"Ovunque" è stata la prima "cosa seria" che ho scritto, più di cinque anni fa. Da allora il mio stile è parecchio cambiato (in meglio, spero) e io stessa sono cambiata, perchè sono cresciuta, ma sono sempre stata affezionata alla mia storia e ai suoi relativi personaggi; anche se molte persone hanno pensato che io li odiassi e che amassi farli soffrire, in realtà non è così, anzi è l'esatto contrario. Per questo ho pensato che Adrienne meritasse un finale migliore, un futuro migliore... Ed è nato "Helter Skelter", e tutta la trama. Molti mi hanno sempre detto che il finale di "Ovunque" è parecchio scontato e deludente... E forse è semplicemente stato così perché doveva esserci un seguito, ecco. Lo sapevo già. Adrienne è il mio alter-ego e in lei c'è molto di me stessa. Ho cercato di renderla il più reale possibile, e spero di non avervi deluso in questo, nè in nient'altro, adesso.
Ho amato scrivere Ovunque e Helter Skelter (anche se per quest'ultimo ci ho messo parecchio, lo ammetto =P)... Ma ogni cosa deve arrivare alla propria fine. E dunque, eccoci qui.
Ovviamente un ringraziamento va alle persone che ANCORA mi leggono (non smetterò mai di provare gratitudine per voi, davvero) e chi mi commenta (BloodyEmily, A_rwen... grazie per l'ultimo capitolo) e che mi ha commentato in precedenza. E ringrazio tutte le persone che hanno inserito la storia nei preferiti, nei seguiti, o semplicemente in quelle da ricordare, perché anche se non hanno mai lasciato una traccia del loro passaggio... Significa che hanno visto qualcosa di buono nelle mie parole. Ringrazio anche chi mi ha letto e ha pensato "Mamma mia che schifo", perché almeno ha perso parte del suo tempo a leggere me. E' già qualcosa, no? ;)
Spero che questo capitolo vi piaccia, che vi piaccia la conclusione di tutto, e... Beh, prima o poi scriverò un'altra longfic, poco ma sicuro, e sicuramente con qualche one shot.
Mi aspetto tante recensioni, o almeno letture. Ne sarei molto felice, davvero.
Un abbraccio fortissimo
Adrienne
Capitolo diciotto
Dopo aver brevemente spiegato a Edoardo, e soprattutto a mia madre, la
situazione e dopo averle promesso di non fare tardi, se ne andarono dal locale
e io aspettai Eric fuori, fumando diverse sigarette.
Avevo deciso di smettere, ma era difficile dato che ormai era un vizio del
quale avevo assolutamente bisogno; quindi ci andavo piano diminuendo solo la
razione giornaliera. Col passare dei giorni sarebbero state sempre di meno, ne
ero sicura.
Poi Eric uscì dalla pizzeria, infagottato in un
giubbotto pesante e in una sciarpa nera di lana.
“Ciao, bella” mi disse, acquistando immediatamente mille punti.
“Parli con me?” gli chiesi, girandomi indietro come per vedere se c'era
qualcuno.
Lui rise. “Non posso crederci.”
“A cosa?”
“Eri una bella ragazzina, ma adesso sei una bella ragazza... una donna.
Ma non posso credere a quello che hai fatto ai tuoi capelli!” esclamò,
scioccato, venendomi vicino e prendendone qualche ciocca tra le dita.
“Tagliati e lisciati. Sono brutti?”
“No, ovviamente no. Ma non ti ho riconosciuta subito
perché ti ricordavo ancora con quei capelli riccissimi...”
“Era il momento di cambiare, caro Eric. Beh, dove hai
intenzione di portarmi?” gli chiesi cambiando discorso, ed infilando entrambe
le mani nelle tasche del cappotto.
“Andiamo a bere qualcosa in un locale qui vicino. Tanto la signorina adesso è
maggiorenne e può bere tutti gli alcolici che vuole!” ridacchiò.
“Non dirmelo, ti prego!”
Ancora una volta, era tutto così estremamente facile in sua compagnia. Erano
passati tre anni, lui adesso era un giovane uomo di ventidue anni. L'avevo
trattato malissimo, ma non era arrabbiato con me ed eravamo riusciti a
scherzare come dei vecchi, ottimi amici. Pensai che anche con Alex avrebbe dovuto essere così, ma non era successo, se non
con incertezze ed imbarazzo da parte mia. Nonché infinite paranoie.
Significava qualcosa? O forse stavo semplicemente pensando troppo?
Salii con lui in macchina – che era sempre la stessa, la solita Lancia Ypsilon nera sulla quale ero già salita diverse volte – e
parlammo del più e del meno. Mi disse di essersi laureato, ma che la laurea non
aveva portato grandi cambiamenti nella sua vita, se non quello di non dover più
dividersi tra il lavoro e lo studio e fare i salti mortali per avere un minimo
di vita sociale. Aveva cercato un lavoro, ma senza risultati; così era rimasto
alla pizzeria, l'unica certezza lavorativa che aveva. Questo lo rendeva
frustrato e pensava di aver buttato al vento anni di studio per nulla; ma con
qualcosa doveva pur vivere e mantenersi.
“Non hai ancora una ragazza?” gli chiesi poi, estremamente curiosa.
“Ho avuto qualche ragazza in questo ultimo periodo, e specialmente per una
avevo perso davvero la testa...”
“Sul serio?”
“Sì, ma forse non era lo stesso per lei, dato che mi ha mollato accusandomi di
essere troppo ossessivo e appiccicoso. Non sono mai stato fortunato in queste
cose, credo.”
“Non dirlo a me!” commentai amareggiata. Lui mi lanciò uno sguardo con la coda
dell'occhio.
“Non dirmi che non stai più col tuo grande amore...” commentò acido.
Ovviamente, non aveva dimenticato. Era per lui che l'avevo scaricato, tra le
tante cose, e lo sapeva perfettamente.
Scoppiai a ridere. “No, veramente no. Lasciamo
perdere, è una storia lunga.”
Non avevo voglia di sprecare il breve tempo in cui sarei stata con lui parlando
di Alex. Lui annuì e per il resto della serata non
toccammo più l'argomento amore/ex ragazzi o ragazze.
Mi portò in un nuovo pub molto carino, con luci soffuse, arredamento viola e un
lungo bancone d'acciaio e un sacco di gente che beveva
e scherzava. Lui prese una piña colada
ed io una birra rossa.
Gli raccontai della mia nuova vita, di Parigi, del mio lavoro e di tutte le
cose belle che mi erano successe da quando ero andata via da lì. Quando finii
di parlare, lui era assolutamente entusiasta e sorpreso.
“Wow! Che posso dire... Da cameriera a giornalista a Parigi... Il passo non è
per niente breve.”
Risi, bevendo un piccolo sorso della mia birra.
“Sono stata fortunata” ammisi, sapendo che non avrei mai smesso di ripetere quella
frase.
Annuì. “Ti invidio davvero molto, perché è la vita che tutti si augurerebbero
da fare. Io sono bloccato qui da sempre, come intrappolato. Non vedo l'ora di
poter fuggire.” disse amareggiato.
Lo capivo perfettamente.
In quell'oretta stetti bene in sua compagnia. Eric era terribilmente bello, più di quanto mi ricordassi.
Pendevo dalla sue labbra, e trovavo interessante qualsiasi cosa che dicesse,
perché lui era davvero interessante. Dire che mi piaceva di nuovo
sarebbe stato ridicolo, ma mi resi conto di essere terribilmente attratta da
lui. E non solo perché era bello, ma perché mi faceva sentire leggera e...
felice.
Parlammo ancora un po', ma stava iniziando a fare tardi e io mi sarei dovuta
alzare alle sette per prendere il mio aereo per Parigi, così gli chiesi se
potevamo andare via.
“Non ci sono problemi!” rispose.
Mi offrì la birra e ancora scherzando e chiacchierando, ritornammo verso la
macchina. Prima di salire, gli offrii una sigaretta e la fumammo insieme
appoggiati alla macchina, guardando il cielo, senza stelle perchè c'erano
troppe luci. Poi salimmo e durante il tragitto ascoltammo un po' di musica
dallo stereo, e individuata una che conoscevamo entrambi, iniziammo a
canticchiare. Mi sembrava un meraviglioso dejà-vù. E
solo dopo che la canzone finì, mi resi conto che era Helter
Skelter dei Beatles, e
che lui la sapeva; e cosa ancora più incredibile, ricordava ancora la
strada che portava a casa mia. Ero piacevolmente sorpresa.
Eric posteggiò la sua auto di fronte la mia
abitazione. Io scesi e lui mi imitò. Eravamo uno di fronte all'altra, e
sospirai profondamente.
“Mi ha fatto davvero molto piacere incontrarti e stare un po' di tempo con te”
gli dissi sincera.
Lui annuì. “Anche a me, è stata una bella sorpresa.”
Allargò le braccia per abbracciarmi e io mi ci tuffai. Mi strinse in un
abbraccio e affondai il viso sulla sua sciarpa. Respirai il suo profumo, che
non ricordavo più.
“Buon viaggio, Adrienne, e buon ritorno” mormorò.
Sciolsi l'abbraccio e lo guardai sorridendo. “Grazie.”
Ma lui non mi lasciò andare del tutto. Le sue mani si posizionarono sul mio
viso, incorniciandolo ai lati, e si chinò leggermente su di me, guardandomi.
Ero sempre più bassa di lui.
“Ti ho riconosciuto non appena ho guardato i tuoi occhi. Gli occhi più belli,
più sinceri, e più... Gli occhi più indimenticabili che abbia mai
visto.”
Feci una smorfia imbarazzata, rimanendo impalata tra le sue mani.
“Eric...”
“Cosa?”
“Devo andare, è tardi, mia madre...”
“Ssssh.”
Eric non mi lasciò andare e mi spinse delicatamente
indietro, facendo appoggiare la mia schiena sulla sua auto. Deglutii
rumorosamente, e poi sorrisi. I suoi occhi mi divoravano, letteralmente.
“Questa scena mi ricorda qualcosa...” mormorai, spezzando il breve attimo di
silenzio e tensione.
Lui rise. “La sfida che ho vinto stracciandoti e dimostrandoti che nessuna
ragazza può resistermi?”
Annuii. “Crollerei come quella volta.” ammisi, sorridendogli benevola.
Lui mi rivolse un sorriso fantastico. “Speravo lo dicessi.”
Eric annullò la distanza tra i nostri visi e mi
baciò.
Fu un bacio davvero molto tenero, che ricambiai senza pensarci e, con mia
grande sorpresa, sentendomi scuotere da sensazioni nuove, bellissime, ed
intense. Sentii la pelle d'oca sulle braccia, mentre mi baciava, mentre mi
carezzava leggermente i capelli e io poggiavo le mani sulle sue spalle. Non era
come quando baciavo un ragazzo e non sentivo assolutamente niente. Era
tutto troppo strano.
Non avevo ancora cancellato del tutto quello che avevo provato per Alex, ovviamente. Ma in quel momento, lì, in quel bacio,
con Eric... Avevo finalmente sentito qualcosa.
E lui, Alex, non c'entrava niente: non avevo bisogno
di lui per riuscire a provare qualcosa di vero, e nuovo. Quasi mi sarei
messa ad urlare per la gioia, se solo avessi potuto.
Mi lasciò andare leggermente e ci scambiammo diversi baci a fior di labbra.
“Tre anni per rubarti finalmente un bacio...” mi disse, “Non è poi così vero
che non sei brava nelle sfide.”
Scoppiai a ridere. “Hai visto? Te l'avevo detto.”
Lui annui, ridendo con me. “E' stato davvero bello, Adrienne.
Era così che ho sempre immaginato che fosse, così che ho sempre immaginato di
sentirmi.”
Gli sorrisi, emozionata. “Anche per me è stato molto bello, ma... Eric, non credo che tra di noi potrebbe mai...”
“Lo so, lo so. La distanza e tutto il resto. Ma in questo momento, mi è bastato
sapere che nonostante i capelli, sei sempre quella speciale ragazzina di cui mi
ero innamorato...”
Alzai le spalle, mordendomi le labbra.
“Mi dispiace,” gli dissi, “Mi dispiace per come ti ho trattato, mi dispiace per
quello che è successo tra le nostre famiglie e mi dispiace di essere stata
terribilmente stupida con te...”
“Ti ho perdonato nello stesso momento in cui hai attraversato la porta del Guilt andandotene. Mi ci è voluto un po' per
dimenticarti del tutto, ma questa sera non appena ti ho visto tutto è tornato a
galla, sai?”
Annuii, capendolo perfettamente. “Anche per me è stato così.”
“E, Adrienne, sai un'altra cosa?”
“Dimmi.”
“Io non ti avrei mai lasciato. E non lo dico tanto per dire. Sono sempre
stato sicuro, su di te.”
Come faceva a sapere? Lo guardai attentamente. Sembrava sincero. Mi carezzò
leggermente la guancia col dorso della mano, e poi si allontanò da me.
“Adesso posso lasciarti andare. Ancora una volta” rise.
Non avevo scollato gli occhi da lui. “Eric... In
realtà, mi piacerebbe molto rivederti.”
Forse si meritava una possibilità, pensai. E la meritavo anch'io.
Lui infilò le mani nelle tasche. “Anche a me piacerebbe rivederti, ma mi chiedo
come sia possibile.”
“Magari potresti venire a trovarmi a Parigi, come mio ospite.”
“Non sono mai stato a Parigi...”
“O magari, potrei tornare più spesso.”
Mi sorrise. “Magari.”
Mi avvicinai e lo baciai di nuovo.
“Ciao, Eric” gli dissi, quando lo lasciai andare.
“Ciao, Adrienne.”
“Questo non è un addio, è solo un ciao.” precisai, guardandolo negli occhi.
Mi sorrideva ancora. “Forse ho sempre sperato che non fosse un addio, con te.”
Epilogo.
Era il giorno del mio ventitreesimo compleanno ed io ero all'aeroporto di
Parigi con una fretta indiavolata in corpo.
Il volo di mio fratello, della sua fidanzata - nonché futura sposa, da quello
che mi aveva recentemente comunicato – e mia madre era in ritardo di circa
venti minuti. In effetti il tempo non era stato dei migliori: aveva nevicato,
in perfetta armonia con il clima natalizio di quei giorni. Ma passare il giorno
del mio compleanno bloccata all'aeroporto non era certo il massimo delle mie
aspettative! Passeggiavo avanti e indietro vicino alla sala d'attesa degli
arrivi, mentre i miei tacchi facevano sempre lo stesso rumore. Il signore
accanto a me mi lanciò uno sguardo esasperato, evidentemente infastidito dalla
mia marcia, ed io mortificata decisi di sedermi. Forse sarebbe stato più
semplice aspettare, una volta seduta.
Venti minuti dopo, il grande tabellone degli arrivi mi comunicò che il volo era
finalmente atterrato. E infatti parecchie persone, in compagnia di valigie,
borsoni e trolley iniziarono ad arrivare, abbracciando amici e parenti, o
semplicemente sicuri per la propria strada. Aguzzai la mia vista in cerca di
mio fratello e della ragazza e di mia madre, quando vidi l'ultima persona che
avrei pensato e sperato di incontrare.
Alex, in compagnia di altri ragazzi, camminava verso
di me, e ognuno di loro trafficava con borse borsoni e quelli che parevano
strumenti musicali.
“Alessandro” esclamai quando mi passò veramente vicino, quasi automaticamente,
come se stessi parlando tra me e me. Vederlo non mi provocò alcuna sensazione,
se non una grande sorpresa per le solite coincidenze e tiri meschini che mi
rivolgeva la mia bizzarra vita.
Lui si voltò e i suoi amici fecero lo stesso. Questa volta non ebbe difficoltà
a riconoscermi.
“Ehi... Adrienne!” disse. Non sapevo dire se era più
imbarazzato o, anche lui, sorpreso.
Mi baciò sulla guancia. Sulle spalle aveva la custodia nera di una chitarra.
“Una vera coincidenza” esclamò ancora mentre mi soffermavo a guardarlo. Era
cambiato, ma non di molto.
“Già, davvero, evidentemente è destino che dobbiamo incontrarci ad intervalli
di anni” osservai.
“Sì, infatti.”
Calò un silenzio imbarazzante.
“Emh, questa è la mia band” disse lui indicando gli
altri ragazzi, che mi salutarono tutti con un cenno del capo o con un veloce “ciao”.
“Sì, lo so chi siete. Ho comprato il vostro album.” dissi sorridendo loro.
“Davvero?” chiese uno di loro, improvvisamente incuriosito. Doveva essere il bassista.
“Sì, ovviamente. Siete molto bravi, vi meritate il successo che state avendo.”
osservai, sincera.
“E qual è la tua canzone preferita?” mi chiese il batterista, invece.
Alex si girò a guardarlo e gli rivolse un'occhiata
tremenda, lanciandogli fulmini con gli occhi.
“Beh...” sospirai, “La prima preferita è sicuramente la traccia numero
quattro...”
“Adrienne”, commentò amaramente Alex. L'aveva ovviamente già capito, ancora prima che
rispondessi.
“Sì, proprio quella.”
Il singolo era passato in tutte le radio. Avevo sentito la storia mia e di Alex ovunque, perseguitarmi, canticchiata da chiunque e in
qualsiasi situazione. Avevo sentito le parole di Alex
in bocca ad altre persone, avevo sentito le altre persone dire che non
avrebbero mai scordato la dolce e bellissima Adrienne,
che quella sarebbe stata per sempre la storia più dolorosa e bella della
propria vita.
La prima volta che l'avevo sentita, mi ero intristita. Ma dopo la tristezza era
stata sostituita dal – quasi – perverso piacere di non essere ancora sparita
dai suoi pensieri, mentre lui era completamente sparito dai miei.
“Grazie,” continuai, “Davvero magica.”
Alex era veramente in imbarazzo. “Non c'è di...”
“Mamma, mamma! Lo zio Edoardo è arrivato!” disse una minuscola vocina ai miei
piedi.
Una bambina di circa tre anni e mezzo, con dei riccioli biondo scuro e degli
occhi verde-azzurro, aveva abbracciato le mie gambe. Con un sorriso, mi ero
piegata per prenderla in braccio e Alex la stava
fissando fin da quando era arrivata.
“Tesoro, tranquilla, adesso arriverà.” la rassicurai.
“Lei è...” mormorò Alex.
“E' mia figlia, Dèsirèe.” gli spiegai con un sorriso.
Mia figlia guardò Alex e gli fece un sorriso
veramente sincero, come solo un bambino può fare. Quello che io non ero
riuscita a rivolgergli, in quei minuti scarsi.
“Salve signore!” esclamò anche. Ridacchiai.
“Ciao piccola. E' bellissima, complimentoni...”
mormorò lui. Scommettevo che si sentiva sempre più fuori luogo e avevo
semplicemente detestato il suo “piccola”.
“Beh, dunque forse è meglio che voi andiate, vi ho rubato fin troppo tempo. E'
stato un piacere.” dissi ad Alex.
“Sì, certo. Un bacio, allora...”
“Adrienne, tutto bene?”
Eric fece il suo ingresso e mise un braccio attorno
alle mie spalle mentre fissava Alex. Lo guardai per
un attimo, e dal suo sguardo capii immediatamente che doveva averlo
riconosciuto.
“Niente, amore, tranquillo...” gli dissi sorridente. “Alessandro, questo è Eric, il mio ragazzo.” Alex non
riuscì a celare una certa smorfia sul volto. “Piacere, Alex”
disse in un soffio, ma rivolgendogli un sorriso falso, e si strinsero la mano.
Sperai che Eric non gliel'avesse stretta troppo
forte.
Calò ancora una volta un breve, ma spiacevole, silenzio.
“E' stato bello, ma Alex, adesso dobbiamo
scappare...” disse uno degli amici di Alex,
venendogli in aiuto. Lui annuì.
“Sì, adesso andiamo. Ciao Adrienne, allora...”, non
sapeva come concludere, “Stammi bene!”
“Anche tu.”
Mentre si allontanava, col resto della band, Dèsirèe
agitava la mano per salutarlo.
Mio fratello, la sua ragazza e mia madre venivano verso me e Eric sorridendoci, felici di rivederci.
“Ti amo” mi sussurrò lui all'orecchio, mentre nostra figlia cercava di
liberarsi dalla stretta delle mie braccia per correre a salutare e ad
abbracciare il suo zietto preferito e la sua nonna
preferita. La lasciai andare, mettendola giù, e corse verso di loro. Osservai
la scena divertita e veramente felice, mentre Eric
teneva ancora il suo braccio attorno alle mie spalle.
“Anch'io ti amo, Eric.”
“Non vedo l'ora di potertelo ripetere tra tre giorni, sull'altare.” mi sussurrò
ancora all'orecchio. Sapevo che sorrideva e io scoppiai a ridere.
“Io vi dichiaro marito e moglie. Può baciare la sposa.” dissi camuffandomi la
voce.
Mi baciò, ed ero convinta che la vita non avrebbe potuto essere più perfetta di
così.
E in effetti, era il massimo che avessi mai potuto sperare, ed immaginare.
“Ti amerò per sempre”, mi disse.
Ci credevo davvero. Ora potevo farlo.