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Autore: EvyWeasley22    12/03/2012    1 recensioni
La missione dell'attrice Anne 'Annie' Evans è molto semplice: Lily, la sua amica più cara, con la quale convive a Londra da tre anni, è patologicamente e inevitabilmente ancora cotta e stracotta di Zayn Malik.
La 'Sacra Alleanza' da lei formata, composta da quattro soggetti uno più decerebrato dell'altro (conosciuti al pubblico come Horan, Payne, Styles e Tomlinson), vuole riportare la coppia, un tempo felice, sulla retta via, e ci riuscirebbe anche piuttosto in fretta, se non fosse per una ragazza fronscese dal cognome impronunciabile, una serie di atti di spionaggio volti solo alla formazione di un'altra impensabile coppia incasinata, e la piccola clausola che lega la vita di ogni personaggio dello Star System: "La privacy non esiste".
Dalla storia:
"Annie, insomma, segni che...? Sono segni, ok, abbiamo appurato che sono segni, perché queste cose... fuori dalla norma, capitano a tutti noi...sì. Va bene, mettiamo che sono segni, ok? Ma segni segnaletici che ci vogliono segnalare cosa? Qual è il punto?"
Harry, ti amo. No, sul serio. In questo momento gli costruirei un monumento. [...]
"Layn." dico semplicemente, cascando a sedere sul puff con un sospiro di sollievo.
I ragazzi mi fissano. Oggi, che incarno tutti gli ideali di stanchezza, schizofrenia, illuminazione, possibili e manifestabili su questa terra, loro decidono repentinamente di focalizzare la loro attenzione su di me.
"Lily e Zayn. Layn." ripeto, come se fosse la cosa più ovvia al mondo. [...]
"Ok, Ev." inizia Liam, alzando gli occhi dalle mie ciabatte, per arrivare al mio viso... eh no, non penso che lo descriverò. "A tutti noi mancano i pomeriggi passati insieme, quando quei due, invece che sbranarsi, si sbaciucchiavano. Ma non possiamo farci niente. Oramai è finita da due mesi e più."
Io mi metto le mani nei capelli, come a non voler sentir ragioni.
"Sì, sì che possiamo farci qualcosa! Possiamo dar loro una spintarella, prima che Zayn si trovi un'altra ragazza, e lo sapete meglio di me, che la sta cercando!"
[...]
Corruga un po' la fronte, socchiudendo le labbra, e quella sua mano si stringe ancora più audace sui miei fianchi. Io gli vado a un centimetro dal naso, per non dire altro, in quella che mi appare come la centesima volta, da quando ci siamo acquattati dietro a quel cespuglio. E basta, Evans. Smettila di pendere dalle sue labbra, gli stai per pestare un piede con un tacco dieci, se non ci presti attenzione. E fa male. Rischi di amputargli un alluce, così. E non è il modo migliore di iniziare una... relazione? E' questo che avevo intenzione di dire? Relazione?
Genere: Comico, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Maybe the days we had are gone, living in silence for too long
"Maybe the days we had are gone, living in silence for too long"
o 
"Come il peggior viaggio in metropolitana di sempre della Signorina Annie Evans, si sia anche traformato nella peggiore giornata della Signorina Lily Ellis"

"Sei in ritardo."
Io amo la metropolitana di Londra. No, davvero. La amo alla follia. Amo le ligie macchinette all'ingresso di ogni sacrosantissima stazione; non sono un'inutile perdita di prezioso tempo, quegli aggeggi infernali nei quali infili il tuo bigliettino roseo, sia alla partenza che all'arrivo, giusto per verificare che tu non sia riuscito ad eludere la sorveglianza, sgattaiolando dentro lo scompartimento di un qualche random treno. Amo quando le barriere metalliche che ti separano dal binario ti si aprono sempre e come per incanto, e il modo rassicurante con il quale i poliziotti ti fissano imperterriti, con il loro cappellino nero, intenti a smascherare qualche probabile terrorista e a salvarci tutti, frugando di tanto in tanto in qualche borsa. E semplicemente adoro la calca di turisti che si forma dietro alla linea gialla, - ma che è pur sempre disciplinata, poiché non un solo piede varca quella soglia - e il modo cordiale con cui vieni strattonato da una parte all'altra, finché un qualche povero Cristo non ti lascia avvicinare a qualche posto libero. E amo quando per più di venti minuti di viaggio, ad ogni fermata, mi sento rimbombare in testa "Mind the gap!", "Stand clear of the doors!" e un sacco di altre informazioni che alla prima non ricorderei mai. Poi, dire che adoro la discrezione delle persone sulla metro, è dire poco. Stanno semplicemente zitte, con gli occhi fissi sul riquadro che riporta in ordine le fermate, le cuffie nelle orecchie. E tu non ti accorgi nemmeno di essere in mezzo metro quadrato, con circa un quarto della popolazione mondiale!   
E poi amo scendere, anzi, no! Quasi mi dispiace scendere dalla mia amata tube, dopo aver mindato the gap!, e dirigermi verso le scale che mi riporteranno in superficie. E ripassare il biglietto sulla macchinina, e ricertificare che no, non sono una minaccia, e poi finalmente salire, salire sulle scale e uscire. E sei arrivato in perfetto orario dovunque fossi diretto.
Certo, a cose normali, io adoro la metropolitana.
Certo, quando dalla mia casa a Chelsea devo raggiungere in meno di cinquanta secondi Hyde Park Corner, allora io non ho dubbi: the tube, for sure.
Il nostro è un rapporto di reciproca fiducia. Io faccio tutto per bene, lei fa tutto per bene. A posto, no?

No.
Oggi proprio per niente a posto. Oggi ho dimenticato tutti i milioni di motivi per cui non ho una macchina, per cui mi autoconvinco ancora a usare la metropolitana.
Oggi, il bigliettino rosa non voleva farmi passare. Non che abbia una sua propria volontà: è un oggetto, lo so. Ma oggi sembrava veramente intenzionato a lasciarmi a piedi. Lo inserisco, ma non si decide ad entrare, e se entra mi viene respinto con un medesimo suono metallico. Io comincio a chiamare a raccolta quanti più santi riesca a ricordarmi, mentre infilo e tolgo il fogliettino rosato dall'apposito congegno. Ma niente. Nada, zero, no way. Sono incastrata.
Problema "fuori dalla norma" numero 1: ok, capita. Basta che cambi ingranaggio, questo deve essere rotto. Ma dietro di me, che nel frattempo continuo ad imprecare contro l'aggeggio con estrema facilità, si è formata una piccola coda, così che non riesco nemmeno a muovermi. Devo sembrare veramente impedita, una turista alle prime armi.
Man, io vivo e lavoro a Londra da tre anni!  
Finalmente, quando sto per linciare con la borsetta le sbarre ancora chiuse, degli agenti di polizia si decidono a venirmi ad aiutare. O meglio, io penso che vogliano aiutarmi; in realtà cominciano a chiedermi documenti vari, a rovistare nella mia arma, a chiedermi di allargare le braccia stile angelo nella neve, perché probabilmente devo proprio avere un'aria sospetta, da terrorista sotto copertura.
Problema "decisamente fuori dalla norma" numero 2: ok, anche questo capita. A me non capita mai, ma c'è sempre una prima volta per tutti.
Mi scrutano, mi osservano, si soffermano sul mio posteriore - come se non l'avessi notato! - e poi mi guardano bene in faccia, e beh, con tutta la discrezione di questo pianeta terra, prorompono con un sonoro "Oh, Miss Evans! Non l'avevo riconosciuta, sono spiacente!" e mi sorridono imbarazzati, non tanto perché sono cliente abituale di questa benedetta metropolitana da ormai tre anni, ma perché, purtroppo o per fortuna, anche un gatto persiano strabico saprebbe riconoscermi. E se anche non fosse riuscito a riconoscermi prima, infagottata nel mio cappotto a doppio petto molto English e mascherata in viso da un cappellino e un paio di occhiali da sole, adesso che il mio nome di poco conto è stato sbandierato ai quattro venti, di sicuro non mancherà nel constatare che sì, sono veramente io. Annuisco, con una faccia che tralascia tutta la follia omicida che mi si sta accumulando sottopelle, e lascio che i due mi scortino fino al binario giusto, porgendo i loro omaggi a me... e al mio posteriore.
E ok, fin qui solo due problemi. Sono pochi due, se si pensa che nel mondo ce ne sono talmente tanti! Ma se si pensa, inoltre, che sono per metà italiana, e che in Italia vige il detto "Non c'è due, senza tre!", allora non posso che aspettarmi qualsiasi altra catastofe imminente. Ok, non pensiamoci. Il treno che prendo, per il momento, è quello giusto. Le persone che trovo dentro, la famosa calca di tourists che mi sta letteralmente sfracellando lo sterno con la loro mastodontica massa di gomiti appuntiti, non è il massimo della vita, lo devo ammettere. Si, perché sembrano essere informati. E se sono informati, sanno chi sono. E se sanno chi sono, sono finita. Oggi, il pover'uomo che mi lascia il posto a sedere non c'è, perché sono tutti in piedi, davanti a me, con sguardi famelici alla "The Walking Dead", con i loro IPhone, IPod, IPad, IQualcosa, stretti convulsamente in mano, pronti a documentare questo grande evento, il raggiungimento del problema "ma chi ha mai sentito parlare di norma?" numero 3: Anne 'Annie' Evans è su questo treno.
Panico.
Tralasciamo l'ondata selvaggia di fans che mi ha travolto in questo soleggiato primo pomeriggio autunnale, e parliamo del problema "oggi ho idea di coniare un nuovo proverbio" numero 4: il bigliettino roseo.
Quel maledettissimo bigliettino roseo e i suoi costanti controlli. Si, perché per uscire da questo adorato mezzo di trasporto, io devo convalidare di nuovo il biglietto. Ma dov'è il mio fo...formidabile biglietto?
E soprattutto: funzionerà o darà forfait di nuovo?
Non lo trovo, ma continuo a camminare come se niente fosse. Per una volta, forse la prima, confido nella carta "Hey, ma tu sei Anne Evans!", che oggi sembra proprio cadere a fagiolo, con tutte le peripezie "decisamente fuori dalla consuetudine" che mi stanno accerchiando - e che, tra l'altro, mi costringono ad usarla -. Perché il solo fatto che Anne Evans, che poi sarei io, viaggi sempre in metropolitana senza alcuna protezione o arma letale nascosta sotto la giacca, è già di per sé qualcosa che i mass media reputano fuori dalla norma, e straordinario. Insomma, quanti attori vedi in giro per Londra, da soli, in metropolitana, quasi tutti i giorni? Solo una, e quest'una è proprio Annie Evans! E quanti di questi meritano degli stra - favori e strappi alle regole, ogni tanto? Sempre l'unica e sola, Annie Evans! Hip - hip, hurrà! God save the Queen, e tanti altri convenevoli. L'importante è che funzioni. Continuo a camminare, un'espressione pokerface a incorniciarmi il volto; farò proprio finta di niente, andrò lì con l'intenzione di "passare" e passerò. E se mai mi chiederanno il biglietto o la Oyster card, metterò su un faccino da bambolina sexy e risponderò che delle "voci mi hanno detto di salire senza certificazione", magari sbottonandomi un po' la giacca, o ancheggiando un po': se devo giocare la "Regina di cuori", è meglio che lo faccia bene e fino in fondo.
Ed ecco, ci siamo quasi. Frugo di nuovo, ma il biglietto, in tasca, non c'è. La Oyster Card non è in mio possesso, in questo istante. La borsa è sempre un'ottima arma, nel caso non dovessi trovare qualcuno di particolarmente sensibile. Posso contare solo sulla mia recitazione. Non sto mentendo, sto recitando. E' diverso.
Non sarà particolarmente difficile. Ma, forse, nel mio continuo riflettere sul modo migliore di inscenare la prematura dipartita del mio biglietto, ho dimenticato che giorno è oggi. Oggi è il giorno dell'impossibile, del "Ricordati che devi morire! Perfetto, morirò qui", del "mai accettare un appuntamento con soli venti minuti scarsi di anticipo sui tempi", il giorno dei giorni, che verrà ricordato nei secoli dei secoli, amen. Perché se "non c'è due senza tre, e il quattro vien da sé!", allora "Dai non si sa mai, anche il quinto cataclisma del giorno, tra molto poco troverai!"
E difatti.
Ho forse dimenticato, immersa nella mia più totale concentrazione nel tentativo di eludere la sorveglianza, che sopra la mia testa c'è Buckingham Palace? Ho forse, non so, in un attimo di follia, rimosso totalmente dalla mente il livello di sorveglianza sotto il quale è tenuto questo posto? Mi sono forse completamente bevuta il cervello, a venire senza biglietto? O meglio, a perderlo?
Sbarro gli occhi, perché altro non posso fare. Un paio di poliziotti corpulenti stanno perquisendo una vecchietta innocente, nel tentativo di disarmare la bomba nucleare che ha dentro la borsetta, e che si rivela essere un uovo di cioccolato per il nipote. Immaginati se hanno fatto questo alla vecchia, cosa fanno a me, Annie Evans.
Posso già immaginare la scena: "Hey, tu sei Anne Evans! Sono un tuo grandissimo fan, posso avere il tuo autografo? Magari anche la tua carta d'identità, la tua borsa, la bomba a idrogeno che tieni sotto il cappellino, grazie. Oh, e se mai ci dovessimo rivedere, ricordati di me! Fai il mio nome, quando sarai alla corte marziale!"
Deglutisco, e, cavolo, mi avvicino alla macchinetta. Come faccio a passare? Fingo di inserire un foglio di carta, ma di nuovo questo mi viene respinto, perché, logicamente, inesistente. Di nuovo, in quella che sembra una parodia di un deja vu, dietro di me si è creata una piccola fila di robusti e borbottanti inglesi, e di nuovo, in quella che sembra il remake della parodia del deja vu, la coppia di poliziotti viene verso di me, nel tentativo di aiutarmi - arrestarmi, farmi crocifiggere e via dicendo.
"Qualche problema, Miss?"
Io li guardo vacua, la bocca spalancata alla ricerca di qualche fonte di ispirazione. Ma niente. Potrei mettermi a piangere, fingere un attacco epilettico, svenire tra le loro braccia, cominciare a delirare. Ma non ho tempo sufficiente, ho un appuntamento, damn!, e poi ci sto riflettendo molto, fatto che potrebbe farli insospettire fin troppo.    
"Ecco... io..."
"Sono Anne Evans!" potrei dire, se volessi finire in centrale ancora prima di aver messo piede fuori dalla stazione, ma mi limito a sospirare scoraggiata, e a mettere su un muso da cucciolo bastonato, chiamando a raccolta quella schiera di Santi che mi aveva aiutato all'andata.
"Ecco, agenti: le cose stanno così. Non posso mentirvi." inizio, deglutendo. Ma che diavolo sto facendo? Mi faccio venire gli occhi un po' lucidi, magari ha un effetto molto più potente della cavolata che sto per sparare.
"Sono salita a Sloan Square, con il mio biglietto, e non ho avuto alcun tipo di problema. Ma poi, durante il viaggio, nel disperato tentativo di soccorrere un anziano non - vedente sprovvisto di biglietto, gli ho ceduto il mio, non pensando che poi mi sarebbe servito di nuovo! Non so come fare, devo raggiungere mia nonna paraplegica a casa, per portarla in ospedale!"
Loro mi fissano... male. Non credo nemmeno che esista un aggettivo sufficientemente appropriato per definire le loro espressioni. Diciamo che mi fissano male e basta. Ma non saprei dire se sia un male da "sei nei guai: prendi la borsa e stordiscili", o un male da "sei nei guai, ma se keep calm e continui a mantenere quell'espressione da cucciolo, vedrai che funziona".
O un male da "questa ha bisogno di cure", perché l'opzione non deve assolutamente essere esclusa.
"Sul serio! Posso... posso darvi un documento, per convincervi? Vivo a Londra da circa tre anni, e ho una Oyster Card, ma... quella serviva a... a mia nonna per tornare a casa..."
Ah no? Non sembrano ancora totalmente convinti, mi fissano ancora male, se non peggio. Hanno anche ragione, dopotutto. Quale persona sana di mente inventerebbe una scusa così palesemente assurda, mentre - inoltre! - stringe convulsamente in mano un pezzo di carta che - in teoria - doveva fungere da finto biglietto, ma che, ovviamente, non fa altro che accentuare la scarsa capacità di intendere e di volere del soggetto in questione?
Solo una.   
"Sono Anne Evans...?"   

Non smetterò mai di ringraziare abbastanza il mio nome, il mio nome bellissimo ed efficace. Sto risalendo le scale che mi riporteranno in superficie, dopo aver brillantemente superato un'orda barbarica di fan impazziti, e aver firmato un autografo sdolcinato per la nipote di uno dei due poliziotti. Sono leggermente in ritardo, perciò affretto il passo, andando quasi a cozzare contro l'angolo di uno scalino con la fronte. Perché ci mancava, no?   
Rimetto gli occhiali da sole, abbottono il cappotto e tiro un sospiro di sollievo, che sembra più un urlo liberatorio trattenuto. Luce, una luce abbagliante ed eterea che non sembra nemmeno appartenere a una Londra nel fiore dell'autunno. O forse, il fatto che abbia trascorso gli ultimi quaranta minuti a imprecare sotto terra, figurandomi in mente tutto ciò che avrei fatto se mai fossi riuscita a uscire, rende il tutto molto più suggestivo ed eccitante.  
E' finita. Fine. The End. Quindi, a meno che un mastodontico double - decker bus non decida repentinamente di invadere il marciapiede e di investirmi in pieno, questa giornata disgraziata all'insegna dei mezzi safe di trasporto è terminata. Come si suol dire: Alleluja!

Comincio a camminare più velocemente, imboccando l'entrata di Hyde Park con uno sguardo che lascia intendere tutto il mio "giramento di scatole". Giusto, perché ho appena realizzato quanto io sia in ritardo, in realtà. Non è necessariamente un lasso di tempo molto lungo, per una ritardataria cronica come me. Tipo, una ventina di minuti, se non di più, che, però, per una Lily Ellis nel pieno di una crisi di identità, rappresentano circa un quarto di secolo abbondante. Quindi sì, sono molto in ritardo.
Se non mi ha ucciso il viaggio in metropolitana, lo farà sicuramente lei. La mia amica più cara, alla quale voglio un bene dell'anima, ma che in questo momento merita solamente una ciabatta in testa, se non qualcosa di più pesante o contundente. Conviviamo nello stesso appartamento a Chelsea da tre anni, e per farmi sicuramente un infinito monologo su quanto odi l'amore della sua vita, mi ha fatto perdere quaranta minuti di esistenza preziosa in un viaggio da dimenticare. E questo perché, molto probabilmente, Hyde Park in autunno è un luogo molto più suggestivo in cui affogare i dispiaceri dell'amore, piuttosto che il salotto di casa nostra.
Mi avvicino ad una panchina, dove una ragazza dai capelli rosso ramato - tinti - raccolti in una coda scomposta, mi da le spalle. Eccola là, la nostra Lily. Un paio di occhiali da sole, che le nascondono gli occhi marroni, e il telefono in mano, aperto alla pagina di Twitter, sicuramente.                             
"Sei in ritardo, Ann."
Non mi da neanche il tempo di avvicinarmi, che già prorompe con tono acido - e falso come una banconota da 23 pounds - e un sorrisetto beffardo in volto. Sembra abbastanza tranquilla, sicuramente più di me, che in quella metropolitana ci ho perso i sentimenti.   
"Non ne voglio parlare." borbotto, lasciandomi scivolare affianco a lei sulla panchina. "Hai presente il fatto che viviamo nella stessa casa da tre anni? Beh, non trovi che sia più funzionale incontrarci lì?"
Lei sorride, sospirando. "Avevo bisogno di una boccata d'aria."
"Non so se ti è giunta voce, ma anche il nostro terrazzo è piuttosto ventilato."
"Sempre la solita." borbotta, mettendo su il muso, e infilando il telefono nella tasca dei pantaloni con rapidità.
"Ringrazia che sia sempre la solita, e che non peggiori con l'età, come fa una certa persona che conosco!" esclamo, mollandole un pugnetto affettuoso sul braccio.
Ma lei non sembra nemmeno sentirmi, perché si è già persa a osservare il lento e costante movimento circolare delle foglie che cadono dagli alberi, e che si accostano così delicatamente al colore dei suoi capelli.
Se non la conoscessi bene, direi che è sovrappensiero, e che questo pensiero è piuttosto grande e profondo. E se non conoscessi bene nemmeno me, direi che è il momento che Annie Evans si attivi per scoprire cos'è questa misteriosa minaccia che intacca il suo visetto, facendole assumere un tono e un'espressione grave, che non le si addicono per niente. Scuoto un po' i capelli castani chiari, sbattendo le ciglia e togliendo gli occhiali da sole in un modo esagerato, che la fa ridere sotto i baffi.
"Quindi? Mi hai fatto rischiare la vita su una cavolo di metropolitana, per farmi ammirare la disarmante bellezza di Hyde Park in autunno? Perché, ti ripeto, anche il viale alberato sotto il nostro terrazzo è splendido, awesome, tutto quello che vuoi."    
Sorride, dando in un sospiro ponderato, che vuole lasciar intendere tutto e niente.                   
"Due mesi, sei giorni, quattro ore e venti minuti" inizia, raccogliendo le gambe in grembo.
"Tutto molto toccante... Hai visto Donnie Darko, ultimamente? Cos'è, ti metti anche tu a predirre la fine del mondo?" ipotizzo io, ridendo. Lei mi lancia uno sguardo malinconico, scuotendo la testa.
"Due mesi, sei giorni, quattro ore e ventuno minuti fa, io e Zayn abbiamo smesso definitivamente di parlarci." sottolinea mestamente, dondolandosi sulla panchina.
Ah, ecco. Se non fossi un'attrice di fama nazionale - ma alla volta del mondo, sia ben chiaro - potrei benissimo sfondare nel campo dell'occulto, diventando veggente. Se non era di Zayn "sono - figo - solo - io" Malik, che voleva parlare, di cos'altro poteva essere? Ormai è un pensiero fisso, nella sua testolina, ma anche nella mia, che lo sento citare da Lily in tutte le salse e condimenti da circa due anni. Prima c'era il ricorrente­: "Zayn è proprio wow, non trovi?" e io mi ritrovavo ad annuire sconnessamente, tra una pagina di copione e un'altra, mentre Lily divagava in mille discorsi su quanto Zayn Malik, lo stesso Zayn che ormai conoscevamo da due mesi scarsi, fosse "grandiosamente stupenderrimo, un dio sceso in terra", e se mai l'avesse potuta notare, tra tutte quelle ragazze che gli gironzolavano intorno. Successivamente a questa fase primordiale, una volta che sì, Zayn l'aveva notata (e neache poco), "Ma quanto sono fortunata ad avere un ragazzo come Zayn!" e io mi ritrovavo, di nuovo, tra una ripresa e l'altra, a sorridere e congratularmi. E dopo questo periodo di idilliaca serenità, era iniziato il momento: "Zayn mi sta facendo esasperare!" e io, ancora, mi ritrovavo ad ascoltare, tra un'intervista e l'altra, i resoconti dettagliati delle loro liti furiose, finché, due mesi, sei giorni, quattro ore e ventidue minuti prima, mi ero ritrovata a cancellare una settimana di impegni, per asciugare le lacrime che "Io e Zayn ci siamo lasciati!" aveva causato.          
"Tieni anche il conto? Ma non avevi detto che non ti importava?"
Ma ovviamente so già la risposta.    
"Non mi importava, finché ieri LUI non ha rotto l'idilliaco silenzio che si era creato tra noi." sbotta, girandosi di scatto verso di me, con lo sguardo di chi la sa lunga su qualcosa o qualcuno, e questo qualcuno è Zayn.
"Avete parlato?" provo a chiedere, malgrado la risposta sia palese e facilmente captabile dalla contrazione dei muscoli sul suo volto.   
"Si. Mi ha chiamata." ammette, ritirando fuori dalla tasca il telefono, controllando chissà quale tweet, o post, o semplicemente aspettando una sua casuale chiamata, della serie "parli del diavolo, e spuntano le corna", visto che oggi siamo in tema di proverbi.  
"E...?"
La mascella di Lily si irrigidisce di botto, mentre dispiega le labbra in una smorfia. "No, ma scusa, io non lo capisco!" si affretta a sibilare, rabbiosa.
No, nemmeno io lo capisco, in tutta sincerità, e conosco lui e quella sua banda di dementi da circa due anni. Sì, perché malgrado voglia loro un bene dell'anima, è scientificamente dimostrato che troppe castronerie bruciano i neuroni. E loro ne hanno fatte, di castronerie, per non usare altri termini.
Guardo la mia Ellis con circospezione, quasi ad aspettarmi un'imminente attacco d'ira, di pianto, di "ho voglia di tornare a praticare mosse sadiche di karate su qualche povero mal capitato", malgrado, in quella specie di pigiama - camicia di forza bianco, ci abbia speso gli otto anni più infruttuosi della sua esistenza, come spesso racconta, così che uno parte già dal presupposto che no, non mi assesterà un calcio rotante sul costato per scaricare la rabbia repressa, giusto? Si, giusto, di solito. E' che qui parliamo di Lily e Zayn, di Layn, e quando si parla di Lily - e soprattutto di Zayn -, non si è mai totalmente convinti di ciò che si sta affermando. Un momento dici: "Non le importa di lui", il minuto dopo ti ritrovi già a fare calcoli su calcoli, per stare al passo con il continuo cronometrare di una Lily completamente persa tra mesi, settimane, ore, minuti, secondi, millesimi di secondo, anni luce...
Ma Lily Ellis è, a tutti gli effetti, persa. Totalmente, e incondizionatamente. E' persa in quegli occhi da cucciolo e quel sorriso... Ah si, e quei capelli, e quel naso... e quel mento... per non parlare di quelle labbra, o quella qualsiasi cosa che sia anche solo appoggiata o accostata al viso di Zayn Malik, così che, se un fortunato pennuto dovesse mai avere il privilegio di defecargli in volto, lasciandogli un alone bianco e consistente nel pieno del cuoio capelluto, Lily si perderebbe anche in quello. Solo che non lo accetterà o ammetterà mai, nemmeno sotto tortura cinese, o dopo aver passato gli ultimi quaranta minuti a girovagare sotto terra, alla disperata ricerca del fascio di luce bianca all'entrata dell'alto dei cieli, come aveva fatto la sottoscritta.
"Anne," esordisce, schiaffandosi una pacca sulle ginocchia, in quello che, ad occhi esterni, potrebbe sembrare tanto un gesto masochista, ma che, in realtà, è solo un modo per trovare sufficiente motivazione interiore a iniziare il discorso che sta per propinarmi "spiegami, davvero, perché io non capisco. Quale decerebrato, a questo mondo, si accorge, così, dopo due mesi, di avere lasciato a casa della sua ex gli occhiali da vista? No, seriamente."
Ok, questa è divertente, ma per niente scontata. Perché questa è Layn, e, ribadisco, quando si tratta di Layn, niente va mai dato per scontato. Come abbia fatto Zayn a tirare avanti per due mesi senza la concezione di quello che lo circonda, questo non mi è dato saperlo. Posso escludere - ma nemmeno più di tanto - che si sia fatto scarrozzare in giro da un paio di pastori tedeschi, o abbia girato per le strade con un bastone da passeggio particolarmente retrò, perché non sarebbe da lui; tutto sommato, lo conosco bene.             
E proprio perché lo conosco bene, so anche che è consapevole di non riuscire a distinguere un gatto da una falciatrice, da quando si è richiuso alle spalle la porta di casa nostra, ma che, per semplice e puro orgoglio, non ha mai accennato a niente, finché, in un momento di riflessione interiore molto intensa, non si è reso conto di non poter andare avanti consumando le riserve nazionali di lenti a contatto; o - molto più probabile - che gli occhiali gli danno una parvenza da ragazzo molto faigo e intellettuale, cosa che ha un effetto molto positivo, sulle ragazze. Aspetta... quindi sta cercando un'altra ragazza?
E' una supposizione. Una piccola fantasia, nata nella mia zucca vuota, basata su motivazioni infondate. Perché non sta cercando una ragazza, insomma, no. Non quando c'è Lily, che, malgrado in questo momento stia manifestando tutta la sua rabbia repressa sulla sua persona, sia patologicamente fatta per stare con lui. Dovrebbe saperlo.
Ma questa è Layn, e niente è mai "risaputo", o "scontato".  
"Beh... glieli hai restituiti, gli occhiali?"
Dimmi di no, dimmi di no, dimmi di no...
Lei si volta verso di me, lasciando scivolare la testa contro la panchina. "Li ho dati a Harry."
Come non detto.
"Gli ho fatto presente che se li rompe, mi fa un favore." borbotta, e quasi le scappa da ridere. "Certo, non mi aspetto che lo faccia davvero: insomma, migliore amica vendicativa, o uno dei suoi migliori amici decerebrati? La scelta è ardua..." sussurra, giocando con le punte dei capelli, e canticchiando qualcosina a bassa voce. Aspetto che prosegui, stiracchiandomi leggermente sulla seduta della panchina. "Sai un'altra cosa?" Scuoto la testa: ovvio che no, se non me la dici. Vabbè che sono veggente, ma non fino a questo punto. "Non è tanto per la questione che si sia rinvenuto adesso, fatto che denota un certo... non so, una certa demenza senile, ecco. Ma più per il fatto che non si sia degnato nemmeno di farsi vedere."            
Io annuisco distrattamente. Dopotutto, le manca, si mancano a vicenda. Oh, se si mancano. E sai a me, invece, cosa manca? Il biglietto rosa, per tornare a casa. Perché ricorre sempre, alla fine? E' un po' come Zayn, nella mente di Lily. Anche dopo due mesi, sei giorni, quattro ore e ben trentanove minuti - no, aspetta! Quaranta! - ritorna sempre a galla. E come fai, ad arginare questo problema di dimensioni ciclopiche?
"Lily, dobbiamo comprarci una macchina." mormoro appena, passandole un braccio attorno le spalle e trascinandomela dietro, verso le infernali scale della mia amata metropolitana. 
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