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Autore: elecam28    12/10/2006    9 recensioni
"Dove sono Bartemius, Regulus, Aberforth, Nicholas e Tom,
il rigido, il secondogenito, l’originale, il dotto e l’arrogante?
Tutti, tutti, dormono sulla collina."
Fanfic liberamente ispirata al capolavoro di Edgar Lee Masters “Antologia di Spoon River”, una rivisitazione personale in chiave HarryPotteriana. Da collocarsi anni dopo la sconfitta di Voldemort. E Harry? Vedrete alla fine.
Genere: Generale, Malinconico, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Amelia Bones

 

 

Non sono morta di malattia, purtroppo o per fortuna.

No,

non ho concluso i miei giorni in un morbido letto, attorniata dai miei cari.

Mi assassinarono in un vicolo buio,

sul calar del giorno,

con il freddo in corpo e cuore.

E mentre la mia vita finiva, subito dopo quelle di diversi uomini a me così fedeli da sacrificar la vita per proteggermi, ho udito una risata.

Non il riso dei bimbi alle prese con la prima volta che usano la bacchetta paterna,

no,

non le risa dei miei figli, ora sepolti poco distanti da me.

Un riso duro e freddo, come il lampo che mi consegnò alle Chere.

Ebbene sì,

confesso,

a scuola sbirciai i libri sull’epica babbana.

Amavo tanto i libri… e invece che dedicarvi la vita la persi per il mio mondo,

per chi amavo.

Col passar degli anni qui,

sulla collina,

sono venuti tanti altri.

Troppi, troppi qui a dormire sulla collina.

Dopo che la Speranza si rivelò tale,

le lapidi si sono sfoltite nella bottega del loro mastro,

e ora giungono solo anime canute e bianche, stanche in ogni ruga di viver la vita.

Ma in quegli anni lontani...

che lacrime! che sangue! e che fiori sulla fredda pietra!

La Speranza...

era un giovane quando lasciai la vita.

Solo, dicevano,

e solo lo si vedeva.

Così alto, così fiero nel giustificar i suoi gesti davanti ai giudici in quel giorno lontano!

Grazie al suo cuore potrei sorridere in questo istante,

potrei ridere e voler rivivere per goder la pace.

Pazienza; ah, gran virtù; ne ebbi sempre in abbondanza.

Oh...

ma quel vecchio che cammina verso di noi non è forse egli?

Sì, come ogni giorno.

Viene sempre, sapete?

Un fiore per ogni pietra, una lacrima per ogni nome,

e svanisce com’è venuto.

Tristi sono i suoi ultimi giorni,

cupi come i primi.

Per dar la luce la tolse a se stesso per sempre,

e non ebbe mai più altro che ricordi e lettere incise nel marmo bianco.

Eppur non credo se ne penta.

Troppo puro il suo cuore.

Troppo verdi le sue stanche iridi.

Quelle iridi di giada che furono lo stendardo di un mondo crudele,

lo stesso che in fondo non rimpiansi di aver lasciato in quel vicolo,

quella notte,

quando il mio lavoro mi procurò la condanna irreversibile.

Non rimpiango,

in certi momenti,

l’aver perso tutto.

Ma in altri sì.

L’odore dei libri del Ghirigoro,

profumo di nuovo e di saggezza,

lo schiamazzo dei giovani per la strada,

intenti a comperar per la scuola,

e il profumo dei dolci di Mielandia,

visitata quasi in incognito quando il Ministero non richiedeva i miei servigi.

Non l’ho qui, sulla collina.

Qui ho solo silenzio, il silenzio del sonno più profondo.

E i fiori di colui che non mi conobbe quasi ma m’ama come mai mi son sentita amare.

  
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