Fanfic su artisti musicali > TVXQ
Segui la storia  |       
Autore: LucyCassiopeia    10/03/2012    2 recensioni
"«Se potessi tornare indietro nel tempo sceglierei di rivivere quei giorni di risate con te, quei giorni così speciali di cui mi parli sempre. Se avessi questo potere, ti giuro, farei di tutto per fermare quei momenti nella mia mente, per imprimermi ogni immagine di te, ma lo sai che non posso. Allora aiutami, non lasciarmi così, sola. Resta con me, se ci sarai tu sono sicura che potrò
ricordare tutto. Non mi lasciare, ti prego»
Lo abbracciò, mentre quella fredda pistola cadeva a terra con un suono sordo, lentamente, come se quella fosse una scena di un film e qualcuno avesse messo l’effetto a rallentatore in quel preciso istante.
Lui la strinse a se come se ne avesse un bisogno vitale. Ed era così. Aveva bisogno di lei, della sua Yui. Ma aveva anche paura di lei, di quella Yui senza ricordi, paura che la sua memoria non sarebbe tornata mai, che per lei i loro ricordi non sarebbero stati altro che come foto bruciate impossibili da recuperare.
La strinse più forte. “Ti prego, ricorda!” pensò, urlò, Jaejoong nella sua testa.
L’eco di quella preghiera senza risposta riecheggiò, come a beffeggiarlo, ricordandogli che non sarebbe mai accaduto"
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo IV
 

Kkum – Sogno

 
  

Svegliarsi la mattina era sempre stato traumatico per una persona a cui piaceva dormire come lei e quella mattina il risveglio non fu meno tragico.
Il suono martellante della sveglia le rimbombò nella testa come un suono estraneo che non aveva mai sentito. Ebbe un momento di smarrimento. Non capiva da dove venisse quella musichetta insistente e fastidiosa, finché non notò un cellulare dall’aria complicata poggiato sul comodino bianco candido posto a lato del letto dalla struttura in color nero lucido.
Prese in mano il telefono lampeggiante, cercando di capirne in funzionamento. Cercò una tastiera ma capì subito dopo che doveva trattarsi di un cellulare touch-screen. Provò a schiacciare il tasto rosso e fortunatamente funzionò, così quella musica insopportabile cessò.
Rimase seduta sul letto dalle lenzuola bianche e si guardò attorno. La stanza profumava di lavanda, un profumo che le piaceva molto, e aveva un aspetto moderno ma vissuto. La persona che aveva scelto l’arredamento doveva avere buon gusto. Chissà chi aveva arredato la camera. Era stata lei? Non lo ricordava. Evidentemente quel giorno la sua memoria aveva qualche lacuna. Effettivamente non si ricordava nemmeno dove si trovasse. Di chi era quella casa? Se era casa sua allora doveva avere molti soldi, perché dall’armadio bianco aperto spuntavano fuori vari vestiti di marca.
Si meravigliò nel capire di non ricordarsi com’era fatta lei stessa e nemmeno quale fosse il suo nome. Quella situazione la incuriosiva tanto quanto la spaventava.
Vide un grande specchio a figura intera di fronte al letto, ma non riusciva a vedere nitidamente la sua immagine, vedeva tutto sfocato.
Lo sguardo ricadde sul comodino, su cui riposava placido un paio d’occhiali color nero. La montatura era in stile anni 70’. Li indossò e finalmente riuscì a vedere chiaramente ciò che le stava intorno.
Si alzò lentamente osservando i suoi piedi piccoli e chiari. Si guardò le gambe, longilinee e magre e poi le mani dalle dita lunghe ed affusolate dalle unghie curate smaltate di nero.
Si avvicinò allo specchio cautamente, con la paura che il suo aspetto non sarebbe stato all’altezza delle sue aspettative. Non che si immaginasse come una modella, ma era fermamente convinta di avere lunghi capelli biondo grano lisci scalati e con il ciuffo e occhi verdi-grigi, labbra piccole e sottili e naso alla francese. Si immaginava così e non sapeva nemmeno lei il perché preciso.
Ma il riflesso nello specchio era di una ragazza dal viso piccolo con occhi a mandorla marrone scuro, un naso piccolo e labbra piene rosee. I capelli erano legati in una coda alta. Li sciolse, trovandosi davanti a lunghi capelli neri scalati lisci come spaghetti.
Piegò leggermente la testa di lato con espressione accigliata. Non perché fosse insoddisfatta del proprio aspetto fisico, ma perché incuriosita da sé stessa. Era veramente lei la ragazza la cui immagine si rifletteva nello specchio?
Si toccò il viso esaminandolo attentamente. Quell’aspetto le era completamente nuovo. Non avrebbe mai pensato di essere una ragazza asiatica, effettivamente si pensava più come una ragazza italiana con origini tedesche. Non sentiva quel viso come suo e nemmeno quel corpo, troppo magro e perfetto. Non avrebbe mai potuto immaginare di essere una ragazza così carina. Si pensava piuttosto bassina e magrolina, un po’ sgraziata e più trasandata di quel che invece appariva in quel momento. Indossava un pigiama di cotone azzurro con pantaloncini e canottiera con bordatura di pizzo dall’aria costosa e di marca. Decise che era il caso di vestirsi, visto che non aveva la minima idea di chi altro potesse esserci in quella casa oltre a lei. Chissà, magari uscendo da quella stanza si sarebbe trovata davanti ad un bel ragazzo oppure ad una bambina con i codini neri che giocava con un bell’uomo, suo papà. Non sapeva se avesse una famiglia, un marito, un fidanzato, figli, sorelle o fratelli. Non sapeva nulla della sua vita, non ricordava di essere mai stata in quella casa né di essere una ragazza asiatica dal viso dai lineamenti dolci e gentili. Diede un'altra occhiata alla ragazza nello specchio e decise che doveva avere intorno ai 20 anni, non di meno. Chissà se aveva già una figlia e un marito o se fosse una donna sola e disperata. Si augurava vivamente di non essere sola, altrimenti a chi avrebbe chiesto aiuto per ricordarsi chi diamine era e cosa ci faceva in quella casa?
Prese dall’armadio aperto il primo paio di jeans che trovò e una maglietta a caso, disinteressandosi completamente all’abbinamento. Non le sembrava il caso di mettersi a scegliere un bel completo per apparire carina a chiunque si sarebbe trovata davanti.
Uscì dalla stanza, ritrovandosi in un salotto enorme, grande forse il doppio di un campo da basket. Vuoto. Nella stanza c’erano solo elementi moderni e dall’aspetto costoso, compresi oggetti strani posti su scaffali di cui non capiva né l’utilità né il funzionamento. Su una parete si ergeva in tutta la sua maestosità, un enorme televisore al plasma. Non aveva mai visto nulla di più esagerato.
Di fronte c’erano un tavolino da caffè sul quale poggiavano un computer portatile da un lato e un libro dall’altro, un divano bianco e una poltrona trasparente sospesa nell’aria grazie ad alcune catene legate al soffitto. Dietro questi due vi erano un tavolo di cristallo con alcune sedie bianche e nere attorno. Due poltrone bianche e un tavolino di vetro a dividerle. Dietro di queste un’enorme libreria.
Si avvicinò a quest’ultima, osservando i titoli dei libri. Erano scritti in una lingua con svariati e complicati segni che lei riusciva a capire benissimo, sebbene non si spiegasse come. Era una lingua strana che le pareva sconosciuta ma che era proprio la sua. Bizzarro… Era proprio convinta che quella non fosse la sua vera e propria lingua. Non sapeva spiegarsi perché ne fosse tanto convinta. Sfiorò i libri, cercando come un contatto con quei volumi, come sperando che sfiorandoli si sarebbe ricordata di quali libri aveva letto, quel’era il suo preferito e quante volte lo aveva letto. E invece quel contatto non risvegliò nessun ricordo. Quasi rise di sé per aver anche solo pensato che toccandoli con mano avrebbe ricordato qualcosa.
Vicino alla libreria trovò una porta che aprì senza alcuna esitazione, tanto dopo aver visto il lusso che caratterizzava il salotto, cosa poteva esserci di più spettacolare dietro quella porta? 
Una cucina moderna color rosso occupava gran parte della stanza in cui era appena entrata. Una penisola coordinata alla cucina era posizionata al centro della stanza con alcune sedie davanti. Un grande frigo color argento, una vetrina piena di calici e un grande mobile completavano l’arredamento della stanza. Anche questa stanza era vuota.
Uscì da una porta sulla sua sinistra e si trovò in un corridoio. Di fronte a sé c’era un’altra, ennesima, porta, alla sua sinistra dopo poco iniziava il salotto e di fronte la porta dietro cui c’era la camera da letto. Varcò la soglia dietro la quale si estendeva l’ultima stanza della casa grande e vuota casa in cui si trovava. Si sentiva sola in quell’abitazione, troppo grande e maestosa per una singola persona. Non si era mai sentita inquieta e triste sola in quella casa? Non ricordava, non riusciva proprio a ricordare e più che paura, le metteva addosso una strana rabbia e la frustrazione le invadeva corpo e anima, facendole venir voglia di sbattere la testa contro il muro. Magari il colpo l’avrebbe fatta rinsanire.
Si ritrovò dentro un grande bagno dalle piastrelle bianche. Un’enorme vasca era posizionata contro uno dei quattro muri e su quello opposto c’era invece un grande box doccia. Lavandino, wc, un mobile bianco contenente vari asciugamani, shampoo, beauty case e pettini vari e una scarpiera dalla quale prese subito un paio di scarpe da ginnastica.
Anche il bagno era vuoto e lei si sentì invadere da una sensazione di tristezza ancor più grande di quella che aveva provato fino a quel momento. Era sola in quella casa che non sembrava le appartenesse e che non riusciva a rievocarle alcun ricordo. Nemmeno un piccolo barlume, non una singola lucina si accendeva nel suo cervello, facendole ricordare anche solo di essere mai stata lì dentro. Non le importavano i dettagli, le bastava sapere se viveva realmente in quel posto, voleva sapere se fosse sola o avesse qualcuno a cui voleva bene e che la amava, voleva sapere se lavorasse o studiasse. Si accontentava anche di informazioni più generali. Le bastava conoscere il suo nome e quello del paese in cui si trovava. Basta, le bastava anche solo quello, avrebbe poi in seguito cercato qualcuno che l’avrebbe aiutata, ma perché intanto il cervello non faceva la sua parte e collaborava per farle tornare alla mente anche solo il più insignificante dei ricordi? Di certo non le stava facilitando la ricerca. Se quel cervello non si metteva a lavorare sarebbe stato difficile scoprire qualche dettaglio sulla propria vita e riuscire a contattare qualcuno in grado di aiutarla.
Cercò di non demoralizzarsi. Avrebbe cercato qualcosa dentro la casa che la potesse aiutare.
Tornò nel salotto, nel quale cercò qualche indizio che le potesse suggerire il proprio nome o dove si trovasse. Purtroppo non c’era nulla che potesse darle qualche indizio. Non un giornale che le suggerisse il paese dove abitava, né un diploma appeso al muro per indicarle il proprio nome. Sugli scaffali posti su tutto il perimetro della stanza c’erano foto e oggetti strani. Nelle foto comparivano quasi sempre lei e un ragazzo (a suo parere molto carino) abbracciati o sorridenti. Il ragazzo era giovane almeno quanto lei, con capelli non troppo lunghi e con un ciuffo color castano chiaro-rossicci. Era alto almeno dieci centimetri più di lei e sfoggiava un sorriso raggiante che metteva allegria. Sembravano felici insieme. Chissà chi era quel ragazzo. Il suo fidanzato, suo fratello, un suo cugino?
C’erano anche altre foto che ritraevano alcuni ragazzi e una ragazza, oppure lei con quella stessa ragazza… Insomma, nelle foto vi erano sempre i medesimi soggetti, sempre cinque ragazzi e due ragazze. Una delle due ragazze sembrava lei, anche se sembrava fosse più giovane. L’altra ragazza aveva capelli neri come la pece lunghi fino alle spalle, occhi a mandorla scuri, era minuta e ciò le conferiva un aspetto grazioso. Sembrava fragile, così piccola, attorniata dai cinque ragazzi alti e muscolosi che in confronto a lei sembravano degli orsi.
Aveva un viso piccolo con labbra a forma di cuore, un naso dritto e lungo e la fronte ampia.
Chissà chi era quella ragazza. Poteva essere una sua parente o una sua amica, chi lo poteva sapere? Di certo non lei. No, quella ragazza non le era per nulla familiare e tantomeno gli altri cinque ragazzi nella foto. Nemmeno l’altra ragazza nella foto, lei stessa, sapeva chi fosse. Non conosceva la propria vita né riusciva a ricordarla. Altra frustrazione.
Provò a togliere tutte le foto dai portaritratti, cercando qualche nota dietro le foto, ma dietro nessuna delle immagini c’era scritto qualcosa che potesse aiutarla. Sospirò, rimettendole tutte esattamente al loro posto, tra strani oggetti inutili, statuine, trofei.
Si voltò, guardandosi attorno, cercando disperatamente informazioni. Il suo primo pensiero andò al cellulare che l’aveva svegliata quella mattina con la musica martellante che evidentemente rappresentava la sua quotidiana e rumorosa sveglia. Tornò in camera e prese il cellulare dal comodino, dove lo aveva lasciato dopo averlo zittito. Se lo rigirò tra le mani osservandolo curiosa. Sembrava costoso. Premette il pulsante centrale del telefono e questo cominciò ad accendersi. Pensò finalmente di aver trovato qualcosa in grado di aiutarla, ma il suo entusiasmo si spense dopo poche secondi, quando sul cellulare comparve una scritta “Inserire il codice PIN”. Sbuffò e spense di nuovo il cellulare per poi infilarlo nella tasca dei pantaloni.
Stava quasi per darsi per vinta, quando si ricordò del computer in salotto. Corse nella stanza, fiondandosi ad afferrarlo, con il timore che potesse scomparire da un momento all’altro, come per magia, cancellando qualsiasi indizio possibile.
Si sedette sul divano, si tolse le scarpe da ginnastica e si mise a gambe incrociate sul divano di pelle bianco, poggiando il computer sulle sue ginocchia. Lo accese e cominciò a girare tra i vari file, alla disperata ricerca di nomi di persona o luoghi.
Guardando tra le immagini ritrovò foto delle stesse persone nelle fotografie sparse per il salotto. Questo le poteva solo confermare ciò che aveva precedentemente capito, ovvero che quei ragazzi dovevano per forza essere suoi amici. Un particolare in più le fu noto, ovvero i loro nomi. La ragazza dai capelli neri si chiamava Mina, mentre non era certa che i nomi degli altri ragazzi corrispondessero ai volti a cui li aveva associati, oltretutto le sembravano tutti uguali, eccetto per i cambi di look che erano fin troppo frequenti e questo rendeva difficile riconoscerli. I loro nomi erano Junsu, Yuchun, Yunho, Changmin e Jaejoong. L’unico di cui era certa di aver azzeccato il viso erano Jaejoong e Yunho, perché erano quelli che più comparivano nelle foto, uno con lei e l’altro con Mina. Jaejoong avrebbe potuto essere il suo fidanzato, mentre Yunho quello di Mina, ma non ne era sicura, potevano anche solo essere amici o parenti dall’indole affettuosa.
Tra i documenti non trovò altro che file intitolati “Trama”, “Personaggi”, “Capitolo I”, “Capitolo II” ecc. Da questo poteva dedurre che qualcuno stava scrivendo una storia. Magari era proprio lei l’autrice del racconto in questione. Chi altri sennò? A meno che lei non avesse una o un coinquilino, chi altro avrebbe potuto scrivere tutte quelle cose? E se lei fosse una scrittrice? Magari il suo lavoro era proprio quello. Era solo una supposizione, certo, ma era pur sempre qualcosa. Meglio di niente.
Purtroppo non trovò nient’altro che potesse aiutarla.
Spense il computer, lo appoggiò nuovamente sul tavolino e si rimise le scarpe.
Si alzò dal comodo divano e si avvicinò ad una delle tante finestre che rendevano la stanza luminosa. Fuori, sopra di lei, si apriva un cielo azzurro limpido. Era meraviglioso. Non ricordava di aver mai visto un cielo tanto bello, ma d’altronde non ricordava nemmeno il proprio nome. Chissà quante volte si era fermata a guardarlo come in quel momento.
Grandi palazzi e grattacieli si innalzavano. Sembrava quasi che volessero toccare quel cielo limpido, stregati anche loro dalla sua bellezza.
Sotto, in strada, c’era un via vai di persone incredibile. C’era talmente tanta gente che sembrava i marciapiedi non fossero abbastanza grandi per contenerla tutta. Anche per strada le macchine sembravano infinite. Quante volte lei aveva fatto parte di quella massa? Quante volte si era mescolata tra la gente seguendo la corrente, andando chissà dove?
Viste da lassù, le automobili e le persone non erano altro che piccoli puntini quasi indistinguibili. Doveva trovarsi al decimo piano, se non di più.
Si allontanò dalla finestra e si diresse verso la porta che evidentemente doveva portare all’uscita. Se dentro quella casa non c’era nulla che potesse aiutarla a ricordare, sarebbe uscita. Magari avrebbe trovato qualcuno che la conosceva e avrebbe ricordato qualcosa. Non si aspettava di certo di trovare un’enorme insegna luminosa con scritto sopra a caratteri cubitali “Ti chiami Pinco Pallino e ti trovi nel Paese delle Meraviglie”, ma sperava di incontrare una persona che potesse dirle qualcosa.
Avrebbe mentito. Non avrebbe detto a nessuno “Non ricordo chi sei”, lo avrebbe fatto solo se avesse trovato una delle persone che aveva visto nelle foto sparse per la casa. In quel momento ebbe il timore di poter dimenticare quei sei volti, tornò quindi indietro e prese una foto di gruppo da uno dei portaritratti. La infilò nella tasca posteriore dei jeans scuri, cercando di non stropicciarla. Guardò un ultima volta dalla finestra, cercando di capire se facesse freddo o caldo. Decise di non rischiare uscendo con indosso solo la maglietta a maniche corte bianche con su scritto in rosso “TVXQ, AlwaysKeepThe Faith”. Tornò nella camera da letto e prese dal mobile bianco una felpa nera con dietro la stessa scritta, stavolta in bianco, della maglietta che portava. Sotto la scritta della felpa troneggiavano maestosi cinque autografi.
Chissà cosa volevano dire quelle scritte. Dovevano avere un significato importante, visto che erano riportate su entrambi i capi d’abbigliamento. O magari era solo lo slogan della marca dei vestiti.
Rivolse uno sguardo allo specchio e notò per la prima volta un dettaglio a cui precedentemente non aveva prestato attenzione: al collo portava due medagliette a forma di cuore. Su una vi era scritto “AlwaysKeepThe Faith”, sull’altra “Jaejoong”. Con espressione accigliata continuò a fissare le collanine. Non capire il perché delle cose la faceva arrabbiare e non poco. Non riusciva a capire il significato della frase e che importanza avesse per lei. Jaejoong era uno dei ragazzi delle foto, quello che più spesso compariva in atteggiamenti affettuosi assieme a lei. Ora che aveva trovato il suo nome sulla catenina, era quasi certa che fosse il suo ragazzo/marito. E se non lo era, beh, doveva essere un migliore amico o un parente veramente molto affettuoso. Lasciò ricadere le due catenine sul suo petto, con un tintinnio, per poi rivolgere uno sguardo al cassetto del comodino nero. Andò ad aprirlo senza esitazione. Dentro ci trovò un portafoglio di Chanel, una scatola blu e dei fogli. La scatola blu conteneva un anello in argento con la stessa scritta della felpa e della maglietta.
“Dannata scritta...” pensò, non riuscendo ancora a coglierne in significato.
Ripose la scatola al suo posto e prese i fogli. Erano fotocopie di alcuni documenti, contratti. Uno riportava il nome di Jaejoong e diceva “Kim Jaejoong” e ora conosceva anche il suo cognome “in concordanza con i patti stretti, le sarà vietato di avere contatti con i membri del gruppo TVXQ, Jung Yunho e Shim Changmin, cui precedentemente prendeva parte. Amici e familiari legati a lei e agli altri membri dovranno scegliere se avere il diritto di mantenere i contatti con lei o Jung Yunho e Shim Changmin.
Le apparizioni televisive saranno ristrette e dovranno essere prima discusse ed approvate dalla SM Entertainment . Le sarà permesso di trovare una nuova casa discografica e di formare un nuovo gruppo con gli altri precedenti membri dei TVXQ, Kim Junsu e Park Yuchun, ma non potrete produrre più di un disco all’anno. Se queste condizioni non verranno rispettate, il suo precedente contratto tornerà in vigore e dovrà tornare a lavorare per la SM Entertainment”.
Queste erano alcune delle parole recitate nel documento. Ma non era finita lì. Un altro file diceva: “Jil Yui, essendo lei attualmente la compagna di Kim Jaejoong, sarà sottoposta anche lei al contratto vincolante imposto a Kim Jaejoong, Kim Junsu e Park Yuchun. Avendo scelto di mantenere i contatti con gli ultimi tre indicati, le sarà vietato avvicinarsi a Jung Yunho e Shim Changmin, membri dei TVXQ da cui i tre sopra citati hanno deciso di ritirarsi, annullando il proprio contratto con la SM Entertainment.
Lei non potrà vedere, contattare o trovarsi nello stesso luogo di Shim Changmin e Jung Yunho; non potrà accedere alla sede e alle succursali della SM Entertainment e non le sarà permesso entrare a far parte della nostra società finché non deciderà lei stessa di annullare il presente atto per poter firmare un altro contratto”.
Quei due documenti l’avevano lasciata perplessa ed esterrefatta. Da quanto aveva capito i cinque ragazzi, i suoi amici presenti nelle foto che c’erano nella casa, avevano un gruppo chiamato “TVXQ” (ed ecco il perché delle scritte trovate) e si erano divisi per non si sa quale motivo. Jaejoong, Junsu e Yuchun avevano lasciato il gruppo, mentre Yunho e Changmin erano rimasti con la casa produttrice, la SM Entertainment. I contratti erano pieni di restrizioni e la più ingiusta le sembrava quella di non poter avere più contatti con Yunho e Changmin. A quale scopo? A cosa serviva tenerli lontani? Se si fossero potuti tenere in contatto cosa avrebbero potuto fare di tanto dannoso alla società? Organizzare un attentato? No, decisamente non capiva, ma non se ne fece un problema, perché aveva capito molte più cose di quanto sperava. Non era certa di alcuni particolari, come che Jaejoong fosse proprio la persona che aveva in mente (anche se in cuor suo era più che certa che fosse lui; avrebbe potuto riconoscerlo al primo sguardo, seppur non si spiegasse perché) e che quei contratti fossero veri, ma i dati forniti in quegli attestati erano molto preziosi per lei.
Il nome sull’altro documento era Jil Yui. Pensava fosse quello il suo nome, ma non ne era sicura e non voleva far affidamento su una supposizione.
Osservò di nuovo la maglietta che indossava. Always Keep The Faith significava all’incirca “mantenere sempre la fede” e ora finalmente riusciva a capire perché. Quella maglietta era un chiaro avviso che diceva a caratteri cubitali “Ehi, io sono una fan dei TVXQ e crederò sempre in loro e nella possibilità che torneranno assieme come gruppo”.
Ora che comprendeva le scritte che portava addosso e poteva supporre che Yui Jil fosse il suo nome, si sentiva più tranquilla, ma non abbandonava comunque l’idea di uscire a cercare qualcuno che le fosse d’aiuto. Di sicuro qualcuno avrebbe trovato.
Uscì dalla camera da letto dopo aver riposto i documenti al loro posto, come se toccare qualcosa avrebbe provocato una catastrofe. Tornò in salotto e andò dritta verso l’unica porta la cui soglia non aveva ancora varcato. Doveva essere quella la porta dell’uscita, per forza. Prese le chiavi che si trovavano sopra lo scaffale vicino alla porta e dopo aver preso un grande respiro, uscì cercando di tenere la testa alta ed un atteggiamento di risolutezza, come se sapesse esattamente ciò che stava facendo, anche se non ne aveva la minima idea.
Sospirò, cercando di farsi forza. La sua missione era capire dove si trovava e magari incontrare qualcuno di conosciuto che le confermasse la propria identità.  
Prese l’ascensore e scese al piano terra, dove si ritrovò in un atrio dall’aria imponente, con una portineria e una portinaia dall’aria bisbetica dietro ad un bancone.
«Salve» salutò timidamente rivolta alla portiera dall’aria annoiata e terribilmente frustrata
«Buongiorno» rispose controvoglia quella.
La ragazza uscì in strada, ritrovandosi davanti ad un fiume di persone che correvano frenetiche a destra e sinistra. Quasi tutti quelli che vedeva avevano gli occhi a mandorla. Doveva trovarsi in una qualche città dell’immensa Asia. Sì, ma chissà quale. L’Asia era così grande che sarebbe stato difficile identificare la propria posizione geografica. Poteva essere Giappone, Corea, Cina… E poi? Che altri paesi utilizzavano come caratteri di scrittura i segni? Non lo ricordava. Non sapeva se era mai stata brava in geografia, visto che non ricordava assolutamente nulla, ma non doveva essere molto brava, visto che ricordava solo quei tre paesi. Oh, com’era frustrante non ricordare nulla…
Decise di non allontanarsi troppo dall’edificio, altrimenti non avrebbe saputo come tornare indietro e avrebbe passato la notte e chissà ancora quanti giorni, fuori casa.   
Si guardò attorno, cercando il nome della via in cui si trovava. Almeno se si fosse smarrita avrebbe chiesto a qualcuno il nome della via per tornare indietro. Dopo aver memorizzato nome e numero civico dell’ubicazione della sua abitazione, cominciò a camminare senza una meta precisa. Ma cosa le era passato per la testa? In che modo avrebbe mai potuto trovare qualcosa che le dicesse dove si trovava? Non poteva certo andare da qualche passante e chiedergli “Scusi, sa dirmi dove mi trovo?”, avrebbe fatto la figura della pazza. No, doveva per forza trovare un altro modo.
Si ritrovò davanti ad un giornalaio dal quale uscì un uomo robusto con i capelli bianchi ed un sorriso sul viso.
«Salve Jil-sshi!»salutò «E’ da parecchio che non viene a prendere il giornale. Comunque, ecco a lei, “Seoul news” come sempre, vero?» disse dandole in mano un giornale scritto nella stessa strana lingua in cui erano scritti i libri che aveva trovato in casa.
L’uomo doveva per forza stare parlando con lei, d’altronde le aveva messo in mano un giornale. L’aveva chiamata Jil-sshi. Ebbene era quello il suo nome? Aveva letto sul documento ritrovato in casa quel nome: Yui Jil. Ma l’anziano signore dall’aria gentile l’aveva chiamata Jil-sshi. Decisamente, non stava capendo nulla. Insomma, quale diamine era il suo nome?!
«Ah, sì, molte grazie» disse con un piccolo sorriso cercando di apparire naturale.
Strinse il giornale con le due mani. Il titolo del quotidiano diceva “Seoul News, dal 1800 il primo giornale della capitale della Corea del Sud”. Dopo aver letto il titolo, la ragazza si tranquillizzò, avendo finalmente capito il luogo in cui si trovava. Era nella Corea del Sud e abitava nella capitale, Seoul. O era lì forse di vacanza? No, doveva per forza abitarci, visto che l’edicolante le aveva parlato con familiarità, come se lei andasse sempre lì a prendere lo stesso giornale. Una quotidianità che, a quanto detto dall’anziano signore, si era interrotta da un po’ di tempo. Chissà come mai. Sentiva quel luogo estremamente familiare e allo stesso tempo distante. Sentiva di appartenere a quel luogo, ma anche che non era casa sua. Era una sensazione strana da esprimere a parole, la stessa ragazza non sapeva spiegarlo. 
«Jil-sshi, è sicura di stare bene? Non vorrei mancarle di rispetto, ma mi sembra un po’ strana oggi…» disse cauto l’uomo. Quell’uomo, con la lunga barba, il pancione, i baffi bianco candido… sì, quell’uomo le ricordava un po’ Babbo Natale. Le faceva tenerezza.
«Sto bene, grazie. E’ solo che per un istante ho dimenticato di essere qui» disse con un sorriso.
L’uomo sorrise ed annuì, come se potesse capire le parole enigmatiche della ragazza dai lunghi capelli neri.
«Posso chiederle come procede il suo libro?» chiese lui
La ragazza ebbe l’ennesimo attimo di smarrimento, colta per un secondo dal panico. Non aveva una risposta pronta, non sapeva di cosa lui stesse parlando. All’improvviso però si ricordò dei file di cui aveva letto i nomi sul computer che aveva esaminato in cerca di indizi sulla propria vita.
«Si può dire che procede bene. Sono a buon punto».
«Spero lo pubblicherà presto, sono ansioso di leggerlo. Come ben sa, sono un suo grande fan…» ammise l’edicolante arrossendo ed abbassando lo sguardo.
La ragazza sorrise «Le riserverò una copia in esclusiva con dedica personalizzata».
L’uomo fece un piccolo inchino evidentemente pieno di gioia nell’aver udito quelle sue parole «La ringrazio infinitamente Jil-sshi».
«Si figuri» disse con l’ennesimo sorriso. Era impossibile non sorridere trovandosi di fronte a quel caro signore. Aveva un aspetto dolce, le trasmetteva tenerezza e quel suo modo di sorridere le metteva allegria. Chissà qual’era il suo nome. Ma non glielo avrebbe chiesto, sarebbe stato scortese e probabilmente lui ci sarebbe rimasto male nel sentire la ragazza chiedergli il nome dopo chissà quanto tempo che lei probabilmente andava a comprare il giornale da lui.
«Ah, quanto le devo per il giornale?» chiese la ragazza con un sorriso. Non aveva un soldo dietro, ma tornando a casa avrebbe di sicuro trovato dei soldi da dargli.
«Si è già dimenticata di avermi pagato il giornale per una durata di tre anni?» chiese con una piccola risata
Yui scosse lentamente la testa con un sorriso, interpretando perfettamente il suo ruolo «Ah, me n’ero veramente scordata!» si portò una mano alla fronte con gesto teatrale, per poi fare un piccolo inchino verso l’uomo e dire «Mi scusi, ma ora devo proprio andare.Domani tornerò a prendere il giornale» disse come se fosse una solenne promessa.
«Allora a domani Jil-sshi!»
La ragazza fece un ultimo sorriso all’uomo e fece retro front. Ormai sapeva dove si trovava e il proprio nome – o almeno secondo gli indizi era sicuro al 90% che Yui Jil fosse il suo nome.
Così non le rimaneva che tornare a quella che riteneva casa sua e trovare dei numeri di telefono e il modo in cui chiamare, visto che usare il cellulare era impossibile!
Ora che sapeva quelle cose si sentiva più tranquilla.
Strano, la memoria proprio non le tornava, però. Aveva scoperto di trovarsi a Seoul, in Corea, ma questo particolare non le faceva tornare alla mente assolutamente nulla della sua vita. Quella perdita di memoria era proprio insolita, ma lei non se ne sentiva spaventata, più che altro era incuriosita dal fatto che non riuscisse a ricordare assolutamente nulla. Comunque il fatto di dover ritrovare il suo passato la emozionava. Si sentiva un po’ un detective, perché proprio come facevano questi ultimi, doveva trovare informazioni sulla sua vita senza destare sospetti nelle persone che evidentemente la conoscevano. Un sorriso storto comparve sul suo viso, mentre quasi rideva di sé stessa. Ogni persona si sarebbe spaventata di fronte ad un fatto così strano come la perdita di memoria improvvisa, invece a lei stuzzicava curiosità. Certo che era proprio strana come persona. Evidentemente non era una ragazza comune, doveva essere una pazza uscita da poco da un manicomio. Oppure un po’ fuori di testa perché, da quanto aveva capito, era una scrittrice.
Camminò immersa nei suoi pensieri e non si accorse di aver già passato da un pezzo il numero civico del suo palazzo. Non ci fece per nulla caso, lei semplicemente continuò a camminare, rapita dalla maestosità dei palazzi attorno a lei e dai visi delle persone. Tutto le era nuovo, quella vita le era completamente estranea. Chissà quante volte aveva percorso quelle strade con espressione annoiata, chissà quante volte era passata davanti allo stesso negozietto di orologi senza dargli importanza, continuando a camminare come un automa proprio come facevano le persone che le passavano accanto. Come potevano non fermarsi a guardare ogni vetrina, ogni più piccolo particolare? Era tutto così meraviglioso che era impossibile ignorare lo spazio circostante. Si chiedeva come facesse la gente a non rimanere impressionata ogni volta. Doveva per forza essere perché, vedendole tutti i giorni, avevano smesso di meravigliarsi e trovare tutto magico. Evidentemente lei guardava ciò che le stava attorno con occhi diversi perché tutto quello era qualcosa di nuovo per lei. Non ricordava di aver mai visto nulla di tutto ciò, così per lei era come se fosse una turista appena arrivata in città, sorprendendosi anche solo per la quantità di persone che scorreva sul marciapiedi senza mai sosta. Sembrava che quella folla fosse infinita, interminabile.
Che ore erano? Per quanto tempo aveva camminato?
Non si era accorta del tempo che passava né capiva dove si trovasse e come ci fosse arrivata. Provò a guardarsi attorno, cercando qualche punto di riferimento. Guardò il nome della via in cui si trovava, ma non le diceva nulla.
Il panico cominciò ad assalirla, ma si impose di rimanere calma. Chiuse gli occhi, prese un gran respiro e tentò di calmarsi. Decise di chiedere a qualche passante. Chiese a tre o quattro persone, ma tutti le avevano risposto “Scusi, non lo so” oppure “Non ho tempo mi spiace” o non l’avevano calcolata di striscio.
Notò una ragazza con vari pacchi in mano camminare lentamente. Decise di chiedere a lei, riponendo la sua fiducia nella sconosciuta.
La ragazza in questione era bassina e magra, con capelli castano chiaro lisci e con una frangetta ordinata che evitava di coprirle gli occhi, arrivando all’altezza delle sopracciglia. Aveva grandi occhi a mandorla marrone scuro, labbra piccole a forma di cuore e un naso sottile.
«Scusami…» provò a dire gentilmente toccandole un braccio per fermarla.
La ragazza si voltò verso di lei e il suo volto esplose in un sorriso.
«Yui! Che sorpresa trovarti in giro a quest’ora!» disse la ragazza con un gran sorriso. L’aveva chiamata Yui, quindi quello era il suo nome, ne poteva essere sicura al 100% ora.
Osservando meglio la ragazza, notò che somigliava molto alla ragazza che ricorreva spesso nelle foto che c’erano in casa sua. Anzi, era proprio lei!
Se era una sua amica poteva quindi anche smetterla di fingere. A che scopo mentire con una sua amica che avrebbe invece potuto aiutarla? Ma cosa le poteva dire?
«Scusami, noi ci conosciamo?» provò a dire Yui
La ragazza sgranò gli occhi. Sembrò quasi che potessero saltare via dal viso.
«Yui, ti senti bene? Effettivamente è strano che tu esca, soprattutto in questi ultimi mesi…» disse la ragazza con espressione pensierosa. Avvicinò una mano alla fronte di Yui, toccandogliela per verificare se avesse la febbre.
«No, la febbre non ce l’hai» disse con un sorriso
«Mi spiace, ma non ricordo chi tu sia… Sei una mia amica?» chiese cauta Yui
La “sconosciuta” scosse la testa leggermente con espressione contrariata «Yui, io sono la tua migliore amica, come puoi non ricordarti di me?»
Un’espressione mortificata comparve sul viso di Yui. Se quella ragazza era la sua migliore amica doveva averle appena detto qualcosa di terribile. Dimenticare la propria migliore amica non era esattamente un gesto d’amicizia profonda.
«Non sai quanto mi spiace, ma è da stamattina che non ricordo assolutamente nulla. Non conosco nemmeno la mia stessa identità…»
«Cosa?! Yui, mi stai dicendo la verità? Guarda che se è uno scherzo non te lo perdono!» disse con espressione accigliata.
Yui scosse la testa «Non ti sto mentendo e, se è vero che sei la mia migliore amica, per favore, aiutami… Non ricordo assolutamente nulla della mia vita» disse con aria di sconforto.
La ragazza che doveva chiamarsi Rina o Mina o qualcosa di simile, sospirò, massaggiandosi le tempie.
«Sicura di non ricordare proprio nulla?» chiese ancora una volta.
Yui scosse la testa in segno negativo.
«Ok… Se vieni a casa mia ti spiego un po’ di cose… Prima di tutto: ricordi almeno il tuo nome completo?»
«Ho scoperto di chiamarmi Jin Yui e che siamo a Seoul in Corea del Sud» ammise con sincerità.
«E’ già qualcosa…» borbottò Mina «Forza, aiutami e seguimi» ordinò, porgendo a Yui alcune delle pesanti buste che portava in mano.
Camminarono in silenzio, come fossero due sconosciute. Ed effettivamente era così, almeno per Yui. Per lei, trovarsi accanto a quella ragazza era come stare accanto ad un’estranea. Lei non si ricordava di Mina, non ricordava la loro amicizia, quante volte avessero riso o litigato. Non ricordava assolutamente nulla, quindi era più che plausibile il loro silenzio.
Dal canto suo, Mina soffriva molto per quella situazione. La sua migliore amica aveva dimenticato tutta la sua vita, aveva dimenticato tutti i loro ricordi, le volte in cui si erano quasi uccise per la sbadataggine, le volte in cui si erano ubriacate con il succo d’arancia, quando si accapigliavano per l’ultima fetta di torta al cioccolato… Come poteva aver dimenticato tutto quello? Per Mina era inconcepibile la perdita di memoria dell’amica, si sentiva vuota e persa pensandoci. Era come aver perso una parte fondamentale di sé.
No, Yui non poteva aver dimenticato tutto di punto in bianco. Doveva aver per forza preso un brutto colpo in testa o qualcosa di simile. Aveva sentito di persone che, in seguito ad un esperienza traumatica, perdevano la memoria. Dicevano fosse un tentativo di autodifesa del cervello e del cuore. Il cuore aveva deciso di dimenticare qualcosa di troppo doloroso da affrontare e quei ricordi erano pressoché impossibili da recuperare. Ma in caso fosse successo qualcosa del genere a Yui, quale avvenimento avrebbe potuto sconvolgerla al punto da dimenticare la sua intera vita? Magari la lontananza di Jaejoong le era cominciata a pesare tanto che aveva preferito dimenticare tutto? No, non era plausibile. Altrimenti avrebbe perso la memoria tre mesi prima, quando Jaejoong era partito.
Inutile, Mina non riusciva a venirne a capo da sola. Quanto avrebbe voluto avere accanto quel genio di Yunho in quel momento. Il suo migliore amico di sicuro sarebbe riuscito a capirci qualcosa, intelligente com’era. Ma non potevano vedersi, non finché c’era nei paraggi Yui. Se avesse avuto dietro una parrucca di scorta gliel’avrebbe fatta indossare e avrebbe potuto incontrare Yunho, ma ne aveva solo dietro una, la sua. Se ne portava sempre dietro una, in caso “d’emergenza”. Non si sapeva mai… Aveva sempre bisogno del suo aiuto e avrebbe potuto necessitarne in qualsiasi momento. Almeno era pronta all’evenienza.
Magari gli avrebbe telefonato per cercare di risolvere quella strana situazione. Una soluzione l’avrebbero trovata assieme. Mina sperava solo che non si sarebbe intromesso anche Changmin. Quel ragazzo aveva la capacità di far saltare completamente i suoi nervi. Si chiedeva come potesse essere tanto amico di Yui. Chissà come avrebbe reagito lui di fronte al vuoto mentale di Yui. Avrebbe avuto la stessa reazione di Mina? No, Changmin non era assolutamente come lei e non doveva nemmeno pensarci. Anzi, non doveva proprio pensare a lui, non in quel momento e in quelle circostanze. Avrebbe potuto coltivare il suo odio per lui in un altro momento. Ora doveva pensare alla sua amica e ad un modo per farle tornare la memoria.

 
__________________________________________________________________________________________________________

Spazio autrice : D

Scusate, so che il capitolo 4 era stato già postato! Purtroppo quello era il capitolo sbagliato! Essendo che sto scrivendo due versioni di questa storia (una con i nomi dei TVXQ e l’altra con nomi diversi per far sì che risulti una storia originale), mantenendo però sempre lo stesso titolo, ho confuso i due file con dentro la storia e ho postato il capitolo sbagliato!
Comunque gli unici elementi differenti di questo capitolo con quello precedente sono i vestiti della protagonista e i contratti ^^
Spero il capitolo vi sia piaciuto!
Il prossimo capitolo, il capitolo V chiamato “추억  Chueok – Ricordi” sarà presto postato. Ho già fatto la prima stesura del capitolo, adesso non resta che rivederlo per bene ^^ Spero potrete leggerlo presto : )
Un saluto, grazie a chi legge questa fan fiction!
Recensite, recensite, recensite, mi raccomando u.u
 
Baci,
LucyCassiopeia : )
 

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > TVXQ / Vai alla pagina dell'autore: LucyCassiopeia