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Autore: ELE106    13/03/2012    17 recensioni
Una AU che è partita da sola per la tangente e se ne sta andando dove vuole lei, per cui non vorrei svelarvi troppe cose nell’intro. In breve: John Winchester e Mary Campbell, vivono da qualche tempo insieme nella grande casa di lui, a Lawrence (Kansas) e stanno per sposarsi. Lui è un meccanico, vedovo, con un figlio di 20 anni, Sam, che dopo i primi due anni di college, torna in città in pianta stabile per non si sa bene quale motivo. Lei è un’infermiera, single, con un un figlio di 24 anni, Dean, poliziotto, appena uscito da una relazione disastrosa e tornato da poco sotto il tetto dei genitori. I figli di John e Mary, dopo un inizio abbastanza privo di contatti o altro, finiscono con il diventare importantissimi l’uno per l’altro e per dare inizio ad un profondo rapporto di co-dipendenza e di forte amicizia, ma destinato a diventare di più. Inoltre Sam nasconde qualcosa e suo padre John sembra essere l’unico a sapere di che si tratta. Buona lettura!
Wincest...ma non incest! Don't like, don't read! ;D
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Autrice: ELE106
Titolo: Sono qui per te
Capitoli: 7/11
Fandom: Supernatural
Contesto: AU
Personaggi principali: Dean e Sam; Sam per questo capitolo.
Rating: giallo
Genere: Commedia, Sentimentale, AU, Slash, per certi versi OOC, e chi più ne ha più ne metta!
Beta: thinias (la martire ;D)
Disclaimer: Dean e Sam non mi  appartengono; questa è un'opera di fantasia; non rispecchia i gusti  sessuali dei personaggi; non ha scopo di lucro ; ecc …
Note dell’autrice: Eccoci arrivati alla seconda ed ultima parte del POV di Sam. E' un pizzico più lunga degli altri :D Prima di continuare a leggere, voglio rassicurare tutti, spoilerandovi alla grande che il nostro fratellino sarà ripagato di ogni sofferenza (e anche voi … ^^), quindi non auguratemi la morte o strane malattie, quando arriverete in fondo!!!! Chiarito questo (altrimenti detto: pariamoci le chiappe) … auguro -come sempre- Buona Lettura ;D **fugge via senza le nda finali**
 
 
 

CAPITOLO 7.
Sam: ragazzo interrotto (seconda parte)
 
 



“Mi piaci tanto, piccolo …”

Tutto qui.
Povero Gabriel …
Un’infelice scelta di parole.

Avrei potuto anche lasciare che mi baciasse, quella sera.
Ma disse proprio le sue parole esatte.
E fu come se quello sparo esplodesse di nuovo dentro la mia testa.
Sentii di nuovo la voce di Jessica e vidi solo i suoi occhi vuoti e vitrei, che mi fissavano al posto di quelli di Gabriel.

Devo averlo spaventato a morte.
Per primo, arrivò violentissimo un conato, risalendomi la gola.
Iniziai a tremare e tutto quello che riuscii a pensare fu: voglio Dean.

Desiderai con tutto me stesso che si materializzasse all’istante di fronte a me.
Desiderai di trovarmi con lui a bordo della sua macchina –quell’Impala che era diventata un’oasi di pace per me- e che … non so, che mi parlasse della sua giornata.
 
Sentii che non avrei sopportato questo un’altra volta e se Dean non fosse arrivato …
Davvero non lo so.

E’ stato allora che ho capito.
Quando l’ho visto correre fuori dalla voltante e venire verso di me.
Ho avvertito il mio respiro regolarizzarsi.
Ho capito che non era più una ridicola cotta.
Avevo bisogno di lui.

E non mi fregava più un bel niente che scoprisse la verità.

Per un secondo –mentre mi sostenevo a lui, sentendo le gambe cedermi, e affondando il viso tra le sue scapole- desiderai ardentemente che la sapesse già e che mi portasse via immediatamente, senza fare domande, senza dare spiegazioni.
Perché stavo davvero andando fuori di testa e quello che mi stava succedendo ne era la prova, sbattuta in faccia nella sua totale e terrificante interezza.
Stavo impazzendo per una parola innocente, detta per caso da un uomo gentile, a cui piacevo, che voleva semplicemente darmi un bacio.

Non ero guarito.
Non stavo bene.

Ero ancora sull’orlo di quel maledetto baratro e mancava un soffio per convincermi definitivamente che mi ci sarei dovuto buttare dentro.
 

Probabilmente se io e Dean fossimo stati proprio nella sua Impala, quando mi riaccompagnò a casa, gli avrei confessato tutto …
Ma nell’anonima cabina della sua voltante, fredda e sconosciuta, non riuscii a smettere di tremare.
E man mano che riacquistavo lucidità, ricordavo quel che mi raccontò Gabriel, prima di tentare quel timido approccio.
Che per Dean ero come un ‘sostituto’ e che si occupava di me, per compensare il brusco distacco da Ben, il bambino della sua ex fidanzata –Lisa- del quale sentiva molto la mancanza.

Essere il sostituto di qualcuno non era assolutamente quel che volevo, ma certo non potevo fargliene una colpa.
Perché gli chiesi -così a brucia pelo- se era vero? Perché gli rivelai di sapere che papà gli aveva chiesto di starmi vicino?
Fu meschino e scorretto, da parte mia, rinfacciargli una cosa del genere, prima che mi lasciasse, ancora traballante, davanti al cortile di casa.

Cosa volevo da Dean? Che ne sapevo io di lui?
Di Lisa e di Ben e di quello che avevano passato insieme?
 
Era una paura irrazionale, credo.
Quella di non essere davvero importante per lui.
Di essere un modo per tenere occupata la mente e non pensare a quel bambino che poteva essere suo.

Credo di aver solo cercato una conferma, da Dean, in merito ai suoi sentimenti per me.
E mi rendevo perfettamente conto che fosse assurdo.

Mi pentii subito di avergli fatto quelle domande e, una volta sparito lui e la sua volante dalla mia visuale, mi convinsi di averlo praticamente cacciato.
Di averlo mandato al diavolo e di avergli fatto intendere di non interessarsi più a me.
Mi sentii male.
 

Non ebbi modo di parlare di nuovo con Dean fino a che …

Un pomeriggio come tanti, di ritorno da un esame, arrivai a casa nostra e sorpresi lui, Bobby e John parlare di me in soggiorno, abbastanza animatamente.
Litigavano.

“Dannazione John … perché non me ne hai parlato? Lo sai che ti avrei aiutato …”

Sentii gridare Bobby, come non mi ricordo abbia mai fatto.

“Bobby … lo avrei fatto, credimi! Sam doveva rimanere tranquillo. I dottori sono stati chiari in merito. L’ultima cosa che gli serve è avere gente intorno che lo guarda, chiedendosi quando darà di matto! Ti prego … Bobby …cerca di capire!”

Rispose mio padre.
Lo stesso timbro di voce basso e roco, reso ancora più tremolante dalla troppa emozione, di quando mi riportò a casa, parlando con Mary al telefono.

All’improvviso, lo sguardo concentrato di Dean passò dai suoi interlocutori, a me, dritto sulla porta, probabilmente ad occhi sgranati.  Come se avesse avvertito la mia presenza.
In quell’istante mi sembrò che quel baratro mi avesse inghiottito al suo interno all’improvviso.
E io cadevo urlando, senza mai toccarne il fondo.

Ora potevo dire addio davvero alla normalità.
Potevo scordarmela.
Dean sapeva tutto.
Bobby sapeva tutto.
Non mi avrebbero più guardato con gli stessi occhi.

Mi fiondai di fuori, sbattendo contro porte e cassettoni, ma Dean mi seguì subito e mi raggiunse nel vialetto,afferrandomi per un polso.
Quanto mi sentii stupido in quel momento … nel rendermi conto di come quella fuga potesse sembrare teatrale ed eccessiva.
E il solo credere che Dean potesse pensarmi così sciocco ed infantile, mi fece infuriare ancora di più.
Ma più della rabbia, sentivo crescere la frustrazione di non riuscire a farmi capire.
Di non essere in grado di trasmettere le mie emozioni, alle persone che amavo e quindi, di essere frainteso.

Strattonai con violenza la sua mano per liberarmi di quella stretta bruciante, che mi impediva di andare a nascondermi da qualche parte e lasciarmi morire tra la vergogna di non essere normale e la consapevolezza di non poter più nemmeno fingere di esserlo.
Non riuscii a guadarlo in faccia, tant’era il terrore di vederci compassione o pena.

“Sam, scusami …”

Disse solo.
Allora non potei evitare di rialzare lo sguardo, sentendo i miei occhi già umidi e colmi di lacrime, non appena incrociarono i suoi.
C’era solo preoccupazione, in quelle sue bellissime iridi luccicanti, rese ancora più uniche dalla luce particolare che il tramonto rifletteva in esse.
Nient’altro.

Smisi di lottare con lui e lasciai che mi stringesse il polso.

“Perché?”

Gli chiesi, ma lui sembrò non capire.
Balbettava, non sapendo bene cosa dire o forse temendo di sbagliare in qualunque caso.

“C-cosa? Perché cosa?”

Mi chiese a sua volta.

“Perché ti dispiace? Perché non hai chiesto direttamente a me quel che volevi sapere? Perché non mi lasci perdere e basta? P…”

Ma non mi fece finire.

“Ok, ok, frena! E’ chiaro!”

Mi disse, agitandomi una mano in faccia.

“Devo rispondere a tutto subito?”

Arrossii.

“Sam, cosa vuoi che ti dica? Mi dispiace per tutto … dimmi solo se stai bene …”

Iniziò ad agitarsi sul posto, imbarazzato, lasciandomi andare il polso di scatto. Non si era reso conto di stringermi ancora.

“… dimmi se posso aiutarti …”

Prima che potessi ancora chiedergli il perché, mi interruppe nuovamente.

“P-perché è importante! Sei importante … per me! N-non c’entrano niente né Ben né John. Cioè … magari all’inizio si, ma poi … poi no…”

Si grattava la nuca, nervosamente, mentre parlava. Era così buffo!

“Cazzo!!!”

Esclamò infine, strofinandosi gli occhi con una mano.

Non sapevo davvero se scoppiare a ridere per la tenerezza infinita che mi fece o abbattere tutte le barriere in quel preciso istante e saltargli addosso per abbracciarlo stretto, supplicandolo di non lasciarmi mai.
Invece non feci nient’altro che continuare a fissarlo, guardingo e sulla difensiva.

“Possiamo fare un giro in macchina? Per favore …”

Gli chiesi infine.
Magari lì sarei riuscito a fare qualcosa.
Mi sarei sentito a mio agio.
 
Lo seguii, mentre si incamminava verso l’Impala, cercando le chiavi nei taschini dei jeans, nella giacca, ovunque, senza trovarle.
Era testo ed impacciato e mi fece sorridere di nuovo, quasi senza accorgermene.
Fissavo la sua schiena ampia e curva e la sua particolare andatura rilassata, sentendomi già più tranquillo e sereno.
Mi resi conto dell’incredibile effetto che aveva su di me, la sua sola vicinanza.
E decisi che –semplicemente- non potevo più fare a meno di lui.
 
 
Non andò bene.
Probabilmente eravamo solo troppo nervosi e … credo che Dean fosse realmente spaventato da me e da ciò che aveva scoperto.
Proprio quello che temevo più di ogni altra cosa.

Mi chiese ancora se poteva aiutarmi in qualche modo e mi chiese cosa fosse successo veramente con Gabriel.
Gli raccontai come mi sentii e la sciocchezza che aveva provocato quella reazione, non trascurando di pregarlo di non prendersela con il suo amico.
Sembrò preoccuparsi ancora di più e sono certo fosse ad un passo dal chiedermi se avessi pensato di andare da un analista.

Mi sarei buttato dall’auto in corsa, piuttosto che sentire da lui una cosa del genere.
Non la disse.
Come se mi conoscesse meglio di chiunque altro.

“Non possiamo solo … rimanere cosi. Io sto bene così … c-con te...”

Gli dissi, quasi sottovoce, quando il giro in macchina ormai durava da più di mezz’ora e mi accorsi che i modi di Dean, stavano diventando impazienti.
Voleva capirci qualcosa e se non mi fossi confidato … avrei rischiato che mi lasciasse perdere davvero.
E non volevo.

Dopo un lungo silenzio, finalmente rispose.

“Perché io, Sam? Sono bravo solo a fare casini ...”
 
Mi chiese, sinceramente stupito.

Come facesse un uomo meraviglioso come lui a non vedere quant’era bello, dentro e fuori, rimane ancora un mistero per me.
Come facesse a non accorgersi dell’effetto che faceva sulle persone, su di me, non lo avrei mai compreso.
Suppongo, tutt’ora, che faccia parte del suo fascino.

“Non lo so … perché no?”

Risposi, continuando a fissare la strada di fronte a noi.

“Tu non mi guardi come se fossi uno scherzo della natura …  uno fragile ragazzino, sull’orlo della pazzia …”

Spiegai, sperando con tutto il cuore che capisse che lui era fondamentale per me.
Che provavo qualcosa per lui.
Anche se io stesso, ancora non avrei saputo dare un nome a quel qualcosa.

Mi osservava dubbioso.
Così, feci l’unica cosa che potevo fare.

Fermi al semaforo, ad un isolato dal tornare a casa nostra, gli chiesi di girarsi a guardarmi e scrutai nei suoi occhi per pochi secondi, cercando nella profondità di quel verde, di carpire se quello che stavo facendo era giusto.
Se anche lui lo volesse.

Mi trasmisero un misto di preoccupazione e timore.
Ma anche –mi sembrò- di eccitazione ed attrazione.

Mi sporsi verso di lui –il cuore a mille- mentre il semaforo diventava verde e posai le mie labbra sulle sue, talmente piano da farmi dubitare di averle toccate davvero.
Eppure sentii distintamente un brivido, partire proprio dalle sue labbra ed arrivare alle mie, percorrendo la via che portava dritta al mio cuore.

Dean non si ritrasse, né chiuse gli occhi.
Nemmeno io li chiusi, come se continuando a fissarlo avessi potuto in qualche modo tenere sotto controllo le sue reazioni. Ipnotizzarlo.

Mise la sua mano destra sulla mia guancia e il brivido divenne pura elettricità.
Pochi secondi e mi allontanai con la stessa leggerezza con cui lo baciai.

Mi sorrise timidamente ed io con lui.

Quando i clacson iniziarono a suonare insistenti, dietro di noi, mi riscossi da quel piacevole torpore, tra l’imbarazzo e la felicità di essermi sbloccato e di aver finalmente preso una decisione.
Probabilmente arrossii di nuovo e sentii Dean deglutire rumorosamente.
Mi fissava ancora … imbambolato, aprendo e richiudendo la bocca senza che gli uscisse verbo.

Ricordo che non potei fare a meno di pensare, di nuovo, che quel suo essere impacciato mi facesse letteralmente impazzire.
 
Non dicemmo nulla, fino a casa.
Non ce n’era bisogno.
Dean aveva capito.
Capiva cosa volevo dirgli con quel bacio.
Forse lo aveva sempre saputo.
Ma io aspettavo una risposta e mi resi conto, con terrore, che non sapeva darmela.
 

Sulla soglia di casa nostra, mio padre e Bobby ci aspettavano preoccupati e visibilmente infuriati.
Dean ed io scendemmo insieme dall’auto e li raggiungemmo fianco a fianco.
Dopo esserci presi una bella strigliata da entrambi -soprattutto da Bobby- per essere praticamente scappati senza avvisare nessuno, Dean riuscì a tranquillizzarli e –forse notando una certa tensione tra noi- rientrarono in casa, lasciandoci soli.

Prima di andarsene, ricordo bene che mio padre mise una mano sulla mia spalla, ma senza riuscire a guardarmi negli occhi.
Percepii il suo tormento, il groviglio di paura ed apprensione che provava e mi sentii in colpa, perché non riuscivo ad aprirmi con lui.
Perché avevo una paura folle di deluderlo e di sembrare debole ai suoi occhi.
Ma con quella stretta, mi sembrò volesse solo farmi capire che lui c’era … e lo apprezzai molto.
 
Rimasto solo con Dean, nel cortile, l’imbarazzo era a livelli adolescenziali.
Lui non faceva che sfregarsi le mani sul tessuto dei jeans che ricopriva le cosce.
Mi accorsi solo in quel momento che aveva lasciato l’Impala con il motore acceso.

“D-devi andare?”

Gli chiesi.
Senza guardarmi, mi rispose che il suo turno iniziava tra un’ora.
Avrei voluto restare con lui ancora un po’.
Chiarire.
Capire bene cosa stesse succedendo.
Ma come ho detto poco prima … non andò per niente bene.
 
“Siamo a posto, Sam?”

Mi chiese lui.
Non capii bene il significato di quella domanda, ma chinai il capo, in segno di assenso.
Poi mi guardò dritto negli occhi e seppi all’istante che non aveva nulla di bello da dirmi.

“Sam, io … sono stato da Cass ieri sera e …”

Mormorò incerto.

Persi un battito, sentendo le mie gambe cedere, sotto il peso di quante cose potessero significare quelle semplici parole.
Non volevo saperlo! Non avrei avuto la forza di sentirmi dire in faccia che erano stati insieme.
Così deviai bruscamente la sua attenzione.

“L-lui sa di Stanford?”

Chiesi, fingendo che non mi importasse altro.

“NO!”

Si affrettò a rispondere.

“Comunque ho capito che t-tu … i-io per te … oh Cristo!! Io provo qualcosa per te, Sam. Lo so questo. Lo sento … ma non …”

Soppesò bene le parole, prima di proseguire.

“Quello che ti è successo è orribile … i-io non lo so davvero con che forza sei riuscito ad andare avanti. Ma non ne sei ancora uscito … e io non posso approfittarmi di questo …”

Sentii tutto quello che diceva, come ovattato nella mia testa.
Come se la mia mente si rifiutasse anche solo di concepire che lo avrei perso, in un modo o nell’altro, senza mai averlo avuto davvero.
Ma soprattutto, si rifiutasse di accettare che mi respingeva, non solo perché provava ancora qualcosa per Castiel, ma anche perché credeva che a parlare fosse il mio bisogno di lui e non i sentimenti che gli avevo appena manifestato.
E forse aveva ragione.
Ma –a differenza sua- per me le due cose avevano lo stesso significato.
Non potevo separare l’una dall’altra.

“Voglio aiutarti, Sam … non farti del male. Magari combinando qualche cazzata con te … "

Disse infine, appoggiando di nuovo la mano sulla mia guancia, come ad attirare la mia attenzione, fosse accorgendosi del vuoto su cui il mio sguardo si era soffermato.
 
Mi ritrassi debolmente da quella carezza.
Richiuso in me stesso come - o forse peggio- di prima.

“Vai …”

Sussurrai solo, mentre lui cercava di avvicinarsi di nuovo.

“Sam … lasciami spiegare … ”

Mi pregò.

“Siamo a posto, Dean!”

Dissi, con tono più deciso.

“Vai … io lo capisco.”

Mi lasciò lì sul vialetto, rivolgendomi prima, un’ultima occhiata esitante, come il giorno che Gabe tentò di baciarmi: combattuto tra il desiderio di restare e il dovere di andarsene.
E per la seconda volta lo guardai risalire in macchina ed allontanarsi, per poi svoltare al primo incrocio e sparire dal mio campo visivo, sentendomi male esattamente come allora.
Convinto di averlo mandato al diavolo per l’ennesima volta.

Mentre in realtà, tutto quello che voleva, era dirmi che aveva paura anche lui.
Paura che stare con ‘uno come me’ fosse … troppo.
Troppo difficile, troppo grande per lui … troppo soffocante.
Troppo tutto.
Paura di non essere in grado di aiutarmi.
Paura che i sentimenti che stavo manifestando per lui, fossero falsati, addirittura fraintesi dalla portata di emozioni che quello sparo aveva scatenato nella mia mente.

Ma questo lo avrei scoperto solo dopo.
 
Non sapevo ancora che c’era chi si stava adoperando perché il mio destino e quello di Dean si unissero in un unico grande sentiero, che avremmo percorso insieme, forse a bordo della sua Impala, la nostra oasi di pace.
 
                                                    
 
Continua …







nda: **è fuggita**

   
 
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