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Autore: dawnechelon    12/03/2012    1 recensioni
«Caro diario, i ricordi fanno male. »
Si dice che l'uomo tema solo ciò che non conosce, ma non è affatto vero.
Io conosco il dolore, eppure riesce ancora a farmi paura.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeremy Gilbert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il vuoto dentro di me si sta allargando, intaccando il cuore, i polmoni ed ogni organo vitale.
Sembra quasi che Anna stia scivolando via addirittura dai miei ricordi: è come se la nebbia si stesse diffondendo fra di essi, confondendoli ed impedendomi di vederli con chiarezza.
Non faccio altro che sognarla, ogni notte, sempre gli stessi attimi.
Sono in un luogo sconosciuto, avvolto dalla luce e dalla serenità, e vedo lei in lontananza.
Mi sorride, è radiosa, e viene verso di me. Sono pervaso da una gioia immane, il mio corpo è colmo di calore. I fili della mia anima si riallacciano l’uno all’altro, intrecciandosi.
Il mio cuore riprende a battere, ed accelera ad ogni passo che lei muove verso di me.
Un sorriso si disegna ingenuamente sul mio volto, spontaneo.
Lei è meravigliosa: indossa un abito bianco, che accarezza dolcemente il suo corpo esile.
I suoi capelli sono sciolti al vento, morbidi e cadono sulle sue spalle.
I suoi occhi sorridono: c’è una luce che quasi avevo dimenticato dentro ad essi.
Si fa sempre più vicina a me, e muovo un passo per andarle incontro, ma non riesco a muovermi. Sono come paralizzato. Le mie gambe non si muovono, sono immobili, incastrate in una staticità dalla quale non possono liberarsi.
Dopo poco la sua figura comincia ad apparirmi sfocata, lei si fa sempre più lontana ed il freddo mi avvolge.
Non c’è più luce, tutto si spegne, fino a che non vedo più nulla.
Ogni cosa passa dal bianco al nero, dalla luce al profondo buio, e sono di nuovo solo.
E mi sveglio. Apro gli occhi, e sono di nuovo solo.
Il sogno e la realtà si confondono nella mia solitudine.
Non ce la faccio più a stare così, ho bisogno d’aria.
Così, decido di uscire di casa: respiro profondamente l’aria fredda della sera, e comincio a camminare.
Mi avvio da solo, lungo il viale alberato, guardando l’asfalto.
Qualche auto di tanto in tanto mi passa accanto, ed io distrattamente alzo lo sguardo, incontrando la luce dei fanali che punta contro di me come fossi il protagonista della scena.
E’ come se fossi il protagonista di una tragedia: mi trovo sul palco, ma non c’è pubblico, ed io sono l’unico personaggio. Non ho copione, e non c’è nessuno oltre a me.
Il regista è una perfida donna, che ha deciso di non scrivermi copione e di affidarmi all’improvvisazione.
Lo sceneggiatore invece è un uomo vestito di nero, che ha creato per questa tragedia un’unica triste scenografia: un telo nero.
Lei si chiama solitudine e lui dolore. Sono sempre loro, che come il gatto e la volpe, lavorano in società e stanno trasformando ogni mio giorno in un inferno.
Continuo a camminare, e mi accorgo di aver raggiunto la biblioteca.
Alzo lo sguardo verso l’edificio, ed i miei occhi si bagnano di lacrime amare.
La biblioteca è come il cimitero per me: è il luogo dove conobbi Anna, e qui lei giace.
Mi siedo sulla panchina che sta lì fuori, e fisso l’edificio, come se stessi guardando le scene di un film.
Se chiudo gli occhi rivedo il nostro primo incontro, che tanto mi dà gioia, quanto mi fa male. Quell’incontro/scontro così casuale, e così spettacolare.
Lei che si scusa con me, con un sorriso imbarazzato. Io che mi abbasso per prenderle il libro, e mi scontro contro di lei. Noi che caduti goffamente a terra, ridiamo e poi lei si presenta sfoggiando il suo sorriso migliore.
Ricordare tutto questo mi fa male al cuore: mi ricorda che non potrò parlare con lei di quei momenti speciali, e riviverli insieme, con un sorriso.
Mi ricorda che tutto ciò che mi aspetta è una vita senza alcun senso, senza di lei.
I miei occhi finalmente riescono a svuotarsi delle lacrime che contenevano, ed esse cominciano a scorrere sul mio viso, rigandomi le guance senza tregua.
Poggio i gomiti sulle ginocchia, prendendomi la testa fra le mani.
Come potrò vivere senza di lei? Come potrò accettare di esistere senza di lei?
  
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