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Autore: Kary91    11/03/2012    22 recensioni
Sono trascorsi quasi trent'anni da quando abbiamo incontrato per la prima volta Elena Gilbert e i fratelli Salvatore.
A Mystic Falls molte cose sono cambiate da allora; i ragazzi sono cresciuti, gli adulti invecchiati. Nuove generazioni di adolescenti portano il cognome delle famiglie fondatrici, eppure certi dettagli hanno concluso per rimanere in circolazione nella vita di ogni giorno destinati a ripetersi all'infinito ; in un modo o nell'altro la storia si ripete e Caroline Forbes di questo è al corrente, nel momento in cui decide di tornare a Mystic Falls:questa volta per restare.
***
“…Hai presente quando eravamo piccoli e io cercavo di farti cagare sotto, raccontandoti storie di cadaveri sanguinolenti e orripilanti mostri succhia-sangue?”
Jeffrey assunse un’espressione perplessa.
“Me lo ricordo fin troppo bene, direi…”
“Ricordi anche quando cercavo di convincerti che mio padre fosse un lupo mannaro?”
“Per via di quella storia, avevo incominciato ad andare nel panico ogni volta che rimanevo da solo in una stanza con lui…”
“…E se ti dicessi che non tutte le stronzate che dicevo da bambino fossero effettivamente delle balle?”
“Ti risponderei che bevi troppo.”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert, Jeremy Gilbert, Matt Donovan, Nuovo personaggio, Tyler Lockwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'It calls me home.'
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Chapter 7.

The Turning Point.

(part 1)

Tutti noi ci immaginiamo artefici del nostro destino, capaci di determinare il corso delle nostre vite.

 Ma siamo davvero noi a decidere la nostra ascesa e la nostra caduta?

O c'è una forza più grande di noi, che stabilisce la nostra direzione?

 

È la scienza a indicarci il cammino?

È Dio che interviene per tralci in salvo?

Non poter scegliere il proprio percorso è la triste condizione dell'uomo.
Gli è solo dato come atteggiarsi quando il destino chiamerà.

 Sperando che non gli manchi il coraggio di rispondere.

 

da Heroes. (episodio 1x02)



E… arrivati!” annunciò allegramente Xander spegnendo il motore dell’auto. Caroline sganciò la cintura di sicurezza e guardò fuori dal finestrino con aria truce.

“Piove.” commentò, visibilmente seccata. “È la prima volta che torniamo al lago dopo mesi e piove: grandioso…

“Ah, non fare i capricci.” l’ammonì l’amico infilandosi il cappuccio, per uscire dall’auto. Caroline fece altrettanto. Si strinse le braccia al petto per ripararsi dalla pioggia.

“Freddo.” commentò rabbrividendo, quando finalmente riuscì a mettere piede in casa. Xander abbandonò le chiavi della macchina sul tavolo e si sfilò il cappuccio.

“Uhm, magari la prossima volta l’ombrello ce lo portiamo, eh?” commentò frizionandosi i capelli con le mani. Caroline sbuffò.

“Non è colpa mia se non c’era più spazio nel borsone.” obiettò, sfilandosi le scarpe sporche.

“Oh, per forza, ti sei portata dietro tutta casa tua.” la rimbeccò Xander, dandole un colpetto sul fianco. “Bah, le donne.” aggiunse, lasciandosi cadere sul divano. Caroline si accigliò.

“Alexander, vuoi che ti tiri una scarpa in testa?” domandò, recuperando la converse e sventolandogliela sotto il naso. “Guarda che lo faccio! E i tuoi capelli non gradirebbero.”

Il ragazzo sghignazzò, “Niente più commenti sulle donne, promesso.” si arrese, sfilandosi a sua volta le scarpe per potersi distendere. “Ah, mi è mancato questo posto.” commentò poi, intrecciando le dita dietro la nuca.

Caroline spinse le gambe dell’amico verso lo schienale per farsi spazio e si sistemò a sua volta.

“Comoda?” si informò il ragazzo, prima di rivolgere un’occhiata distratta in direzione del camino; si sorprese a sorridere. Quel soggiorno era un mosaico di dettagli rimasti invariati nonostante il trascorrere del tempo. Oggetti con una collocazione ben precisa, mensole ornate da fotografie incorniciate, cianfrusaglie sparse in giro per la stanza che notava ogni volta. C’erano le pantofole sue e di Oliver di quando erano piccoli, ancora accantonate sotto la poltrona: stranamente né a lui, né a nessun altro, era venuto mai in mente di buttarle. Stavano lì fin da quando aveva memoria. C’era la sua chitarra, appoggiata come sempre al piedistallo vicino al caminetto, nel posto in cui la trovava ogni volta che tornava in quella casa; Caroline gli aveva chiesto più volte di insegnargli qualche accordo, ma non era nemmeno mai riuscito a farle capire come imbracciare lo strumento musicale: la ragazza si stufava sempre prima. C’era una pila di fogli scarabocchiati sul tavolo, reduci delle partite a pictionary giocate assieme alla sua famiglia. Per ogni oggetto, un ricordo; e ogni ricordo aveva il potere di farlo sorridere. Aveva trascorso dei bei momenti, in quella casa.

Sei contento, Xander bello?” domandò in quel momento Caroline, stendendosi al suo fianco. Il ragazzo allungò il braccio per cingerle le spalle e rivolse all’amica un sorrisetto soddisfatto.

“Xander bello è contento.” confermò, permettendole di stringersi a lui. “La signorina Lockwood è contenta?” chiese allo stesso modo. La giovane annuì, appoggiando il capo sul suo petto.

“Sì, sono contenta, ma c’è davvero un tempo di cacca.” si lamentò mettendo il broncio, prima di tornare ad accigliarsi. “Doveva mettersi a piovere proprio oggi?” commentò. Xander scattò a sedere.

“Le mazze da hockey le abbiamo, no?” le fece notare con un sorrisetto sghembo. Caroline non disse nulla; l’interrompersi brusco di quell’abbraccio l’aveva quasi infastidita, e si sentiva sorpresa, per via di quell’insolita impressione.

“Mettiti i pattini, dai.” esclamò a quel punto il ragazzo, alzandosi in piedi. “Oggi la partita la si gioca in casa… in tutti i sensi.”  annunciò, dandole poi una pacca sul braccio.

Caroline sbuffò, sollevandosi pigramente dal divano. Si chinò per sbirciarci sotto e recuperò il paio di pattini, che teneva lì sin dal loro primo week-end assieme.

“E va bene.” annunciò infine, rivolgendogli un’occhiata di sfida. “Tanto posso stracciarti anche se giochiamo dentro.” annunciò, annuendo tronfia. Xander minimizzò con una scrollata di spalle.

“Bah, impossibile. Considerati già battuta.” commentò, incominciando a gironzolare per il soggiorno con i pattini allacciati ai piedi“Facciamo una scommessa? Se vinco io mi prepari i biscotti!” aggiunse con aria d’un tratto più vivace, prendendo a pattinarle attorno. Caroline si sollevò a sua volta e si mosse in direzione del borsone. Recuperò una delle mazze da hockey e con l’altra mano raccolse la sacca, per portarla nella camera da letto.

“E se vinco io?” domandò poi con una punta di malizia nello sguardo. Xander, che l’aveva seguita, si grattò il capo con aria poco convinta.

“Uh, tanto non vinci.” ribattè, incrociando le braccia sul petto. “È inutile che ci mettiamo a pensare a cosa… ehi, non distruggermi la casa!” aggiunse improvvisamente. Caroline aveva vacillato per un istante, finendo per colpire il muro con la mazza da hockey. La ragazza si appoggiò alla parete con la mano libera, arrossendo lievemente.

“Ho perso un attimo l’equilibrio.” si scusò, continuando a tastarne la superficie. Da imbarazzata, la sua espressione si fece d’un tratto incuriosita. “Xan, hai sentito che rumore ha fatto la parete, quando l’ho colpita?” domandò.

“Il rumore di una parete che rischia di sfasciarsi.” commentò il ragazzo, pattinando fino a raggiungerla. “Un rumore che non mi piace per niente. Metti via quella mazza, sei pericolosa.”

“Sul serio, Alexander, suonava come se fosse vuota. Secondo me c’è qualcosa, qua dietro.” aggiunse la ragazza, porgendogli la mazza da hockey. Bussò con le nocche contro la parete, e infine si allontanò, quando con titubanza l’amico incominciò a colpire il muro con l’arnese. Una dopo l’altra, un paio di assi si scostarono, lasciando intravedere qualcos’altro.

“Avevi ragione.” mormorò Alexander spostando le tavole. “C’è una porta qua dietro.”

Lo sguardo di Caroline si illuminò.

“Aprila!” esclamò entusiasta, appoggiandosi alla spalla dell’amico per vedere meglio. Xander fece una smorfia.

“È chiusa a chiave.” commentò, prima di cambiare espressione. “No, aspetta. Niente chiave, qualcuno ha fracassato la serratura. Si apre tranquillamente.” obiettò quando spinse la porta con la mano che si aprì senza alcuna difficoltà.

“C’è qualcosa dentro?” domandò la ragazza, sbirciando oltre la spalla di Xander. Il ragazzo guardò di fronte a sé con aria perplessa.

“Nah. Sembra uno sgabuzzino, ma è vuoto.” commentò, allontanando l’amica con delicatezza per poter fare qualche passo avanti. Era vero: gli bastò un’occhiata per intuire che, fatta esclusione per le schiere di ganci appese alle pareti, in quella stanza non ci fosse nulla, oltre che polvere e probabilmente tarme. Xander analizzò il pavimento con aria incuriosita e poi sollevò il capo per controllare la parte alta della stanza; quel posto somigliava effettivamente a un ripostiglio, ma non riusciva a spiegarsi il significato di tutti quei ganci.

“E perché dovrebbe esserci uno sgabuzzino, nascosto nella stanza dei tuoi?” domandò a quel punto Caroline. “Secondo me c’è dell’altro, proviamo a controllare bene.”

“Non c’è niente, ho guardato dappertutto.” la rassicurò il ragazzo, prima di appoggiarsi una mano sullo stomaco.

“Oh oh.” borbottò infine allontanandosi dalla parete. Caroline spostò la sua attenzione verso il ragazzo.

“Che cosa c’è?”

Xander sorrise, battendosi più volte una mano sulla pancia.

“Stomaco! Pappa!” annunciò allegramente, indicando con la mazza da hockey l’uscita della stanza. “Andiamo a mangiare?” la supplicò poi.

Caroline sbuffò, pur lasciandosi sfuggire un sorrisetto divertito.

“Ovviamente, il cane va nutrito.” ribattè infine, dandogli un colpetto sulla nuca. “Va bene, prepariamoci qualcosa!” si arrese infine, pattinando fino al corridoio. Xander aggrottò le sopracciglia.

“Ehi, non darmi del cane, bella!” le gridò dietro, lanciando la mazza da hockey sul letto.  “Non abbaio mica!” Caroline rise.

“Va bene, allora ti darò delporcospino’.” lo rimbeccò dalla cucina “Con quei capelli lì non mi viene in mente niente di meglio.”

“Ma a te piacciono i miei capelli!” obiettò il ragazzo, dandosi la spinta con la mano per raggiungere il letto. Nel voltarsi, uno dei suoi pattini si scontrò con qualcosa, e il ragazzo fu costretto ad aggrapparsi alla parete per non perdere l’equilibrio.

Ma che diavolo…

Si chinò, per controllare cosa gli avesse intralciato la strada; recuperò un volumetto incastrato fra il suo pattino e la parete del ripostiglio. Ne analizzò la copertina con attenzione: sembrava molto vecchio.

“Caroline, ho trovato qualcosa!” annunciò in quel momento, rigirandosi il quaderno fra le mani; svoltò la prima pagina e aggrottò le sopracciglia per decifrare il nome che spiccava in un angolo, trascritto con una calligrafia minuta: Jonathan Gilbert. Sfogliò ancora qualche pagina e analizzò con aria incuriosita schiere di parole accantonate le une alle altre. Davano l’impressione di essere state ammonticchiate a forza, quasi chi le avesse scritte avesse cercato di far rientrare tante informazioni nel minor spazio possibile.

“Che cosa hai detto?” Caroline gli gridò dalla cucina. Alexander non rispose. Si accoccolò sul pavimento e prese a sfogliare il quadernetto, incuriosito dall’aria consunta di quei fogli. Studiò un paio dei disegni che spuntavano qua e là in mezzo alle annotazioni e si stupì, quando individuò la data di uno degli ultimi, tratteggiata a inizio pagina: 22 Novembre 1864. Aveva tra le mani il diario di un vecchio antenato di famiglia.

“Alexanderporcospino’!” l’esclamazione decisa di Caroline lo convinse a distogliere lo sguardo dalla pagina. “Se non muovi le chiappe subito per venire a darmi una mano, giuro che i biscotti li do tutti a Silver!”

Xander rise, arruffandosi i capelli ancora umidi, prima di sollevarsi da terra. Scoccò un’ultima occhiata pensierosa al volumetto e lo abbandonò sul letto, per poi pattinare fino al soggiorno.

“Uh, biscotti!” annunciò leccandosi le labbra con aria soddisfatta. “Porcospino in arrivo!”

Il diario del suo antenato, pensò picchiettandosi una mano lo stomaco, l’avrebbe controllato più tardi.

***

“A che ora uscite, questa sera?” domandò Elena facendo ingresso in cucina. Jeff smise di scribacchiare sul suo libro e rivolse lo sguardo in direzione della donna.

“Non so, le otto?” propose, voltandosi a osservare la sorella accoccolata sul tappeto; Vicki stava facendo zapping con aria annoiata, i piedi scalzi a giocherellare con un cuscino poco distante.

“Vic, tu cosa fai? Vieni su con me e Ricki o passi più tardi con Autumn?

Victoria tentò di soffiare via un ciuffo di capelli che le era scivolato sugli occhi, ma con scarso successo. Sbuffò, decidendosi a darsi una sistemata alla frangia con le mani.

“Io e ‘tumn non veniamo. Abbiamo una certa cosetta da fare.” spiegò, abbandonando il telecomando sul divano per raggiungere il fratello. “Magari facciamo poi un salto al Grill più tardi.”

Jeffrey la osservò con ara poco convinta.

“E vuoi perderti Ricki ubriaco?” esclamò in quel momento Matt, entrando in cucina a sua volta. “Non ci credo nemmeno un po’ .”

La ragazza sbatté le ciglia un paio di volte e sorrise.

“Ovvio che non voglio perdermelo.” spiegò. “Ma ‘tumn sta passando un periodo un po’ bizzarro e voglio cercare di aiutarla a risolvere la faccenda, tutto qui!” annunciò allegramente la ragazza, prendendo posto a fianco a Jeff. I due genitori si scambiarono un’occhiata perplessa.

Infine, la donna si rivolse a Jeffrey.

“Tu farai la persona seria, voglio sperare.” commentò, scoccandogli un’occhiata attenta. Il ragazzo accennò a un sorrisetto.

“Niente risse, niente cose folli.” dichiarò. “Se ho bevuto troppo, torno a casa a piedi. Tranquilla, mi comporterò bene. Ho Ricki da tenere d’occhio…

“Sì, non vogliamo che Ricki diventi come l’ubriacone che vive nel vialetto di fronte a casa sua…  aggiunse in quel momento Matt, rivolgendo al figlio un sorriso divertito. Vicki fece una smorfia.

“Quel poveretto mi mette sempre una tristezza incredibile addosso, quando lo vedo. È ubriaco dalla mattina alla sera. Non fa altro che rovistare tra i sacchi di immondizia e far rimbalzare barattoli di pelati come se fossero palloni da calcio. Un momento…” sgranò gli occhi con fare teatrale. “…in pratica è una versione più anziana di Ricki. Anche se – almeno spero - Ricki non rovista fra i bidoni della spazzatura. Oddio, e se fosse un Ricki venuto dal futuro? Jeff, devi fare attenzione! Non farlo ubriacare troppo o prima o poi diventerà un vagabondo rovista-rifiuti!”

Stava scherzando, ma aveva un’espressione talmente seria, che il fratello prese a osservarla con aria interdetta.

Matt si mise a ridere.

“Va bene, ha superato la sua soglia giornaliera di normalità.” commentò poi, accarezzando i capelli della figlia. “Adesso attaccherà con i discorsi folli.”

“No, la smetto subito, perché devo andare a prepararmi.” commentò infine la ragazza, dopo aver scoccato un bacio sulla guancia al padre. “Ho le prove con la squadra e poi passo da ‘tumn.”

Quindi non vieni davvero alla festa?” domandò ancora Jeffrey, passandosi una mano sotto il mento con aria divertita. “Guarda che il barista dell’altra volta ha chiesto di nuovo di te, quando sono passato a prenotare.”

Vicki si mordicchiò un labbro con aria compiaciuta.

“Quello carino?” domandò con un sorriso malandrino. “Interessante, uh uh. Ma non importa. Ho promesso e quindi niente Grill. Vado su a prepararmi!” comunicò infine, abbandonando la cucina. Jeffrey si alzò a sua volta.

“Vado anch’io. Devo ancora sistemare la valigia.” spiegò, seguendo la sorella. “…e comunque state tranquilli.” aggiunse poi, indirizzando alla madre un sorrisetto divertito.  “Farò la persona seria e controllerò Ricki: non vogliamo mica che diventi come l’ubriacone del futuro….” scherzò, prima di raggiungere le scale, il libro di scuola sotto il braccio.

Anche Elena sorrise.

“Eh, le cose che si fanno per un migliore amico…” commentò Matt, quando ci furono solo più loro due in cucina. La moglie annuì, estendendo il suo sorriso. “È bello avere dei legami così forti,da ragazzi.” aggiunse l’uomo.

“Lo sai? Un tempo anche io, avevo un migliore amico.” annunciò a quel punto Elena, rivolgendogli un’occhiata maliziosa. Matt si finse incuriosito.

“Ah sì? E che tipo era?” domandò, prendendo posto sulla sedia che il figlio aveva lasciato vuota.

Beh…” Elena fece mente locale, sedendosi a sua volta. “Somigliava a te. Forse anche un po’ a Jeffrey.” aggiunse sorridendogli con dolcezza.

“E adesso?” chiese ancora il marito, rivolgendole un’occhiata divertita. “Siete ancora migliori amici?”

Elena gli sorrise con aria furba.

“Non saprei.” osservò. “Sei ancora il mio migliore amico, Matt?”

L’uomo sorrise a sua volta, rivolgendole un’occhiata divertita.

Uhm…” finse di fare mente locale, passandosi una mano sotto il mento. Elena afferrò alla svelta l’asciuga piatti dal tavolo e colpì il marito sul braccio.

“Non ci provare nemmeno a pensarci su!” lo ammonì. Il marito la attirò a sé per baciarla, ignorando la sua espressione offesa.

Ma certo che lo sono ancora.” commentò infine sorridendole, prima di lasciarla andare. “Resto pur sempre quel tizio che somigliava un po’ a me, un po’ a Jeff, no? Quello che conosci fin da quando eri bambina.

“Bene...”  commentò la donna , alzandosi dalla sedia. “Allora, da bravo migliore amico… mi aiuti a dare una sistemata in cucina?” domandò recuperando la scopa, e passandola al marito. “Ho ancora parecchi compiti da correggere e diverse cose da fare, quindi non mi dispiacerebbe per niente una mano.”

Matt sgranò gli occhi con aria incredula.

 “Ma senti un po’ questa…” commentò mentre, ridendo, la moglie recuperava la bacinella dal tavolo.  La osservò allontanarsi, scuotendo il capo con un accenno di sorriso, “…eccola, dov’era la fregatura.” obiettò infine, lasciandosi poi sfuggire un sospiro.

 

***

Lo sceriffo Fell scoccò un’occhiata allo specchietto retrovisore dell’auto e annuì fra sé e sé; con la coda dell’occhio, individuò il giovane Richard allontanarsi dalla tenuta dei Lockwood in compagnia del figlio dei Donovan. Attese ancora mezz'ora, con pazienza, facendo roteare di tanto in tanto il mazzo di chiavi che teneva in mano. Una di quelle, avrebbe aperto la porta sul retro della villa dei Lockwood. Non aveva idea di come Leanne fosse riuscita ad ottenerla, ma se non altro, non più era la sola ad avere dei segreti: né lei, né Lester sapevano che quella sera, Fell avrebbe cercato di recuperare il congegno.

Entrambi avevano sostenuto che sarebbe stato meglio attendere, sfruttando una delle tante feste della cittadina che si tenevano nella tenuta dei Lockwood, in maniera da poter girovagare indisturbati per le varie stanze.

Fell, però, non era certo conosciuto per la sua pazienza, all’interno del Consiglio. Sapeva mantenere la calma per ore in determinate situazioni, ma in altre preferiva rischiare, pur di agire in fretta. Se c’era un modo rapido per ottenere certe informazioni, quello sarebbe stato il sistema che avrebbe scelto. Aveva trascorso gli ultimi giorni cercando di carpire più informazioni possibili sul congegno, grazie all’aiuto di Lester. Adesso sapeva che l’oggetto aveva una chiave di innescamento, che il suo effetto non si sarebbe protratto per più di una manciata di minuti al massimo e che non c’era la certezza che  avrebbe funzionato una seconda volta. Stando a ciò che aveva annotato Jonathan Gilbert sul suo diario, il congegno si poteva utilizzare una volta sola, ma Lester era scettico a riguardo. E Fell con lui: perché costruire un’arma così complessa, se può venire utilizzata solo per compiere un unico tentativo?

Quaranta minuti dopo il suo arrivo nel viale dei Lockwood, Fell stava ancora aspettando. Sapeva che quella sera i due coniugi Lockwood non sarebbero stati in casa per via di una cena di lavoro del marito. I figli, invece, avevano organizzato una festa di arrivederci per il maggiore dei tre ragazzi. La casa sarebbe dunque stata vuota per tutta la sera. Lo sceriffo tamburellò le dita della mano libera sul cruscotto della macchina, quando individuò anche il più piccolo dei fratelli Lockwood, Mason, abbandonare la tenuta in compagnia dei due genitori: ancora una manciata di minuti, e avrebbe avuto campo libero.

***

Julian infilò alla svelta la camicia da lavoro nello zaino e lo gettò sul letto. Si chinò, per recuperare dal cassetto del comodino un quaderno e lo aprì, sistemandosi sul pavimento. Passò in rassegna con lo sguardo passaggi di appunti trascritti nella sua calligrafia disordinata, ma non trovò quello che stava cercando. Sfogliò ancora un paio di pagine, prima di sbuffare, richiudendo il quaderno con uno scatto secco: prima di trasferirsi a Richmond aveva cercato di recuperare il maggior numero di formule possibili dal grimorio di sua madre, ricopiandole tra quelle pagine. Quella che stava cercando, tuttavia, non si trovava fra gli appunti. Ricordava di aver letto in passato qualcosa a proposito del riconoscimento fra streghe e stregoni. Da qualche parte, nel grimorio, doveva esserci un incantesimo che avrebbe potuto suggerirgli qualcosa di più a proposito di Ringle; evidentemente, alla sua partenza, non gli era sembrato sufficientemente utile da doverne prendere nota, e l’aveva scartato. L’idea che il professore potesse essere uno stregone come lui, era diventata il suo ultimo chiodo fisso. Pensare che nella sua scuola potesse esserci qualcun altro come lui lo incuriosiva e agitava al tempo stesso. Il modo in cui Ringle l’aveva osservato dopo l’incidente dell’allarme anti-incendio non gli era piaciuto per niente, eppure era attratto dal pensiero che qualcun altro potesse essere diverso; diverso come lui. Qualcun altro al di fuori di sua madre, ovviamente.

Sospirando, Julian ripose il quaderno al suo posto e si lasciò cadere sul letto, sfruttando i dieci minuti scarsi che precedevano l’inizio del suo turno di lavoro. Pensò di nuovo a sua sorella, e alla conversazione avuta con Vicki il giorno precedente. Era ancora stranito al pensiero che Autumn potesse essere una strega: in tutti quegli anni, si era sempre dimostrata scettica e razionale, rifiutandosi categoricamente di abbracciare tutto ciò che si potesse catalogare come insolito o inspiegabile. Julian invece no; per anni, non aveva fatto altro che cercare di osservare il mondo al contrario, sperando di trovarci dentro qualcosa che lo rendesse diverso ai suoi occhi: diverso come lui.

Il ragazzo chiuse gli occhi pigramente, per poi riaprirli un minuto dopo, al ronzio insistente della sveglia. Lo attendeva un turno di sei ore al pub e successivamente la conferenza skype con Autumn e Vicki; a Julian piaceva cogliere l’aspetto insolito delle cose e se anche Ringle ne possedeva uno, come aveva supposto, allora l’avrebbe scovato. Sua sorella Autumn, forse, sarebbe stata in grado di aiutarlo.

***

And we could laugh as we both pretend that we're not in love and that we're just good friends.

Don’t ever let it end. Nickelback

“Lascia andare quelle spazzola, non fare fesserie!”

Caroline strillò all’amico, pattinando verso la cucina. Xander la ignorò.

“No, secondo me possiamo usarla come puck. Proviamoci!” propose adagiandola a terra e smuovendola delicatamente con il manico della mazza da hockey. Caroline glielo sfilò di mano.

“Ma proprio con la mia spazzola? Usa la roba tua, lascia stare la mia!” lo intimò raccogliendo l’oggetto ed allontanandolo dalla sua portata. Il ragazzo cercò di riappropriarsene.

Senti, sei tu quella che ha dimenticato il puck a casa. E quindi usiamo la tua spazzola.” obiettò, afferrandola per i fianchi e attirandola a sé; Caroline sostenne l’oggetto conteso verso l’alto, allontanandolo dalla sua presa.

“Uh, uh, io sono più grande, si fa quello che dico io.” obiettò, incespicando con i pattini, nel tentativo di arretrare. Xander la sorresse, ridacchiando.

“Sai che roba, ci passiamo tre giorni. E comunque io sono più alto, quindi decido io. Dammi questa spazzola, bionda.” ordinò, trattenendola per i polsi. Approfittò della vicinanza a Caroline per incominciare punzecchiarle i fianchi con le dita.  La ragazza si dimenò tra le sue braccia.

“No, il solletico no, non è leale!” si lamentò la ragazza, fra le risa. “Oh, e va bene mi arrendo!”  esclamò infine buttando a terra la spazzola. “Prenditela pure!”

 “Uomo in mare!” annunciò a quel punto Xander lasciando andare la ragazza e indicando l’oggetto sul pavimento. “Niente paura, lo salvo io!”

Caroline rise, mentre l’amico si fiondava a terra per recuperare la spazzola.

“Tu non stai bene!” dichiarò schiettamente, inginocchiandosi sul pavimento di fianco  a lui. “Pazzoide!” aggiunse, mentre il ragazzo le sventolava la spazzola sotto il naso.

“Ho vinto io!” dichiarò il giovane, con aria orgogliosa. “Uno a zero per Xander il pazzoide, palla in centro. Va beh, spazzola in centro.”

“Ma lo sai che sei proprio cretino?” commentò la ragazza, dandogli una spinta per fargli perdere l’equilibrio. Xander, che era accovacciato a terra, cadde di sedere sul pavimento.

“Ahi! Bionda malefica!” si lamentò lui mettendole il broncio, mentre Caroline rideva di gusto. “Ma guarda che non è poi così male, essere scemi.” aggiunse poi, intrecciando le dita dietro la nuca e distendendosi sul pavimento. “Se serve a vincere le dispute contro le nanette antipatiche come te…

Caroline sgranò gli occhi.

“Cos’è, adesso adotti la filosofia di tua cugina?” chiese, stendendosi di fianco a lui. L’amico diede una scrollata di spalle.

“Vic non ha tutti i torti.” commentò mollando un calcetto a uno dei pattini di Caroline. La ragazza ricambiò con un sorriso. “Ogni tanto a tutti capita di fare cose stupide, quindi perché triturarsi il cervello e cercare di nasconderlo?”

Caroline gli rivolse un’occhiata impensierita e non disse nulla. Avvertì le parole del ragazzo ronzarle per la testa in maniera fastidiosa, come se per un attimo si fosse sentita presa in causa. Senza riuscire a comprenderne il motivo, Caroline si sentì a disagio per la seconda volta in pochi giorni, sfiorando con tenerezza la guancia del suo migliore amico.

“Già.” commentò scrutandolo con aria pensierosa. “Perché nasconderlo?”

Xander aggrottò le sopracciglia e si sollevò sui gomiti.

“Uh, ok…” commentò, tirandole una ciocca di capelli con delicatezza. “…la bionda ha qualcosa che non va.”

Caroline sbuffò, mettendosi a sedere.

“Che cosa c’è?” domandò ancora il ragazzo, diminuendo l’aria scherzosa nel suo sguardo. La ragazza sbuffò di nuovo.

“Oh, ma niente!” sbottò poi, allungandosi per recuperare la spazzola ai suoi piedi. In fondo, nemmeno lei aveva ben chiaro a cosa fossero dovuti quei buffi cambiamenti di atteggiamento. Xander fece una smorfia. Calciò pigramente la spazzola dall’altra parte della stanza, allontanandola così dalla presa della giovane. Caroline gli diede all’istante uno scappellotto sul braccio.

Ma smettila!” la rimbeccò in quel momento il ragazzo alzandosi a sedere a sua volta.  “‘Niente’ per voi donne, significa ‘tutto’.”

Caroline incrociò le braccia sul petto con aria cocciuta.

Ma io non sono come le altre donne, no?” obiettò, annuendo decisa. “Sono la tua migliore amica.”

Xander analizzò le sue parole con aria poco convinta.

“Sì, beh, sei una donnina speciale, ma resti pur sempre una donnina.” commentò, improvvisando un’aria solenne. “E le femmine sono difficili da capire. Io invece sono comprensibilissimo!” annunciò, allargando le braccia con fare canzonatorio. Caroline roteò gli occhi.

“Come no.” borbottò ironicamente, mettendosi poi a gattonare fino a raggiungere la spazzola. Xander si accigliò.

Ma è vero!” esclamò a quel punto, passandosi una mano sullo stomaco. “Vedi, se faccio così, è perché voglio essere nutrito!” spiegò, sorridendo con aria furbetta. “I biscotti sarebbero l’ideale, ma in linea di massima accetto più o meno qualsiasi cosa.”

“Sei un animale, praticamente.” commentò la ragazza. Xander ridacchiò.

“Se la vuoi vedere in quest’ottica. Se faccio così, però…” aggiunse incominciando a percuotere i palmi delle mani sul pavimento. “È perché c’è bisogno di fare un po’ di baccano.”

“E facciamo baccano, allora!” esclamò a quel punto la ragazza, lanciandogli la spazzola addosso. Lo mancò di qualche manciata di centimetri, e il ragazzo ne approfittò per sfoggiare un sorrisetto di trionfo.

“Ah ah, mancato! Sei proprio una donnetta…” commentò, recuperando l’oggetto e passandoselo da una mano all’altra. Caroline gli scoccò un’occhiata minacciosa.

“Te la faccio vedere io, la donnetta…” commentò dandosi la spinta con il muro, per poi lanciarsi in direzione del ragazzo. Xander la indicò con la spazzola.

“Stai ferma, lì, sai? Stai ferma, stai fe… Caroline, ci schiantiamo!

Lo scontro fece perdere a entrambi l’equilibrio e i due amici si trovarono nuovamente a terra, abbacchiati e doloranti.

Ma sei fuori?” esclamò subito Alexander massaggiandosi la schiena. Spinse via i pattini della ragazza che nella caduta erano riusciti ad incastrarsi con i suoi, e scosse il capo con aria incredula. “E poi sarei io il pazzoide fra i due?” domandò.

 Caroline non rispose; aveva incominciato a ridere prima ancora di andargli addosso, e non accennava a voler smettere.

Ma che combini?” la rimbeccò il ragazzo, pur non riuscendo a trattenere un sorrisetto. Caroline si alzò sui gomiti e continuò a ridere, finendo per contagiare anche l’amico. “Sei pazza!” commentò infine il ragazzo, dandole un colpetto sulla fronte con la mano. Caroline bloccò quel gesto, intrecciando le dita del ragazzo con le sue, e gli sorrise.

“Sei pazza, e scorbutica. E sei una rompipalle…aggiunse ancora il ragazzo, approfittando delle dita intrecciate per attirarla a sé.

Uhm….” Caroline estese il suo sorriso, avvertendo la lontananza tra i due corpi dimezzarsi. Con le dita della mano libera, prese ad intarsiare ghirigori immaginari sulla sua maglietta.

“Dai! Mi fai il solletico!” si lamentò immediatamente il ragazzo, afferrandole anche l’altra mano. “Sta’ buona.” aggiunse, ridacchiando.

Sono pazza, scorbutica, rompipalle e poi?” domandò a quel punto Caroline, rivolgendogli un’occhiata maliziosa. Xander slacciò le mani da quelle dell’amica e intrecciò le dita dietro la nuca. Diede una scrollata di spalle.

“E poi niente, sei così e basta.” commentò tranquillamente, facendo sbatacchiare i suoi due pattini l’uno contro l’altro. “Antipatica.” aggiunse poi in tono di voce infantile, rivolgendole un’occhiata divertita. Caroline lo fulminò con lo sguardo; l’espressione offesa, tuttavia, lasciò subito posto a un cipiglio di sfida.

“E va bene, ma poi non dire che non te la sei cercata, Xander bello.” annunciò con aria seria, allungandosi su di lui. Lo osservò a lungo, accennando a un sorrisetto, quando si accorse che stava arrossendo, prima di affondargli una mano fra i capelli, per tirare con forza.

“Ahi!” si lamentò il ragazzo afferrandola per i polsi, cercando di scrollarsela di dosso. “Fermati, fermati subito, guarda che fai male!”

“Pazza, scorbutica, rompipalle e…?” insistette lei, estendendo il suo sorriso, la mano ancora a stringere un ciuffo di capelli del ragazzo. Xander sbuffò, cercando di sfuggire alla sua presa.

…e nanetta!” aggiunse ridacchiando, quando sentì che la presa della ragazza sulla sua cresta si allentava. Caroline avvicinò ulteriormente il volto a quello del ragazzo, sorridendogli con aria maliziosa.

“Non basta.” obiettò, tornando a passargli una mano fra i capelli. Xander non trovò nemmeno il tempo di preoccuparsi per il fatto che probabilmente glieli avrebbe tirati una seconda volta; era troppo impegnato a cercare di comprendere che cosa stesse succedendo in quel momento o, ancora meglio, che cosa ci facesse il naso della sua migliore amica a un soffio di distanza dal suo. Era troppo impegnato a cercare di spiegarsi come avesse fatto a non notare prima la mano di lei appoggiata sul suo petto, e la sensazione di disagio che stava provando. Una sensazione che non aveva mai avvertito prima di quel momento, quando lei lo toccava. Quando lo cercava, si stringeva a lui. Ma quella mano appoggiata sul suo petto lo sfiorava in modo diverso quel pomeriggio. E il luccichio insolito che aveva individuato nello sguardo della sua migliore amica era qualcosa di estraneo, per lui. Proprio come quel rossore che aveva fatto capolino sulle sue guance e la sensazione di confusione che dettava legge nella sua testa, impedendogli di pensare lucidamente. Impedendogli di muoversi. E anche per questo rimase immobile, quando il filo di distanza fra i due volti, si eliminò improvvisamente.

I dubbi che nell’ultimo periodo avevano preso a punzecchiare Caroline di continuo si frantumarono all’istante, nel momento in cui le sue labbra incontrarono quelle del ragazzo. I malumori improvvisi, le incertezze, il disagio, sfumarono in fretta, lasciando posto a una vaga sensazione di appagamento, alimentata da punte di trionfo. Solo in quel momento, si accorse di quanto a lungo l’avesse stuzzicata il desiderio di un contatto simile. In quel momento, capì che le sue mani da tempo tentavano di raggiungere lui più a fondo, accarezzandolo nel modo in cui stava facendo in quel momento. Senza imbarazzo, senza pentirsene. Ma non aveva mai osato esporsi troppo; perché era sbagliato, in fondo. Perché Xander era un amico, il migliore amico. Poteva dormirgli accanto tutte le volte che voleva, ma non poteva infilare una mano fra i suoi capelli senza pretendere di volerlo fare solo per infastidirlo. Poteva prenderlo a scappellotti, ma non gli era consentito sfiorarlo con quella delicatezza particolare che forse, in fondo, aveva sempre desiderato concedergli. Potevano ridere e parlare per ore, eppure a volte lei avrebbe solo voluto osservarlo a lungo e sorridergli, senza dover avere per forza un pretesto che la portasse a reagire così.

Xander era il suo migliore amico; la persona che aveva sempre avuto accanto: sempre e solo accanto. Ma in quel momento, riconoscendo con un brivido le proprie dita insinuarsi sotto la maglietta del ragazzo, intuì che forse quel tipo di legame non era più abbastanza per lei.

Caroline faticò a far sbiadire quel momento, avvertendo l’imbarazzo tornare a fare capolino, quando lei e Xander si separarono. Il ragazzo arrossì violentemente, distogliendo lo sguardo da quello dall’amica, in parte ancorai appoggiata su di lui.

…scusa, e adesso, perché mi hai baciato?” domandò infine, mentre Caroline si tirava indietro a sedere, rossa in viso. Il suo sguardo si sperse per qualche istante, come disorientato, ma quasi subito tornò su Xander. Gli rivolse un’occhiata decisa.

“Io?”  esclamò a quel punto, infilandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Fu tuttavia costretta a distogliere nuovamente lo sguardo, quando incrociò quello del ragazzo, sentendosi avvampare una seconda volta. “L’abbiamo fatto assieme, non incominciare a dare la colpa a me.” concluse.

Xander scosse il capo con aria decisa.

“No, senti, io non ho fatto niente, ero immobile… sei tu che ti sei allungata per baciarmi, io non ho fatto…

“Oh, sul serio?” sbottò a quel punto Caroline, alterando il tono di voce. “Adesso dobbiamo metterci addirittura a discutere su chi ha baciato chi? Ma che diavolo c’è che non va in te?”

Xander aprì la bocca per ribattere, ma non ne uscì fuori alcun suono. Scosse il capo con aria incredula e infine si convinse a scoccare un’occhiata rapida in direzione della ragazza, che però stava guardando altrove.

Caroline era livida di rabbia; di rado a lui era capitato di vederla così agitata per qualcosa, specialmente se quel qualcosa aveva a che fare con lui. D’istinto avvertì l’impulso di abbracciarla, ma si sentiva ancora piuttosto impacciato nei confronti di ciò che era appena successo fra di loro. Quel bacio era stato troppo ingombrante, per permettergli di raggiungerla. Pensò che probabilmente, la rabbia di Caroline, dipendesse da quello. Forse si sentiva in imbarazzo. Forse aveva semplicemente paura.

“Senti, facciamo così…” propose a quel punto, sforzandosi di apparire tranquillo. “In fondo, non è successo nulla di così… grave, insomma, possiamo lasciarcelo alle spalle tranquillamente.” proseguì, convincendosi finalmente ad andare da lei, infilandosi le mani in tasca. “Ce ne dimentichiamo e non ne parliamo più. Va bene, così?” propose, allungando una mano per afferrare quella della ragazza

Caroline gli rivolse un’occhiata furiosa, prima di interrompere bruscamente quel contatto. Gli stava proponendo di seppellire tutto, di ignorare il problema invece che affrontarlo, come avrebbe fatto un bambino.

“No, Xander!” esclamò infine, sostenendo il suo sguardo con aria furente. Xander le rivolse un’occhiata confusa, incupito dall’atteggiamento brusco dell’amica. “Non va bene così.” concluse la ragazza in tono di voce ancora alto, prima di pattinare fuori dalla cucina.

“Caroline…”

Xander cercò di starle dietro, ma per quella volta la ragazza fu più veloce. Entrò nella camera dei ragazzi e si chiuse la porta alle spalle. Alexander la raggiunse appena in tempo per sentire girare la chiave nella toppa.

“Eh, va beh, esagerata.” commentò con una smorfia, prima di lasciarsi cadere lentamente ai piedi della porta, distendendo le gambe di fronte a lui. “Guarda che non ti mangio mica, eh!”

“Vai via e non rompere!” fu il commento spiccio di Caroline.

Il ragazzo sbuffò, facendo ciondolare il capo più volte, prima di riavviarsi il crestino con le mani. Per un istante lo colse un brivido, nel rievocare il tocco della mano di Caroline fra i suoi capelli e si sorprese ad arrossire.

“Io l’ho detto e lo ripeto: voi donne siete tutte impossibili da capire.” commentò infine, lasciando ricadere il capo all’indietro e appoggiano la nuca contro la porta. “Senti, come al solito non so cosa ho fatto, né perché tu ce l’abbia con me, però ti chiedo scusa lo stesso. Adesso mi apri?”

Attese ancora un paio di minuti, prima di incominciare a perdere la pazienza.

“Caroline, apri questa porta, dai!” esclamò prendendo a battere le nocche contro il legno. “Per favore! Guarda che la merenda ce l’ho lì, lo sai che dopo qualche ora io ho bisogno del mio spuntino o ci sto male!” aggiunse, sperando di riuscire almeno a strapparle un sorriso: in occasioni normali, ci sarebbe riuscito. Ma quel pomeriggio al lago si stava dimostrando tutto, fuorché ordinario.

“E va bene.” borbottò infine, alzandosi in piedi di malavoglia. “Me ne vado di là, quando ti è passata, sei la benvenuta.”

Raggiunse in fretta la camera dei suoi genitori e si lasciò cadere sul letto. Si sentiva stravolto; confuso e stravolto. In meno di mezz’ora, la sua migliore amica gli aveva tirato i capelli, l’aveva baciato e poi gli aveva urlato qualcosa contro per poi sbattergli la porta in faccia e non rivolgergli più la parola.

Non sapeva cosa pensare; non voleva pensare. Perché se solo per un istante cedeva a quel bisogno, tutto ciò che riusciva ad evocare era il tocco della mano di Caroline che si insinuava sotto la sua maglietta. Ed arrossiva. Arrossiva, perché la sensazione di disagio che aveva provato inizialmente era svanita quasi subito, lasciando posto a qualcosa di terribilmente simile all’appagamento.

Xander sbuffò, passandosi le mani sulle guance bollenti e abbandonò poi le braccia sul letto, ritirandone indietro una subito dopo: la sua mano aveva colpito qualcosa di spigoloso. Si ricordò solo in quel momento del vecchio diario trovato ormai diverse ore prima nell’insolito sgabuzzino di quella stanza.

“Va beh.” mormorò infine a mezza voce, attirando pigramente il volumetto a sé ed aprendolo alla prima pagina. “Tanto non è che ci sia poi molto di più da fare…

 E, sforzandosi di ignorare il ricordo dell’ultima ora trascorsa in compagnia della sua migliore amica, il ragazzo incominciò a leggere.

 

***

Victoria si sistemò le chiavi di casa nella borsetta e scoccò un’occhiata frettolosa al cellulare: lei e Autumn si erano date appuntamento alle otto ed erano solo le sette e mezza. Decise di prendersela con comoda, avviandosi in direzione della villa dei Lockwood, per passare dal vialetto che proseguiva sul retro della tenuta, fino alla zona in cui viveva l’amica. Era un tragitto che lei e Jeff avevano percorso spesso da bambini, entusiasti di quel modo alternativo che avevano scoperto per raggiungere le abitazioni dei propri amici. Scavalcò il muretto che affiancava la recinzione della casa e atterrò nella stradina secondaria, scostandosi poi una ciocca di capelli dalla fronte. Si accorse solo in quel momento di una figura in impermeabile che si stava allontanando barcollando in direzione del marciapiede. Riconobbe immediatamente l’anziano ubriaco su cui aveva scherzato quel pomeriggio assieme alla sua famiglia. Sperando in silenzio che l’uomo non si stesse recando a rovistare nell’ennesimo cassonetto – se non proprio a dormirci – Vicki proseguì nella direzione opposta alla sua, attraversando la stradina che costeggiava il retro di casa Lockwood. Si fermò quando ormai era prossima a lasciarsi alle spalle la tenuta, incuriosita dalla vettura che riconobbe al margine del vicolo: era la macchina dello sceriffo Forbes.

Vicki aggrottò le sopracciglia con aria perplessa, esaminando l’auto con lo sguardo.  Le parve insolito, il fatto che la macchina si trovasse in un vialetto secondario sul retro. Ancora più strano, le parve il fatto che Fell avesse parcheggiato così vicino alla tenuta dei Lockwood. Di certo, non era lì per una visita, poiché tutti i membri della famiglia si trovavano fuori casa, quella sera: i ragazzi al Grill, i genitori a una cena di lavoro del padre. La diffidenza fece strada a un barlume di sospetto, quando Vicki ripensò allo scambio di battute avuto con Ricki, il giorno che il ragazzo era tornato a Mystic Falls. Ricordò la sua apprensione nei confronti dello stesso Fell e il fatto che le avesse chiesto se l’uomo si fosse fatto vivo spesso da quelle parti nell’ultimo periodo.

Vicki prese a mordicchiarsi un labbro con aria pensierosa. Fece mente locale ancora per qualche minuto, ma non riuscì a ipotizzare nulla che potesse suggerirle che cosa stesse succedendo tra i Lockwood e lo sceriffo. Istintivamente pensò a Mase e al suo atteggiamento un po’ attaccabrighe che stava tenendo nell’ultimo periodo. Che avesse combinato qualcosa di davvero grosso? Circostanze simili avrebbero dato un senso all’apprensione di Ricki nei confronti dello sceriffo. Sospirando, Vicki controllò nuovamente l’ora: aveva ancora una ventina di minuti a sua disposizione, prima dell’appuntamento con Autumn. La curiosità e il sospetto la convinsero a sbirciare oltre la recinzione, dentro il giardino dei Lockwood, ma non le parve di notare nulla di strano. Infine, incrociò le braccia al petto e si appoggiò al muro, soffiando per sfilarsi via un ciuffo di capelli dagli occhi.

Vicki era sempre stata dell’idea che il suo nome, Victoria, riassumesse alla perfezione ciò che avrebbe dovuto ottenere ogni volta che si metteva in testa una cosa. La questione fra Fell e i Lockwood non era un’eccezione. A costo di dover attendere per tutto il tempo che aveva ancora a sua disposizione, avrebbe scoperto che cosa stava succedendo.

Angolo annunci.

Gnaaa per un soffio ve lo stavate evitando, poi ieri mi è venuta la brillante idea di pubblicare una robetta e ancora non sapevo che oggi avrei pubblicato il capitolo. Elenco sempre gli spin off extra pure qui oltre che in pagina, perché non so mai se arrivino ai lettori silenziosi, quindi per  sicurezza li segnalo di qua e di là XD

Allora, annuncio namber uan: ho pubblicato una piccolissim(issim)a flash fiction senza pretese su Vicki e Ricki (:D) e la potete trovare QUI.

Annuncio namber ciu: QUI trovate la playlist di History Repeating con tutte le canzoncine che ci sono già state e quelle che probabilmente ci saranno ^^

 

Polpettone time!! :D

No,dai, questa volta sarò breve, visto che questa è solo la prima metà capitolo. La maggior parte delle cose che devo dire comparirà nella parte number two, quindi in sostanza questo primo pezzo risulta ancor più di transizione che il precedente, ad eccezione di una cosa, *drum roll*, il fatidico bacetto di quei due zoticoni di X. e C. Di norma non mi piace affrettare i tempi della storia, e anche se adesso si sono baciati, ne avranno ancora di stradina da fare, prima di stare vicini vicini come nei video di paperissima u__ù Questo perché Xander è un adorabile cretino per via di una lunga serie di fattori che non sto elencarvi, ma comunque ovviamente tra i due non è finita qui. Nel prossimo capitolo li troveremo ancora. La canzone che ho citato prima del loro pezzo è davvero stupenda ed è azzeccatissima per loro due <3 La riutilizzerò quasi di sicuro. Che altro aggiungere? La piccola scena Matt/Elena voleva essere un velato parallelismo allo Xander/Caroline, visto che entrambi sono stati migliori amici in passato, e via dicendo. Vicki è fuori di melone come suo solito, sono davvero contenta che a molti di voi piaccia, ci vuole un po’ di stupidità ogni tanto (va beh, qui ce n’è un po’ troppa, lo so, ma passatemelo, suvvia!), ma nell’ultimo paragrafo mi pare che si sia munita di tuta da supereroina, quindi vedremo un po’ cosa succederà. Nella seconda parte ci sposteremo alla festa di arrivederci di Jeff e Ricki, ritroveremo il fessacchiotto (Mase), la scetticona (Autumn), il caro Casper (Oliver) e ovviamente non può mancare Caroline Forbes! Dai, per una volta chiudo qui. Spero tanto che questa prima parte di capitolo vi piaccia, e spero che il momentuccio Xanderine sia reso abbastanza bene, non sono molto brava in questo genere di cose ç__ç Se non vi piace prendetevela con la mia bella beta :D *spuccia la Mary*

Come al solito per domande,curiosità, informazioni sui pargoli, e via dicendo, ci trovate QUI. (sì, ormai parlo al plurale, perché quei nove sono sempre un po’ ovunque a rompere le scatole)

Un abbraccione grande grande a tutti!

Laura

P.S. Sia mai che non mi dimentichi qualcosa! Visto che Elena io ce la vedo solo a fare l’insegnante, l’ho fatta diventare maestra elementare per differenziarmi un po’ dal futureverse di Fiery a cui mi sono ispirata in cui Elena è insegnante di lettere al liceo!

   
 
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