Erano passati più di quarantacinque
minuti e di Rick neanche l’ombra. Kate aveva preparato qualcosa da mangiare e
adesso stava iniziando a preoccuparsi per il suo compagno. Non era da lui
restare nella vasca per cosi tanto. Kate si sedette nel divano e aspettò
qualche minuto, fissando l’orologio.
Un’ora e dieci. Basta, ora andava a
vedere cosa stava combinando. Si tolse le scarpe e le calze. A piedi nudi
raggiunse la stanza di Rick. Appoggiò l’orecchio sulla porta del bagno e provò
a sentire se dava segni di vita, ma nulla. Cosi bussò. Ancora nulla. Il cuore
iniziò a pulsare sempre di più, per l’agitazione, per la voglia di
rassicurarlo. Aprì leggermente la porta ed entrò. Lo vide ancora nella vasca che
fissava un punto indefinito. Poi tutto d’un tratto un sussulto. Lei si avvicinò
sempre di più alla vasca, ma lui continuava a singhiozzare e il suo sguardo era
sempre puntato verso il vuoto. Si sedette sul bordo della vasca dalla parte
dove lui aveva la testa. Gliela prese dolcemente e se la spinse verso se
stessa. La testa di Rick era appoggiata all’addome di Kate e lei gli teneva il
mento con la mano sinistra e con la destra gli accarezzava la testa facendo dei
movimenti dalla parte bassa della testa alla parte alta. Lui continuava a
singhiozzare, poi mosse la testa e la sprofondò nella maglietta di Kate. Rick
le abbracciò la vita e lei lo lasciò fare. Poi si alzò dal bordo e come se
fosse una cosa naturale entrò nella vasca anche lei. Voleva guardarlo in
faccia. Voleva dimostrargli che lei non l’avrebbe giudicato e che con lei
poteva sfogarsi quanto voleva. Lui si era stupito da quel gesto improvviso di
Kate. La osservava e lei gli sorrideva dolcemente. Le loro gambe erano
sovrapposte e se lei avesse teso un braccio gli avrebbe toccato il petto nudo.
Cosi fece, soltanto che non lo tese del tutto, e lo lasciò in sospeso tra di
loro. Lui alzò il braccio e le perse la mano. La avvicinò a se. Ora le gambe di
Kate erano attorno alla sua vita e lei si era seduta sopra di lui. Continuavano
a fissarsi senza dire nulla. Poi lui appoggiò la sua testa sul suo petto e cosi
con l’acqua che ormai stava diventando fredda, Kate cullò Rick che per la prima
volta si fece vedere fragile da lei.
I sussulti si fecero sempre più
presenti, più forti, finché l’uomo non scoppiò in un pianto disperato. Lei gli
accarezzava la testa, disegnando ghirigori con il dito indice, e gli sussurrava
parole di conforto all’orecchio. Ma lui sembrava non udirle, cosi lei lo lasciò
sfogare. A volte piangere fa bene. Piangere può essere un modo per sfogarsi,
per cacciare fuori tutti quei brutti pensieri che ti assalgono.
Quando Rick si stava iniziando a
calmare, Kate aveva perso la cognizione del tempo. Avrebbe potuto restare cosi,
con lui, per sempre. Solo in un secondo momento si rese conto che tutti e due
stavano tremando e che l’acqua era diventata fredda. Gli disse piano che
dovevano uscire se non volevano ammalarsi e lui tirando su con il naso, come
fanno i bambini, mosse la testa per farle capire che andava bene. Lei si alzò
dalle sue gambe e si infilò nell’accappatoio che Rick le aveva dato da usare
quando restava da lui. Anche lui uscì da quella vasca.
Lui non voleva incontrare lo sguardo
di lei come se avesse paura. Ancora una volta si avvicinò a lui, gli alzò il
mento e lo baciò dolcemente.
Due settimane dal giorno
dell’incidente.
Castle aveva scoperto che la
profondità dello stato comatoso si poteva misurare attraverso la Glasgow Coma
Scale. Questa scala andava da 3 a 15. Se era stimato essere 3 il livello era
certa la morte, più si alzava questo valore, più le probabilità di morte erano
basse.
Dopo aver fatto determinati esami e
dopo aver ricevuto risposta ai vari stimoli, i dottori dissero che il livello
di Alexis era 9. Gli dissero che stava migliorando pian piano, ma che bisognava
tenerla lo stesso sotto una vigile attenzione, soprattutto perché se
all’improvviso fosse saltata fuori un’infezione o un embolo, il decesso era
assicurato.
Come sempre il dottor Benson disse la
verità a Rick. Era un uomo sveglio, che non voleva essere preso in giro.
Accettò questa situazione di stabilità, sempre pieno di speranza.
Meredith era andata a far visita alla
figlia il giorno dopo che Martha le aveva telefonato. Castle non la volle né
sentire telefonicamente, che tanto meno vedere. Cosi, quando lei gli mandò un
messaggio, dicendogli che stava arrivando, era andato a casa, lasciando Ashley
li con la figlia.
Ashley si era ripreso un po’. Stare
vicino a lei gli faceva bene, e anche lui era fiducioso in un suo risveglio.
Aveva chiesto scusa al padre di Alexis e gli chiese il permesso di andarla a
trovare ogni giorno. Rick, che ancora si sentiva in colpa per non aver avvisato
prima quel povero ragazzo, acconsentì dicendo che a sua figlia avrebbe fatto
bene stare in compagnia di Ashley.
Moltissimi amici andarono a trovare
Alexis, anche perché la voce si era sparsa, anche se per fortuna i giornalisti
non erano a conoscenza di nulla. Andarono a farle visita anche i ragazzi del
distretto e le portarono tutti qualcosa. Da un oggetto portafortuna, a un fiore
profumato.
La brandina che l’infermiera aveva
messo nella stanza non c’era più. Castle aveva accettato in tutti i modi questa
situazione. Dopo aver parlato a lungo con il dottor Benson aveva capito che non
avrebbe migliorato le condizioni della figlia standole appresso tutto il
giorno, ventiquattrore su ventiquattro.
Aveva chiesto alla solita graziosa
infermiera se potesse portare via la brandina, da quella sera era andato a
dormire a casa sua, nel suo lettone, e insieme a Kate.
Ovviamente lei non poteva stare a
casa dal lavoro, anche perché, non sapeva dire se era il clima, se gli
assassini avevano capito che lei voleva meno morti possibili ( questo sempre,
ma in questo caso ancora di meno!), ma gli omicidi erano aumentati
mostruosamente e lei aveva sempre meno tempo da poter passare con Rick. In
quelle settimane si era già presa un giorno di lavoro e il capo le disse che,
essendoci molti casi, per un po’ non le avrebbe più concesso giorni liberi.
La sera però andava sempre a casa di
Rick, sia che arrivasse alle nove sia che finisse di lavorare a mezzanotte. Lui
era sempre li ad aspettarla, sveglio. Andavano a dormire e alla mattina si
svegliavano abbastanza presto cosi Rick poteva portare Kate a vedere Alexis. In
quelle due settimane le aveva quasi sempre lasciate da sole. Non seppe mai e
tanto meno volle sapere, cosa Kate dicesse ad Alexis. Aveva sempre saputo che
per sua figlia la detective era un modello, perciò si fidò di lei.
Verso le 8, Kate andava a chiamare
Rick, che le dava il caffè. Entravano insieme nella stanza, stavano li a
guardarla e parlavano tra di loro a bassa voce, scambiandosi raramente un gesto
d’affetto.
Alle 8 e mezza, più o meno la
detective salutava lo scrittore e Alexis e andava al distretto con un’angoscia
tremenda.
Rick era cambiato. Non faceva più
battutine, era sempre triste, indifferente a tutto, aveva sempre lo sguardo da
un'altra parte.
Lei lo capiva, ma non voleva nemmeno
immaginare cosa sarebbe successo se, disgraziatamente Alexis non si sarebbe mai
più risvegliata. Le aveva riferito cosa il dottore gli aveva detto e anche se
lei era un’eterna pessimista, per lui era diventata ottimista. Gli diceva di
sperare, che Alexis era un ragazza forte che ce l’avrebbe fatta, ma qualche
giorno prima Rick, guardandola negli occhi le disse: “ Ma se neanche te ne sei
convinta.”
Se Kate non lo avesse amato dal
profondo del cuore, avrebbe iniziato un litigio interminabile. Certo che
neanche lei ne era sicura, ma gli stava facendo coraggio, non lo voleva vedere
demoralizzato. Voleva riavere il suo Rick, il suo sorriso, il suo bambinone.
Ma sapeva che non poteva essere
egoista in questo momento della vita del suo scrittore. Per lui ci sarebbe
sempre stata e avrebbe sopportato qualunque cosa.
Commento:
Salve, sono in ritardo con la pubblicazione.. date colpa alla scuola, non a me!
Ricordatevi che io vi voglio bene, dal prossimo capitolo… UUUUUU! non vedo l’ora
di pubblicarlo! *-*
Un bacione,
Madeitpossible.