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Autore: Bethesda    13/03/2012    3 recensioni
"Il mio sguardo corse automaticamente al tavolino: non tre, come suo solito, ma ben cinque ampolle vuote erano abbandonate accanto a una siringa ipodermica.
Corsi da lui abbandonando cilindro e borsa, inginocchiandomi davanti alla poltrona e fissandolo con apprensione.
«Holmes! Cosa ha fatto?!»
«Che domanda idiota.»"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: ok, giuro che poi la smetto. Lo so, è la quarta fan fiction in pochi giorni su Holmes ma il mio amore verso i libri, sopito per breve tempo, si è svegliato con rinnovato vigore che in qualche modo dovrò pur sfogare! Quindi le povere vittime siete voi lettori! Dopo questa credo che comunque non ne scriverò più per un bel po' su questo fandom, anche se non dubito che prima o poi qualche nuova idea mi verrà! Baci ^^


Dopo anni mi accingo a riportare sui miei diari privati ciò che temo la vecchiaia porterà via.
Ho vissuto accanto al mio amico Holmes per molto tempo, narrando e vivendo avventure e indagini che ho scritto e pubblicato sotto il falso nome di A.C.Doyle.
La vita è trascorsa relativamente tranquilla dal mio ritorno in Inghilterra, priva di quella “gloria” che spesso viene affiancata agli autori di successo, e non ho mai avuto motivo di lamentarmi di questa mia scelta: ciò che accadde fra le mura di Baker street sarebbe dovuto rimanere lontano dalle luci della ribalta e dalle voraci penne dei giornalisti e la mia fama avrebbe frenato quella che ritengo la fortuna più grande della mia vita.
Mary, mia moglie –pace all’anima sua-, aveva lasciato da poco questa vita e io ero tornato dal mio amico Holmes nell’appartamento perennemente affumicato dal suo trinciato e dai risultati di esperimenti chimici potenzialmente pericolosi.
Durante la mia assenza lo avevo comunque accompagnato durante diverse avventure , purtroppo rare, ma mai mi ero accorto –ancora oggi me ne rimprovero- del fatto che il mio amico avesse iniziato ad abusare della cocaina, nonostante le occasioni di risolvere casi interessanti non mancassero affatto.
Tutto iniziò al termine di una giornata per me sfibrante dal punto di vista lavorativo.
La mattina verso le nove lo avevo lasciato in poltrona, preoccupato per il fatto che il suo sguardo fosse puntato all’ennesima soluzione sette per cento posata sul tavolino di mogano accanto alla sua poltrona preferita. Pensai che il signor Meyer, suo nuovo cliente, sarebbe arrivato di lì a poco e sicuramente Holmes non lo avrebbe accolto sotto effetto di droghe.
Mi allontanai meno angosciato ma la lunga giornata mi impedì di tornare a casa per pranzo, tenendomi occupato fino alla sera tardi.
Misi piede al 221B solo verso le sette e mezza, affamato e perso nei miei pensieri riguardanti la febbre celebrale di una paziente, quando con orrore vidi Holmes, fermo nella stessa posizione di quella mattina.
Gli occhi erano iniettati di sangue e il capo ciondolava.
Il mio sguardo corse automaticamente al tavolino: non tre, come suo solito, ma ben cinque ampolle vuote erano abbandonate accanto a una siringa ipodermica.
Corsi da lui abbandonando cilindro e borsa, inginocchiandomi davanti alla poltrona e fissandolo con apprensione.
«Holmes! Cosa ha fatto?!»
«Che domanda idiota.»
Il tono aspro che uscì immediatamente dalle sue labbra mi fece almeno capire che non era completamente fuori di sé –non riesco ancora a capacitami di come quel corpo, all’apparenza così mingherlino, riuscisse a sopportare una tale quantità di droga.
«Ma non doveva venire il signor Meyer oggi?!»
«Ovvio che è venuto. Mi ha esposto un caso da banale detective, seguire sua moglie per scoprire se ci fosse un amante. Non mi stupirei se la donna lo tradisse: solo un idiota non potrebbe capire che io non sono famoso per giocare a nascondino dietro i pali o travestito da barbone per non farmi notare da una donna abbastanza intelligente da allontanarsi da un imbecille come quello. Che se la pedini lui.»
Non riuscivo a capire se fosse la droga a parlare o se quella fosse la vera anima del mio amico, nascosta sotto i vari strati di logica e tweed.
«Ma cinque fiale, Holmes!»
«Che non hanno portato ancora l’effetto desiderato. Quindi, se vuole scusarmi…»
Allungò la mano verso l’astuccio sul tavolino, contenente le sue fiale, ma prima di poter anche solo pensare lo afferrai.
Mi alzai in piedi , allontanandomi senza dargli le spalle e fissandolo.
«Holmes, questa roba la distruggerà! Come medico e amico le devo impedire di danneggiarsi da solo!»
Feci per andarmene definitivamente quando un lampo di rabbia passò negli occhi dell’uomo che mi stava davanti, ma non ebbi tempo di aver paura: nonostante sembrasse barcollante a causa della droga si alzò in piedi e con un balzo felino mi fu addosso, buttandomi a terra e bloccandomi a polsi.
Mai in vita mia avevo visto Holmes in quelle condizioni e trovandolo  a pochi centimetri da me, metà del volto illuminata dal fuoco scoppiettante nel caminetto e un’espressione d’odio represso, sentivo la necessità di fuggire.
Impossibile però: la sua stretta era ferrea e mi bloccava con tutto il proprio corpo al pavimento ricoperto dal tappeto.
«Se c’è una cosa che non sopporto, Watson, è quando mi si toccano gli effetti personali. E soprattutto trovo estremamente irritante il suo tentativo di eliminare una panacea per i miei problemi come quella nell’astuccio.»
«E’ per il suo bene!»
«Non mi sembra che il mio bene fosse al centro dei suoi pensieri fino a qualche mese fa.»
La stoccata alla defunta Mary mi fece infuriare e tentai di divincolarmi con maggior forza, ottenendo solo una fitta dolorosa alla spalla ferita.
«Non credevo fosse così stupido da lasciarsi travolgere» ringhiai inviperito, fissandolo negli occhi, grigio contro azzurro.
Sentivo il suo corpo spigoloso contro il mio, teso per il momento e la droga.
«Lei non crede mai, Watson. Non pensa. Non pensa che forse c’è un motivo se ho aumentato le dosi e ignoro anche i casi più interessanti? Se lascio che il mio corpo e la mia mente atrofizzino?»
La sua bocca sussurrava al mio orecchio e potevo vedere la palle pallida del volto a pochi centimetri da me, quasi a sfiorarmi. Era un pallore malaticcio, dovuto sicuramente alla cocaina. L’ira scivolò via e tornò in me la necessità di aiutarlo, ignorando qualunque offesa sarebbe potuta scaturire dalle sue labbra.
Non disse altro però.
Rimase fermo, il suo respiro a solleticarmi l’orecchio.
Mi accorsi di quanto fossimo vicini in quel momento e il mio cuore fece un salto.
«Holmes…»
«Non dica nulla, la prego. Ha solo la capacità di farmi irritare. Con quelle sue espressioni di perenne stupore, il suo preoccuparsi costantemente di ciò che faccio e il suo trattarmi come se fossi un infante che a malapena sa camminare…»
«Lei sragiona.»
«E lei mi farà ammattire», bisbigliò fissandomi negli occhi. «Fra criminali, poliziotti, uomini e donne di ogni genere lei è l’unico, l’unico capace di rendermi così folle. La sua presenza mi spinge all’autodistruzione e io la odio, Watson. La odio con tutto me stesso.»
Mi guardò ancora qualche istante e vidi nei suoi occhi il riflesso dei miei, tristi e sconvolti.
Poi la distanza scomparve improvvisamente e le labbra di Holmes si impossessarono delle mie.
Nonostante gli anni passati con mia moglie, donna meravigliosa, speravo che la mia lontananza da Baker street mi salvasse.
Fin dal primo momento in cui vidi Holmes capii che quell’uomo avrebbe cambiato la mia vita, non sapevo se in meglio o in peggio, e tutto il tempo che passai a stretto contatto con lui mi portò ad aver timore di me stesso e di ciò che provavo.
Non era rispettabile che un uomo come me, un ex-soldato, provasse un’attrazione così violenta nei confronti del suo amico e coinquilino. Mi aveva stregato con le sue doti analitiche, con il suo carattere spigoloso, con il suo sarcasmo e magnetismo. Per anni si era sviluppata dentro di me una coscienza scomoda e spaventosa, qualcosa che credevo non potesse appartenermi e che, nonostante tentassi di allontanarla con la razionalità, tornava più forte e prepotente di prima a sconvolgermi la vita.
Fu Mary che mi permise di fuggire e io colsi al volo l’occasione di allontanarmi da me stesso, ritenendo scioccamente che bastasse la distanza fisica a farmi rinsavire.
E in quel momento, la schiena a terra e Holmes su di me, sentivo come se tutta la tensione e le angosce di quegli anni si fossero dissolti in un battito di ciglia. Smisi totalmente di opporre resistenza e chiusi gli occhi, lasciando che quelli che sembravano anni scorressero mentre alle mie narici arrivava l’odore del trinciato forte e il dopobarba di Holmes.
Si separò, gli occhi ancora chiusi.
Non sembrava intenzionato a dir nulla e con sorpresa lasciò i miei polsi e si sollevò da sopra di me, arretrando carponi con sguardo basso per finire con la schiena appoggiata alla poltrona, una gamba piegata e l’altra distesa.
«La prego di perdonarmi, dottore. Forse ha ragione, ho esagerato.»
Stava accadendo tutto troppo in fretta, ero confuso e Holmes non sembrava più lui tanta era la mestizia che lo stava abbattendo.
Mi misi a sedere e lo fissai, aspettando che sollevasse lo sguardo.
Quando lo fece dovetti lottare per non abbassare il mio e trovare anche il coraggio di parlare.
«Mi ha baciato.»
«Lo consideri un effetto della cocaina.»
«Perché lo ha fatto?»
«Perché mi ha spinto a compiere un atto irrazionale, nulla di più.»
«Non le credo.»
Rimase in silenzio, sollevando il sopracciglio con aria scettica.
«Ah no?»
«No, Holmes. Voglio la verità.»
Una smorfia incrinò il suo volto patrizio per pochi istanti.
«Vuole la verità?! Bene!»
Si alzò in piedi barcollante, senza appoggiarsi a nulla e mantenendo un’aria di sfida.
«Da quando la conosco la mia vita è stata sconvolta, Watson. Mai ho avuto in tutta la mia vita la necessità di condividere con qualcuno ciò che facevo. Sono riuscito a controllarmi al meglio senza lasciar mai trasparire nulla. Poi lei è andato via. “Tanto meglio”, ho pensato. Non dovrò più sprecare le mie energie nel controllarmi. Solo che mi sbagliavo. Il cervello ha la straordinaria capacità di ripresentarci sempre ciò che ci sconvolge senza lasciarci mai un attimo di tregua e il mio non è sicuramente da meno. Anzi, può essere considerato peggiore! Lavoro e cocaina hanno tentato di tappare al meglio il vuoto che ha lasciato, fallendo miseramente. E quando è tornato è stato infine il tracollo: tutte le forze spese nel cercare di dimenticarla si sono rivelate inutili e io mi sono ritrovato in mezzo all’oceano su di una barca con una falla nello scafo. Dovevo placarmi e la droga sembrava essere, ancora una volta, l’unica via di scampo: una mente sopita, quasi morta, mi avrebbe riportato la pace.»
Fu come se qualcuno mi avesse gettato addosso una secchiata di acqua gelida.
Per tutti quegli anni io mi ero dannato, nascondendomi e ingannando me stesso. E Holmes aveva fatto la stessa identica cosa.
Mi alzai in piedi e prima che lui potesse allontanarsi, abbattuto da quel lato ben celato che finalmente era esploso all’esterno, lo abbrancai per il colletto e lo portai a me, baciandolo con forza.
Inutile dire che il suo stupore fu pari al mio, se non maggiore, ma presto sembrò abituarsi a quel contatto che avevamo entrambi desiderato per anni.
Sentii le sue mani prendermi il volto per portarlo meglio a sé e la lingua aprirsi vorace la strada fra le mie labbra.
Purtroppo le sue gambe, indebolite dalla cocaina che aveva in corpo, cedettero, e dovetti sollevarlo di peso.
«Santo cielo, sei un idiota! Ridursi così! Anche un oppiomane incallito avrebbe più coscienza!»
Lo sentii ridacchiare con il volto affondato nel mio petto.
«Devi riposare…»
Alzò la testa, apparentemente ripresosi dallo sforzo, e per la prima volta dopo anni mi mostrò il suo sorriso più bello.
«Sono otto anni che mi riposo. Non voglio perdere più tempo.»
   
 
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