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Autore: Ortensia_    12/03/2012    1 recensioni
Dodici, e le lancette scorrono.
Qualcosa li ha condotti al numero 50 di Berkeley Square, e non vuole più lasciarli andare.
Vive nelle fondamenta, nel vuoto. Si nutre della paura e spezza quei sentimenti che riescono a toccarsi con dolcezza nella casa spettrale di Londra.
...
Cos'è? Chi è?
...
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, Altri, Austria/Roderich Edelstein, Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Can you hear the World?'
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II – Stanze



Fu un tumulto di occhi, un analizzare continuo della situazione e dei personaggi, da quelle dodici menti: folli, orgogliose, spensierate, felici, tristi, sospettose.
Convinti tutti che il mittente della lettera ricevuta fosse la stessa per ognuno si limitarono al silenzio, muovendo i primi passi titubanti verso il n.50.
Gilbert inclinò appena il viso verso il fratello, quando lo sentì sbuffare innervosito.
«Beh, ci siamo tutti, no?» ghignò appena il prussiano, lanciando però una veloce occhiataccia al russo, poco lontano da loro.
"Perché sono tutti qui? E perché Gilbert mi guarda male, se è stato lui ad invitarmi?" pensò cupo il russo, con un sorrisino malizioso sul viso: sorriso che scomparse non appena sentì il suo braccio circondato da una mossa possessiva.
«Loro sono gli invitati?» sussurò l'esile bielorussa aggrappata al braccio del russo.
«E i testimoni, fratellone?» sorrise poi, adagiando la tempia contro la spalla ampia dello slavo.
«E-eh?» inutile dire che l'espressione assunta da Ivan non fu una delle migliori.
Feliciano non poté che accollarsi al tedesco,, tenendo però d'occhio il fratello, ascoltando a fronte aggrottata e con sguardo sorpreso ciò che aveva da dire allo spagnolo.
«Ohi bastardo, non era una rimpatriata fra voi tre deficienti? Non volevo neanche venire ...» sbuffò il meridionale, completamente ignorato dallo spagnolo che già si era concesso un abbraccio amichevole con il prussiano.
«Spostati Gilbert.» gli intimò nervoso l'austriaco.
«Mh? Che vuoi?» ringhiò l'albino, scostando le braccia da quelle bronzee dello spagnolo.
«Hola Roderich!» l'ispanico lo salutò con un sorriso, ricevendo solo un'espressione confusa da parte dell'austriaco: perché non accennava ai dischi? Perché solo quel saluto vuoto e scarno? E soprattutto: perché tutte queste nazioni e, in particolare, Prussia?
Francia rimase ad osservare quel triangolo rumoroso con la coda dell'occhio, senza scostarsi dall'inglese.
«Che è successo, Arthur?»
«Niente. Perché me lo chiedi?» la risposta tranquilla ed indifferente dell'inglese lo spiazzò: "niente"?
E la richiesta di aiuto? La corrente tolta?
Il francese fece per dire qualcosa, ma fu interrotto da una risata acuta ed allegra.
«Ahahah! Il prossimo meeting lo organizziamo a Washington!» esclamò l'americano, mandando una delle due mani ad occupare la spalla libera dell'inglese, assottigliando appena gli occhi ed incontrando quelli pacifici del francese.
«Sono arrivato prima io ...» gli fece notare Francis con un sorriso stampato in volto.
«C-calma, non litigate ...» sussurò una voce che ancora non si era pronunciata.
«Matthew!» e in un attimo, il francese, si scostò dall'inglese e corse quasi a soffocare il povero canadese, rosso in volto.
Nel frattempo, Arthur, si scostò da Alfred ed inserì le chiavi per aprire la porta della casa, spalancandola per lasciar entrare tutti gli altri.
«Mes amis!» esclamò il francese, rivolto a Gilbert ed Antonio senza scostare il braccio dalle spalle del canadese, in modo da attirare la loro attenzione e farli entrare.
I primi ad entrare furono sospinti dagli ultimi, addirittura oltre il grande ingresso, e si ritrovarono ad osservare le porte chiuse lungo il corridoio.
«Oh! Germania! Dobbiamo stare in camera insieme!» esclamò allegro l'italiano, indicando una delle porte, rimanendo sulla soglia dell'ingresso e del corridoio.
Un vocio confuso si alzò in pochissimo tempo, per poi arrestarsi e morire non appena la porta dell'ingresso sbatté all'improvviso.
Tutti i volti si rivolsero rapidi verso la porta serrata e l'inglese, al suo fianco, alzò appena il viso verso i presenti, ora nel silenzio più totale.
«Forza! Vi hanno mangiato la lingua?» e facendosi strada fra tutti gli altri gli altri si ritrovò solo nel corridoio.
«E' grossa, penso ci sarà un posto per tutti ...» concluse osservando il corridoio che terminava in due rampe di scale, una diretta al piano di sopra, l'altra di sotto.
«A-America?» balbettò il canadese.
«Ahahah! Io di sopra!»
«Stiamo in camera insie ... me ...?» non ebbe neppure il tempo di fare la sua domanda che lo vide attraversare di corsa il corridoio e correre spedito sulle scale.
«Oh ...»
«Emh.» ad interrompere lo sconforto del canadese fu Roderich, angosciato dalla possibilità di ritrovarsi in camera con uno di quegli elementi davvero troppo rumorosi.
«Se vuoi puoi stare con me.»
«S-sì ...»
Gilbert fece guizzare gli occhi verso Germania, scostandosi poi, con abbattimento, quando lo vide seguito dall'adorabile Italia.
«Francis ...?» lo chiamò, ma la sua voce andò morendo, quando vide il francese circondare le spalle di Arthur con il braccio cercando di convincerlo a stare in camera con lui, allora optò per Spagna, notandolo in seria difficoltà davanti ad una porta, impegnato con le valige e coordinato dagli strepiti e dagli insulti dell'altro italiano, già dentro la camera.
«Tsk, esseri indegni …» cercò poi qualcun altro, rimanendo paralizzato quando i suoi occhi incontrarono gli ultimi due presenti: la bielorussa sarà pure stata una gran bella donna, ma rischiare di risvegliarsi con il proprio Magnifico viso rovinato da indegni lame di coltelli non era certo uno dei suoi più grandi desideri, figurarsi poi avere intorno un bastardo come il russo, pft.
Il prussiano sbuffò nervoso, percorrendo velocemente il corridoio e scontrando poi la figura dello slavo con una spallata nemmeno troppo delicata, per poi salire le scale con passi pesanti.
«Gil …» si ritrovò a sussurrare il russo, osservandolo mentre spariva sulla rampa di scale.
«Che?»
«No, niente.» un sorriso nervoso si dipinse sul volto del russo, con il braccio ormai divenuto proprietà della sorellina.
Adesso, la porta di Ludwig e Feliciano, e quella del meridionale e dell’ispanico, erano socchiuse, ed esclusi i movimenti al piano di sopra, il silenzio era ormai calato.
Silenzio. Un silenzio ricolmo di un suono continuo, sempre più acuto, finché uno stridio improvviso non causò un forte dolore ai timpani del russo, che voltò di scatto la testa, istintivamente.
«Ivan?»
Gli occhi del russo si scostarono lenti e silenziosi verso la sorella e le labbra si incrinarono in un sorriso quasi imbarazzato: lei sembrava non averlo sentito.
«Tutto bene?»
«Da. Cerchiamo la stanza adesso …» ampliò il sorriso, dirigendosi verso le scale del piano di sopra insieme all’altra, ancora scosso da quel rumore che solo lui era riuscito ad udire.

Antonio bussò alla porta battendo delicatamente per due volte contro la lisca superficie di legno, sorridendo allegro al viso che gli aprì.
«Allora vicini, come state?»
«Mh, bene …» bofonchiò appena il tedesco, spalancando la porta e scostandosi per lasciare lo spazio necessario all’ispanico.
«Senti Italia, la cucina è qui di fianco, ti va se ce ne appropriamo noi?»
«Già, prima che lo faccia quel succhia tè incompetente.» sbuffò il meridionale, alle spalle dello spagnolo.
«Sì! Sono d’accordo!» l’italiano sorrise allegro, varcando la soglia della camera per raggiungere il fratello e lo spagnolo e dirigersi insieme a loro verso la cucina -senza neppure ricordarsi che il motivo per il quale si era spinto fino a lì era la convocazione da parte del tedesco per l’organizzazione di un progetto-. «Inizierà questo gioco prima o poi, America …» si ritrovò a brontolare Ludwig, rimasto solo nella stanza e roteando poi gli occhi nel vedere i vestiti di Feliciano sparsi sul letto la valigia aperta riversa sul pavimento: in soli cinque minuti, con il fedele ausilio del suo ozio, era già riuscito a portare il disordine in quella camera. «Perfekt …» almeno piegare le magliette dell’italiano lo avrebbe tenuto occupato.

«Mh …» il pollice e l’indice esili rimasero ad accarezzare il mento scarno dell’austriaco, che si guardava intorno crucciato e pensieroso, riservando un’occhiata quasi timorosa a quel vecchio pianoforte al centro della stanza.
«Mi mancherà il mio pianoforte, ja …» sussurrò l’austriaco, sedendosi tranquillo ai piedi del letto.
«A-Austria … si è seduto sopra di me …» balbettò il canadese.
«Ah! Entschuldigung!»

«Allora fratellone! Quando ci sposiamo?!» Ivan non poté che cacciare un urlo, quando la bielorussa saltò sul suo letto e con le braccia creò una gabbia introno a lui. Nonostante il suo corpo massiccio, a Ivan, quelle braccia sembravano sempre più forti della sua mole, quasi soffocanti.
«I-io non ti voglio sposare!»
«Come no?» sussurrò con voce spiritata la slava «sei stato tu a dirmelo …»
«I-io?»
«Ivan!» e le mani -grazie al cielo esili- della bielorussa, corsero veloci al collo del russo.
«Sposami!» urlò rabbiosa la bielorussa: un grido che probabilmente venne udito perfino al piano di sotto.
Non che gli stesse facendo male, ma era troppo paurosa.
«N-no!» e anche questo grido fu sicuramente udito, cristallino come l’acqua.

Inghilterra osservava con sguardo assente una delle pareti della stanza, nel silenzio, cercando di sentire il meno possibile quei discorsi che ruotavano veloci intorno a lui, ma percependo comunque sia la voce fastidiosa dell’americano, sia quella del francese.
Il suo unico pensiero, ora, era il fatto di quanto fosse stato sfortunato da essere capitato in camera proprio con quei due idioti.

«Sto benissimo anche da solo, ja.» un’affermazione calcata e distinta, nel freddo silenzio della camera: forse per autoconvinzione, forse perché Prussica cercava di farsi giusto un po’ di compagnia con la propria voce roca, mentre lasciava che la punta della penna aderisse alla pagina del diario per raccontare parte della giornata tramutando i ricordi in scritte d’inchiostro.
«Ed è meglio così, perché nessuno potrà godere di tutta la mia Magnificenza, kesese!» rise divertito, ma quel ghigno vivace scomparve quasi subito, tramutandosi in un lieve sorriso amareggiato: da solo, perché West se ne stava tranquillo con Italia, Antonio era troppo presto dal suo amore e Francia … beh, Francia cercava come al solito di portarsi a letto Inghilterra.
La penna, che danzava sinuosa sul foglio di carta, si arrestò improvvisamente, ed il viso del prussiano si inclinò appena, quando una delle tendine bianche si staccò dalla finestra, ondeggiando fino al pavimento.
«Mhn …» alzatosi, camminò lentamente fino alla finestra, raccogliendo la tendina che sembrava non avere alcun segno di rottura «… che strano …»
Il prussiano risistemò la tendina, ma un improvviso brivido di freddo lungo il braccio lo percosse e anche l’altra cadde a terra, nello stridulo silenzio della casa.
   
 
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