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Autore: Emily Kingston    09/03/2012    4 recensioni
“Presentami una delle tue amiche,” disse, con l’aria di uno che aveva appena fatto la scoperta del secolo.
“Eh? Le mie amiche? Guarda che hanno tutte sedici anni, non sono un po’ troppo piccole per i tuoi gusti?” rispose Charlie, inarcando le sopracciglia.
“Appunto!” esclamò Rupert, quasi sconvolto dal fatto che suo fratello non avesse capito dove voleva andare a parare. “Voglio una relazione casta e senza sesso, quindi presentami una delle tue amiche.”
Charlie fu seriamente sul punto di scoppiargli a ridere in faccia.
“Tu? Una relazione casta e senza sesso?” disse, scettico.
Rupert incrociò le bracci al petto, infastidito dalla mancanza di fiducia del fratello.
“Che c’è, non credi che ne sia capace?”
“In effetti sì, è proprio quello che credo.”
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I Can Barely Say
(Capitolo nove)

 
“Liz, io vado a lavoro!”
Elizabeth spostò lo sguardo sulla porta della sua stanza, immaginando sua madre che, vestita di tutto punto, si apprestava ad uscire di casa.
Sentì in lontananza lo sbattere della porta, seguito dai borbottii di sua madre, probabilmente presa da pensieri legati al lavoro.
Erano passate diverse settimane da quando lei e Rupert avevano smesso di vedersi e, nonostante lei stessa gli avesse detto chiaramente di non farsi vivo, un po’ le era dispiaciuto che Rupert non ci avesse provato lo stesso, che avesse mollato davvero.
Non te ne frega proprio niente, allora, eh?
Sospirò, appoggiandosi le mani sugli occhi e divaricando leggermente le gambe.
Le era ancora difficile far fronte al fatto che la storia tra lei e Rupert era stata tutta frutto di una scommessa – della quale Elizabeth ignorava il genere – sorta tra il ragazzo e suo fratello minore. E tutto questo, oltre che difficile da accettare, la faceva anche andare su tutte le furie. Il fatto di averci rimesso il cuore per una stupida scommessa, la faceva andare su tutte le furie.
Perché Elizabeth sapeva perfettamente che se Rupert quel giorno l’avesse inseguita, se l’avesse rincorsa per le scale e le avesse detto che l’amava lei avrebbe creduto a qualsiasi stupida storiella lui si sarebbe dilettato ad inventare per giustificarsi.
Oltre ad essere una cosa difficile da accettare ed una cosa irritante, la situazione aveva anche un che di comico ed irreale.
Insomma, la storia di lei, che s’innamora di lui, e che poi scopre che era tutta una scommessa è una cosa da film, non succede nella vita reale. Nella vita reale le persone non sono così meschine da usare altre persone per il proprio tornaconto.
Sbagliato, Elizabeth, nella vita reale le persone sono proprio così.
 
L’allegra sigla di Futurama si diffuse nell’appartamento, coprendo lo sbattere del portone.
Rupert sbadigliò, appoggiando i piedi sul tavolo, incurante del fatto di stare indossando solo un paio di boxer e che Charlie poteva essere rientrato in compagnia di qualcuno.
“Sono a casa!” urlò il ragazzo, appoggiando le chiavi sul bancone della cucina ed entrando in salotto. Sarah lo seguì furtivamente.
“Sta ancora così?” domandò la ragazza, osservando Rupert che, stravaccato sul divano, si nutriva di birra e pop-corn.
Charlie alzò gli occhi al cielo, facendo un resoconto mentale del periodo in cui Rupert aveva cessato di essere una persona, per iniziare a comportarsi come un’ameba impigrita.
“Più o meno da quando è successa,” Charlie controllò che Rupert non stesse ascoltando, “quella cosa.”
Sarah annuì, continuando ad osservare il fratello maggiore di Charlie con le braccia incrociate al petto.
La questione ‘Elizabeth’ era diventata quasi un tabù quando si parlava con Rupert, non tanto perché aveva reazioni particolari, come pianti improvvisi o eccessivi scatti di rabbia, proprio per il motivo opposto. Se qualcuno nominava Elizabeth o, in qualche modo, diceva qualcosa che si riconduceva a lei, Rupert sorrideva e cominciava a raccontare di come si erano conosciuti,di quanto lei fosse carina e gentile e cose del genere, parlando con un tono di voce che si usa quando si parla dei morti. E questo, siccome Charlie sapeva benissimo quanto in realtà Rupert soffrisse, anche se non voleva darlo a vedere né agli altri né a se stesso, era preoccupante.
Suo fratello era irascibile, urlava e distruggeva le prime cose che gli capitavano tra le mani, non era uno che sorrideva ed iniziava a parlare dei bei tempi andati. Rupert s’incazzava, e quella sua aria da hippie strafatto lo rendeva decisamente inquietante.
“Dobbiamo fare qualcosa,” sentenziò Charlie, osservando il fratello che buttava giù un sorso di birra.
“Cosa dovremmo fare, rapire Liz e portarla qui?!” ribatté Sarah, guardandolo con un sopracciglio inarcato.
“Non lo so! Basta che facciamo qualcosa,” continuò, imperterrito, Charlie. “Guardalo,” disse dopo un po’, indicando il fratello. “Si nutre di pop-corn e birra da giorni e Dio solo sa quand’è stata l’ultima volta che si è fatto una doccia.”
“Ma non hai detto che è uscito in questi giorni, qualche volta?”
“Sì, ma non l’ho mai visto rimanere in bagno più di cinque minuti.”
Entrambi si voltarono verso Rupert, riservandogli uno sguardo tra il preoccupato e lo schifato.
“E non fa sesso da quando è successa quella cosa,” aggiunse.
Sarah si voltò verso di lui, sbattendo le palpebre.
“Hai ragione, dobbiamo decisamente fare qualcosa.”
 
“Cosa diavolo state facendo?” sbraitò Rupert, quando Sarah e Charlie si pararono davanti alla TV, impedendogli di vedere Fry che faceva uno strano gioco con le dita.
“Ti salviamo.”
“Che?”
Con gli occhi, Rupert seguì i movimenti di Charlie e Sarah i quali, spenta la televisione, si posizionarono uno alla sua destra e l’altra alla sua sinistra.
“Adesso tu verrai in bagno con me, farai una doccia, ti raderai la barba mentre Sarah metterà gentilmente in ordine questo macello,” disse Charlie, facendo balzare lo sguardo da Rupert verso la porta del bagno, e poi verso al disordine che regnava nella zona divano.
“E perché dovrei venire in bagno con te, scusa? La doccia la so fare anche da solo,” ribatté il ragazzo, per niente intenzionato ad abbandonare la sua posizione sul sofà.
“Perché voglio parlarti di una cosa.”
Rupert lo guardò per qualche secondo, ancora scettico alla sua proposta. Poi, con un sospiro, si alzò in piedi e, seguito da Charlie, si diresse verso il bagno.
 
Lo scrosciare dell’acqua della doccia sovrastava il rumore dell’aspirapolvere che Sarah stava usando in salotto.
“Come stai?”
“Che vuol dire come sto?” gridò Rupert da sotto la doccia, cercando di sovrastare il getto dell’acqua. “Come al solito.”
“No,” ripeté Charlie. “Come stai per Elizabeth?”
Ci fu qualche minuto di silenzio, poi Rupert abbassò leggermente il getto, per parlare meglio.
“Benissimo, l’ho superata ormai.”
“Non dire balle,” lo riprese il fratello, seduto sopra al water. “Sia io che te sappiamo benissimo che tu non hai superato proprio un bel niente. Fai finta, magari, ma non l’hai superato. E non devi superarlo.”
“Invece l’ho superato,” ribatté Rupert, passandosi la spugna insaponata sulle braccia. “Sono stato bene con Elizabeth, era sempre così carina, ma ora è andata. Cose che capitano.”
Charlie balzò in piedi, stringendo i pugni lungo i fianchi.
“Piantala, Rupert!” lo rimproverò, alzando il tono. “Smettila di parlare di lei come se non ci fosse più, come se non esistesse, e smettila di fingere di aver superato la cosa. Mi hai detto di volerle bene davvero, e un bene vero non passa da un giorno all’altro.”
Rupert sospirò, abbassando le spalle.
“Cos’altro dovrei fare, allora?” domandò, insaponandosi i capelli.
“Alza il culo da quel divano e valla a riprendere,” rispose Charlie, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Non puoi permetterti di perderla per una stronzata del genere, altrimenti vuol dire che non t’importa poi così tanto.”
L’acqua cessò di scrosciare ed un braccio pallido uscì dalla doccia, afferrando un asciugamano. Rupert uscì dal box doccia qualche minuto dopo e puntò gli occhi irritati sul fratello.
“Credi che se non m’importasse avrei passato le ultime settimane sul divano a guardare cartoni animati e a sbafarmi di birra e pop-corn? Credi davvero che non avrei già fatto sesso con qualche altra ragazza, se non m’importasse?” disse, guardando Charlie diritto negli occhi. “M’importa così tanto che ho appeso un suo schizzo dalla parte del letto in cui ha dormito l’unica notte che ha passato con me perché mi manca il profumo della sua pelle. Credi davvero che non m’importi abbastanza?”
Charlie abbassò lo sguardo, colpito dalla sincerità con cui Rupert aveva confessato una cosa che, mesi prima, non avrebbe detto ad anima viva.
“Se è così, allora sai cosa devi fare.”
Rupert sospirò, ravviandosi i capelli bagnati.
“E’ solo che…non so come farlo.”
Charlie rialzò lo sguardo, abbozzando un sorriso.
“E io che ci sto a fare se no?”
 
La porta sbatté di nuovo, annunciando il ritorno di sua madre.
“Liz, puoi venire un momento?”
Elizabeth sbuffò, alzandosi dal letto e dirigendosi in cucina dove, molto probabilmente, sua madre stava già curiosando nel frigorifero per decidere cosa cucinare per pranzo.
“Dimmi.”
La madre di Elizabeth la giudò fino alla finestra del salotto, scostò le tende e le mostrò qualcosa che era in strada. Ad Elizabeth si mozzò il fiato in gola.
Rupert se ne stava in piedi in mezzo alla strada, di fronte al suo palazzo, con un cartello attaccato al collo. Sono un idiota.
“Sai per caso chi è?” domandò la donna, volgendo lo sguardo su Elizabeth.
La ragazza rimase in silenzio per qualche minuto, intenta a ripercorrere ogni lineamento del volto di Rupert, quasi come se volesse controllare di non aver dimenticato nulla.
“Io…sì, lo conosco.”
Sua madre aspettò in silenzio una spiegazione più esauriente, ma Elizabeth guardava imbambolata fuori dalla finestra, per niente intenzionata ad aprire bocca di nuovo.
La donna le rivolse un piccolo sorriso e, senza disturbarla ancora, tornò verso la cucina.
 
Alle sei di quel pomeriggio, quando anche suo padre fu tornato dal lavoro, Rupert era ancora fuori dal suo palazzo, nella stessa posizione in cui l’aveva trovato all’ora di pranzo.
“Tesoro, hai visto il ragazzo in mezzo alla strada?” domandò l’uomo, rivolgendosi alla moglie.
La donna annuì, prendendogli il cappotto e la valigetta del lavoro.
“Sì, è stato lì tutto il pomeriggio,” rispose, lanciando uno sguardo ad Elizabeth che, dopo aver speso parte del pomeriggio a far finta che il ragazzo non fosse lì, adesso era tornata di nuovo alla finestra. “Qualcuno dovrebbe andare da lui, ha aspettato molto tempo.”
Elizabeth si voltò, cogliendo un’allusione nei suoi confronti da parte di sua madre.
“Se pensi che scenderò a parlarci, ti sbagli di grosso,” rispose, allontanandosi dalla finestra per sedersi sul divano.
“Ma Elizabeth, è stato lì un pomeriggio intero,” ribatté le donna. “Chiunque faccia una cosa del genere, qualsiasi cosa abbia fatto, merita almeno di essere ascoltato.”
Elizabeth sbuffò, incrociando le braccia al petto.
“E poi, suvvia, un ragazzo così carino non può aver fatto nulla di così terribile.”
“Oh, e va bene!” sbottò Elizabeth, alzandosi dal divano.
Quando la porta sbatté dietro alle sue spalle, sua madre sorrise, correndo verso la finestra.
Il padre di Elizabeth si ritrovò con gli oggetti che aveva dato alla moglie tra le mani e lo sguardo che vagava dalla consorte al luogo da cui era appena sparita sua figlia.
“Qualcuno può spiegarmi cosa sta succedendo?”
 
Elizabeth attraversò la strada con gli occhi bassi e, afferrato un polso al ragazzo, lo trascino sul marciapiede dell’altra parte.
“Ciao,” sussurrò Rupert, accennando un sorriso.
Elizabeth lasciò la presa sul suo polso e lo guardo, severa.
“Ciao.”
“Sono un idiota.”
“Sono felice che tu te ne sia reso conto,” ribatté la ragazza, pungente.
Rupert sospirò, cercando gli occhi di Elizabeth con lo sguardo.
“Non sei stata una scommessa, Elizabeth,” disse. “Non lo sei stata affatto.”
“Allora Charlie si è inventato tutto.”
“Be’, no,” biascicò Rupert.
“Allora sei tu ad esserti inventato tutto.”
“No,” rispose. Poi sbuffò e si passò una mano tra i capelli. “Okay, ti spiego come sono andate le cose.”
Elizabeth incrociò le braccia al petto, pronta all’ascolto.
“Non aspetto altro.”
Rupert inspirò, inseguendo con la mente tutti gli avvenimenti degli ultimi mesi.
“Dopo che io e Georgina ci siamo lasciati, credevo che il problema nella nostra relazione fosse stato il sesso. Credevo che dopo il sesso, Georgina si fosse sentita così legata a me da sentire il bisogno di starmi appiccicata tutto il giorno, di sapere in ogni momento con chi fossi e cosa stessi facendo. Dato che la pensavo così avevo deciso di intraprendere una relazione diversa da quelle che avevo sempre avuto, una relazione in cui avrei eliminato quello che secondo me era il cuore del problema,” disse, guardando un punto imprecisato dietro alle spalle di Elizabeth. “Così ho chiesto a Charlie di presentarmi una delle sue amiche, perché credevo che stare con una ragazza più piccola, una ragazza con poche esperienze, mi avrebbe reso più facile rinunciare al sesso. Lui ha detto che non credeva che sarei stato in grado di gestire una relazione senza il fattore che, senza dubbio, era il mio punto di forza, così abbiamo scommesso.”
Elizabeth sentì gli occhi inumidirsi, perché quando Rupert si era presentato sotto casa sua, quella mattina, lei aveva davvero sperato che avesse una storia abbastanza convincente per essere perdonato.
“Ma poi quando ho conosciuto te è cambiato tutto, e lo so che potrebbe sembrare una frase stereotipata, una frase che si dice così tanto spesso che ormai non significa più niente, ma è la verità. Ho incontrato te e ho scoperto che non era il sesso il problema, il problema erano le ragazze che frequentavo. Ho incontrato te e tu mi hai rubato il cuore e io non posso più riaverlo indietro.”
Se avesse potuto Elizabeth l’avrebbe volentieri spinto in strada, attendendo paziente l’arrivo di un auto qualsiasi. Perché lui non poteva comportarsi così, non poteva proprio. Non poteva fare qualcosa di estremamente idiota, farla stare male, e poi fare qualcosa – come dire farsi del genere – e farla innamorare di nuovo di lui.
“Vaffanculo,” disse, tra i denti.
“Come, scusa?” domandò Rupert, non aspettandosi una risposta del genere.
“Vaffanculo, Rupert, sei uno stronzo!” ripeté Elizabeth, con la voce che le tremava appena.
“Sei proprio tanto arrabbiata?” azzardò il ragazzo, con cautela.
“No,” rispose Elizabeth, sentendo gli occhi divenire umidi. “E’ per questo che sei uno stronzo.”
“E perché dovrei andare a fanculo?” chiese di nuovo, con un mezzo sorriso sulle labbra.
“Perché mi hai rubato il cuore e non posso più riaverlo indietro,” rispose, sentendo qualche lacrima, sfuggita alla presa delle sue ciglia, scivolarle lungo le guance.
Rupert sorrise, avvicinandosi ad Elizabeth e appoggiandole le mani sulle gote, asciugandole le lacrime con i pollici.
Elizabeth alzò gli occhi verso di lui, pensando che probabilmente si sarebbe pentita amaramente di quella decisione.
“Posso baciarti?” domandò lui, avvicinandosi un po’.
Elizabeth sorrise, alzandosi sulle punte dei piedi.
“Da quando chiedi il permesso per farlo?”
Non ci fu il tempo neanche per uno sbattere di ciglia, che le labbra di Rupert erano già sulle sue, delicate ed affamate al tempo stesso.
Elizabeth sorrise sulle sue labbra, allacciandogli le braccia attorno al collo.
Forse si sarebbe pentita amaramente di quella decisione. O forse no.
 
Quando Rupert arrivò al binario otto di Victoria Station, suo fratello Charlie era già salito sul treno che l’avrebbe riportato a Brighton.
L’estate era ormai giunta al termine e per Charlie era arrivato il momento di tornare a casa.
“Ce l’hai fatta, finalmente!” lo rimproverò Elizabeth, seduta su una delle panchine che si trovavano sul binario.
“Lo so, sono in ritardo.”
Elizabeth sorrise, afferrandogli il mento e baciandolo sulla bocca. Poi indicò con il capo un angolo del binario dove Sarah parlava con Charlie attraverso il finestrino.
Il ragazzo le sorrise, raggiungendo la ragazza di suo fratello.
“Ci sentiamo quando arrivi, allora,” gli disse Sarah, stringendogli la mano. Charlie annuì, sillabandole qualcosa dall’interno del treno.
Sarah sorrise e, facendo un cenno a Rupert, si allontanò verso Elizabeth.
“Torni a casa, eh?” disse il ragazzo, infilandosi le mani nelle tasche.
“Eh, già, mamma ha già iniziato a telefonarmi.”
I due fratelli ridacchiarono, immaginando la loro ansiosa mamma seduta al tavolino della cucina, con il cellulare appoggiato di fronte a sé e lo sguardo che saettava dall’orologio alla porta di casa.
Il treno per Brighton è in partenza sul binario otto,” annunciò una voce metallica dagli altoparlanti della stazione.
“Fai buon viaggio, Charlie, e salutami mamma e papà.”
Charlie annuì, mentre le porte del treno si chiudevano.
“Certamente.”
La locomotiva iniziò a rumoreggiare e, dopo qualche stridio, le ruote iniziarono a muoversi molto lentamente.
“Ehi, Charlie!” lo richiamò Rupert, seguendo il treno dal binario.
“Dimmi!”
“La vuoi fare una scommessa?”
Charlie guardò il fratello con le sopracciglia inarcate.
“Ma non ne hai abbastanza di scommesse, tu?”
Rupert sorrise, mentre il treno prendeva sempre più velocità e lui era costretto quasi a correre per star dietro a suo fratello.
“Scommettiamo che è la donna della mia vita?”
Charlie non riuscì a rispondere alla sua domanda, poiché il treno era ormai troppo lontano dal binario perché Rupert potesse sentirlo.
Con un sospiro, si sedette compostamente al suo posto, abbozzando un sorriso.
In qualunque caso, Charlie non aveva bisogno di rispondere, ne era sicuro e basta.

-
Ecco qua l'ultimo capitolo! :D
Non so quanto il finale possa essere soddisfacente, ma io ne sono abbastanza fiera. Approfitto di questo momento per ringraziare tutti coloro che hanno recensito questa storia e che l'hanno seguita dall'inizio alla fine. E' la prima storia a capitoli che pubblico nella sezione delle originali, quindi mi fa molto piacere che qualcuno l'abbia trovata interessante :)
Di nuovo grazie a tutti, 
Emily. 
   
 
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