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Autore: Il_Genio_del_Male    11/03/2012    9 recensioni
John non si sente troppo bene, e la colpa è di Sherlock.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Mpreg
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- Questa storia fa parte della serie ''We're not a couple'. 'Yes you are'.'
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NOTE: Aggiorno in virtù di non si sa quale grazia divina, perché è davvero un brutto periodo (tra il computer totalmente da reimpostare e che per di più non si connette a internet e i miei vari casini) per cui, a scanso di equivoci, vi chiedo di portare pazienza. Farò sempre il possibile per non lasciarvi a bocca asciutta per più di dieci-quindici giorni, ma più di questo non posso assicurarvi. Speriamo che la sfiga si decida a darmi un po’ di tregua.

 

Buona lettura e a risentirci a fine capitolo!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ciao, Johnny. Come te la passi?” salutò cordialmente la donna.

 

Sherlock la passò ai raggi X. Ne rilevò il taglio di capelli alla moda, le méches dello stesso biondo grano di John, il rossetto steso impeccabilmente, qualche sottile ruga attorno agli occhi; smalto rosso Chanel, tailleur pantalone di lino, elegante ed informale al tempo stesso, e decolleté di morbida pelle. Tutto, nel suo aspetto perfettamente curato, suggeriva un’idea totalmente diversa da quella che si era fatto di lei durante la sua primissima indagine con John.

 

“Harry” biascicò il dottore, ancora immobile.

 

L’interpellata sorrise al fratello, rivolgendosi poi a Sherlock. “Visto che John sembra aver dimenticato le buone maniere, mi presento. Harriet Watson, sorella del suo compagno; ho motivo di credere che lei sia già in possesso di un sufficiente numero di informazioni sul mio conto, Mr. Holmes” fece per alzarsi, la mano tesa in direzione del detective.

 

“Harry” la interruppe John bruscamente, gelandola sul posto, con i pugni chiusi e la mascella contratta. “Che diavolo ci fai qui?”

 

“Come siamo scortesi, Johnny. Ti sembra questo il modo di accogliere tua sorella dopo quasi tre anni di lontananza?” si adombrò lei, ritirando la mano e irrigidendo la schiena in posizione di difesa.

 

“Non me ne può fregare di meno delle regole del galateo. Sono stanco e ho una fame da lupi, voglio mettere a letto i miei figli e credimi, una tua visita è l’ultima cosa al mondo che mi sarei aspettato. Quindi, o mi spieghi che cavolo ci fai nel mio salotto a quest’ora o ti metto alla porta prima che tu abbia il tempo di replicare alcunché” sbottò lui.

 

“Se poco fa non mi avessi interrotto, fratellino, sapresti che non è stata una mia idea” spiegò, calma. “Qualche giorno fa mi ha telefonato Mycroft Holmes e mi ha chiesto di trasferirmi per un po’ di tempo a Baker Street perché, cito, ‘quei due non ce la faranno mai a stare appresso a tre bambini senza impazzire’ e perché anche io dovevo esercitare i miei diritti di zia. Credo che mi abbia praticamente arruolata come babysitter a tempo indeterminato” concluse, un filo di incredulità finale nella voce.

 

“No. No. No” scosse la testa John, con un borbottio molto simile ad un ringhio.

 

“John, ti prego” gli si rivolse Harriet, turbata da quel netto rifiuto.

 

“Dottore, sii ragionevole” intervenne Sherlock, senza tuttavia poter fare altro poiché aveva le braccia occupate dai gemelli.

 

“No. Non lo permetto” scattò lui, imbufalito, facendo sobbalzare Boswell. “Non ho la minima intenzione di essere ragionevole. Ho accettato di buon grado tutte le ingerenze di Mycroft nelle nostre vite, ma questo”, puntò l’indice contro la sorella, “è troppo. Non lascerò i miei figli in balia di un’alcolista che non ha saputo fare altro che rovinare il suo matrimonio, farsi licenziare e mandare tutto a puttane!”

 

A quel punto Irene Harriet, forse in sintonia con la donna di cui portava il nome o forse spaventata dalle urla del padre, scoppiò a piangere. Grossi lacrimoni le rotolarono lungo le guance paffute, gli occhi blu colmi di una tristezza fin troppo consapevole per una bambina di neanche due mesi. Per spirito di emulazione anche il piccolo Hamish proruppe in singhiozzi, tendendo inconsciamente le manine verso la gemella. Boswell, che voleva bene ai fratellini e detestava sentirli piangere, si unì alla loro manifestazione di sofferenza –tanto più che, data la sua precoce intelligenza, aveva capito che papà si era pentito all’istante delle cose che aveva detto alla bella signora bionda e che il babbo si sentiva a disagio perché odiava i litigi e al tempo stesso non sapeva come consolare il compagno.

 

John, istintivamente, si preoccupò di calmare il figlio maggiore. Presolo in braccio, dopo averlo sfilato dallo zaino, lo dondolò su e giù, accarezzandogli la schiena. Sherlock, dal canto suo, strinse Hamish al petto, facendogli appoggiare la testolina sulla spalla e reggendogli la nuca pelata con una mano. Irene era stata affidata alla zia, che la cullava con sorprendente destrezza.

 

John impietrì. “Sherlock, cosa diamine-” sibilò minaccioso.

 

“So quello che faccio” lo rassicurò l’altro, parlando sommessamente. “Tua sorella non tocca un goccio d’alcol da un anno e mezzo, all’incirca”.

 

“Sedici mesi, tre settimane e un giorno” precisò Harriet, distogliendo gli occhi dalla bimba per rivolgerli, sgranati, al cognato.

 

“Approssimazione soddisfacente” si congratulò con se stesso, lo sguardo assorto e perso nel vuoto. “Le sue mani sono ferme, non tremano più. I capelli ed il trucco sono troppo ricercati per essere quelli di una bevitrice che si trascura. La sclera dei suoi occhi è candida e ha perso la sfumatura giallastra e venata di capillari rotti tipica di chi fa abuso di superalcolici. Inoltre, a giudicare dall’eleganza del suo abbigliamento, deduco che abbia trovato un nuovo impiego; un incarico prestigioso, senza dubbio”.

 

“Da poco meno di un anno lavoro come responsabile del settore Ricerca e Sviluppo di una nota azienda cosmetica” confermò lei, la voce ridotta ad un sussurro.

 

John si sentì, per la seconda volta nel giro di poche ore, incredibilmente in colpa. Aveva fallito come medico, non riconoscendo (non volendo riconoscere?) il visibile miglioramento delle condizioni fisiche di Harriet. Aveva fallito come padre, spaventando immotivatamente i figli e facendoli piangere. Aveva fallito come fratello; e questo, forse, era ciò che lo feriva maggiormente.

 

Aveva disprezzato la sorella per essere caduta vittima del demone del bere, imputandole una serie di debolezze e meschinità di cui lei, a ben vedere, non aveva colpa. L’alcolismo era una malattia a tutti gli effetti. Non le aveva perdonato di aver lasciato una donna splendida come Clara, non le era rimasto accanto nel momento del bisogno, aveva ignorato i suoi messaggi in segreteria. L’aveva giudicata, condannata, punita troppo duramente per i suoi errori.

 

Osservandola alle prese con Irene Harriet (era stato Sherlock ad insistere perché le venisse dato come secondo nome quello della zia), che le aveva afferrato un dito mettendosi poi a ciucciarlo allegramente, John si rese conto che il pianto dei bambini si era chetato improvvisamente come era cominciato.

 

“Scusami” mormorò. “Sono stato uno stronzo ingrato. Ti ho abbandonata dopo tutto quello che avevi fatto per me, quando mamma e papà sono morti. Non te lo meritavi, Harry. Sei mia sorella, avrei dovuto aiutarti. Perdonami” deglutì con un groppo in gola.

 

“E’ passato, John. E a tuo modo mi hai aiutata; se ho deciso di cambiare, di provare a diventare una persona migliore, è stato perché volevo riconquistare la tua stima” qualcosa, nella voce di lei, si incrinò. “Desideravo solo che tornassi a volermi bene” piegò in avanti la testa e una lacrima atterrò sulla tutina bluette di Irene.

 

Il dottore raggiunse la poltrona in due falcate. Con il braccio sinistro -l’altro era occupato a reggere Boswell- si chinò ad abbracciare la sorella. “Non ho mai smesso, Harry. Non ho mai smesso. E’ proprio per questo che non riuscivo a perdonarti, perché ti ho sempre voluto bene” smozzicò.

 

Mycroft, vecchio volpone, pensò sollevato Sherlock. Scommetto che questa è stata la sua intenzione sin dall’inizio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Immagino cosa vi starete chiedendo: ma non doveva trattarsi di una storia comico-demenziale? Perché l’autrice ci ha rifilato un capitolo così simil angst? Che le è preso?

 

Don’t worry, non ho improvvisamente deciso di darmi al drammatico (non in questa long, per lo meno). Semplicemente, per quanto sopra le righe e OOC siano i personaggi, anche loro hanno diritto di farsi venire i cinque minuti di scazzo, no? Senza contare che, basandomi sull’opera di Conan Doyle e sul telefilm, i rapporti tra John e Harry appaiono davvero molto tesi; sarebbe stato alquanto irreale far reagire il dottore entusiasticamente all’entrata in scena della sorella. Ecco spiegato, quindi, l’andazzo sostanzialmente cupo di questo capitolo. Comunque sia, non deprimetevi troppo e mettete da parte i fazzoletti, ché dalla prossima volta si ritornerà a cazzeggiare a ridere.

Questa, se v’interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).

Grazie di cuore a tutti coloro che recensiscono, seguono/preferiscono/ricordano questa storia e anche a chi si limita a leggere silenziosamente. Tanto ammmòòòre a voi! <3

   
 
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