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Autore: Beatrix Bonnie    09/03/2012    3 recensioni
-Seguito de Il torneo Trecolonie-
Edmund, ormai figlio adottivo del Presidente della Repubblica Magica d'Irlanda, si lascia alle spalle il suo passato, per diventare Edmund McPride, un giovane ambizioso, bello e pieno di talento. Ma presto dovrà fare i conti con la realtà: l'uomo in cui ha riposto la sua fiducia si rivelerà essere un meschino arrivista, mentre il suo passato verrà a bussargli alla porta nel giorno del suo diciassettesimo compleanno. Un misterioso orologio d'oro con le lancette ferme, una setta di folli scienziati, un codice impossibile da decifrare...
Ma quando, tra il clima di terrore e le sconvolgenti rivelazioni sul suo passato, Edmund non riuscirà più a vedere la luce, nel suo orizzonte si staglierà l'unica cosa certa: l'amicizia di Mairead e Laughlin.
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 2
Il potere della corruzione






Edmund si svegliò presto. Aveva scoperto che la porta nell'angolo della stanza conduceva al suo bagno personale: trovava incredibilmente rilassante fare una lunga doccia ancora prima che sorgesse il sole, così aveva preso l'abitudine ad alzarsi presto ogni mattina per chiudersi in bagno per un'ora buona. Meraviglioso.
Quando Edmund tornò in camera, con un asciugamano bianco di lino avvolto intorno alla vita, osservò con aria costernata la sua divisa grigia dell'orfanotrofio: era lurida, perché la indossava da quasi una settimana, sempre quella, per una stupida ripicca contro i costosi, invitanti e puliti abiti di sartoria che McPride gli aveva fatto confezionare.
Si avvicinò al suo baule scolastico, adagiato ai piedi del letto, su cui la sera prima aveva buttato la divisa grigia. Prese la camicia bianca con due dita, disgustato, e la ispezionò a fondo: era lercia e puzzava. Edmund storse il naso e la buttò lontano. Era inutile fare abluzioni in bagno per un'ora, se poi doveva indossare quei vecchi stracci.
Il problema era che non aveva più la divisa di ricambio, avendola lasciata all'orfanotrofio l'estate prima, né era riuscito a convincere gli elfi a lavargli quella, perché i due domestici, alla sola idea di farsi dare un abito dal padroncino, scappavano via come se gli avesse proposto di ingoiare un nido di vespe.
L'occhio gli cadde sul suo armadio a muro: su una gruccia, appesa alla chiave esterna dell'anta, stava una limpida camicia di lino, di taglio quattrocentesco, con un aspetto così invitante. Aveva l'aria di essere fresca e pulita.
Significava cedere a McPride, era vero, ma non poteva andare avanti tutta estate con lo stesso completo.
Era da una settimana che non usciva dalla sua stanza, nemmeno per mangiare, perché si faceva portare dagli elfi domestici qualche avanzo dalla cucina. Per il resto, se ne stava rinchiuso come un maledetto prigioniero. Era stupido, ne era certo, ma meno vedeva il sorriso gentile di McPride e la sua meravigliosa casa, più a lungo avrebbe resistito alle sue lusinghe.
Il suo stomaco scelse quell'esatto momento per brontolare a causa la fame. Sognava da giorni una colazione completa, con fette di toast calde spalmate di marmellata e burro. Socchiuse gli occhi, quasi sentendo il profumo di pane croccante di prima mattina.
Masticò aria, mentre il suo fisico anelava una sola cosa: cibo.
Aveva fame.
Agì d'impulso, perché, dopotutto, era uno stupido impulsivo Raloi.
Indossò la camicia pulita, scelse un paio di calzoncini irlandesi di cotone, corredati di calzettoni bianchi, infilò le scarpe e si catapultò fuori dalla stanza. Era uscito, dopo una settimana di reclusione. Non era stato poi così difficile, in fondo.
Percorse a passo delicato i corridoi, scese le scale di legno fino in ingresso e poi si lasciò guidare in sala da pranzo dalla voce gracchiante della radio che stava leggendo le notizie del giorno.
«Il governo britannico ancora non cede e nega il ritorno di Voi-sapete-chi. Il Profeta insulta e ridicolizza Silente e il suo pupillo Harry Potter».
Edmund comparve in sala da pranzo: c'era davvero profumo di pane appena sfornato, latte caldo e marmellata. L'aria stessa era croccante, la luce del sole limpida e armoniosa: sembrava di essere finiti dentro una pubblicità Babbana di biscotti per la colazione.
McPride era seduto a capotavola e sorseggiava con disinvoltura un caffè. Non appena lo notò, gli rivolse un sorriso sereno.
Edmund scrutò attentamente il volto, alla ricerca di un qualche segno di esultante vittoria, nella speranza di scorgervi quel sorriso da squalo che tanto aveva odiato. Invece McPride sembrava semplicemente tranquillo. Forse aveva davvero sbagliato a giudicarlo? Possibile che avesse travisato tutti i segnali che erano partiti dal patrigno?
«Prego» lo invitò a sedersi.
Edmund si accomodò lentamente a tavola, guardingo. Aveva i sensi vigili, come se temesse di esser finito in una trappola. Ad esaminare i fatti, non c'era alcun motivo logico per cui avrebbe dovuto sospettare di McPride, ma uno stano campanello di allarme lo manteneva in allerta.
«Cosa vuoi per colazione, Edmund?» chiese il patrigno.
Il ragazzo fu strappato dai suoi macchinosi pensieri e riportato alla realtà: davanti ai suoi occhi si estendeva una tavola imbandita di ogni ben di dio. Aveva il mondo ai suoi piedi. Quello dolciario, almeno.
«Un tè, grazie» si limitò a dire. Non era abituato ad avere tutto a sua disposizione: di solito, per ottenere ciò che voleva, doveva combattere con tutte le sue forze. Un'ottima scuola di vita, certo, ma era francamente spiazzante ritrovarsi ora di fronte alla possibilità di avere qualsiasi cosa. Bastava solo sceglierla.
Improvvisamente si rese conto che stava pontificando sul ricco assortimento della colazione. Era patetico.
Era confuso, in realtà. Lo realizzò mentre la teiera incantata da McPride versava il suo liquido ambrato nella tazza davanti al suo naso. Era confuso dalla disarmante gentilezza del suo patrigno, che proprio in quel momento gli rivolse un sorriso incoraggiante.
«Mi spiace di dover andare al lavoro presto, stamattina, Edmund» gli confessò. «Ma sai, con i tempi che corrono...»
Proprio in quel momento il giornale radio annunciò che a Dubh Cliathan erano scoppiati alcuni tafferugli tra Nati Inglesi e maghi irlandesi filo-EIF.
Edmund accennò ad un sì con la testa, meditabondo. Il ritorno di Voldemort stava spingendo l'Irlanda nel panico, proprio come era successo all'epoca della Prima Guerra Magica, stando a quello che gli aveva raccontato Mairead alcuni anni fa.
«Perché non ti fai un giretto della casa, nel frattempo?» gli propose McPride, bevendo l'ultimo sorso di caffè.
«Ehm... ok» mormorò Edmund.
No, certo che no!
Non gli interessava niente della sua bella casa, della colazione abbondante, dei vestiti di sartoria: non voleva le sue gentili attenzioni. Voleva odiarlo, per non cedere.
McPride gli rivolse uno sguardo incoraggiante, poi spense la radio e uscì dalla sala da pranzo.
Edmund rimase lì seduto per parecchio tempo, a fissare la sua tazza di tè ormai freddo. Non ne aveva bevuto che qualche sorso, perché lo stato confusionario in cui si trovava gli aveva chiuso lo stomaco.
Laughlin avrebbe storto il naso di fronte alla sua mancanza di appetito: lui ripeteva sempre che sarebbe morto se l'intervallo intercorso tra il momento esatto in cui si alzava dal letto e quello in cui riusciva a ficcarsi in bocca qualcosa di commestibile fosse stato più lungo di un quarto d'ora, perché quando si svegliava aveva fame.
Ma non faceva molto impressione, la cosa: Laughlin aveva sempre fame, a differenza di Edmund. Lui si nutriva solo per necessità, perché senza cibo non sarebbe sopravvissuto. Fine della storia.
McPride non sarebbe riuscito a corromperlo con abiti di sartoria e tavole imbandite: vestirsi e mangiare erano per lui puri bisogni fisiologici. Ci sarebbe voluto ben altro, per portarlo dalla sua parte.
Ciò che Edmund non immaginava era che McPride sapeva benissimo che cosa avrebbe potuto corromperlo. E aveva già predisposto tutto.
Edmund si alzò mollemente da tavola, deciso a tornarsene in camera, per un'altra giornata di completa nullafacenza, quando una specie di uccellino di carta entrò nella stanza. Lo osservò svolazzare indeciso per la stanza, finché non sembrò ricordarsi improvvisamente la strada e schizzò fuori dalla sala.
Edmund rimase indeciso solo un attimo, poi lo seguì.
L'uccellino di carta volò verso il secondo piano, nel corridoio dove si trovava la stanza di Edmund. Per qualche secondo, il ragazzo immaginò che fosse diretto a lui, ma quello invece si diresse verso il fondo, dove c'era una scala a chiocciola che portava al portico del piano di sotto.
Edmund inseguì il foglietto volante fino ad un grosso portone, che doveva essere l'entrata all'edificio circolare che chiudeva il portico trapezoidale sul lato più corto. Esitò quando vide che l'uccellino di carta si infilò sotto l'uscio e scomparve.
Ma, dopotutto, McPride gli aveva dato il permesso di esplorare la casa.
Mise una mano sulla maniglia, la tirò verso il basso e infine socchiuse la porta.
La stanza che si dischiuse sotto i suoi occhi era la cosa più meravigliosa che avesse mai visto: una biblioteca, illuminata da un'enorme finestra con le intelaiature dorate, attraverso la quale si riversavano fiotti di luce sul luminoso pavimento di marmo. Le pareti circolari erano ricoperte da scaffali stracolmi di libri, ordinatamente disposti in base alla materia di cui trattavano.
Edmund alzò il naso, estasiato, per tentare di cogliere con un solo sguardo tutto quel ben di dio. Il soffitto era affrescato secondo il gusto barocco, con graziose scene di muse, ninfe e amorini che si rincorrevano in un cielo azzurro costellato di morbide nuvole bianche.
A metà esatta degli scaffali, correva una passerella di legno, a cui si poteva accedere tramite due scalette a chiocciola poste al fianco del portone d'ingresso. Un'altra serie si scale a pioli, dotate di rotelle, erano state poggiate contro le pareti, per permettere di raggiungere qualsiasi volume.
L'unico arredamento della stanza, oltre alla tenda magnifica di velluto rosso che copriva parte della finestra, era un tavolo di legno, di fattura graziosa ma semplice, con due sedie coordinate e un candelabro d'oro.
Edmund aveva sempre pensato che la biblioteca del Trinity fosse il non plus ultra, con quel suo assortimento infinito di libri; ma l'enorme stanza che la ospitava era spesso buia e tetra, a causa delle piccole finestre in alto che lasciavano filtrare ben poca luce, la quale non poteva espandersi per tutto l'interno per via delle enormi e imponenti scaffalature che dividevano la sala in sezioni. L'illuminazione era perciò affidata a candelabri e torce, dando l'impressione di trovarsi dentro una biblioteca di un antico monastero, come se il sapere lì custodito fosse in qualche modo oscuro e non accessibile ai più.
Al contrario la biblioteca di villa McPride era luminosa, piena di giochi di luce, ampia e spaziosa. Dava l'idea di essere giunti sulla vetta di una montagna e di poter respirare aria pura e godere di un magnifico paesaggio.
Era il tempio del sapere. Ed era a sua disposizione.

Adolfus McPride tornò a casa tranquillo quella sera. Era certo che il suo trucchetto avesse condotto Edmund proprio dove voleva: nella sua biblioteca. Il ragazzo si era dimostrato più malleabile di quanto avesse sperato e McPride era sicuro che mostrargli quello scrigno del sapere, facendo leva sulla sua curiosità, gli avrebbe dato il colpo di grazia. Dopo quello, portarlo dalla sua parte, sarebbe stato un giochetto da ragazzi.
Entrato in casa, appese il suo mantello estivo al portabiti dell'ingresso e poi si recò in cucina per sgranocchiare qualche bruschetta che Nelly aveva preparato per lui. Non aveva alcuna fretta di trovare Edmund, perché era certo di avere la vittoria in pugno. Annaffiò il suo spuntino con un ottimo bicchiere di vino rosso d'annata, poi decise che era giunto il momento di cercare il suo pupillo.
Senza ombra di esitazione si diresse verso la biblioteca.
«Oh, sei qua, Edmund» disse, così per dire, perché sapeva benissimo che l'avrebbe trovato lì.
Il ragazzo, appollaiato a leggere sul soppalco di sinistra, alzò gli occhi dal libro con aria sorpresa. Il suo sguardo guizzò verso la finestra: fuori c'era buio. Aveva passato la giornata a leggere e non se n'era nemmeno accorto. La biblioteca aveva un saggio impianto di illuminazione che percepiva la presenza di esseri umani e, non appena si faceva troppo buio, accendeva in punti strategici della stanza una serie di fuochi magici dal pacato color ambra.
McPride lo raggiunse sul soppalco, mentre Edmund, per chissà quale motivo, provava la spiacevole sensazione di essere stato beccato a fare qualcosa di losco. Forse era a causa del libro che aveva scelto di leggere. A causa della sezione da cui era stato attratto.
«Ehm... aveva detto che potevo esplorare la casa, signore» si giustificò, con un velo di impaccio.
«Ma certo, Edmund» concesse il patrigno in tutta tranquillità. «Ti piace la biblioteca?»
Edmund si trattenne appena in tempo. «Sì» mormorò in tono dimesso. Avrebbe voluto esclamare qualcosa di entusiasta, ma non era del tutto convinto di volerla dare vinta a McPride, anche se ebbe come la sensazione che il patrigno intuì la battaglia avvenuta nella sua anima.
Gli occhi dell'uomo saettarono verso la copertina del libro che stava leggendo e un sorriso indecifrabile illuminò le sue labbra. «Il Mein Kreig di Grindelwald. Ottima scelta, per cominciare. Peccato che sia rimasto inconcluso, da quando l'autore è stato rinchiuso nella sua cella di Nurmergard» commentò, in un tono apparentemente neutro. «Ora che ne dici di andare a cena? Scommetto che non hai nemmeno pranzato».
Il borbottio sommesso dello stomaco di Edmund sottolineò quelle parole: in effetti, ora che aveva realizzato che si era fatta sera, pensò che il suo corpo avesse tutto il diritto di lamentarsi, visto che da quasi ventiquattro ore non aveva ingoiato nulla di più che due sorsi di tè. Ma c'era una cosa che voleva chiedere, anche se si sentiva imbarazzato.
«Signore?» tentò, con un inusitata gentilezza, per sondare le reazioni dell'uomo.
«Dimmi, Edmund» rispose McPride. L'invito non poteva essere più diverso da quelli che tante volte gli aveva rivolto un sorridente e comprensivo Captatio, eppure Edmund non riuscì a cogliervi nessun segno di malizia.
«Mi chiedevo... ci sono un sacco di libri di magia oscura, qui» mormorò a fatica. Erano lì, in bella vista, sotto la sezione che recava la targhetta “Arti Oscure”, senza nessun incantesimo a proteggerli, nasconderli, occultarli, come se fosse assolutamente normale trovarli in una qualsiasi biblioteca. Al Trinity, per esempio, non c'erano.
Perché allora McPride ce li aveva? Era... un mago oscuro?
Il suo patrigno si concesse un sorriso tranquillo. «Credi che abbia un laboratorio nascosto dove compio riti misteriosi su cadaveri straziati, solo perché una sezione della mia biblioteca è dedicata alle Arti Oscure?» lo stuzzicò divertito.
Solo allora Edmund realizzò quanto fosse stata sciocca la sua preoccupazione.
McPride si inginocchiò davanti a lui, per arrivare a guardarlo dritto negli occhi, visto che il ragazzo era raggomitolato a terra con il libro di Grindelwald sulle gambe.
«Edmund, saprai che prima di darmi alla politica ero un Auror, no? Be', questi libri erano il mio pane quotidiano, perché le Arti Oscure sono affascinanti, hanno le loro leggi complesse ma precise. Sono dei bigotti moralisti coloro che negano la validità di questa magia».
Allo sguardo un po' perplesso e un po' agghiacciato del ragazzo, McPride scoppiò a ridere e poi prese a spiegare: «Edmund, io non studiavo le Arti Oscure per usarle, ma per combatterle. Dovevo capire le armi che avevano a disposizione i miei nemici, dovevo essere preparato ad affrontare le peggiori maledizioni che potessi immaginare. Perché quando tu sei lì, con la bacchetta levata, pronto a lanciare al massimo uno Schiantesimo, devi sapere che genere di malefici è in grado di lanciare il tuo avversario, fino a che punto di depravazione l'anima può giungere per seguire il male, e quanto dolore possa provocare una semplice bacchetta. Devi saperlo per riuscire a combattere, o moriresti al primo duello. Le Arti Ocure sono affascinanti, perché ti dicono chiaramente che non c'è mai fine all'orrore».
Edmund annuì più tranquillo: quel discorso l'aveva rincuorato, come se scoprire che il suo patrigno non era un mago oscuro l'avesse in qualche modo aiutato ad accettare la sua nuova identità di figlio del Presidente.
McPride si alzò da terra con un sorriso incoraggiante.
Edmund si ritrovò a pensare che era sciocco fare sempre il sostenuto, così ricambiò il sorriso con un leggero imbarazzo. Ripose il libro di Grindelwald sullo scaffale e imitò il patrigno mettendosi in piedi.
McPride gli posò una mano sulla spalla con fare paterno.
«Ora che ne dici, Ed, andiamo a cena?»

Nei giorni successivi, la reclusione forzata di Edmund non si modificò più di tanto: invece di starsene chiuso in camera sua, si rifugiava in biblioteca e passava le giornate a leggere qualsiasi cosa stuzzicasse la sua attenzione. Aveva cominciato ad indossare i vestiti che il sarto D'Arman aveva confezionato apposta per lui, così come aveva preso l'abitudine di fare colazione e cenare in compagnia del suo patrigno. La sera, a tavola, discutevano sempre degli eventi della giornata di McPride o delle letture che avevano incuriosito Edmund.
McPride aveva ragione: le Arti Oscure erano affascinanti. Edmund non sapeva dire se quel fascino derivasse effettivamente dalla possibilità di conoscere quali orribili soglie di depravazione potesse varcare un mago per amore del male, come diceva il suo patrigno, o se la magia oscura avesse in sé qualcosa di terribilmente attraente. In fin dei conti, si parlava di compiere imprese al di là delle misere capacità dell'uomo, andare oltre i limiti che la natura ci aveva imposto, per raggiungere un potere che era solo di Dio.
Era qualcosa di terribile e di affascinante, insieme. Agghiacciante, sì, ma grandioso.
Un giorno si ritrovò tra le mani un libro che parlava dei modi per raggiungere l'immortalità tanto anelata dall'uomo e mai raggiunta. Era un tema che lo affascinava moltissimo e si ritrovò a frugare per tutta la biblioteca alla ricerca di altri volumi che parlassero dell'argomento.
Ne trovò uno che era francamente inquietante. O meglio, sarebbe stato inquietante per chiunque altro, ma in quel momento Edmund era troppo preso dall'eccitazione per capire fino in fondo i risvolti più oscuri di quella faccenda.
Si precipitò verso lo studio del patrigno, desideroso di discutere con lui della questione. Non era mai entrato nella stanza privata di McPride, a dire la verità: sapeva solo che si trovava a piano terra, non lontano dall'ingresso. Buttò titubante e quando sentì la voce del patrigno che lo invitava ad entrare, socchiuse leggermente la porta.
Lo studio era avvolto nella penombra, perché l'unica finestra che si apriva nel muro alla sua sinistra era coperta da una pesante tenda di velluto rosso. La stanza aveva un'aria soffocante, a causa della libreria stracolma di volumi che occupava l'ala destra, mentre una cartina della Repubblica Magica d'Irlanda faceva bella mostra di sé sulla parete a fianco della porta da cui era appena entrato.
Ma ciò che rapì il suo sguardo prima di ogni altra cosa fu lo strano meccanismo di legno alle spalle della scrivania di McPride, che cigolava placido al roteare monotono e uniforme di quella che pareva essere una grossa ruota di pietra.
McPride intuì la direzione del suo sguardo e sorrise comprensivo. «È la macina del mulino» spiegò. «Quello che resta del mulino dove lavorò mio padre. Ti ricordi? Tempo fa ti dissi che i miei genitori erano dei mugnai. Quando divenni abbastanza ricco da potermelo permettere, comprai la proprietà dove si trovava il mulino al quale avevano lavorato per lungo tempo i miei e lo trasformai in questa casa. Ma la macina rimase, per onorare il ricordo dei miei cari» disse in un tono stranamente dolce per lui, e in quel momento i suoi occhi indugiarono su una fotografia che ritraeva due maghi contadini, che sembravano essere appartenuti ad un altro secolo.
Edmund si ritrovò invaso da sentimenti di nostalgia che non aveva mai provato: era l'affetto che avrebbe dovuto legarlo al ricordo di avi e parenti ormai defunti che rappresentavano le sue origini.
Ma quel sentimento gli era negato, perché lui non sapeva quali fossero le sue origini. Poteva solo provarlo attraverso il suo patrigno. Quelle persone per lui non significavano niente, ma avrebbe potuto vederle con gli occhi di McPride e amarle.
«Comunque, Edmund, siediti» lo invitò il patrigno in tono tranquillo. «Volevi dirmi qualcosa?»
Edmund ricordò improvvisamente il motivo per cui era lì e si scosse di dosso quella patina di nostalgico auto-compatimento per tornare lucido e vigile.
«Oggi ho letto una cosa strana, in biblioteca. Una magia che si chiama... Horcrux, se non sbaglio» mormorò, anche se era ben visibile il suo entusiasmo.
Il sorriso gentile di McPride si gelò sulle sue labbra. Le letture del figlioccio stavano diventando decisamente preoccupanti. Forse non avrebbe dovuto permettergli di frugare nella sezione dedicata alla magia oscura.
Tuttavia Edmund non si accorse della reazione del patrigno, troppo eccitato all'idea. «È qualcosa di... incredibile! Un mago può davvero rendersi immortale?»
«È magia oscura molto potente, Edmund. Non starai per caso pensando di farti un Horcrux?» mormorò McPride, cercando di sdrammatizzare ma restando comunque sulla difensiva. Gli occhi azzurri del ragazzo avevano uno strano luccichio che lo inquietava.
E Adolfus McPride non era un uomo che si inquietava facilmente.
Edmund si concesse una risata distensiva. «No, certo che no. Erano solo... così, speculazioni» rispose tranquillo. Lo scintillio di brama era del tutto scomparso dai suoi occhi. Forse era solo stato uno strano gioco di luce.
«Ma certo, è naturale che maghi del tuo calibro siano attirati da questo aspetto della magia» concesse McPride, decisamente più sollevato dalla piega tranquilla che aveva preso la conversazione.
«Sì, signore. Quello che non capisco... teoricamente si potrebbe strappare l'anima in più parti, giusto? Qualcosa come... sette, il numero magico più potente! È spaventosamente affascinante, no?» esclamò Edmund eccitato.
McPride rise con un certo nervosismo. Sì, aveva decisamente fatto bene ad adottare Edmund per portarlo dalla sua parte: averlo come avversario sarebbe stato piuttosto spaventoso.
«Già spaccarsi l'anima una volta è disgustoso, sette sarebbe davvero disumano! Diventeresti un mostro, Edmund, e alla gente non piacciono i mostri. La tua faccia non starebbe bene su un cartellone elettorale» decise di buttarla sul ridere, nel tentativo di smorzare lo spiacevole sospetto che il ragazzo sarebbe stato un terrificante mago oscuro, se solo avesse voluto.
Anche Edmund rise. «No, signore, temo proprio di no».
McPride si rigirò la piuma d'oca tra le mani, capendo che era arrivato il momento di forzare un po' i tempi: doveva averlo dalla sua parte, prima che gli sfuggisse di mano. Per nessun motivo avrebbe voluto ritrovarselo contro.
Gli sorrise tranquillo, subito ricambiato dal ragazzo.
«Che ne dici di incominciare a chiamarmi padre, Edmund?»





Ecco arrivato il nuovo capitolo!
Ed è anche successo il guaio... insomma, Edmund ha ceduto, ma, che volete farci? Un'intera biblioteca a sua completa disposizione... McPride sa giocare bene le sue carte!
A proposito di McPride, NON è un mago oscuro: quello che ha detto a Edmund sulle Arti Oscure è la verità. L'esempio più vicino che mi viene in mente è uno psicologo criminale che studia i serial-killer perché, da un lato, sftutta le sue conoscenze per catturarli, dall'altro è affascinato dalla possibilità di scoprire le più profonde soglie di depravazione umana. Ah, e altra cosa: non è un cattivone senza cuore... voleva davvero bene ai suoi genitori (i maghi contandini nella foto del suo studio)! =)
Per quel che riguarda Eddy, sì è un bel ragazzo... QUI l'immagine del capitolo a riprova! Solo che è davvero tardo su queste cose e, anzi, ho un bel capitolo in mano in cui rideremo un po' alle sue spalle in vero, viscido Nagard-style! ;-)
Tra l'altro, il caro Eddy sa essere decisamente inquietante quando ha a che fare con la magia oscusa... e con gli Horcrux in particolare! O.O Qualcuno di voi si ricorda che forma assume il suo molliccio? mhuahahahah! Lo so, sono sadica, ma questa volta avrete tutte le risposte, promesso!
Prossimo aggiornamento: Lunedì 19 marzo
Grazie a tutti voi,
Beatrix

   
 
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