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Autore: xhellsangel    10/03/2012    9 recensioni
Due mondi che, a prima vista, sembrano impossibili da ricongiungere. Forse colpa del carattere di Liz, troppo solare e aperta, fanatica dei buoni voti a scuola, ma non certo ragazza che si tira indietro quando c'è da infrangere una regola, o forse colpa di David, quasi diciottenne, che non si diverte ad infrangere le regole, ma direttamente la legge. Uno dei più giovani spacciatori di droga, che essendo l'eccezione su un milione, non ne fa uso personale, poiché si limita a fumare erba e sostanze ugualmente illegali.
Può l'amore superare tutto? Forse no, ma probabilmente si.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3:
fantasie svelate e realizzate
 
 

Accavallai le gambe al di fuori della finestra, beandomi della sensazione di purezza che causava il vento freddo ma non fastidioso sulla mia pelle.
Tutto ciò che amavo, era la natura: i raggi del sole che accarezzavano soave la pelle, il vento che scompigliava i capelli ribelli, l'acqua che incontrava il corpo, l'erba soffice, le nuvole immense e il cielo infinito.
Sembravo un'anziana con una vita vissuta alle spalle, ma non m'importava, eravamo io e gli aspetti essenziali che mi donava la natura: non importava altro.
Ricordavo la prima volta che mi ero seduta sul davanzale di quella finestra, no, non stavo provando a suicidarmi -casa mia era al primo piano- ma stavo tentando di sorpassare uno dei momenti peggiori della mia vita.
A quel ricordo amaro, trasalii come se il vento si fosse appena trasformato in ghiaccio.
Sembrava fossero passati solo due mesi o poco più, invece erano passati molti anni dal giorno che mi aveva cambiato la vita, in peggio, ovviamente.
Ed era da quel momento che avevo fatto di quella finestra, di quell'aria fresca, il mio rifugio sicuro in cui rintanarmi in caso fossi improvvisamente travolta dall'insicurezza.
Sotto la finestra vi era una pianta di rose bianche, che puntualmente seccava per poi rinascere sempre più bella e più lucente, adoravo raccogliere i fiori appena sbocciati e, dopo averli disposti in modo che formassero un piccolo mazzetto di fiori, li sistemavo di fronte la tomba del mio amato papà defunto anni prima.
Ancora ricordavo quando aveva piantato quella pianta di rose, un anno prima di morire, e se socchiudevo gli occhi ancora ricordo la frase che conseguì il piantare quella pianta:“sai, Liz, ho sempre pensato che le rose siano come le persone defunte: non puoi udirle, non puoi parlarle, ma è sempre lì a guardarti”.
Stupida illusione; lui non era lì a guidarmi nei momenti più difficili della mia adolescenza, lui non era lì a difendermi da tutti i mali che riservava quel mondo e lui non era lì a svolgere il suo ruolo da padre geloso.
Sobbalzai, riscuotendomi dal mio piccolo mondo di rimpianti, quando avvertii il cellulare squillare; lo estrassi dai jeans e il messaggio era molto chiaro: *scendi, sono giù!
Mi catapultai dentro la mia camera, passando -non tanto casualmente- di fronte allo specchio, i capelli biondi erano lisci quanto bastava, gli occhi verdi erano perfezionati da un leggero strato di matita verde smeraldo e i vestiti erano quelli che avevo scelto: un paio di jeans leggermente strappati sulle ginocchia, con una maglietta mono spalla.
Uscii dalla mia camera ed afferrai la borsa dalla credenza, arrivando freneticamente alla porta e, una volta ritrovatami di fronte a quest'ultima, mi immersi in un profondo respiro prima di uscire.
E sbagliato non fu.
Trovarlo appoggiato ad una motocicletta, con i capelli sempre lasciati in un ciuffo ribelle, con le scarpe dello stesso colore della felpa, un azzurro delicato, il quale richiamava in un modo sorprendente l'azzurro vivido delle sue iridi, e un jeans che gli fasciava perfettamente le gambe, non fu una visione molto facile da digerire.
Immediatamente il mio arrivo fu seguito da un suo sorriso e, solo allora capii cosa ci fosse di diverso dagli altri ragazzi che avevo frequentato sino ad oggi senza mai provare un vero interesse: era, senza ombra di dubbio, una bellezza da far mozzare il fiato, ma non era ciò ad attirarmi irrefrenabilmente verso di lui, no, era altro, il suo sorriso.
Quel sorriso in cui vi si poteva leggere più di una cosa; sicuramente non era il sorriso di un bravo ragazzo, non era un sorriso timido impacciato, tutt'altro, era un sorriso sicuro e sfacciato.
Uno di quei sorrisi che la contava lunga, forse era proprio quella sua aria da ragazzo da cui stare alla larga ad attirarmi, poiché io non potevo essere la solita brava ragazzi, anzi, ero tutt'altro: sempre in cerca di guai, e lui sembrava uno di quelli che sui guai e regole infrante la sapevano lunga.
Forse le regole erano state inventate proprio per i tipi come lui, si, per infrangerle.
Ebbi la brillante idea di concentrare la mia attenzione unicamente sui miei passi, poiché sentire vivo il suo sguardo su di me, fu come dimenticare improvvisamente come si camminasse; non ci avrei fatto una bella figura a finire con il fondoschiena schiacciato per terra, poiché in una favola lui mi avrebbe afferrata ad un passo dal toccare il suolo e, poi, saremmo annegati uno nello sguardo di un altro, ma, nella dura realtà in cui mi trovavo, David si sarebbe sbellicato dalle risate e immaginarlo mentre rideva tanto forte da farsi male allo stomaco, fu una delle immagini più semplici e stupende che potesse evocare la mia mente.
Arrivammo -io e il mio fondoschiena- sani e salvi davanti a quell'inimmaginabile visione dagli occhi azzurri e i capelli biondi.
- Ehi - sussurrai quando gli fui vicina.
Era inspiegabile la sensazione di timidezza che s'impadroniva di me ogni qual volta gli ero vicina, certo, solo all'inizio, poiché poi -appena riuscivo a sciogliermi- era lui a divertirsi a mettermi a disagio.
- Ciao - sussurrò sorridendo.
- Allora, che si fa? - chiesi ricordando che, con la timidezza, non si concludeva niente.
- Realizziamo la tua fantasia - sorrise mostrandomi un mazzo di chiavi.
Rimasi spaesata non ricordando istantaneamente i messaggi che ci eravamo scambiati solo quel mattino, ma appena li ebbi ricordati, sorrisi come una demente:

*Hai mai avuto un sogno proibito, da piccola? Tipo rubare qualcosa? Scassinare una vetrina?
*Certo che mi fa paura ciò che tu definisci sogno, però si... ho sempre sognato passare una notte in un enorme centro commerciale, proprio come nei film!


- Tu sei pazzo - lo guardai indecisa se ritenerlo davvero tale, o peggio ancora; finire in carcere per scasso di proprietà privata non era certo uno dei miei sogni proibiti, anche se ancora non riuscivo a spiegare come lui potesse avere le chiavi di quello che sarebbe dovuto essere un centro commerciale.
- Probabile - borbottò scrollando le spalle, senza mai abbandonare quel suo sorriso.
- Le chiavi di cosa sono? - domandai curiosa, scettica sul fatto che potessero essere davvero le chiavi di ciò che temevo.
- Puoi restare a dormire fuori, questa notte? - mi chiese accompagnato da un tipo di sorriso diverso, malizioso, il quale si portava dietro una marea di doppi sensi.
- E' una proposta indecente? - chiesi facendo la finta scandalizzata, o forse, non del tutto finta.
Certo che con un tipo come lui, il sogno della prima volta sulla spiaggia, con solo la purezza della luce della luna ad illuminarci e qualche candela sparsa qua e là a riscaldarci, sarebbe volentieri scomparsa, dopotutto non ero mica una santa, restavo sempre un'adolescente non molto pratica nel controllare i propri ormoni.
Strizzai gli occhi riscuotendomi da quelle mie impure visioni che, sinceramente, non mi era mai capitato di pensare mai: solitamente, quando un ragazzo provava a toccarmi, mi spostavo infastidita dalla sfrontatezza, e credo che era giusto ciò che facevo, i ragazzi volevano le ragazze facili per una notte e quelle serie, difficili, per tutta la vita.
- Probabile, accetteresti? - mormorò suadente, fingendo -speravo- di essere un seduttore anche se, di finto, nel suo sguardo non vi trovai nulla.
- Non credo proprio - sbottai fingendomi offesa.
- E perché? - continuò lo stronzo, fingendo una faccia da finto ingenuo.
- Potresti essere un maniaco - mormorai sorridendo.
- Mi hai scoperto! - sussurrò ricambiando il mio sorriso.
Lo vidi estrarre il suo cellulare dalla tasca, nonostante non avesse squillato, ed afferrarlo con la mano destra sbandierandomelo davanti al volto, mentre, nell'altra mano, vi penzolava il mazzo di chiavi argentate.
- Scegli - sussurrò in tona di sfida
- o una notte al centro commerciale - sussurrò muovendo le chiavi
- o chiamo in un locale e andiamo in discoteca - finì mettendo in vista l'iPhone bianco.
Poter mettere a soqquadro un centro commerciale di notte era sempre stato il mio sogno, ma non mi sarei mai aspettata che un giorno avrei davvero potuto realizzare quella piccola fantasia nascosta, ero sicura che certe cose succedessero solo nei sogni, eppure eccolo lì, un ragazzo bello quanto il sole, che mi stava chiedendo di infrangere circa una ventina delle mie regole morali.
Oh, fanculo.
Afferrai il mazzo di chiavi con sicurezza: sedici anni si avevano solo una volta nella vita.
Estrassi il cellulare dalla tasta e, conoscendo il numero a memoria, chiamai mia madre, cercando di mettere insieme una bugia che reggesse; nessun senso di colpa, stavo solo vivendo la mia vita, e un'innocente bugia non mi avrebbe rovinato la vita.
- Liz? - chiese rispondendo al cellulare.
- Oh, mamma, stasera non torno a casa, dormo da Tiffany - 
- Perché? - sbottò titubante.
- E' sola a casa, le faccio compagnia - mentii perfettamente.
- Va bene... Liz, ti raccomando... - mormorò.
- Si mamma, non apriremo agli sconosciuti - sussurrai ridendo.
- Va bene, a domani - 
- Ciao mamma - finii la conversazione.
Un ultimo messaggio alla mia migliore amica e poi sarei stata pronta per passare una notte in un centro commerciale con un ragazzo, e che ragazzo.
Detto così sembrava una fantasia erotica, quando invece -molto probabilmente- non saremo neanche riusciti ad entrare visto che neanche avevo idea di dove avesse preso quelle chiavi e, mi ripromisi, che glielo avrei chiesto appena possibile.
*Tif, puoi coprirmi stasera? Ho detto a mamma che dormo da te, invece passo la serata con un amico... ti dirò tutto, non preoccuparti! Ps: non dire niente a Landon e Carter.
Ero sicura che se uno dei due avesse saputo della mia piccola fuga, avrebbero, come minimo, setacciato mezza Los Angeles pur di tirarmi dalle grinfie di quel -secondo loro- maniaco con la quale ero.
Il loro tasso di gelosia era elevato nei miei confronti, a volte eccessivo, poiché sembrava che qualunque piccola cosa facessi con i ragazzi, era sempre un errore madornale.
- Vediamo se hai scelto un centro commerciale degno delle mie fantasie - sussurrai accennando un sorriso in segno di sfida.
Ricambiò il sorriso, e, qualcosa, mi disse che non c'era nulla che amasse più delle sfide e la povera vittima -la quale ero- gliene aveva appena mandata una in piena regola e fu facile capì che l'avrebbe colta e vinta con piacere; e, stupida, fui sicura che avrebbe vinto per davvero.


Quando la motocicletta ebbe perso di velocità, persi anche la mia paura di una morte vicina e molto dolorosa, cose da annotare mentalmente: mai più andare in moto con un certo biondo che sembrava stesse facendo a gara con la luce per vedere chi fosse più veloce.
Fu una sensazione meravigliosa sentire di nuovo la terra ferma sotto i piedi e, appena il biondo ebbe fermato quella trappola mortale, mi affrettai a scendere, avendo paura di poter chiedergli di riaccompagnarmi a casa da un momento all'altro.
David Woods -come mio fratello aveva detto che si chiama- una motocicletta e quel sorriso sexy, una miscela capace di mandarti a vita migliore.  
Lo vidi scendere dalla motocicletta, beatamente parcheggiava e, sorridermi, indicando un punto indistinto alle mie spalle; incuriosita, mi girai e misi a fuoco il centro commerciale più grande che avessi mai visto in vita mia. 
La struttura esterna era immensa, con le mura nere e le luci a contornarne le parti più alte, dandole un'aria maestosa, come se fosse essa a sovrastare gli spazi sottostanti.
- Soddisfa le tue pretese? - sussurrò parlando direttamente al mio collo, dove una buona dose di pelle era scoperta quanto sensibile e, il suo fiato sul collo, mi comportò una scarica di brividi non tanto normale.
La vedevo difficile la situazione.
- Si - e non fui tanto sicura che la mia risposta si riferisse al centro commerciale più di quanto stesse facendo riferimento alle sue labbra che marchiavano un bacio dietro al lobo del mio orecchio.
- Vieni - sussurrò staccandosi improvvisamente dal mio collo e, contemporaneamente, prese il mio indice nella sua mano destra e mi trascinò verso quella che, probabilmente, doveva essere l'entrata.
- Aspetta - sussurrai quando lo vidi digitare alcuni codici su quello che doveva essere un codice di sicurezza per aprire le porte di un mio sogno.
- Una cosa è infrangere una regola... ma qui parliamo di legge - gli feci notare con il tono della voce che tradì una dose non tanto indifferente di paura.
- La legge mi diverto a prenderla in giro da sola - sussurrò sorridendo
- Invece con te mi limito a passare una semplice notte al...- lasciò la frase sospesa mentre, sospettavo che il codice di sicurezza gli avesse dato il via libera, e spalancò le porte e, di conseguenza, la mia via dritta verso una cella buia e umida.
Ma, se passare una notte lì dentro sarebbe stato un peccato, non vedevo l'ora di andare all'inferno: quella che doveva essere solo una piccola entrata, si presentò con tanto di fontana che era attualmente spenta e, intorno alla fontana, in modo circolare, vi era un bar che metteva in bella vista sia gli alcolici, sia la vetrina che avrebbe dovuto contenere cibo.
-...centro commerciale di mio padre - finì la frase, e lo guardai paralizzata.
Certo che si trattava bene, il paparino. 
- Mangiamo? - chiese sorridendomi.
- Come facciamo? - sussurrai seriamente dubbiosa sul fatto che saremo mai riusciti a cucinare qualcosa di commestibile.
- Vedrai - mormorò sicuro di se.
E, tirandomi verso quella che evidente era la cucina, scatenammo il finimondo: le sue mani mi sfiorarono quel poco che bastava per legarmi il grembiule di stoffa bianca dietro la vita, ma fui consapevole che le sue mani indugiarono più del dovuto sui miei fianchi.
E, poi, non avemmo pietà per la farina che iniziammo a buttarci senza freno, proprio come se fossimo due bambini alle prese con la sabbia, e non ci fu neanche la minima preoccupazione  sul fatto che stessimo imbiancando tutti i piani, poiché il fracasso delle nostre risate che spezzava la quiete notturna era una delle melodie che mai avrei potuto sognare di ascoltare.
Ancora più risate si consumarono quando si andò nel difficile, il suo cappello a dorma di cuoco, il quale aveva -decisamente- messo al contrario, quando afferrò una padella e la schiantò, con poca grazia, contro il mio fondo schiena, quando ci rincorremmo per tutta la cucina finché non gli tirai il cappello da testa e lo infilai io, nel verso giusto questa volta.
Inutile dire, che di commestibile cucinammo solo panini con hamburger e, cosa positiva, riuscimmo a friggere le patatine senza bruciarle, né scottarci.
Continuammo a ridere mentre il cibo scompariva dai nostri piatti e continuò a ridere, da solo, mentre stavo per strozzarmi con l'acqua per colpa del suo essere infinitamente idiota senza termini di paragone.
- Sono sfinita - sbottai sprofondando su un divano di cui mi era ignoto il prezzo.
- Già? Guarda che siamo solo all'inizio - sussurrò afferrandomi i polsi e facendomi alzare da quello che sembrava il paradiso, ero effettivamente già stanca.
Non seppi se quel ‘siamo solo’ fosse una minaccia, ma prese esattamente la piega di una minaccia quando mi trascinò senza pietà verso il reparto abbigliamento e lui, credendosi chissà quanto importante, sprofondò in una poltrona, e lo invidiai come non mai; dopo di ché, non stanco del suo mettermi in imbarazzo, fui costretta ad entrare e uscire dai camerini con i vestiti più ridicoli del mondo, con abbinamenti che facevano pena, e anche altri che tanto male non erano.
Mi era chiara la sua espressione facciale nel momento in cui uscii con indosso una gonna lunga fino ai piedi, la quale strofinava terra, di un colore rosso acceso e, sopra, un maglione arancione: un abbigliamento che mai nessun sano di mente avrebbe mai fatto, in quanto, tutti avrebbero avuto la reazione che ebbe lui, si piegò in due dalle risate e non avrei mai potuto dimenticare il modo in cui rideva a perdifiato, mantenendosi lo stomaco e guardandomi con quegli occhi blu che erano velati dalle lacrime per il troppo ridere.
Non negai che fu difficile trovare dei capi così orrendi, in quanto l'abbigliamento era completamente composto da capi firmati e stupendi, infatti fu alquanto soddisfacente vederlo strabuzzare gli occhi con alcuni capi stupendi -ma che non avrei mai indossato-: un vestito che a mala pena arrivava a metà coscia, il quale era nero e privo di qualsiasi spalla. 
Fu frustante vederlo passarsi la lingua sulle labbra, rendendole bagnate, e restare lì ferma e impalata con le gote arrossate e l'imbarazzo che sopraggiungeva, sentendo anche qualche battutina poco casta, ed ebbi anche qualche dubbio che non vi fosse un briciolo di verità.
Per questo, non ci fu niente di più gratificante di rientrare nei miei vestiti non da suora, ma neanche da tangenziale, feci un giro su me stessa una volta ricomposta.
- Ritratto tutto, rivoglio il vestitino - sbuffò fingendo un'espressione imbronciata.
- Vuoi per caso dire che così faccio pena? - borbottai fingendomi indignata.
- No, voglio dire che scateneresti fantasie erotiche in me anche se avessi indosso un paio di mutande di ferro - sbottò ridendo.
Prima di unirmi alla sua risata, non mancò un mio ceffone da parte mia, senza però scalfirlo neanche di una virgola, e non mi meravigliai che l'unico risultato che ottenni furono altre risate.
Lo trascinai al reparto maschile, seguendo il mio sesto senso, e fui soddisfatta dalle mie doti di esploratrice quando ci arrivammo senza nessun suggerimento da parte sua -o quasi nessuno-, frutto di un'infanzia passata con Dora l'esploratrice.
Vedere i suoi cambiamenti d'abito, mi fece arrivare ad un'unica conclusione: sarebbe sempre stato bello, anche con indosso uno straccio di quattro soldi, poiché era bello il suo sorriso e la luce nei suoi occhi, niente l'avrebbe reso più perfetto di quanto già non era.
Certo, venne anche il mio momento di sbellicarmi dalle risate quando lo vidi indossare un cappello che era fuori moda da circa cento anni, e un vestito che neanche il mio amato nonno avrebbe mai indossato; ma fui costretta ad ingoiare un grosso magone di saliva quando lo vidi uscire dal camerino con indosso una camicia bianca che portava nei pantaloni -a bassa vita- di stoffa nera, e un papillon nero abbinato ai pantaloni.
Senza ombra di dubbio, avrebbe potuto fare il modello, e il mio silenzio non fece altro che alimentare il suo ego e fu felice di ricordarmi, anche quando fu tornato nei propri vestiti, la mia espressione sognante, facendo stupide imitazione.
- Ti porto in un posto - sorrise tendendomi la mano quando ebbe, apparentemente, smesso di prendermi in giro, anche se quel suo sorriso stranamente soddisfatto non scomparve dalle sue labbra, anzi, se possibile, divenne ancora più furbo e lucente.
Afferrai la sua mano e mi alzai, lasciando sola la poltrona che oramai aveva assunto la mia forma, e aveva permesso al mio corpo di rilassarsi prima che David tornasse all'attacco.
Legai le mie dita tra le sue, sicura di non voler annullare quel contatto che mi riscaldava, mi faceva sentire protetta mentre la notte ci immergeva in essa, e in tutta risposta, ancora una volta, mi sorrise, e quel sorriso ancora una volta mi fece sentire una stupida adolescente -la quale ero- alla prima cotta, e forse era proprio vero.
Non che fosse la mia prima cotta, avevo avuto la cotta per il mio migliore amico, per il mio primo ragazzo, ma sembrava che questa fosse una vera cotta, mi piaceva la sua compagnia, e avrei detto che per me fosse come un amico, se solo non mi fosse salito il cuore in gola ogni qual volta mi sorridesse, o tremassi ogni singola volta che le sue labbra si posavano -non tanto casualmente- sul mio collo, tracciandovi un leggero sfioramento.
Camminammo tra gli scaffali che occupavano tutto lo spazio circostante, e l'oscurità che aggrediva violenta la mia vista non mi aiutò per niente, infatti più volte ebbi paura di scontrarmi con qualcosa -o, peggio, qualcuno-, ma alla fine feci la santa decisione di lasciarmi guidare da David, senza nessun tentennamento.
Svoltammo più volte tra i vari scaffali, passammo sia per gli alimentari, sia per i giocattoli, sia per i vari bar o rosticcerie, rifiutando qualsiasi sorte di cibo mi offrisse poiché sarei scoppiata da un momento all'altro.
Però, nonostante il mio rifiuto, si fermò a fare due cioccolate calde e, non so come, ci riuscì senza nessun'ostacolo e decisi di restarmene buona, per evitare di creare altri macelli ed essere, poi dopo, costretta a ripulire tutto.
Mi porse uno dei due contenitori di cartone pieno zeppo di cioccolata calda, e questa volta fu lui ad afferrarmi la mano, e fui attraversata da un brivido lungo la schiena quando le mie dita fredde, incontrarono le sue esageratamente calde, forse per via del vapore con cui era stato a contatto mentre trafficava per finire la cioccolata.
Strinsi maggiormente la mia presa a lui, e mi lasciai trascinare verso chissà dove, priva di alcun tentennamento; il tragitto che facemmo dopo non fu lungo, tutt'altro.
Ci fermammo dinanzi ad una porta, dopo aver salito molte rampe di scale.
- Cazzo, non ho le chiavi! - sbuffò sferzando un pugno contro la porta.
- Hai una di quelle mollette sottili per i capelli, o come cazzo si chiamano? - domandò alquanto alterato, e avrei ribadito sul suo modo di rivolgersi nei miei confronti, solo che l'idea di vedere cosa ci fosse al di là della porta, ebbe la meglio.
- Ti serve una forcina? - chiesi sfilandone una e, irrimediabilmente, la ciocca di capelli che teneva ferma, mi cadde davanti agli occhi.
- Si, questa - mormorò facendo riemergere il suo -poco- affidabile sorriso e, di conseguenza, mi sfilò la piccola forcina dalle mani.
Lo vidi armeggiare con la serratura della porta, e fu l'ultimo pezzo per completare il mio quadro: ora sembrava definitivamente uno di quei film americani che io tanto amavo, certo, il mio film aveva il protagonista più bello che avessi mai visto, ma più o meno il resto delle faccende coincideva perfettamente e me ne compiacqui.
Anche se all'inizio dubitavo che sarebbe mai riuscito ad aprire la porta, quando ci riuscii ne rimasi alquanto sbalordita, ma quello fu niente rispetto allo spettacolo che mi si parò davanti agli occhi: era un enorme terrazzo, molto probabilmente era il tetto, e chissà quanti migliaia di metri c'erano tra noi e il suolo, ma non me ne preoccupai affatto, poiché la mia attenzione era riservata ad un'unica cosa: le stelle nel cielo erano così vivide da quell'altezza, sembrava che se alzassi la mano ne avrei addirittura potuta afferrare una; risplendevano di una luce innaturale, e la luna sembrava riempire il ruolo da regina e, le fedeli stelle, erano serve.
Vi era la luna piena, e sembrava proprio grande quanto un pallone da calcio, data l'altezza; era meravigliosa, lo spettacolo naturale migliore che avessi mai visto in vita mia, il vento leggero che soffiava aumentò la mia dose di felicità, e rabbrividii involontariamente.
- Quand'ero piccolo, nei momenti di sconforto venivo sempre qui - mi sussurrò, mentre lo vidi portarsi alle labbra la cannuccia e attirare tra le sue labbra la cioccolata e, una voglia malsana di trasformarmi in quella cannuccia, si impossessò di me.
- Mancavo da quassù da un bel po' di anni - continuò, mentre la cioccolata gli sporcava le labbra e rendeva quella dose di carne ancora più invitante di quando non fosse già normalmente, e fu una vera e propria frustrazione per me.
- Perché? - chiesi, iniziando a bere la cioccolata.
- Perché cosa? - domandò confuso.
- Perché non ci vieni da anni? - resi più chiara la mia domanda, e la cioccolata, iniziò a riscaldarmi l'intestino ed una strana -ma plausibile- domanda mi balenò alla testa: com'era un bacio al cioccolato?
- Ho trovato altri metodi per curare il mio sconforto - rispose sorridendomi, e quella risposta non mi piacque per niente, sin dai tempi più remoti era chiara quale situazione ricreassero gli uomini per curare il loro sconforto, e una fitta di fastidio si impadronì di me.
- Ora sono sconfortato - sussurrò prendendomi palesemente per il culo.
- Mi aiuti tu? - continuò posando la sua cioccolata per terra e avvicinandosi pericolosamente a me.
Inutile ribadire che provai, con scarsi risultati, ad indietreggiare, ma scorsi dietro di me qualcosa di duro e, mi accorsi successivamente, che era un tavolo di legno.
Mi sfilò il bicchiere di cartone -il quale conteneva la cioccolata- dalle mani, e lo posò sul tavolo alle mie spalle, poi, fissò i suoi occhi nei miei: avevo sempre notato che fossero azzurri, ma mai avevo capito che fossero così azzurri; erano di un azzurro denso e travolgente, uno di quegli azzurri che ricordava il colore dei mari più puliti, un azzurro in cui vi si poteva annegare senza mai più riemergere, e vi stavo cadendo, visto che neanche scorsi le sue mani che si posavano sui miei fianchi e mi sollevavano quel tanto che bastava per posarmi sul tavolo alle mie spalle.
Mi divaricò leggermente la gambe, quel tanto che bastava per posizionarvi in mezzo ed essere esattamente di fronte a me, con il suo profumo di cioccolato che lo rendeva ancora più invitante di quando già non fosse normalmente.
- Spostati - sussurrai con un tono di voce che voleva lasciar intendere l'esatto contrario, che gridava un muto non provar a muoverti di qui.
- Dove? - sussurrò con uno sguardo serio, mentre le sue labbra erano pericolosamente vicine alle mie, e non vedevo l'ora di dare una risposta alla mia domanda precedente.
- Qui? - chiese posando le sue labbra sul mio collo, e fui pervasa da una scarica di brividi quando la carne soffice che componeva le sue labbra si posò sulla pelle sensibile del collo, la quale, essendo scoperta, era congelata e, le sue labbra, erano bollenti.
Ormai priva di lucidità, infilai le mie dita tra i suoi capelli biondi e ne scorsi una sofficità imparagonabile a qualunque altra cosa, profumavano di buono, ed erano soffici come piume.
Aumentò la presa ai miei fianchi, non appena gli tirai una ciocca di capelli e, impertinente, afferrò tra i denti un lembo di pelle e, anche se non con molta forza, lo strinse, non facendomi affatto male.
- O qui? - chiese spostandosi, strofinando le sue labbra lungo il mio collo, per poi risalire alla mandibola e, attraversando la guancia, mi lasciò un lieve bacio all'angolo della bocca.
Si staccò, per mia fortuna o sfortuna, dalla mia pelle e tornò a fissarmi negli occhi, uno sguardo che di innocuo non aveva niente, ma che di elettrizzante aveva fin troppo.
Non mollai la presa dai suoi capelli e lui, di tutta risposta, portò l'indice destro alle mie labbra fino a strofinarlo sul mio labbro inferiore.
- Non bacio gli sconosciuti - sibilai in tono di sfida e, forse, con un pizzico di verità.
Lo vidi ridere sornione, e capii che era alquanto deciso a non prendermi seriamente, e lo ringraziai di cuore perché, vista oggettivamente, neanche io avrei detto che fossi tanto stabile mentalmente in quel momento.
- Mi chiamo David Woods, ho quasi diciotto anni e vivo a Los Angeles, ti basta? - mi chiese inarcando un sopracciglio, facendomi capire che fosse una domanda alquanto retorica.
- Non lo so - sussurrai, alquanto sicura della mia risposta, la quale non era quella che gli avevo appena dato. 

 



* * *
SPAZIO AUTRICE

Sono davvero una psicopatica!
Da dove mi è uscita l'idea del centro commerciale di notte? OH NON LO SO.
So solo che l'avevo pensato come una specie di caricatura, poiché non avevo la minima intenzione di scriverlo per davvero, e poi eccomi qui.
Devo dire che è riuscito meglio di quanto pensassi, però giustamente sta solo a voi giudicare.
Spero di essermi rifatta, rispetto all'altro capitolo, e di non avervi deluso anche in questo.
Prometto che cercherò di migliorare sempre, e di non deludervi mai, poiché non voglio essere una pessima scrittrice (scrittrice per modo di dire, non so che termine usare).
Ora, vi lascio con quest'immensa curiosità, bacio o non bacio?
Eh, no, non ve lo dico mica, l'attesa aumenta il desiderio, e quindi, a voi tocca aspettare!
Prometto che non tarderò non il prossimo aggiornamento, in quando più o meno so cosa scrivere, anche se non ancora tutto, ma le idee mi verranno.
Ora, voi da bravi, mi lasciate qualche recensione, altrimenti mi scoraggio più di quanto non faccio normalmente e non riuscirò a scrivere.
Grazie a tutti coloro che mi hanno inserita nei seguiti, nelle ricordate e nelle seguite.
Un immenso grazie a coloro che mi hanno inserita negli autori preferiti, siete fantastici.
Ah, si, ci tenevo a precisare una cosa che avrei dovuto fare la scorsa volta ma, presa dallo sconforto del capitolo che non mi piaceva affatto, ho dimenticato di fare: i nomi dei migliori amici di Liz, Landon e Carter, sono in onore del mio film preferito, i passi dell'amore.

 
Un bacione, alla prossima.
   
 
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