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Autore: Yoi yoru    09/03/2012    2 recensioni
Quando la vita ci riserva delle sorprese, e comunque facciamo non possiamo sfuggire al destino.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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In una fredda giornata di marzo, mentre il vento soffiava furioso, due ragazzi stretti l’uno all’altra camminavano per la strada. Arrivati a un portone che dava direttamente sulla strada, il ragazzo girò la chiave nella serratura e i due entrarono.

-Hai freddo?- disse lui.

-Si, puoi accendere i termosifoni?- la ragazza si tolse il cappotto e lo appese all’attaccapanni.

-D’accordo-. Andò al termostato e lo regolò su ventidue. Poi si affacciò in camera sua per vedere che fosse tutto in ordine. Emma intanto si era accomodata sul divano e aveva il telefonino in mano. Dopo aver controllato gli sms, lo spense e lo lasciò lì.

Luca le si avvicinò sorridendo, e lentamente si mise su di lei a baciarla.

Emma rise. -Sei sicuro che i tuoi non torneranno stasera?- gli chiese cercando rassicurazione.

-Sicurissimo. E comunque male che vada ti puoi nascondere nell’armadio-.

-Ah, ah, spiritoso-. La ragazza si alzò, sfuggendo dalle sue braccia, lo guardò e non poté fare a meno di sorridere. -Io… io non lo so che devo fare. Dimmelo tu!-

-Non devi fare niente. Viene tutto naturale- disse lui sorridendo a sua volta.

-Si, parla l’esperto!- Emma corse in camera del ragazzo facendogli capire che voleva essere rincorsa. Si fermò sulla porta a guardare: il letto a una piazza e mezza era immerso nella penombra, le pareti erano tappezzate di poster e di fronte un grande armadio beige occupava tutto il lato nord della stanza.

Luca la raggiunse ed entrambi si buttarono sul letto abbracciati. Si guardarono negli occhi accarezzandosi il viso, e rimasero così per qualche minuto.

-Ti amo-. Emma sembrava sincera, nei suoi occhi non c’era nulla di più che amore e gratitudine. Gli sorrise e iniziò a sbottonargli la camicia fino a scoprire il petto di lui. Luca fece altrettanto iniziando a sfilarle la maglietta.

La ragazza scese dal letto e si slacciò la cintura, si sfilò le scarpe, poi si sbottonò i jeans e li lasciò cadere a terra. Tornò sul letto gattoni e il ragazzo le venne incontrò per slacciarle il reggiseno. La fece sdraiare con la testa su tre morbidi cuscini. Lei gli mostrò un timido sorriso mentre lui si spogliava e si chinava a toglierle le mutandine. Iniziando a baciarla lungo il corpo, sulla pancia fino al collo, si mise su di lei.

Emma sospirò e si strinse a lui, sentiva di fidarsi e che stava facendo una cosa giusta. Lui le sussurrò di stare calma e affondò il viso nei suoi capelli castani. Forzando dolcemente iniziò a muoversi piano piano, respirando profondamente.

La ragazza gemette impercettibilmente e si lasciò andare a quella danza universale e al piacere che la invase come un’onda.

 

***

 

 

Emma e Luca, seduti sulla panchina fuori la scuola, parlavano concitatamente. Il viso di lei sembrava preoccupato e lui le stava spiegando una cosa, cercando di essere il più delicato possibile.

-Mio…mio padre ha trovato lavoro in una ditta di costruzioni, dobbiamo trasferirci- disse tutto d’un fiato temendo la sua reazione. Senza aspettare che aggiungesse altro, la ragazza scoppiò a piangere. Si coprì la bocca con le mani, singhiozzando.

-Emm… scusa, io non so che fare. Non posso restare qui e non posso lasciarti. Cosa devo fare?-. Aveva l’aria disperata come di chi deve scegliere tra il venire ucciso e il piantarsi una pallottola nel cranio.

-Dove andate?- le uscì un sussurro smorzato dalle lacrime e tirò su col naso.

-A Varese-. Cercava di chiedere scusa con lo sguardo, ma sapeva che neanche tutte le scuse del mondo sarebbero state sufficienti.

-Varese!?!- Emma scattò in piedi e urlò. –Ma ti rendi conto?! Tu vai in alta Italia e io che dovrei fare?- continuava a urlare guardandolo, incapace di accettare la situazione.

-Amore, mi dispiace un sacco! Lo sai che è l’ultima cosa che vorrei, ma che ci posso fare? Ti porterei con me ma…questo non è possibile!- La fece sedere e prese le sue mani. –Ti prometto che tornerò a trovarti ogni weekend! In treno sono circa tre ore e mezza. Te lo prometto cucciola. E’ tutto ciò che è in mio potere-.

Emma lo guardò con gli occhi rossi dal pianto e si morse un labbro. Poi gli gettò le braccia intorno al collo e lo baciò con passione, attaccandosi a quella bocca che non avrebbe più rivisto per molto tempo.

-Promettimelo!- Gli ordinò con voce tremula. –Promettimi che non avrai nessun altra e che mi penserai sempre. E che ci sentiremo tutti i giorni su Facebook!- lo implorò.

-Te lo prometto. Te lo giuro-. E la avvolse in un tenero abbraccio che le sciolse il cuore.

 

***

 

Quattro giorni dopo Emma era nel suo bagno e si teneva i capelli con una mano e con l’altra si appoggiava al water vomitando anche l’anima. Strappò una manciata di carta igienica e si pulì la bocca. Riprese fiato e si domandò cosa del giorno prima le aveva fatto male. Forse quel maledetto pollo fritto, forse il riso di due giorni prima…

Si rimise in piedi e si guardò allo specchio. La sua aria da sedicenne sembrava andare sbiadendo pian piano, nascosta dalle occhiaie marcate e dall’aria distrutta che le aveva lasciato la partenza del suo unico amore.

Si vestì e si preparò per andare a scuola. Erano solo cinque minuti a piedi da casa sua e se la prese comoda. Quando uscì nella fresca aria mattutina iniziò a camminare a testa bassa, con le mani in tasca e il cappuccio della felpa tirato su. Quando passò davanti la farmacia il rumore della commessa che alzava la serranda le fece alzare lo sguardo. Guardò l’insegna luminosa con la croce verde e un pensiero le balenò nella mente. Aspettò che aprisse ed entrò. Si frugò in tasca e pagò al bancone dove la donna stava ancora sistemando le prime cose. Le mise la scatolina contenente il test di gravidanza nella bustina ed Emma la infilò nello zaino.

A scuola non mangiò niente, aveva paura di dover correre a vomitare di nuovo. Ogni ora pregava che finisse subito, non che tornare a casa avrebbe sistemato le cose. Ma quel luogo le ricordava troppo lui.

Appena tornata a casa andò in bagno. Aprì la scatolina e lesse il foglietto delle istruzioni. Fece pipì, poi si sedette sul bordo della vasca e aspettò.  Dopo cinque minuti comparvero due lineette rosa. La ragazza si lasciò sfuggire un sussulto e prese il secondo test. Corse in cucina con quello usato in mano, continuando a guardarlo come se quelle linee potessero scomparire all’improvviso. Bevve una bottiglina d’acqua e dopo poco tornò in bagno. Quando ne uscì iniziò a piangere, si appoggiò allo stipite della porta e si lasciò scivolare giù.

Ecco, ora era proprio quello che ci voleva. Nulla più poteva andare storto, ora che il mondo le riversava tutte le sciagure addosso!

Si trascinò singhiozzante fino al telefono e compose il numero della zia. Dirlo alla mamma non se ne parlava. Non sapeva neanche che aveva un ragazzo, ma Emma ci avrebbe scommesso la testa che lo sospettava.

Zia Laura era sempre così dolce e disponibile e avrebbe capito sicuramente. E soprattutto avrebbe tenuto la bocca chiusa: poteva fidarsi solo di lei.

-Zia?- Una voce femminile rispose al telefono ed Emma rispose cercando di sembrare come minimo calma. Ma non servì a niente: la zia capì subito che qualcosa non andava.

-Che succede piccola?- le chiese dolcemente. Era bravissima a rassicurare le persone e a risolvere i problemi.

-Zia ho un problema, mi devi aiutare-.

 

***

 

-Mio dio bambina, certo che la sfortuna sembra avercela con te-. Zia e nipote viaggiavano in auto insieme ed Emma le aveva raccontato tutta la sua storia: da Luca alla scoperta di essere incinta.

-Però alla mamma devi dirlo assolutamente, non puoi tenerlo nascosto a lungo, prima o poi lo verrà a sapere. E soprattutto… se ne accorgerà-. Lanciò un rapido sguardo alla sua pancia. Emma la guardò stupita.

-Zia, non penserai mica che ho intenzione di tenerlo?- alzò un sopracciglio.

-No ma, come pensi di fare tutto di nascosto?- il suo tono era eloquente.

La ragazza abbassò lo sguardo e cercò una risposta. –Beeh.. io…-

-Tu niente. Vedrai che questa ginecologa è bravissima, mi ha aiutato molto con Manuel-. Manuel era il cugino pestifero di Emma. Più volte le aveva distrutto e messo a soqquadro la stanza.

-Oh, bene-.

Dopo aver parcheggiato entrarono in un palazzo, la cui entrata era rivestita di marmo grigio. Salirono al secondo piano e una porta conduceva allo studio della Dott.sa Mariateresa Cardillo , come recitava una targhetta dorata all’entrata. Una segretaria le fece accomodare in una triste sala d’aspetto. Quando fu il loro turno entrarono in una stanza grande e ordinata. Una donna giovane e di bell’aspetto le strinse la mano sorridendo. Ci pensò zia Laura a spiegare la situazione, ed Emma si limitò ad annuire. La dottoressa la visitò e le fece anche un’ecografia.

-L’embrione è alla quarta settimana, a questo punto devi dirmi tu cosa vuoi fare- si rivolse alla ragazza.

-Io…non lo so. Penso che non lo terrò. Sono ancora troppo giovane….- trattenne una lacrima che minacciava di uscire e si passò una mano sulla faccia.

-Hey piccola, tranquilla. Vuoi parlarne prima col tuo ragazzo?- chiese la dottoressa, passandole un fazzolettino di carta.

-Emma sarebbe meglio che lo informassi di questo, deve sapere-, si intromise zia Laura.

-Chiamami domani e fammi sapere cosa hai deciso, ok?- La dottoressa le sorrise e si alzò.

Zia e nipote uscirono dallo studio medico uscendo salutarono la segretaria che, vedendo la ragazzina in lacrime, le lanciò un sorriso compassionevole.

 

***

 

Emma prese il cellulare, seduta sul lettino nella sua stanza. Scorse l’elenco della rubrica fino a trovare il nome che cercava. Premette il tasto verde e si portò l’apparecchio all’orecchio.

Dopo due squilli, una voce calda rispose: -Hey, piccola! Come stai amore? Mi manchi un sacco!-

La ragazza cercò di trattenere le lacrime di felicità e gli rispose: -Hey, bene, bene. Luca, devo dirti una cosa importante-. Aspettò qualche secondo e cercò le parole giuste per dirglielo.

-Dimmi tutto tesoro!- la voce di lui faceva capire che stava sorridendo.

Emma chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Poi si decise: doveva dirlo, punto e basta.

-Io sono incinta-.

Il ghiaccio sembrò invadere la stanza e trasmettersi attraverso il telefono. I due rimasero in silenzio e quando Luca rispose non aveva più la voce serena di prima, ma era smorta e fredda.

-Emma…io…mi dispiace-. Non sapeva che altro dire, non c’era molto da dire. –Hai già deciso quello che vuoi fare?-

-Veramente volevo chiederlo a te, voglio sapere che ne pensi. Io non posso tenerlo, non posso smettere di vivere a sedici anni-.

-Emma, io non so se essere felice o preoccupato, ma so soltanto che qualunque cosa deciderai per me andrà bene-.

-D’accordo, ti chiamerò quando andrò di nuovo dalla ginecologa-.

-Va bene. Ti amo-.

-Ti amo anch’io-.

 

***

 

Due giorni dopo Emma era in macchina con sua madre, diretta ad una clinica privata dove lavorava la dottoressa Cardillo. Quando la mamma aveva saputo ci era rimasta male, ma dopo un po’ lo aveva semplicemente accettato.

La dottoressa aveva detto che data la gravidanza ancora all’inizio e l’età di Emma, era possibile procedere per via farmacologia. Avrebbe dovuto prendere delle pillole sotto la supervisione dei medici e tornare dopo due giorni per la seconda sessione. La cosa sarebbe stata assolutamente indolore e non se ne sarebbe neanche accorta.

Era un giorno di pioggia, e la Opel Zafira slittava sull’asfalto viscido.

Emma prese il cellulare e chiamò di nuovo il suo ragazzo. Gli disse: -Sto andando, fammi gli auguri-.

-Amore sono con te, sono qui con te-.

Il cielo plumbeo sembrava non voler mostrare a nessun costo neanche un raggio solare, e le gocce sbattevano incessantemente sul parabrezza.

Due fari di una macchina accompagnati dal rumore di un clacson accecarono Emma e la madre. La loro macchina venne urtata, girò su se stessa e scivolò sulla strada fino ad oltrepassare l’altra corsia e finire nel fosso a fianco di strada. La signora uscì a fatica dalle lamiere accartocciate della sua auto, ferita e sotto shock. Senza neanche la forza di parlare, guardò la macchina che conteneva sua figlia.

Emma gemette chiudendo gli occhi, e sentì un rivolo di sangue scenderle lungo la tempia. I sensi le si attenuarono, la vista si annebbiò, e le sue orecchie colsero l’ultimo, dolce suono.

-Emma? Emma, che succede? Amore mio…-

   
 
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