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Autore: oOSophieOo    14/10/2006    7 recensioni
1832 - Clarisse, una giovane fanciulla dell'alta società, decide di dare una drastica svolta alla sua triste esistenza, ma non sa ancora ciò che l'aspetta....
Genere: Romantico, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Clarisse

Quel giorno, 12 maggio 1832, Clarisse si era svegliata presto la mattina, prima di tutti gli altri. Si era lavata, vestita ed era uscita di buon ora lasciando un messaggio per il padre al custode della villa:

“ Scusatemi se non vi ho avvisato,

ma ho un urgente commissione da fare in vista del compleanno di Eléonore.

Sarò di ritorno a metà mattina.

Porto con me Marie.

Clarisse”

La povera domestica Marie la seguiva di malavoglia cercando di trattenere gli sbadigli. Salirono sulla carrozza che le aspettava davanti alla scalinata dell’entrata principale della villa. Durante il viaggio furono accompagnate dal risveglio della natura. L’alba stava sorgendo e gli animali incominciavano a uscire timidi dalle loro tane. Clarisse, immersa nei suoi pensieri, non udiva nemmeno il fastidioso rumore delle ruote della carrozza che giravano sul sentiero ciottoloso. Era talmente assopita nei meandri della sua complicatissima mente e nelle sue preoccupazioni che Marie poté riposare indisturbata per tutto il viaggio. Dopo circa quaranta minuti arrivarono al paese. Il cocchiere fermò i cavalli nel luogo indicatogli dalla Signorina e si precipitò subito ad aiutarla a scendere dall’alta carrozza, come volevano i costumi dell’epoca.

- Signorina Clarisse, siamo arrivati. - le disse porgendole la mano.

Clarisse era bella, bella come un fiore appena sbocciato in un oasi incantata e sperduta. Indossava un abito bianco di organza, ricamato con minuscole rose, e un semplicissimo collier di perle. I suoi capelli ricci e rossi come le sfumature di un tramonto acceso risaltavano sulla sua pallida carnagione. Uno sguardo celestiale coronava questo meraviglioso capolavoro della natura.

- Marie, aspettami qua. Tornerò fra pochi minuti. - disse Clarisse alla domestica che se ne stava immobile davanti a lei in attesa di ordini.

Le vie del paese erano deserte. Solo i superstiti della notte vagavano ancora in cerca di un giaciglio sui cui far risposare le loro membra sudice e stanche. Quella desolazione aveva un che di accogliente in un animo smarrito e angosciato come il suo. Clarisse si imbucò in un viottolo badando di non farsi seguire. Era chiaramente spaventata dalla realtà, così diversa. Poco dopo si fermò davanti ad una piccola porta rovinata dal tempo e dalla miseria, come tutto in quel luogo. I topi, ovunque, banchettavano con i cadaveri di quelli che la selezione naturale aveva eliminato Dai canaletti di scarico ai margini della via saliva uno odore putrido e nauseabondo. La sporcizia, la fame e l’estrema povertà erano un orrore estraneo agli occhi di una donna dell’alta società e forse, proprio per questo, più doloroso e inaccettabile.

Meditava perplessa Clarisse, finché coraggiosamente bussò alla porta. Subito, un vecchio dai denti marci, gli occhi grigi e il corpo distrutto le aprì la porta e con grande agitazione la fece entrare.

- Vi stavo aspettando mia Signora! - disse il vecchio con voce tremante.

Quello che si nascondeva dietro a quella piccola e insignificante porta non era assolutamente ciò che Clarisse si aspettava. Un interno buio e stipato di oggetti stranissimi delineava la figura di quel vecchio pazzo. Carte, appunti e libri ovunque. Ad ogni parete c’erano scaffali pieni di fiale e ampolle contenenti strani liquidi ed oggetti se non addirittura, in rari casi, strani animali. La sporcizia restava comunque il fattore dominante. La quasi totale assenza di finestre rendeva l’aria irrespirabile e intrisa di uno strano fetore. La fama di un grande genio è destinata presto a finire e così quello che una volta era un rinomato scienziato, ora non era altro che un vecchio malandato alchimista.

Il vecchio aprì uno dei molti cassettini che componevano un insolito armadio e ne estrasse un borsellino di pelle di capra.

Clarisse sapeva benissimo cosa doveva fare, ma era forse paralizzata dalla paura o forse si stava soltanto concedendo un’ennesima occasione per cambiare idea. Non aveva senso tirarsi indietro proprio ora e così diede al vecchio il denaro e corse fuori con il borsellino. Appena uscita, l’aria fresca le invase le narici e le sembrò di respirare per la prima volta.

Ripercorse la strada a passo svelto. Le vie erano ormai illuminate da una tiepida luce mattutina.

Tornata alla carrozza svegliò Marie, che nel frattempo si era appisolata, e la mandò nella boutique dall’altro lato della strada a ritirare quella che non sarebbe stata altro che la sua copertura per quell’insolita mattinata.

Finalmente la carrozza ripartì, Marie tornò al suo pisolino tenendo sulle ginocchia un grosso pacco infiocchettato e Clarisse riportò alla mente le sue preoccupazione forse ancora più angosciose di prima. Stringeva segretamente tra le mani quel piccolo oggetto e osservava dal finestrino il paese che si dileguava nella periferia con fiera tristezza e assente consolazione. Sul sedile davanti a lei, quasi ad osservarla, giacevano silenziosi i fiori, accuratamente scelti da Marie poco prima secondo gli ordini della Signorina, ancora ignari del loro destino di testimoni e complici di un delitto ormai in atto.

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