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Autore: _diana87    11/03/2012    3 recensioni
TRAMA: [SEGUITO DI "GANGASTA'S PARADISE"] New York, inizio anni '40. La vita non potrebbe andare meglio ad Alexander Castle. Sposato con Kate, 2 figlie, continua a fare il detective per la omicidi. Un giorno, la famiglia viene invitata ad un matrimonio, e lì Martha rivela ad Alexander che il padre della sposa, tale Don Vito Provenzano, è in realtà il suo vero padre, uno dei più potenti capi della mafia italo-statunitense. Trovandosi in una posizione complicata, Alexander inizierà a capire parecchie cose sul suo passato e avrà dei dubbi sulla strada che ha intrapreso...
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Salve!! Volevo scusarmi per l'enorme ritardo, ma causa uni e altri impegni, non ho potuto aggiornare...

Spero che almeno il capitolo sia di vostro gradimento!! :)

Enjoy :)

 

 

 

Redemption

 

 

 

"Il legame che unisce la tua vera famiglia non è quello del sangue,

ma quello del rispetto e della gioia per le reciproche vite.

Di rado gli appartenenti ad una stessa famiglia

crescono sotto lo stesso tetto."

[Richard Bach]

 

 

 

Giocare con il fuoco gli era piaciuto, ma era troppo tempo che non osava farlo.

Quando era più giovane, sapeva di avere a che fare con una tela di bugie, partendo da sua madre, ma non ci aveva mai fatto caso.

Era sempre andato dritto e convinto per la sua strada, convinto che nella vita fosse importante solo fare soldi, stare con le donne ed essere importanti.

Il paradiso dei gangster.

Gli piaceva l'idea.

Poi qualcosa era cambiata dal giorno in cui Katherine Bellefleur era lentamente entrata nella sua vita, facendo capolino, pian pianino, come una piccola formica laboriosa, si stava insinuando nel suo piccolo nido, che Alexander Castle riteneva sicuro.

Quella donna lo aveva cambiato e lo aveva aperto ad una nuova prospettiva.

Era un bravo poliziotto e poteva essere il migliore.

Allora perchè sentiva che c'era qualcosa di sbagliato in ciò che stava facendo?

Quell'uomo, quel "Padrino", lo aveva incuriosito.

Non era più un fatto di cronaca, no.

Stavolta la faccenda era diventata personale.

 

Ricordava dove abitava la famiglia Provenzano.

Attraversata Little Italy, nella parte meridionale di Manhattan, si percorreva una lunga strada statale, piena di macchine e piuttosto affollata, per poi andare ad un altro quartiere, denominato SoHo.

Non era decisamente la parte più ricca di New York, ma neanche quella più povera.

Alexander aveva preso un taxi, una grande rivoluzione iniziata proprio in quegli anni. Queste macchine potevano comunicare con altre autovetture grazie a dei sistemi radio interni, e aiutavano così la clientela a raggiungere la destinazione desiderata. La velocità era modesta, così Alexander si era concesso il lusso di osservare le distese pianure di verde che circondavano la campagna della piccola cittadina. Fermò il taxista dicendo che era arrivato a destinazione. Gli lasciò soldi più mancia, poi scese.

Tempo per un'ultima sigaretta che gli permise di osservare l'enorme cancellata di ferro con delle punte, che ricordava un po' quelle cancellate dei castelli gotici. Spense il sigaro, osservò qualche statua di marmo vicino l'entrata della villa.

Dopo qualche attimo di esitazione, decide di bussare dal cancello.

 

"Guadda qua, Sonny... il tizio co l'impermeabile..."

Sasà, giovane rampollo con capelli tirati tutti indietro, completo grigio e fiore all'occhiello, guardava Alexander dalla barricata della villa. Salvatore, chiamato Sasà da amici e parenti, era il viziato figlio minore di Vito Provenzano. A scuola non era mai andato bene, così Provenzano dovette prendergli un maestro privato. Tuttavia, era più attratto dal gioco d'azzardo che dalla matematica, così ben presto rinunciò anche ai libri.

Accanto a lui, il quasi coetaneo Sonny, più stempiato di lui, occhi azzurri anche lui e pelle maculata, gli rubò un sigaro. Sonny era di qualche anno più grande di Sasà. Aveva un gusto per la lettura, al contrario del fratello, e s'interessava sopratutto ai gialli. Era un po' l'orgoglio della famiglia. Tuttavia, aveva un carattere irascibile e non sopportava gli uomini in divisa.

"Che dici, lo facciamo entrare o lo pigliamo direttamente a botte?"

"Sonny, Sonny... perchè devi sempre fare così?" il colosso nero si posizionò dietro i due, facendoli sobbalzare.

Era il braccio destro di Vito Provenzano. La sua storia era abbastanza semplice. Dwight Conan era un ex schiavo che fuggì dai campi di New Orleans ribellandosi al suo padrone e uccidendolo. Fu portato in carcere, ma riuscì ad uscirne grazie a Provenzano. Il Padrino infatti, aveva notato del potenziale in Dwight e sapeva che prima o poi gli sarebbe stato d'aiuto. Parlava la lingua dei neri del Bronx e di New Orleans, perchè era vissuto a cavallo tra quelle due città, ma Provenzano l'aveva accolto e "addestrato" a dovere. Sapeva che con lui al suo fianco, come guardia del corpo, non poteva correre rischi.

Sonny e Sasà si immobilizzarono un attimo, poi quando videro Dwight passare in mezzo a loro e dirigersi verso la cancellata.

Stava andando ad accogliere Castle.

Il detective, dall'altra parte, lo guardava accigliato. Quella montagna nera davanti a lui con quel viso apparentemente tranquillo, gli sorrideva e nel frattempo apriva il cancello.

"Benvenuto nella tenuta dei Provenzano, detective."

 

Sonny e Sasà erano già rientrati in casa per avvisare il loro padre, il quale, non sembrava minimamente preoccuparsi della presenza - di nuovo - di quello "sporco sbirro" nel loro territorio.

Dwight invece accompagnò Castle, che intanto si stava godendo la tenuta Provenzano. Un lungo corridoio separava l'entrata dalla sala ricevimenti del Padrino. Per quell'arco di spazio, il detective osservava quadri e statue che si alternavano rispettivamente, dando un'atmosfera tetra. Come a voler negare l'evidenza, ironicamente, il muro era dipinto di rosso con dei motivi dorici-stile-greco, e per concludere un lungo tappeto persiano sul pavimento. Alexander strabuzzò gli occhi: quel tessuto doveva esser costato un occhio della testa.

"Il signor Provenzano vi stava aspettando..." il nero aprì la porta rivelando quel salone in penombra, con Vito Provenzano seduto su una poltrona vecchia d'epoca, coi margini dorati, davanti ad un tavolo, d'epoca e in legno pregiato.

Il patriarca alzò lo sguardo e Castle incrociò il suo. Ci fu uno scambio d'intesa tra Provenzano e Dwight, che chiuse la porta, lasciando i due faccia a faccia. L'anziano giocherellava con le mani.

"Finalmente ci incontriamo, detective... accomodatevi." gli indicò una sedia davanti a sé.

Castle non se lo fece ripetere due volte.

Quell'aria così cupa però gli creava uno strano effetto che non gli provocava da quando era più giovane: lo... intrigava.

Storse la bocca, disgustato da quel pensiero.

Provenzano gli offrì un sigaro cubano, preso dal suo cassetto, ma Alexander rifiutò anche se a malincuore.

Il vizio di fumare non se l'era ancora tolto, ma quello non era il momento di lasciarsi andare.

"In cosa posso esservi utile, detective Castle?"

Si schiarì la voce. Cercò di aprire bocca, ma sembrava come se le parole venissero fuori da sole.

"Sappiamo bene perchè sono qui... mia madre vi conosce, e voi conoscete mia madre. Altrimenti un ricco Padrino come voi non l'avrebbe mai invitata al suo matrimonio."

Voleva arrivare alla questione con calma.

Non serviva a nulla arrivare direttamente al sodo.

Vito lo squadrò: avevano gli stessi occhi azzurri e profondi come l'oceano. Poi notò la cicatrice che aveva sulla guancia destra.

Alexander si sentì osservato e quasi scostò il suo cappello e si alzò il bavero dell'impermeabile, nel tentativo di coprire quella cicatrice orrenda di un passato che non gli apparteneva più.

Un passato che non era più suo.

Si alzò dalla sua poltrona, passeggiando per la stanza, e colse l'occasione per soffermarsi su uno dei quadri che gli piaceva di più: l'omicidio di Giulio Cesare per mano di suo figlio Bruto.

"E' vero, come posso mentirvi, figliolo? Siete un detective molto stimato, Alexander Castle. O devo chiamarvi anche... Richard Castiel?"

Quel nome...

Alexander sentiva il sangue raggelarsi.

Quanto tempo era passato da quando non lo usava più?

Troppo.

La sua vecchia identità.

E Vito Provenzano come faceva a conoscerla?

Doveva andarci piano e senza farsi prendere dal panico.

Cinico, freddo, distaccato.

"E voi come fate a sapere queste cose?!"

"Io so molto più di quanto TU possiate immaginare... io sono tuo padre, Richard... ma credo che tu questo lo sappia già." posò il sigaro, e si girò verso il detective vestito di color sabbia.

Questo non era un film dove sua madre recitava, questa era la realtà.

"Non vuoi chiedermi nulla, Richard?"

"Non mi chiamo più così."

Strinse i pugni. Li strinse sempre più forte fino quasi a farsi uscire il sangue per la rabbia.

"Ma è ciò che sei, che tu lo voglia o no... Ascoltami," si avvicinò a SUO figlio "mi dispiace di avervi abbandonato... ma ero nel giro della mafia. Quelli che seguivano Al Capone mi volevano morto, è complicata la storia... ma sono riuscito a fuggire. Dovevo mentire a tua madre e a te, figliolo. Crearmi una nuova vita e una nuova famiglia, proprio come te. Ma cambiare vita, non cambia ciò che sei veramente..."

"Io non sono come te..." ora Castle digrignò anche i denti, e si alzò in uno scatto d'ira.

"Io ti sto chiedendo scusa e ti sto offrendo l'opportunità di conoscermi. Di conoscere la tua famiglia. Sapevo che il tuo destino sarebbe stato quello di essere un gangster... lo sognavi da piccolo, e ora hai l'occasione per redimerti... per metterti alla prova."

Adesso padre e figlio erano uno davanti all'altro.

"Io non lo voglio!! Ho già una famiglia, e mia madre, nonché tua ex moglie, si è scusata con me per avermi mentito---"

"Ti ha abbandonato, Richard! E ti ha mentito! E' tornato, è vero... ma poi ha mentito di nuovo... su di me! Come puoi continuare a vivere nella bugia?"

Alexander si fermò per un attimo.

Forse quel ragionamento non faceva una piega.

Forse dopo tutto poteva approfittare di questa situazione.

Forse...

"Richard... tu sei mio figlio. Il figlio di un gangster. E tu sei un poliziotto. C'è qualcosa che non va, non credi? Potresti avere quello che hai sempre voluto... ricchezza, donne... basta che tu accetti la mia offerta."

"Non lo farò mai. Ho già la mia famiglia."

"Una famiglia che continua a mentirti."

"Arrivederci, padre."

Se ne andò, guardando quell'uomo così sconosciuto ma così improvvisamente familiare, e scoprì quella cicatrice che prima aveva coperto.

Provenzano lo guardò dalla sua finestra, mentre si allontanava con quell'impermeabile al vento.

Una cicatrice quella di Alexander, o Richard, che apparteneva ad un passato che non gli apparteneva più.

O quasi.

 

 

TO BE CONTINUED...

 

 

La grande scelta di Castle: onorare suo padre o sua madre?

Al prossimo capitolo!

   
 
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