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Autore: Luca S    13/03/2012    3 recensioni
Questa mia prima fanfiction vorrebbe raccontare avvenimenti seguenti alla fine della Trilogia. Il titolo (come anche il primo capitolo) si rifanno esplicitamente a "The New Shadow", opera iniziata da Tolkien e mai conclusa. Ciò che scrisse il Professore costituisce dunque un punto di partenza, il resto verrà in seguito!
"Una nuova ombra minaccia i Popoli Liberi nella Quarta Era..."
"Diversi nomi ho fra i popoli oltre la Terra di Mezzo, giacché il mio nome di gioventù mi appartiene solo oltre il Belegaer, il Mare Possente. I Sudroni e i Corsari mi chiamano Onda che Cavalca, Blunotte sono per gli uomini dell'Est, Kibil-tarag per i Nani; ma è il titolo che mi diedero gli Avari, Uccisore di Tenebre, il nome che ho scelto per me: Morinehtar sarò anche per voi"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III.

 

 

 

Gli ultimi raggi di sole colpivano la pietra bianca, dandole riflessi aranciati e sempre cangianti, quando i due compagni arrivarono al sesto livello della città. Durante la salita, Naru aveva potuto osservare gli abitanti, che già iniziavano a rientrare nelle proprie abitazioni: artigiani, per lo più, e gente umile, ma ad essi si mescolavano uomini con tuniche preziose e dame dalle mani affusolate. Tutto in quella città sembrava fiorente e spensierato, e persino lo straniero avrebbe facilmente respirato l'aria di familiarità e sicurezza intorno a lui.
Berelach si fermò infine di fronte a una passerella di roccia coperta di erba, che conduceva a una casa con mura di pietra, le finestre illuminate dall'interno. Attraversatala, legarono gli animali sotto una tettoia di legno lì vicino, accanto a un altro cavallo che già sonnecchiava mansueto. Si avvicinarono quindi all'uscio, e udirono voci gioiose di bambini far chiasso. Naru istintivamente sorrise, e mentre l'uomo bussava alla porta, il vecchio appoggiò il capo alla mano che reggeva il bastone, chiudendo gli occhi e sospirando. Non era ancora entrato, ma già sentiva il tepore del fuoco domestico, e il suo cuore ne fu risollevato; non ricordava più l'ultima volta in cui, seduto attorno al focolare in compagnia di persone care, ascoltava poesie degli Elfi bevendo birra scura.
Non si era ingannato: la donna dal volto gentile che aprì loro, dopo aver abbracciato brevemente Berelach, li fece entrare in casa, e finalmente il vecchio credette di potersi veramente riposare.


- E così siete un viaggiatore? - la voce del padrone di casa spezzò il breve silenzio che seguì al momento in cui la moglie sparecchiò la tavola.
- Si, sono in visita nei Regni d'Occidente, attratto dallo splendore delle città, la bellezza dei boschi e la fama della gente che vi abitò.
- Minas Anor sarà stata allora un gran bell'inizio! - intervenne la donna che, finite le sue faccende, si mise a sedere accanto al marito, carezzando la mano di lui poggiata sul tavolo, e intrecciando le dita con le sue. Halbarain le restituì uno sguardo tenero, e quanto amore ci fu in quello sguardo!
- E dov'è il vostro primogenito? Fuori a bere con i compagni o a cantare sotto le finestre delle fanciulle? - disse Berelach ridendo.
- Narwain non è ancora tornato dalla cittadella. Per fortuna ha preso il suo impegno molto seriamente, e come allievo del capitano della Guardia del Re non ha tempo per lasciarsi andare a divertimenti frivoli. Ormai è diventato un uomo, Berelach, e deve adempiere ai
propri doveri verso il suo Signore. Per anni i miei padri Dúnedain hanno servito e combattuto a fianco del Re, sin dai tempi in cui il nostro popolo di Raminghi era sperduto e diviso al Nord. Il mio avo Halbaron fu il braccio destro di Arathorn, padre del Grande Re, e suo figlio Halbarad della Grigia Compagnia combatté valorosamente fino alla morte nei Campi del Pelennor. Durante tutta la lunga vita di Re Elessar la mia stirpe ha servito il Regno Riunito, e così continuerà a fare la mia discendenza sotto Eldarion!
La voce annoiata e assonnata della piccola Ioreth,
che teneva il capo scomposamente adagiato sul braccino disteso lungo il tavolo, fece svanire tutto lo spessore di quel momento.
- Smettila, papà, racconti sempre la stessa storia! Sono stufa di sentirla all'infinito!
Tutti scoppiarono a ridere, mentre la madre si alzò di scatto con un cipiglio di falso rimprovero.
- Ora basta, tu e tuo fratello dovreste essere a letto già da un pezzo!
A quelle parole, la bambina fermò a metà un enorme sbadiglio, e balzò giù dalla sedia troppo alta ridendo e gridando, inseguita dal fratellino.
- Tornate subito qui!
I piccoli iniziarono a correre attorno al tavolo, sotto lo sguardo divertito del padre e dei due ospiti, mentre il piccolo focolare andava diminuendo di intensità.
- Oh mamma, per favore, facci restare svegli ancora un po' – implorò il figlioletto con voce sottile, stringendosi al bastone di Naru poggiato in un angolo insieme al suo bagaglio.
- Via da lì, non toccare le cose che non sono tue - lo incalzò la madre. Con un gesto della mano Naru fece intendere che non era necessario rimproverarlo per quello, ma Ioreth gli balzò poco dopo in braccio.
- Si mamma, facci restare ancora un po'! Lui magari conosce qualche storia di principi e dame, non è vero? - disse guardando il vecchio con occhi supplichevoli, aggrappandosi alla lunga barba bianca con le manine - Non è vero?
- No, raccontaci di magie e incantesimi! - intervenne il fratello - Perché non ce ne mostri qualcuno?
- Cosa dici, sciocco? Solo gli elfi sanno fare gli incantesimi!
- No, è una bugia! - il piccolo
spinse la sorella - Lui è uno stregone, non vedi? E quello è il suo bastone magico!
Mentre i due continuavano a bisticciare, il tempo per gli altri parve fermarsi un momento, e tutti, più o meno discretamente, presero a fissare Naru in silenzio. La frase spontanea e ingenua del bambino aveva detto più di quanto
ognuno non ebbe voluto ammettere a se stesso, ché in essi, persino in Berelach, sin dal primo momento che avevano visto quel vecchio, era tornata alla memoria quell'immagine sfumata prodotta dalla fantasia, tanti anni addietro, quando fanciulli ascoltavano racconti di guerre lontane e antichi eroi. Non aspettavano che una smentita, benché una piccola parte del loro cuore, una parte remota che conservava la passata fanciullezza, sperasse nella conferma.
Naru sembrò non notare quell'atmosfera, e rimase a guardare divertito i due bambini, mentre con un movimento che parve lentissimo a chi guardava, pose le mani sulle loro testoline. Halbarain si riscosse all'improvviso, sbattendo un poco gli occhi, quindi intervenne per sciogliere quella strana tensione.
- Non dire sciocchezze, figliolo. Gli stregoni non calpestano i sentieri della Terra di Mezzo da più tempo di quanto si possa ricordare - disse costringendo la sua voce a un distaccato tono di saggezza paterna.
- Solo gli Elfi e i Nani più antichi ne serbano il ricordo, e dei primi ben pochi sono rimasti su queste terre, mentre dei secondi n
essuno reca notizia, se non chi va a trovarli nei loro regni costruiti sottoterra.
Il piccolo guardò il padre con espressione delusa e imbronciata, mentre stringeva ancora un lembo della tunica di Naru. Alzò poi
il viso verso di lui, guardandolo speranzoso. Il vecchio restò immobile nella sua espressione serena e gioviale, ma qualcosa di cui nessuno si accorse tornò a far sorridere il bimbo.
D'improvviso si udì battere alla porta.
- Narwain! - esclamò la donna, quasi sollevata da quell'interruzione. Corse ad aprire, e subito si alzò in punta di piedi per baciare la fronte che il figlio le porgeva. Il giovane diede un rapido sguardo alla stanza, fermandosi prima su Naru, e poi su Berelach.
- Voi marmocchi siete ancora in piedi, eh? - disse poi sollevando un angolo della bocca.
- Coraggio, date la buonanotte a vostro fratello e poi filate a letto – la calda voce paterna ebbe in risposta un piccolo sbuffo da parte dei due bambini, che corsero ad abbracciare Narwain e poi sparirono in un'altra camera, soffocando come meglio poterono i loro schiamazzi.
- Oggi hai fatto più tardi del solito - disse la madre,
ma egli non rispose. Era un ragazzo di poche parole, e accennò appena un saluto a Berelach, poi chinò leggermente il capo verso lo sconosciuto, che rispose allo stesso modo. Quando ebbe rialzato gli occhi, Naru lo osservò più attentamente. Era molto alto. Capelli scuri, e occhi grigi, come molti Uomini della stirpe dei Dúnedain. Ma sembrava di carattere schivo, diffidente, e il suo sguardo era triste e freddo come il mese di cui portava il nome.
- Berelach e questo signore saranno nostri ospiti per stasera - disse Halbarain, presentando Naru al figlio. Il giovane annuì distrattamente, quindi si slegò la spada dalla vita e la poggiò su dei ganci al muro. Naru seguiva i movimenti del giovane, senza guardarlo con insistenza; poi i loro occhi s'incontrarono di nuovo, e stavolta Narwain distolse lo sguardo. Il vecchio si alzò.
- Non ho parole per ringraziarvi della vostra ospitalità - disse avvicinandosi alla donna e prendendole le mani tra le sue - La vostra casa e i vostri figli hanno la mia benedizione.
Lo pronunciò con un calore e un tono tali che ella non seppe come rispondere; ma il tocco delle mani del vecchio era tiepido e rassicurante.
- Venite, Naru, vi mostro dove dormirete - disse Halbarain, e la serata terminò lì.

 


Il mattino seguente i due compagni di viaggio si salutarono. Naru avrebbe volentieri dormito più a lungo – da troppo tempo le sue membra non riposavano su un letto che potesse davvero chiamarsi tale – ma fu in piedi in tempo per dire addio a Berelach.
- Venite a trovarmi quando volete, sono sicuro che mio nonno apprezzerebbe la vostra compagnia.
- Non mancherò di farlo, mio buon amico - Non si conoscevano che da un paio di giorni, ma già dalla sera precedente il vecchio aveva preso ad apostrofarlo così.
- I rigogliosi campi degli Emyn Arnen mi vedranno prima che le foglie degli alberi siano ingiallite.
L'ufficiale lasciò quindi Naru a casa di Halbarain, ché i suoi figli più piccoli tanto avevano insistito per farlo rimanere ancora qualche giorno. Si mise dunque in viaggio verso casa, dove sarebbe arrivato la sera stessa, considerando che avrebbe dovuto attraversare Osgiliath.
Vi fece una piccola sosta di cui approfittò per pranzare; la città, anch'essa ricostruita e ripopolata già da qualche tempo, era viva e rumorosa, e già si notavano i primi segni della sua ormai prossima promozione a capitale del Regno. Come a Minas Anor, nuovi alberi erano stati piantati ai margini delle strade, e voci e profumi accompagnavano chi vi camminava. Solo un dettaglio insignificante disturbò quella sosta: appoggiatosi al muro di un edificio per bere e rinfrescarsi un po' all'ombra prima di tornare sotto il sole cocente, Berelach udì poco distante due uomini che mormoravano. La discussione sembrò farsi animata, ma essi continuavano a parlare sottovoce. L'ufficiale non vi badò, e si rimise in cammino; passato oltre l'angolo dell'edificio al quale si era appoggiato, si girò distrattamente verso la fonte di quelle voci, e vide i due uomini nel vicolo, ma essi, accortisi di lui, gli rivolsero uno sguardo cupo e brutale, che quasi lo mise a disagio. Poi si calarono velocemente i cappucci sul volto, e sparirono dietro il vicolo.
Berelach rallentò il passo, e si chiese di cosa mai stessero parlando, e se forse si fossero infastiditi al pensiero che lui potesse aver sentito qualcosa. Se ne dimenticò presto, ma la sensazione provata a quello sguardo non lo abbandonò fino alla fine del viaggio.


Lo scroscio delle acque dell'Anduin, su cui si rifletteva tremolante la luce della luna appena spuntata in un cielo ancora macchiato di sole, accolse l'ufficiale su quel versante occidentale della collina che conosceva così bene. La via del ritorno, che si divideva tra gli alti pascoli erbosi e le praterie degli altipiani, dava sempre un senso di pace e sicurezza a Berelach. Dopo che i suoi genitori e suo fratello perirono, insieme a molti altri, nell'incendio che colpì il suo villaggio, pensò che avrebbe odiato per sempre quelle colline; ma il vecchio Borlas, che era rimasto a vivere nella sua casupola isolata, poco lontano da Pen-arduin, l'aveva preso sotto la sua ala, e il ragazzo scapestrato e ribelle di un tempo divenne un uomo accorto e responsabile, conosciuto e rispettato da tutti nella capitale del Principato.
Stava giusto pensando a ciò che avrebbe dovuto riferire il giorno seguente ai Capitani a Minas Ithil, quando raggiunse il sentiero che risaliva il pendio. Nella casa più in alto, nessuna luce sembrava accesa, non un filo di fumo fuoriusciva dal comignolo. Berelach raggiunse la porta, sorpreso del fatto che il nonno fosse andato a letto già a quell'ora, poiché sapeva che il vecchio Borlas aveva l'abitudine di fumare erba-pipa, seduto sulla soglia, prima di ritirarsi, vinto infine dalla stanchezza e dalla freschezza della sera. Entrò quindi cercando di non fare rumore, ma subito notò qualcosa di strano: l'aria lì dentro era fredda, tesa, e un brivio scese lungo la sua schiena. Corse nella piccola stanza in cui dormivano, e la trovò vuota. In preda alla preoccupazione, iniziò a ispezionare la casa immersa nella penombra, cercando qualche traccia che potesse condurlo a scoprire dove fosse Borlas, mentre si sforzava di allontanare dalla mente ogni presentimento negativo; ben presto, si rese conto che non aveva idea di cosa dovesse cercare.
Si fermò, appoggiando una mano al robusto tavolo di legno, l'altra mano a coprire gli occhi; non sapeva cosa pensare, forse si stava preoccupando per nulla, ma quella era certamente una cosa insolita, ed egli non amava affatto le cose insolite, usualmente foriere di grattacapi e guai. Era ancora fermo in quella posizione quando sentì la porta aprirsi: Borlas apparve all'improvviso nell'ingresso, ed entrò senza parlare.
- Dove sei stato? - la voce di Berelach si fece nervosa e contrariata - Non puoi più andare in giro su quella riva scoscesa come un tempo! Se le gambe dovessero cederti, finiresti dritto in acqua, lo vuoi capire? - Diventava sempre severo in quelle situazioni, e ancor più perché sapeva che il vecchio nonno si ostinava a fare tutto ciò che faceva prima, nonostante l'età, e Berelach avrebbe voluto soltanto che si riguardasse di più.
Borlas non disse nulla, abbassò un poco lo sguardo, era come se fosse distratto da qualcosa e pensasse ad altro. Il nipote accese il fuoco, che presto illuminò la stanzetta; le loro ombre tremolavano sulle pareti.
- Saelon è stato con te?
- S-si, si, è venuto a trovarmi... - rispose il vecchio.
- Meglio così. Lo sai che vorrei poter stare di più qui, ma devo occuparmi di alcune cose, ora che il caso dei marinai scomparsi all'Ethir non è più isolato.
Borlas si limitò ad annuire, guardando fisso davanti a sé. Era parecchio strano, pensò Berelach, di solito lo tempestava di domande o gli parlava di ciò che Saelon o Othrondir gli avevano raccontato, ma l'uomo era troppo stanco per pensarci.
- Domani partirò presto, e spronando il cavallo dovrei riuscire a essere di ritorno prima che la luna sia alta. Spero solo che non mi trattengano...
Il resto della serata passò così, tra una frase e un monosillabo interrotti da silenzi trascinati, finché i due non si ritirarono e i sogni si mescolarono ai pensieri.

  
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