Il Sigillo
Sei mesi.
Ventiquattro settimane
d’inferno.
Centosessantotto giorni da quando la
sua nuova dannatissima
vita era iniziata.
Da quando il suo Demone di
Maggiordomo ha deciso, di sua
spontanea iniziativa, di trasformarlo in demone, la sua esistenza era
cambiata.
Chi glielo aveva chiesto poi? Nessuno.
Tuttavia ritrovarsi a fare
da
servetto o da animale da
compagnia, a dir si voglia, a quello che era stato il suo maggiordomo
era
troppo per Lui.
Lui è stato il
Conte Ciel
Phantomhive, e che diamine!
Uno dei personaggi con più
potere della corte inglese!
Era giunto al limite, il suo orgoglio
di nobile non avrebbe
mai accettato una situazione simile un solo secondo di più.
Si diresse deciso verso
l’armadio per scegliere da sé i suoi
abiti, azione ormai consueta visto che non aveva servitù.
L’anta
dell’armadio era composta da un enorme specchio, dove
il giovane demone guardò, come tutti i giorni, il suo
riflesso.
Sembrava un normale essere umano.
Il corpo nudo, elegante e
ben
proporzionato faceva sfoggio
di sé sotto il suo sguardo.
I capelli, color petrolio, erano
sempre acconciati alla
medesima maniera.
Gli occhi, di un profondo blu
cobalto, percorsero la sua
figura e… lo vide.
Le iridi si accesero
d’improvviso di rosso cremisi.
Vide quel maledetto
simbolo nero, che
spiccava sulla sua
pelle nivea.
Vide quel maledetto simbolo inciso
sul suo petto all’altezza
del cuore.
Vide quel maledetto simbolo, che lo
marchiava come creatura
di proprietà di quell’Essere Dannato.
Affondò nella sua stessa
carne, fino a lacerare la pelle
all’altezza del cuore.
Il sangue sgorgava dalla ferita e
macchiava la sua pelle
d’alabastro.
Lacrime vermiglie di un cuore
oltraggiato.
Ma, come ogni volta, dopo
pochi
secondi, la carne che era
stata lacerata si richiudeva e il sangue si fermava. Nessuna cicatrice
restava
su quella pelle perfetta.
E, come sempre, quel maledetto
simbolo ricompariva perfetto
come a prendersi gioco di lui.
Guardò i suoi
occhi
riflessi nello specchio.
Quante volte aveva fatto quella scena?
Quante volte si era detto che non
avrebbe sopportato oltre?
Ormai ne aveva perso il conto.
Sospirò.
Aprì
l’armadio,
prese i suoi abiti e si vestì.
Quel palazzo lo aveva colpito fin dal
primo giorno, ma non
per le dimensioni, che potevano avvicinarsi alla sua ex residenza
cittadina di
Londra, bensì per lo stile e l’eleganza che
trasudavano da quei muri.
La magione Phantomhive, in confronto,
era quasi una casolare
di campagna.
Ogni elemento era composto da
materiali preziosi e nulla,
nemmeno un particolare, era costruito con materie dozzinali o di basso
valore.
I colori predominanti della struttura
erano il nero e le
varie tonalità del grigio.
Le stoffe variavano dal rosso rubino
al rosso cupo, colore
del sangue.
L’unica stanza che faceva
eccezione era la sua dove i
tendaggi e la biancheria da notte era di varie sfumature di blu.
Non c’era da stupirsi, era
l’unico occupante della dimora in
quel momento.
Prima di scendere, il suo
sguardo si
perse nel buio del
corridoio che continuava alla sua destra.
Quella era la Sua ala della villa.
Lì c’era la Sua
stanza da letto.
Solo una volta era stato nella camera
di quell’essere.
Solo quel maledetto giorno.
Il giorno in cui era iniziato
quell’incubo.
I ricordi si risvegliarono
prepotentemente nella sua mente.
“Ora siete
una mia creatura…
Un essere
dall’anima corrotta…
Un Demone…
Benvenuto nella vostra nuova, dannata ed
eterna vita, Ciel Phantomhive…”
Silenzio.
Un silenzio assordante riempiva
quella stanza da letto.
Quante volte aveva visto,
in passato,
gli occhi di Sebastian
tingersi di cremisi?
Troppe per non vedere che i suoi
occhi ora erano identici.
La sua testa era percorsa da mille
pensieri, ma non riusciva
a formularne nessuno di senso compiuto.
Chinò la testa in avanti,
fino a coprire gli occhi, che ora
lo ripugnavano, con
la frangia.
Prese un profondo respiro.
Doveva liberare la mente e far
funzionare il cervello.
Il senso di pesantezza che lo
opprimeva era sparito.
Alzò lo sguardo nuovamente
sulla sua immagine.
I suoi occhi erano tornati di quello
splendido blu cobalto
che tutti ammiravano.
Lui era Ciel Phantomhive, che fosse
umano o demone erano
dettagli.
Quel Essere non l’avrebbe
avuta vinta. Mai.
Il
suo cuore era impazzito
Tumph
Tumph
Si accasciò contro lo
specchio.
Urlò come non aveva mai
fatto.
Il calore si era concentrato sul suo
petto, sul cuore.
lo vide per la prima volta.
Sulla sua pelle lattea un sigillo
incandescente era
comparso.
Il simbolo che prima adornava il suo
occhio, ora, era sul
suo cuore.
“Anf…
anf… Che diavolo…”
Con due dita nude percorse le linee,
ormai scure, del
sigillo.
Un brivido attraversò la
spina dorsale del ragazzo.
Le dita affusolate di colui che fu il
suo maggiordomo
continuarono il loro percorso.
Passarono dal simbolo sul petto, alla
clavicola.
Poi al collo.
Giunsero infine al mento.
Con una leggera pressione,
quell’essere, obbligò colui che
era stato il suo padrone ad alzare il viso, così che
potessero guardarsi negli
occhi.
“Non
sarò mai tuo!”
La
mano che aveva osato toccarlo fu
scacciata.
“Mph…
Povero sciocco Ciel… lo siete
già…”
La rabbia dentro di lui crebbe.
Il blu divenne cremisi.
I canini si appuntirono.
Le unghie si affilarono.
Si bloccò di colpo, a
pochi centimetri dalla gola.
Dolore lancinante.
Il sigillo bruciava come il fuoco
dell’inferno.
Il sigillo ve lo
impedirà fino ad arrivare quasi ad uccidervi se
necessario.
Rassegnatevi. Siete
mio. Per l’Eternità”
“M-mai.
N-non mi sottometterò mai a te…
mai…”
Fine Flashback
Scosse la testa per
scacciare quei
ricordi maledetti.
Riprese il suo cammino e scese le
scale.
Si diresse verso la
biblioteca, dove
passava la maggior
parte del suo tempo. Stava dedicando ogni minuto possibile alla ricerca
di una
qualche scappatoia a quella situazione. In quella moltitudine di testi
umani e
soprattutto non umani doveva trovarsi una soluzione al suo problema.
Afferrò la maniglia
d’argento.
Il sigillo reagì.
Un brivido gelido gli corse lungo la
spina dorsale.
Era tornato.
Quell’essere Dannato era
tornato.
Solo il sapere di vederlo lo faceva
andare ai pazzi.
E sia, scappare non
sarebbe stato da
lui, non era nemmeno
pensabile.
L’avrebbe affrontato a
testa alta, come sempre.
Fece un respiro profondo ed
oltrepassò la soglia.