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Autore: Beatrix Bonnie    14/03/2012    2 recensioni
Parigi, 1877.
Il ricco impressionista Gustave Caillebotte osserva una strada della capitale francese dalla finestra del suo caotico appartamento in centro e sente l'improvviso impulso di imprimere su una tela le emozioni che quella vista gli suscita. Ma il quadro non è solo il risultato di un occhio attento e osservatore: è anche un rancoroso grido contro i cambiamenti che hanno reso Parigi irriconoscibile, dando vita ad una città moderna pronta a far fronte alla Belle Époque.
Storia prima classificata al contest "Rivoluzioni".
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
- Questa storia fa parte della serie 'Historia docet'
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Rue de Paris, temps de pluie






Piove.
Una pioggia sottile che sfuma i contorni dei palazzi. Osservo dalla finestra i passanti, delle macchie nere tutte uguali che si muovono ordinate lungo l'immenso viale.
Improvvisamente sento il bisogno di dipingere, di imprimere su una tela quei colori stinti, quelle tristi tonalità di grigio che colorano Parigi quando piove.
Chiudo la finestra e preparo ciò che mi serve: una tela, la pittura, qualche pennello. Osservo per un attimo l'ombrello dimenticato in un angolo della stanza, ma non ho voglia di prenderlo, perché sarebbe come un orribile pipistrello che sta sopra di me impedendomi di guardare il cielo.
Lascio l'appartamento nel suo caotico disordine e mi affretto a scendere le scale, con la tela sotto braccio e un pennello dietro l'orecchio.
Le strade sono affollate, nonostante la cupa giornata di acqua. I volti dei passanti sono maschere nere, oscuri fantasmi che popolano una città ricostruita per far fronte alla modernità.
E così Parigi ha un nuovo volto, un nuovo abito. Ma il popolo che vi vive è sempre lo stesso: caotico, chiassoso, scioccante. La folla è in ogni luogo intorno a me. Crede di passare inosservata, ma non per un occhio attento come il mio, che tutto vede e tutto registra.
Il loro abbigliamento denota la classe sociale di appartenenza: io so se lavorano in banca, se sudano davanti a una caldaia o avvitano bulloni in fabbrica. Io lo so perché li osservo, anche se sono mille, anche se mi assalgono con i loro volti senza nome. Io so se sotto quel lussuoso paltò si cela un altezzoso borghesotto che cerca di nascondere la sua ultima visita al bordello più vicino, o se quel cencioso fagotto di abiti occulta allo sguardo dei più un ubriacone disoccupato.
Gli occhi dei due signori davanti a me sono improvvisamente rapiti da una vetrina di qualche boutique e volgono il capo verso quella luminescente attrattiva. Un orecchino di perla luccica per un istante solo, illuminando il viso della donna che lo indossa. È l'unica nota luminosa del suo abbigliamento nero e cupo.
I tacchi delle scarpe producono un ritmico cadenzare che si mescola a qualche brioso schizzo di pozzanghera e al dolce e costante scroscio dell'acqua. È la melodia che avvolge Parigi quando piove.
Una carrozza passa lungo la strada, sobbalzando sul selciato bagnato. Chissà chi cela al suo interno!
Forse si tratta di un ricco banchiere: è per la sua carrozza che la Parigi medievale è stata rasa al suolo, per essere ricostruita con larghi viali e imponenti palazzi. La modernità ha bussato alla porta della nostra città, ci ha chiesto di adeguarci e noi abbiamo risposto pronti.
È la Belle Époque!
Parigi luccica di vetrine, risplende di gioioso ottimismo, è affollata da cittadini accecati dal progresso, insoliti spettatori di un luminoso futuro.
Stolti!
Non si cancella il passato con un po' di malta e una nuova rete fognaria, progetto di chissà quale ingegnere dimenticato dalla storia. Siamo figli della rivoluzione.
Quale rivoluzione che sia, non ci è dato saperlo...
Eppure tutta questa modernità esplode dovunque, nelle strade di Parigi. C'è un alto palo nero, piantato in mezzo al marciapiede. Minuscole goccioline di pioggia scivolano veloci sulla sua vernice lucida, ma devo alzare gli occhi per comprenderne lo scopo: alla sua sommità una gabbia di vetro racchiude una luce. È un lampione a gas, come quelli che illuminano tutte le strade della città.
È così che noi incanaliamo tutte le nostre energie per tentare di migliorarci la vita.
Dimenticandoci di vivere.
Mi accorgo solo ora che sono fermo in mezzo al marciapiede da parecchi minuti. È la prospettiva dei palazzi che mi attira: di fronte a me una costruzione è talmente imponente e così perfettamente simmetrica che sembra una locomotiva che mi corre incontro. Le sue finestre, piccoli squarci nel muro giallastro, lo rendono simile ad un gigantesco alveare. E, come api, i suoi frenetici coinquilini vi torneranno solo a tarda sera, dopo aver passato il giorno a lavorare per guadagnarsi quegli stessi soldi che spenderanno per comprare oggetti futili con cui riempiranno la casa, sempre così tristemente vuota.
Ma tu sei troppo giovane, mio caro palazzo dai mille appartamenti, per conoscere la vera indole dell'uomo!
Solo qualche anno fa, al tuo posto, sorgeva una modesta casupola in mattoni che sopravviveva da generazioni e generazioni. Ella sapeva quanto fragile sia il cuore umano, ma certo non immaginava che presto sarebbe stata rasa al suolo per far posto all'emblema dell'opulenza.






Ecco qui, una mini one-shot che ha partacipato al travagliato contest "Rivoluzioni" (qui il link), classificandosi prima.
In realtà, questa storia è nata rielaborando (di poco!) un vecchio tema che avevo scritto per scuola sulla rivoluzione industriale, partendo da uno dei documenti offerti: il quadro
Rue de Paris, temps de pluie del pittore Caillebotte. Sì, io scrivevo temi così pazzi alle superiori... e il mio professore apprezzava, per fortuna! ;-)
Spero che vi sia piaciuta!
Alla prossima,
Beatrix B.

   
 
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