontano da quella casa, lontano dalla fanciulla che legge.
Non si sarebbe girato, lui, non si sarebbe voltato a guardare il rapido svolazzo di una veste gialla, nel cielo azzurro, non si sarebbe girato a guardare il lieve bagliore di una lama che brillava, illuminata dai raggi di un sole crudele.
 
Il quadro aspettava lì. Steso inerme sul letto. Aspettando che qualcuno cogliesse i dettagli, la vita che quel piccolo diario, nascondeva. 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Miss_Gwyn