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Autore: arenille    10/03/2012    2 recensioni
La porta si aprì, mi ci volle un secondo.
Stavo affogando in un mare verde come un prato in primavera, ancora.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alison.

L'aria estiva mi accarezzava la pelle, il leggero venticello che c'era in terrazza mi scostava i capelli dal viso. Le luci dei grattacieli davanti a me erano ancora tutte accese, i clacson dei taxi in strada continuavano a suonare e i newyorkesi continuavano la loro vita di sempre. Tutto normale, insomma.
Ma non per me.
Mi voltai verso l'alta bionda alla mia destra, appoggiata con i gomiti alla ringhiera della terrazza fissava le stelle ed il celo sopra di noi. Aveva gli occhi lucidi e si stava torturando mani ed unghie. Non sapevo che fare, non sapevo come farla stare meglio.

«Claire, perché non parli?»


La mia voce mi pareva insicura come non la sentivo da tempo.
«Mi mancherai, Ali» disse infine.
Mi rivolse uno sguardo pieno di lacrime e uno dei suoi splendidi sorrisi, mi strinse in un abbraccio di quelli che solo la tua migliore amica riesce a darti e mi scoccò un bacio sulla guancia. Guardò lo schermo del suo Blackberry bianco, segnava le 02:37.

«Forse è meglio che vada» disse, alzandosi «Fagli vedere Ali, la stronza sta tornando»

La mattina seguente.

Mentre facevo il biglietto, il nervosismo mi stava distruggendo lo stomaco. Cercai di calmarmi facendo qualche respiro profondo, ma credo di aver solamente spaventato la donna del ticket point. Mi sedetti su una scomoda sediolina di squallida plastica rossa aspettando che chiamassero il numero del mio aereo.
Non ce la facevo più, così comprai un pacchetto di salatini e lo divorai in un attimo.

Non va bene così, Alison pensai il cibo non ti aiuta.
Se fossi stata a casa mi sarei indotta il vomito per mandare via quei salatini, ma non potevo farlo in aereoporto. Così, non toccai neanche una briciola di qualsiasi alimento commestibile per il resto della giornata. 


«Desidera qualcosa, signorina?»
I miei pensieri furono offuscati dalla voce squillante di una rossa hostess. Aveva il carrello fermo davanti al mio posto, io feci no con la testa senza considerare tutta la fame che avevo. Il mio stomaco si era svuotato, ma era chiuso almeno in parte per colpa del nervosismo.
Cercai di dormire un pochino, ma non ci riuscii. 
Tornare a casa non era mai stato nei miei programmi da quando mi ero stabilita a New York. E adesso, dovevo farlo.
I ricordi cominciarono a riaffiorare scuri nella mia testa, facendomi sentire ancora peggio di quanto già non stessi. Quello che Claire (e nessun altro, almeno a NY) non sapeva, era che la mia vita non era sempre stata una passeggiata.
A Londra, il primo anno di liceo, ero derisa e umiliata perché ero la classica adolescente sovrappeso e insicura che con i vestiti che indossa sembra senza forma. Ingenua, derisa, brutta. Ma soprattutto, innamorata. O almeno, così credevo. Di chi? Del mio incubo peggiore, della persona che più di tutti gli altri mi prendeva in giro, di quello che era sempre pronto a fare battute sul mio peso e sul mio corpo: Harry Edward Styles.
Ovviamente, lui né ricambiava né mi considerava. Avrei potuto ignorarlo come faceva lui con me, penserete, ma mia madre e sua madre sono sempre state grandi amiche e ci costringevano a passare tutti i pomeriggi insieme. Lui, io e i suoi amici. E i nostri genitori erano all'oscuro di tutto il male che mi facevano.
Così, nell'estate del primo liceo, "approfittando" del divorzio dei miei, ero andata a vivere a New York con mio padre. Ed ero cambiata.
Avevo buttato nel cesso amore e altre minchiate del genere, avevo perso tantissimo peso, avevo tinto i miei capelli da marrone cacca ad un sexy biondo rame e tolto gli occhiali con l'operazione laser. Mi sentivo bella. E avevo fatto un sacco di amicizie, avevo conosciuto Claire. Mi sentivo amata. Ma nella mia vita non è mai esistito un lieto fine. Stavo ritornando a Londra, una volta per sempre.


«Oh, santo Padre!» urlò mia madre, saltandomi praticamente addosso e ignorando le valigie.
«Ehi, mamma» riuscii a dire, cercando di non farmi strozzare.
«Sei molto più stupenda che nelle foto che mi ha mandato papà, mamma mia!»
Sorrisi.


I taxi di Londra sono penosi. Insomma, sono tristi. Neri? Non ho voglia di salire su un'auto delle pompe funebri ogni volta che devo andare da qualche parte pensai, mentre mia madre chiacchierava allegramente con il tassista. Una frenata brusca mi fece saltare dal mio posto, facendomi quasi andare a sbattere contro il sedile anteriore. La casa davanti a cui c'eravamo fermati non era casa mia. 
«Mamma, che succede?» domandai, sfilandomi le cuffiette bianche dell'iPod dalle orecchie.
«Oh, tesoro. Tuo padre ha fatto un pasticcio con le date di ritorno, pensavo tornassi domani.. a casa nostra stanno ri-dipingendo il soggiorno ed è tutto inagibile, sarà pronta solo domani temo. Perciò Monique si è offerta di farci stare solo per questa notte a casa sua. Che gentile, vero?» cinguettò allegra.
Monique? Monique Styles? Nah, nah, no. pensai, ma mia madre mi stava già spingendo sul portico. Suonò due volte il campanello, sorridendomi in continuazione. Io avevo la bocca ancora aperta ad o per la sorpresa. 
«Stai bene, pasticcina?» domandò mamma, allegra.
No, sto bene un cazzo avrei voluto urlarle, ma il rumore della maniglia ci distrasse.
La porta si apre, mi ci vuole un secondo.
Sto affogando in un mare verde come un prato in primavera, ancora.


Aieah.
Okay, questa storia è nata dopo una notte passata a guardare la prima stagione di Pretty Little Liars.
Spero vi piaccia un briciolo(?) uu
Se vi è piaciuta, lasciate una recensione anche piccola piccola c:
Schiao.
arenille.

 
  
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