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Autore: Angy_Valentine    10/03/2012    5 recensioni
«Ah, a proposito, io mi chiamo Lavi Bookman. Piacere di conoscerti!».
Non sembrava esserci modo di metter freno alla sua lingua, decisamente. Accennando un sorriso, allungò la mano verso quella che il giovane le stava tendendo, stringendola e lasciandosi avvolgere il palmo dalle sue dita.
«Rukia Kuchiki. Il piacere è tutto mio.».
[...]
Cominciava a covare il dubbio che i problemi di Lavi fossero, probabilmente, più grandi di quel che temeva. In cuor suo sperava davvero che il ragazzo non si offendesse per i suoi tentativi di aiutarlo. Perché dietro a quelle negazioni, quel nervoso, quegli sguardi frustrati e stizziti, sembrava scorgere solo una muta e disperata richiesta d’aiuto.

**
[Crossover Bleach/D.Gray-man][Crosspairing][LaviRuki][Byakuya x Hisana][Het][!Linguaggio][Angst]
[Sospesa in via definitiva]
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Byakuya Kuchiki, Hichigo, Hisana Kuchiki, Kuchiki Rukia
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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Wow, è la prima volta che mi ritrovo a pubblicare dei ringraziamenti. In primis a N e m e e I r i s, per aver inserito la storia nelle preferite. Nuovamente a I r i s, Kuchiki Chan e Shaila Light per averla inserita nelle storie seguite, e di nuovo Shaila Light, per averla messe tra quelle “ricordate”. Un grazie specialissimo a I r i s, ancora, per avermi inserito addirittura tra gli autori preferiti, davvero, grazie di cuore ;A;

Con questo, vi invito nuovamente a lasciare pure un vostro parere a fine capitolo, ribadisco, mi farebbe piacere sapere che ne pensate… anche per dire che fa schifo, eh xD Insomma, giusto per vedere se vale la pena o meno di continuare a pubblicare.
Un ultimo appunto, poi smetto di rompervi le scatole xD Non prendete per oro colato ciò che scriverà Hichigo. Alcune parti le ho volutamente sbagliate, ma unicamente per necessità di trama - visto che comunque è il mio campo di studi xD. Detto questo, vi lascio al capitolo, buona lettura!

 

   Capitolo 2 – Meetings and Greetings 



«Wow, che figata!».
Varcarono i cancelli della facoltà di Lettere fianco a fianco, ritrovandosi in un grande giardino, al cui centro svettava una grande statua di uno dei fondatori. Fortunatamente i custodi avevano avuto l’accortezza di spargere sale in modo da evitare che si formasse il ghiaccio su tutto il piazzale, salvando parecchie anime da spiacevoli voli e sederi doloranti.

«Eccoci arrivati.» esordì Rukia «Quella che vedi laggiù è la sede principale. Lì si tengono la maggior parte delle lezioni. Quello laggiù, invece – e indicò un edificio poco distante, di dimensioni più modeste dell’altro – è l’archivio. Se devi fare ricerche su testi particolari, puoi controllare lì. Ci sono tanti libri da far invidia alla biblioteca della città.».

«Sul serio? Ottimo!» replicò Lavi, con aria entusiasta «Dovrò assolutamente andare a farci una visita, allora.».

«Non te l’ho nemmeno chiesto, ora che ci penso. A che indirizzo sei iscritto?».

«Storia. Sai, il mio vecchio è uno storico.» spiegò il ragazzo, abbassandosi la sciarpa per scoprire la bocca «Sin da quand’ero piccolo mi ha sempre fatto leggere libri di storia, e così… sai com’è. Alla fine mi ci sono appassionato talmente tanto che ho deciso di seguire le sue orme.».

«Capisco. Il destino sui libri ce l’hai proprio scritto anche nel cognome, eh.» azzardò lei, sorridendo appena.

«Vero?» sorrise il giovane «L’ho sempre detto che noi Bookman siamo destinati a dedicarci alla storia e ai libri! Mio fratello però non è tanto d’accordo. Non ne ha voluto sapere di iscriversi a Lettere, ha preferito buttarsi su Psicologia.».

«Hai un fratello?».

«Un gemello, in realtà. Però siamo uguali solo d’aspetto, di carattere siamo parecchio diversi. Dei due son io quello che attacca bottone con la gente, prima che si sbottoni lui stiamo freschi tutti quanti. Cosa ci sia andato a fare in quella facoltà lo sa solo lui, dato che se può risparmia le parole come i soldi nel portafogli.».

«Mh, chissà come mai l’avevo previsto.».

«Ti sto dando fastidio?».

«No, no, affatto. È solo che hai una parlantina talmente vivace che non serviva un genio per capire chi dei due era il chiacchierone, dopo quello che mi hai detto. Senti, ti interrompo un attimo: hai lezione tra poco o devi passare anche in segreteria?».

Lavi si controllò l’orologio, rallentando per riuscire a spostare meglio la manica del giaccone, poi rialzò lo sguardo verso di lei.

«Dovrei passare in segreteria a ritirare il badge e la tessera studentesca, ma non voglio romperti ulteriormente, mi hai già salvato la vita portandomi qui.» disse «Se mi dici a grandi linee come arrivarci, ti ringrazio già da ora.».

Rukia scrollò appena le spalle, risistemandosi la borsa a tracolla, prima di ricacciare entrambe le mani in tasca e guardandolo con un sorriso.

«Nessun problema, tanto ho ancora un bel po’ di tempo prima dell’inizio delle lezioni, ti posso accompagnare. Non è molto distante da qui.».

«Davvero?» il viso del ragazzo s’illuminò in un gran bel sorriso «Sei veramente un angelo! Giuro che poi non ti scoccio più, promesso!».
«Per così poco? Figurati.» replicò lei «Dai, che se ci mettiamo poco torniamo in tempo anche per prenderci i posti per le lezioni.».
Lavi approvò con un cenno della testa, seguendola diligentemente verso l’archivio e passando oltre. Alla segreteria riuscirono a cavarsela in una decina di minuti, vista la modesta quantità di studenti in attesa, e infatti ben presto si ritrovarono nuovamente nel giardino della facoltà. Visto l’ormai imminente inizio delle lezioni optarono per l’entrare direttamente nella sede, fermandosi davanti al tabellone con l’elenco elettronico delle aule.

«Uhm… io ho lezione al quarto piano. Tu?».

Rukia consultò di sfuggita il tabellone, scorrendo con lo sguardo la lista e i nomi, prima di sospirare con un mezzo sorriso.

«Al secondo. E in una delle classi più piccole, tra l’altro.» scrollò le spalle, riaggiustando di nuovo la borsa «Sarà meglio che vada, o mi toccherà fare lezione seduta per terra. Ci vediamo!».

Lo salutò con un gesto della mano e si avviò di corsa su per le scale, quasi senza lasciargli il tempo di replicare. Lavi rimase a guardare il punto in cui aveva svoltato l’angolo per un paio di minuti, come imbambolato, prima di sospirare e avviarsi a sua volta verso la scalinata. Sperava di riuscire ad offrirle almeno da bere, visto che gli aveva risparmiato una mattinata di pellegrinaggio alla ricerca della facoltà e della segreteria, ma gli era andata piuttosto male. Si consolò pensando che, se non altro, almeno il suo nome ce l’aveva, ed era sicuramente meglio che essere a mani vuote. Visto l’approccio non esattamente splendido, aveva quasi temuto che l’avrebbe lasciato per strada senza pensarci due volte – in fondo non lo si poteva colpevolizzare a priori, era così piccina! Chiunque avrebbe frainteso, o almeno così volle convincersi. E invece lo aveva aiutato ben volentieri, inaspettatamente.

Era nuovo di quella città e si ritrovava circondato da una marea di sconosciuti. Un po’ lo rallegrava il fatto di aver già un’amica, o qualcosa di simile, anche se in genere non aveva problemi ad attaccare discorso con chi aveva davanti. Era un tipo abbastanza alla mano, con cui era semplice andare d’accordo e, nonostante il fare sempre allegro e da bonaccione, sapeva anche stare al suo posto. In qualche modo forse se la sarebbe cavata anche senza l’aiuto di Rukia, ma le possibilità di sbrigarsela tanto velocemente erano veramente poche. Quella ragazzina era stata una vera manna dal cielo.
 
Rimuginò tra sé mentre entrava in classe, lanciando occhiate distratte in giro intanto che cercava un posto libero. Il docente di storia dell’arte moderna non era ancora arrivato e mancava ancora una manciata di minuti all’inizio delle lezioni, ma la classe era già abbastanza piena. Allungò il collo per vedere oltre le teste dei primi banchi, ma le fine centrali erano tutte occupate.
«Ehi, qui è libero, se vuoi.».

Lavi abbassò lo sguardo verso il ragazzo che gli aveva parlato, incrociando due iridi azzurre come il cielo. Il giovane spostò rapidamente il giaccone che occupava quel posto altrimenti libero, infagottandolo e cacciandolo sotto il banco, prima di tornare a guardarlo con un bel sorriso stampato in faccia.

«Purtroppo non è il massimo come visuale, lo so, ma tocca accontentarsi, almeno finché non si decidono a darci la vecchia classe possibilmente sistemata. Non mi pare di averti mai visto prima da queste parti, sei nuovo?».

Lavi l’osservò per una manciata di secondi, leggermente spiazzato, salvo poi ritrovare il dono della parola e rispondere anche al sorriso che gli era stato rivolto, mentre si sedeva.

«Ah… beh, ma mi accontento, meglio che far lezione a terra! Anzi, grazie davvero. Comunque sia sì, mi sono trasferito qui una manciata di giorni fa… si nota tanto una faccia diversa, da queste parti?».

L’altro fece spallucce, poggiando il braccio sul banco della fila  retrostante.

«Figurati, per una scemenza del genere… stavo aspettando un mio amico e gli stavo tenendo il posto, ma ha dato buca perché è rimasto appiedato. Con ‘sto tempo non me ne stupisco nemmeno... ad ogni modo! Diciamo che non è nostra abitudine cercare col radar i nuovi arrivati, ma una chioma fiammante come la tua non passa inosservata, ecco. Son tinti?».

«Capisco… Comunque no, niente tinta. Tutta roba naturale.» replicò Lavi, tirandosi appena una ciocca di capelli.

«Figo! A me è toccato il classico dei classici, invece. Neri e totalmente menefreghisti delle possibili pettinature che tento inutilmente di dargli. Son spiriti liberi che sfidano quotidianamente le spazzole. L’unica cosa che li doma un po’ è il gel, ma non ne vado matto. E dopo tutto ‘sto cianciare, mi rendo pure conto di non essermi neanche presentato. Mi chiamo Kaien Shiba, piacere di conoscerti… e benvenuto al manicomio del secondo anno di Storia.».

Per Lavi fu un’insolita novità. Di solito era lui quello che sommergeva le persone di parole, chiacchierando a briglia sciolta come se l’avessero caricato con la molla. Invece quel Kaien era forse più carico di lui, ma di certo era una sorta di anima affine. In genere la gente si mostrava esitante ad iniziare un discorso con lui (e ora, almeno un po’, capiva il motivo), temendo un fiume di parole senza fine, per certi versi si riteneva fortunato ad averlo incontrato. Strano ma vero, quel giorno era destinato a fare solo incontri fausti. Prima Rukia, ora Kaien… si riscosse dalla trance di riflessioni quando si accorse che il moro in questione lo stava fissando, in attesa di una risposta.

«Oh, scusa! Cioè… io sono Lavi Bookman, piacere mio. Ma perché dici che qui è un manicomio? Ho sentito parlare molto bene di questa facoltà.».

«Ah, senza dubbio siamo tra le migliori del Paese, su questo non ci piove.» rispose Kaien, gesticolando appena «Ma aspetta di vedere il professore di arte, è un piccoletto un po’ scoppiato, ma fidati che ne sa per tre. A vederlo non scommetteresti un centesimo su di lui, quando invece potrebbe elencarti per filo e per segno tutte le opere dei più grandi artisti pure in ordine cronologico per mese e anno. Ah, eccolo, sta arrivando adesso.» aggiunse, indicandogli la porta, dove un giovane forse poco più grande di loro arrancava verso la cattedra, trascinandosi una cartella ed un raccoglitore stracolmo di fogli, perdendosi post-it e foglietti vari lungo il tragitto.

«Salve a tutti, ragazzi! Che tempaccio infame, eh?» esordì lasciando cadere la propria roba sul tavolo e tirando un sospiro per riprendere fiato, per poi andare a recuperare il materiale perduto «Noto con piacere che abbiamo fatto il pieno anche oggi. Prima che iniziate a protestare per i posti ve lo dico, ho già chiamato quattro volte la segreteria, stamattina, e se non mi hanno mandato a quel paese è stato solo per cortesia, quindi vi prego di portar pazienza. Detto questo, fuori libro e quaderno, baldi giovani, che oggi avrete da scrivere appunti come non mai.».

«Eccolo che parte… ora nemmeno una bomba lo ferma più.» sospirò Kaien, tirando fuori dall’astuccio la biro e preparando il polso alle due ore più attive e faticose della mattinata.


**

Darukia uscì mestamente dalla segreteria, sospirando frustrata. Era stata ad aspettare per quasi mezz’ora per via della straordinaria presenza del rettore di facoltà, capitato da quelle parti proprio in quel momento, e alla fine non era riuscita a risolvere niente, lo sconosciuto con cui si era scontrata non aveva avuto la lampante idea di rendere il suo quadernetto alla segreteria. Sul momento gli diede dell’idiota, chiunque fosse: che diavolo se ne faceva della sua agenda? Non pensava che potesse essere di vitale importanza, per lei? Lì aveva appuntato tutte le date più importanti e gli impegni della settimana, dalle esercitazioni in laboratorio alle scadenze dei libri della biblioteca, e l’averla persa era una tragedia, dal suo punto di vista. Prima di imboccare nuovamente le scale che portavano alle classi fece tappa al distributore automatico, selezionando un tè al limone extra-zuccherato. Mentre aspettava che la bevanda fosse pronta, sentì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni.

Come tu faccia a pensare che ‘sto tipo dica cose interessanti Dio solo lo sa, in ogni caso sto tentando di seguire per bene (‘sti bambini sono dei pornazzi già a ‘sta età? E dici a me che son pervertito, cazzo! Ma ‘sti psicanalisti scopavano, ogni tanto, o erano un branco di frustrati?) ヽ(≧Д≦)ノ E con ‘sti appunti mi son riguadagnato anche le altre risposte. Ora però riporta il tuo culo ossuto in classe, che sto cominciando a non sopportarlo più, se ho voglia di sentire o guardare roba porno vado su Internet - e no, non m’interessa sapere se hai ritrovato o no quello stupido quaderno. ಠ_ಠ#


Hichigo, ovviamente, era il mittente del messaggio.
Rabbrividì all’idea di che “appunti” potesse aver preso, e se parlava di “pornazzi”, quasi sicuramente era capitato lo sviluppo psicosessuale di Freud… Sorseggiò velocemente la bevanda, cercando di non scottarsi la lingua e, dopo aver gettato il bicchierino vuoto nel cestino, fece ritorno in classe. Approfittò del quarto d’ora accademico per rientrare in aula, cercando la testa bianca di Hichigo e localizzandola verso le ultime file.

«Era ora, porca miseria!» sbottò non appena la vide, alzandosi tanto velocemente da farla bloccare sul posto.

«Scusa, ma c’era il rettore in segreteria e non si decideva a venir fuori.» si giustificò lei, occhieggiando quasi timorosa il libro e il quaderno che il ragazzo aveva ancora aperti sul banco.

L’albino intercettò lesto il suo sguardo, abbassandosi su di lei fin quasi a sovrastarla.

«Sturati bene le orecchie, mia piccola cervellona secchiona. Ho fatto del mio meglio per quelle tre cazzate che ha spiegato, chiaro? Che non ti venga in mente di venire a reclamare chissà cosa. Saranno state anche pornazzate, ma erano di una rottura immane, cose che se mi ci metto son più bravo io a renderle su carta. Tutto chiaro, dolcezza?».

«… posso aspettare di leggere cosa hai scritto, prima di risponderti?».

Sul momento le sembrò l’unica via di fuga. Magari si era impegnato davvero e aveva scritto bene tutto quanto (o quasi), ma se lo conosceva abbastanza decentemente era un’ipotesi da scartare a priori. Hichigo si spostò per permetterle di prendere il quaderno e sistemarselo in braccio, salvo poi doverlo avvicinare per tentare di decifrare quanto aveva scritto. Proprio come temeva, l’argomento di discussione era quello che aveva previsto, Freud e lo sviluppo psicosessuale dell’infante. Deglutì quasi con timore, prima di mettersi a leggere.


Fase orale: il moccioso mette in bocca tutto quel che gli capita, facendosi nel contempo mille seghe perché immagina di ciucciare le tette. Segaiolo incallito fin dalla nascita, fino ai 18 mesi. Si ciuccia pure le dita dei piedi (cazzo, CHE SCHIFO!), e non voglio pensare a quali oggetti inanimati siano quelli a cui fa riferimento ‘sto vecchio pazzo. Di certo non solo i ciucci –e anche se lo fossero, il moccioso pensa già alle porcate, anche se non consapevolmente. Da segaioli in erba, sì.

Fase anale: il moccioso ci gode a spararle grosse. Le trattiene, poi le butta fuori, se gli gira male sta pure a guardare, toccare e annusare. Se si è limitato ad un’indigestione di cioccolata forse se la caverà con poco, sennò… aumenta il tasso di rischio di morte per asfissia. Ma tra tutte le cose che ci sono da annusare –cazzo ne so, i fiori, il profumo di sua mamma, l’odore del bagnoschiuma-, quello deve odorare proprio il cesso dove ha appena scaricato? Robe da pazzi. Ah, va dai 18 mesi ai tre anni di età. (se l’annusa ogni volta che la fa per un anno e mezzo, come cazzo fa a non morire? Mah…)

Fase fallica-edipica: evoluzione a segaiolo alle prime armi. Il moccioso mette mano all’arnese seriamente, ma se ne interessa in modo ambiguo. Tanto più che idealizza quello del suo vecchio e teme che a lui venga tagliato via (io ‘ste seghe mentali non me le sono mai fatte!). Pure le femmine iniziano ad interessarsene e si sentono sfigate perché non ce l’hanno. Certi istinti e interessi son precoci, eh. Specie se si considera il fatto che ‘sti infoiati hanno dai due e mezzo ai sei anni di età. Io alla loro età pensavo a tirare i giocattoli contro quel coglione di mio fratello, sperando di fargli tanto male. Il più delle volte ci riuscivo, anche. Sarà per questo che ho sempre amato i mattoncini delle costruzioni (e il mio arnese non me lo sono mai menato, a quell’età!). Quel che forse è peggio è che hanno fantasie sessuali anche CONSCIE nei confronti del genitore di sesso opposto. Li amano e li odiano entrambi, li invidiano e entrano pure in competizione. Cioè, è un casino assurdo (Darkie, fai prima a leggerti il libro, perché su ‘sto passaggio non c’ho capito più un cazzo).

Si rifiutò di leggere oltre, sospirando e richiudendo il quaderno con aria quasi rassegnata. Hichigo, accanto a lei, attendeva un giudizio tenendo i pugni sui fianchi e il petto gonfio per la soddisfazione del proprio lavoro. Da un lato si era già arresa all’idea di dover rifare tutto daccapo, anche perché usare appunti del genere aveva un ché di paradossale, ma d’altro canto ci aveva provato, insomma, doveva riconoscerne un minimo di meriti. Aveva seguito la lezione e appuntato le cose indispensabili a modo suo… se non altro, non le aveva dato il quaderno lasciato in bianco.
«Allora?».

«Sì, come dire… sei stato bravo, Hichi. Certo, avrei scritto un po’ di concetti in maniera leggermente diversa, ma…».

«Beh, ma riconoscerai che sono di immediata comprensione! Che te ne fai di tutti quei paroloni assurdi e dei giri di parole? Così arrivi al nocciolo della questione subito.».

«Non lo metto in dubbio, davvero… ma appunto, dovrò rivedere un paio di cose, in fondo hai scritto tu stesso che dopo il terzo stadio non ci hai più capito nulla.».

«E ti credo! Cioè, ma dai! Una persona o ti sta in culo, oppure no! Come fai a amarla e odiarla al tempo stesso, me lo dici? e poi, mi spieghi che è ‘sta storia del complesso edipico?».

Darukia sospirò nuovamente, sfregandosi leggermente gli occhi con due dita e scuotendo appena la testa. Certo, lei quel capitolo lo aveva già visto a grandi linee, ed era solo questione di pazienza prima che il professor Ukitake spiegasse il famigerato complesso edipico. Hichigo, invece, di pazienza ne aveva pochissima. Le cose le voleva sapere subito e in modo chiaro, senza tanti ma e perché. Piuttosto, era strano che s’interessasse tanto a quel dettaglio in particolare, il più delle volte si limitava a fingere di aver capito, per poi salvarsi la media coi suoi appunti.

«Se porti un po’ di pazienza, Hichi, alla prossima ora magari lo spiega. È il sottocapitolo successivo. E comunque sia, certe parentesi potevi evitartele. Non m’interessa di certo sapere se da bambino ti trastullavi o meno col tuo gingillo!».

«Ehi, non osare offendere il mio regale arnese chiamandolo gingillo! È roba di prima classe, questa!» si infervorò, indicandosi il cavallo dei pantaloni con l’indice.

«Sì, sì, non ne dubito… ma sempre gingillo è. E comunque vedrai che poi il professore lo spiega, quel complesso edipico che tanto t’angustia.».

L’albino sbatté le braccia lungo i fianchi, sbuffando esasperato. Gli pareva strano che la piccoletta non sapesse dargli una risposta ad ogni suo quesito: era sempre più convinto che avesse un computer al posto del cervello, decisamente. Sapeva bene che era il frutto delle tante ore di studio, ma la cosa lo sorprendeva ogni volta. Avercela avuta lui, tutta quella voglia… anzi, no. Lui stava benissimo così com’era: certo, doveva ammettere che se non l’avevano già buttato fuori dalla facoltà era stato solo grazie a lei che lo aiutava con fotocopie e ore di preparazione (dove le battute più ricorrenti erano «Darkie, mi son rotto le palle di ‘sta cosa, metti via e giochiamo con la Play!» «No, Hichi, prima finisci il capitolo. Poi forse facciamo una pausa. Certo, se avessi studiato prima, a quest’ora staresti giocando tranquillamente con la tua Play.»), ma per il resto si sentiva piuttosto bene con se stesso. Aveva imparato a fregarsene dei commenti malevoli sul suo aspetto fisico, e i pochi stupidi che osavano dirgli qualcosa di scomodo ritornavano a casa con i denti in mano. Così si era guadagnato il rispetto di tutto il circondario e dell’ambiente giovanile della città: erano finiti i tempi in cui scappava a piangere alle spalle del fratello quando gli altri bambini lo prendevano in giro, ora chicchessia ci pensava due volte prima di dargli contro.

Bene o male, poteva dire di avere una vita piuttosto soddisfacente. Certo, se solo una certa nanetta saputella si fosse accorta che sotto la scorza da teppista volgare c’era un sincero attaccamento…

«Finalmente ti trovo, brutto scemo.».

Oh, era già arrivato qualcuno ansioso di rifarsi i denti? Hichigo si voltò stirando un ghigno che non prometteva nulla di buono, salvo trovarsi faccia a faccia con un paio di occhi marroni che lo scrutavano con palese rimprovero.

«Oh, ma guarda chi c’è, il mio amato fratellone. Cosa ti porta ad allontanarti dalle tue caviette in laboratorio, dolce fragolina?».

«Falla finita, se non vuoi che questo me lo riporti a casa.». Ichigo, il suo gemello dalla zazzera fulva, gli mostrò il portafogli, così sottile da dar l’idea di essere completamente vuoto, non fosse stato per un angolo spiegazzato di una banconota che faceva capolino da uno dei bordi.

«Mio salvatore, mia alba aranciata in una notte di tenebre, cosa farei senza di te?» lo canzonò lui con finta adorazione, prendendo il portafogli dalle sue mani e guardandolo come se avesse un delicato tesoro in custodia.

«Non faresti veramente niente, visto che mi tocca sempre starti dietro, la testa non la scordi solo perché l’hai attaccata al collo.» lo rimbeccò Ichigo, sospirando irritato «Oggi saresti rimasto a secco.».

«Balle, avrei chiesto a Darkie un prestito, perché lei è buona e sa che i soldi glieli rendo. Non è così, Darkie?» si voltò verso di lei, trovandola intenta a confrontare i suoi appunti col libro. Digrignò i denti, quasi ringhiando «E metti giù quel cazzo di libro! I miei appunti sono giustissimi!».

«Come no, Hichi. Sarà per questo che mi devi ancora quel toast per le risposte che ti ho passato a Psicologia Sociale.» disse la ragazza, scostando la spalla che Hichigo aveva tentato di prenderle «E ti ricordo che era un esame dell’anno scorso.».

«Stronzate, parliamo della sessione di luglio, sei mesi fa.» replicò lui, mettendo il broncio proprio come un bambino.

«Che era compresa nello scorso anno accademico.»

«Ma cazzo, stai sempre a menare il dettaglio? Prima o poi te lo pago, sta’ tranquilla!».

Ichigo assistette allo scambio di battute in silenzio, osservando con sottile interesse la ragazzina che, strano ma vero, teneva testa a suo fratello senza il minimo timore. Quello scriccioletto sapeva il fatto suo, decisamente, specie se considerava il fatto che, probabilmente, non erano nuovi a battute del genere.

«… Stamattina sei una rompipalle, da quando hai perso quella stupida agenda sei diventata più acida del latte scaduto!».

«Non è vero! Ma insomma, ti ci sei fissato, eh?».

«Scusate se vi interrompo, ma… sei mica tu la tipa con cui mi sono scontrato stamattina?» chiese Ichigo, osservando meglio Darukia più da vicino.

«Se ti riferisci ad uno scontro vicino alle scale… sì, sono io.» rispose lei, con una vaga luce di speranza dietro allo sguardo perplesso.

«Allora mi sa che questa è tua.» disse, tirando fuori dalla borsa la sua agenda e porgendogliela «Avrei voluto restituirtela prima, ma non sapevo dove trovarti e quelli alla segreteria non si son fatti vivi per due ore. Volevo sapere se conoscevi ‘sto demente» e indicò Hichigo con il mento «e se sapevi dove poterlo trovare, visto che dovevo rendergli il portafogli.».

«Hai un futuro come porta-pacchi, fratello. Mai pensato di fare il corriere?».
«Certo, e alla prima corsa t’investo ingranando la quinta.»
«Anch’io ti voglio bene, scemo.».
Darukia prese l’agenda che Ichigo le stava offrendo con le mani quasi tremanti e lo sguardo lucido, come se avesse appena vinto il Nobel per la pace. Se la strinse al petto e la baciò, anche, andando poi a depositarla al sicuro, nella borsa.
«Grazie davvero, non sai che favore mi hai fatto!» si rivolse a Ichigo con un gran sorriso «Mi ero quasi rassegnata all’idea di non trovarla più.».
«Oh, figurati. Scusami tu per il ritardo, piuttosto.» il ragazzo scrollò le spalle con fare noncurante, restituendole il sorriso.
«Bene, ora che la tua buona azione quotidiana l’hai fatta puoi anche dileguarti, fratellino caro.».
«Ti manderei a quel paese, ma devo riconoscere che hai ragione. Tra un po’ riprendo i corsi pure io, quindi è meglio se me ne vado. Ah, sei una santa a sopportarlo, sappilo.» aggiunse rivolgendosi a Darukia, prima di uscire dalla classe.
Scosse la testa, sospirando con un vago sorriso, ignorando bellamente l’osceno invito che gli aveva rivolto il fratello, tornando sul piazzale principale e dirigendosi verso la facoltà di Medicina.

   
 
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