Un Raggio di Sole
Sono
arrivati stamattina, all’alba.
Lei e Artie hanno tentato di
nascondersi, ma non hanno fatto in tempo.
“Mamma, ma i vampiri sono sempre stati padroni
degli uomini?”
“No, Artie. Tanto tempo
fa, gli uomini dominavano il mondo e credevano che i vampiri fossero solo una
leggenda, una favoletta inventata per far paura ai
bambini.”
Ebbri di
sangue e di scorribande, cercavano il pretesto per ulteriori
bagordi.
Artie
l’ha chiamata per nome.
Lei gli ha
gridato di scappare.
“Ma un brutto giorno, gli
stregoni vampiri, con magie misteriose, rubarono al Sole il suo cuore, e lo
rinchiusero in un cofanetto. Senza di esso, i suoi
raggi dorati non furono più letali per loro, e non riscaldarono più i nostri
cuori donandoci speranza.”
Discutevano
tra loro cosa fare di lei.
Artie
guardava, accucciato dietro ad una roccia.
Per la
prima volta in vita sua, desiderava uccidere.
Si sarebbe
accontentato anche di morire.
“E dov’è ora il Cuore del
Sole?”
“Nessuno lo sa con certezza, amore mio. Però alcuni
dicono – ma bada bene, è solo una voce – che sia
nascosto sotto il trono di Voldorak, il Grande Re
Vampiro. E’ nascosto da così tanto tempo che i vampiri
stessi ne hanno dimenticato l’esistenza e non ricordano più di possederlo…”
Alla fine,
hanno deciso. Le hanno tolto il sangue.
La vita.
E la
dignità, violandola con i loro immondi corpi dannati.
“ Ma un giorno, Artie, e
di questo sono sicura, nascerà un eroe che troverà il cofanetto e libererà il
Cuore, così tutti i vampiri spariranno, e gli uomini riavranno la speranza, e
la libertà.”
Un livido
sole splende in un livido cielo. Riverso a terra giace
il suo cadavere. E’ storpiata in una posizione oscena ed innaturale, un rivolo
di sangue le cola tra le gambe, là dove i nemici le
hanno inferto i colpi più crudeli. Il volto non si riconosce nemmeno più,
deturpato dai morsi di quei cani rabbiosi, così come il seno, che trabocca
dalle vesti strappate, insanguinato e lacero. E’ la mamma di Artie. Il bambino è inginocchiato là accanto, i capelli
biondi che svolazzano al vento, non piange, non ricorda nemmeno più come si fa.
Nelle sue vene scorre rabbia pura, contro tutto e
tutti, tutto, tutto tranne quel misero e dolcissimo ammasso di carne che giace
davanti a lui, l’unica cosa amata, l’unica al mondo che lo proteggeva.
La rabbia
lo inonda e lo acceca, lo riempie a tal punto da non lasciare più posto nemmeno
per la sua anima, la rabbia gli inietta nella mente pensieri che finora non aveva nemmeno immaginato. Uomini codardi! Perché
avete sopportato per millenni la schiavitù più umiliante, senza reagire mai?
Piuttosto di fare da bestie da macello per i vampiri avreste dovuto tagliargli
i viveri, avvelenarvi il sangue con essenze mortali, morire, sì, morire, ma portarli con voi all’inferno questi bastardi inutili
parassiti schifosi!
…maledetti…
Si sente
sporco, Artie. Sente tutta questa vigliaccheria
addosso, sulla pelle, un fango disgustoso che lo appesantisce e lo inchioda su
questa terra, uomo, solo uomo, anche lui.
Le ali le abbiamo tutti, Artie, lo sai,
vero? E’ il fango che ce le impasta sulla schiena.
Basta lavarlo via, basta così poco per spiegarle, per
diventare un angelo, e volare…
Un angelo.
O un
eroe.
Il vento
soffia stizzito, porta via la polvere, poi ne deposita altra e il mondo non
cambia mai. Gli uccelli volano nel cielo, il sole tramonta, cade la neve. Artie è ancora lì, ma ora ha finalmente preso la propria
decisione: ora sa cosa fare, ed è più sereno.
Non c’è più
odio, non c’è più rabbia, tristezza sì, ma è solo un dolce velo che ammanta un
ricordo ormai lontano; Artie conosce la strada, sa
che deve percorrerla. Ha scelto il suo destino, d’ora in poi
sarà il suo destino a scegliere per lui. Lentamente, all’inizio, poi più
veloce, si incammina verso est.
Il percorso
più breve che collega due punti è una linea retta.
Così è il viaggio di Artie:
una linea retta. Intorno a lui, il mondo è devastato, langue,
si contorce negli spasmi di un’atroce agonia. La vita lo sta abbandonando,
lentamente ma inesorabilmente, per lasciare il posto alla terrificante
non-morte
dei vampiri, e poi al nulla, quando i parassiti avranno esaurito il proprio
nutrimento e moriranno essi stessi, straziati dalla loro innaturale sete.
Quante meraviglie scomparse giacciono sotto il ghiaccio che da secoli, ormai,
fin da quando il Sole ha perso il proprio calore, si
incrosta sempre di più sul pianeta! In questo momento Artie,
senza saperlo, calpesta il luogo dove un tempo sorgeva il sacro cerchio di Stonehenge. Si chiamava Inghilterra, allora, la terra in
cui Artie è nato, in cui vive la sua vita di stenti,
in cui forse, domani, morirà. Per millenni gli uomini hanno scritto, costruito,
cantato, dipinto, amato; di tutto questo passato, ora, il mondo non conserva
ricordo, delle città non restano nemmeno le rovine, dei grandi uomini sono polvere persino le ossa, nulla testimonia più quella magnificenza
ora perduta per sempre. Di fronte ad una tale devastazione, al solo pensiero di
quale immane potere distruttivo dovessero avere i malvagi che avevano
cancellato tutto ciò, chiunque si arrenderebbe, costernato, schiacciato
dall’orrore. Come può un uomo solo combattere tanto odio? Ma
Artie non è consapevole di questo, non gli importa.
Il suo cammino è una linea retta, un passo dopo l’altro, un passo e poi un
altro, e poi uno, e uno, e uno, e uno ancora. E un altro.
Non tutto
ciò che è stato costruito dalla mano dell’uomo è stato
distrutto. Un solo edificio resta ancora a raccontare la grandezza che fu;
esso, un tempo luogo di culto, ora è ridotto ad un’empia e corrotta parodia di sé stesso. E’ una cattedrale gotica, dalle mille guglie che
trafiggono il cielo, ma le cui mura sono state
imbrattate di sangue, le statue abbattute e sostituite da minacciosi e
orripilanti Gargoyle, i segni sacri trasformati in
osceni scarabocchi, violate le tombe, sfondato l’altare. Qui, in supremo
disprezzo alla razza umana, ha posto il suo trono Voldorak,
il Grande Re Vampiro, da qui il suo piede schiaccia le genti della Terra, e qui
Artie sta venendo, anzi, è appena arrivato. Tre
giorni e tre notti di viaggio ininterrotto non
sembrano averlo fiaccato: giunge davanti alla porta e bussa. Semplicemente,
bussa. Nessuno risponde. Allora parla, è la prima volta che lo fa da quando urlava di terrore nascosto dietro quella roccia,
ma la sua voce non è roca per il lungo silenzio.
Invece è
limpida e forte.
-
Vengo
qui per incontrare Re Voldorak,
e chiedere conto della sua malvagità. Voglio la sua testa come trofeo, e la sua anima nera all’inferno. Se ha coraggio, mi faccia
entrare, altrimenti dia pure ordine di uccidermi qui,
subito: il suo cuore saprà per l’eternità di appartenere ad un codardo.
E la
porta si spalanca.
Dentro
regnano il caos e l’orrore. Miseri resti di cadaveri umani si accatastano in
ogni angolo, ammorbando l’aria con miasmi pestilenziali. Si cammina
nel lerciume e tra le ossa frantumate, e i luogotenenti di Voldorak,
privi di compostezza alcuna, razzolano tra i brandelli insanguinati,
masticando e succhiando la carne putrida. Artie passa
in mezzo a loro, e non li degno di uno sguardo. I vampiri, invece, lo fissano a
lungo, ma solo per ridere di lui. Un’eternità di vita corrotta e decadente li
ha fiaccati, ed essi non ricordano più le battaglie cruente combattute per il
dominio del mondo quando ancora gli uomini conoscevano
il coraggio. Se così non fosse,
riconoscerebbero lo sguardo di Artie.
Lo sguardo si chi non ha nulla da perdere. Di chi non ha PAURA.
E infine,
Artie giunge davanti al trono su cui siede Voldorak. Il Re incombe su di lui, alto e robusto, col
corpo muscoloso di un guerriero esperto, eppure privo di quel vigore vitale che
pulsa nel sangue di un combattente. I capelli, innaturalmente bianchi, gli
cadono lunghi sulle spalle; gli occhi sono infossati ed abissali, le labbra
esangui, e sul petto nudo reca un emblema tatuato, un Ankh
egizio, il cui arcano scopo è noto solo a lui.
E la sua
voce… la sua voce rimbomba tra le antiche volte come fosse
venuta ad annunciare il giudizio universale.
-
Piccolo
mortale! Le tue parole di sfida sono pesanti, e non posso certo ignorarle. Se vuoi chiamarmi ad un combattimento, sappi che non avresti
alcuna speranza di battere nemmeno la più miserabile delle mie guardie, e tanto
varrebbe tu ti gettassi da un dirupo giù nel mare burrascoso. Se invece hai in mente qualcosa di diverso, parla, e deciderò
cosa ne sarà della tua misera vita.
Per nulla
intimorito, Artie fronteggia il terribile sovrano, lo
guarda negli occhi, parla a sua volta:
-
Trattieni
pure le tue guardie, che miserabili sono tutte, o Re: non vengo per
combatterti, ma per chiederti un dono. Qualcosa di veramente piccolo in
confronto alla tua potenza immortale e alla tua sterminata ricchezza, e per
avere la quale sono disposto a pagare un prezzo molto
alto.
Tutta la
corte è in fermento, i cadaverici servi di Voldorak
si accalcano a cerchio intorno a quel bambino, l’unico essere umano che abbia osato calcare il suolo della reggia da millenni. Artie non li teme, li ignora addirittura, e conclude la sua richiesta con parole che suonano ardite al
punto da sembrare follia:
-
Io
ti chiedo il cofanetto che sta sotto il tuo trono, Voldorak,
e in cambio ti offrirò il mio collo perché tu plachi la tua sete. Pensaci bene:
cosa ti domando? Un oggetto ben piccolo, sovrano, che forse
ignori persino di possedere, e che potrai riprenderti una volta che avrò esalato
l’ultimo respiro sotto il tuo morso. Una carabattola
senza alcun valore, poco più di una scatoletta luccicante, in cambio della mia
vita. Pensaci bene.
Voldorak
apre di nuovo bocca, di nuovo la sua voce cavernosa
inonda la sala:
-
Quello
che tu mi offri, umano, io posso anche prenderlo da solo, senza sforzo alcuno.
E conosco il motivo della tua richiesta, e del grande
sacrificio a cui dici di essere disposto affinché essa sia accontentata. Vi è
una leggenda tra gli uomini, se non erro.
Voldorak,
a questo punto, inchioda i propri occhi in quelli del ragazzo, bramoso di
cogliere il loro primo sguardo di terrore, via via
che scandisce le sue terribili parole.
-
Vi
è una leggenda, che dice che, un tempo, i vampiri
sottrassero agli uomini qualcosa di molto importante, e che questa cosa sarebbe
nascosta nel cofanetto che cerchi. Tu credi che te lo darei, se davvero lo
avessi? Ebbene, accetto il tuo patto: cercalo pure,
guarda ovunque. Tu dovrai però pagare il prezzo stabilito: anzi, per mio
maggior divertimento, dovrai tagliarti da solo la gola, e con le ultime forze
strisciare e trascinarti sopra di me, in modo da fare scorrere il tuo sangue
nelle mie fauci assetate. E sappi questo, mortale. Ciò
che cerchi non esiste, non è altro che il parto della mente di un folle
cantastorie. Al mondo esiste chi ha il potere e chi è schiavo; mentre i primi
conoscono l’inebriante gioia del predominio, i secondi cercano un’illusoria
felicità nel sogno. Ma è ora risvegliarsi, per te, il
sogno finisce qui. Hai di fronte a te la morte…
Artie
sostiene lo sguardo del suo fiero avversario senza mai distogliere il proprio,
senza abbassare la testa.
-
…
e non tremi?
No, Artie non trema. Non dimostra alcun sentimento, ha
scacciato tutto dalla sua mente, non fa altro che raggiungere il trono.
Chinarsi.
Infilare le
mani al di sotto di esso, cercando a tastoni qualcosa.
Trovarlo.
E
trascinarlo fuori, sotto gli occhi di tutti. Un piccolo cofanetto di piombo
decorato in oro, con un sole splendente che luccica sul coperchio.
…le alte
volte del palazzo si riempiono di silenzioso ed intangibile TERRORE…
Per un
istante, persino Voldorak trema. Vorrebbe rimangiarsi
la parola data, saltare addosso al ragazzo, sgozzarlo finché è in tempo, per
poi gettare via quell’oggetto di cui, sicuro, lui
nemmeno sospettava l’esistenza, gettarlo nell’oceano, magari, o nel fuoco di un
vulcano, dove nessuno lo potrà mai più raccogliere. Ma intorno a lui ci sono i suoi nobili, i suoi cortigiani
che lo osservano, e Voldorak sa che, qualunque cosa
faccia, essi la vedranno. Farsi prendere dal panico ora vuol dire perdere per
sempre la propria dignità di fronte a loro; quel cofanetto non può essere
davvero ciò che il bambino cerca, perché quell’oggetto
NON ESISTE.
I vampiri
sono sempre stati padroni del mondo: questo Voldorak
crede fermamente.
Il Sole non
è mai stato letale per loro.
Mai è
esistita quella fantasia che gli uomini chiamano speranza.
Artie
solleva, lentamente, il coperchio dello scrigno…
Dev’essere
un antico tesoro, Voldorak ne è
sicuro.
Ne sono
sicuro, sì.
Una gemma,
magari?
Non gli
servirà dopo che l’avrò dissanguato.
Sono ancora in tempo, potrei saltargli addosso ora…
No, no.
Di cosa ho…
…paura?
Il fragore
è quello di mille tuoni, di una stella che esplode, di una schiera di déi infuriati che cavalcano nel cielo.
La luce è
tanto intensa da farti sentire trasparente, dissolto nell’energia liquida che
turbina intorno.
Le urla…
…sono
atroci.
E
deliziose a sentirsi.
I vampiri
bruciano vivi. Si accartocciano, agonizzano terribilmente; le loro carni, ormai
ridotte a tizzoni inceneriti, si sfaldano in polvere grigiastra e fetida.
Il Cuore
del Sole ruggisce ed infuria, si scatena, vola verso il cielo, colonna di
fuoco, bramoso di tornare al proprio legittimo padrone.
Voldorak…
Voldorak
si crepa, ingrigisce, osserva con orrore le proprie
mani sbriciolarsi in brandelli svolazzanti. Ma porterà con sé nella tomba un
ricordo ancora peggiore, l’ultimo che si imprime nei
suoi occhi maledetti. Quando alza gli occhi su Artie lo vede in piedi in mezzo al mare di energia
urlante e ribollente; il bambino ricambia lo sguardo e sorride.
Quando
anche le ultime membra del sovrano si sono dissolte, Artie
sa che il suo dovere è compiuto. Si sveglia da una lunga trance
e la stanchezza, la fame, la sete di tre giorni gli piombano addosso come un
macigno. Il cielo comincia a rasserenarsi, con il Sole che, una volta
recuperata la sua antica potenza, straccia le nuvole grigie che ancora si
ostinano ad ammantare il mondo. Le altre si arrendono e si sciolgono in una pioggia
vellutata e tiepida che carezza la nuova vita del pianeta. Artie
dorme, le labbra secche ancora increspate nel sorriso che ha deriso Voldorak e l’ha condannato all’inferno peggiore.
Il potente
signore, il Grande Re Vampiro, si consumerà nel proprio ultimo, eterno attimo,
quello in cui ha preso coscienza di essere stato sconfitto da un semplice
bambino.
Ed è
notte, ed è mattina.
I ragazzi
del villaggio vicino trovano uno strano bambino addormentato in mezzo alle
macerie di quello che fino a ieri era il palazzo più
temuto della Terra e oggi è solo un ottimo posto per giocare a nascondino.
E’ biondo, ha i vestiti bruciacchiati e strappati e un sorriso sulle labbra. Si
accalcano tutti intorno a lui: chi è? E’ vivo? Ma
certo, vedi, respira! Svegliamolo, dai! Lo scuotono,
quello apre gli occhi, gli altri fanno un passo indietro. Il suo sguardo, per
un attimo, è quello di una belva ferita, come se nei suoi sogni non avesse
fatto altro che lottare per la propria vita, ma subito si ammansisce. Qualcuno
ha il coraggio di chiedere:
-
Vuoi
giocare con noi?
Gli occhi di Artie si illuminano, la bocca
si allarga in una risata. E’ tornato ad essere un bambino, ora, grida, salta,
insegue la felicità insieme ad i suoi nuovi amici
correndo dietro ad una palla rossa.
FINE
Questa è una storia che amo
particolarmente. L’ho scritta in origine come sceneggiatura di una storia a
fumetti, in cui però, anche per colpa dei miei disegni non splendidi, non credo
sia stata valorizzata a sufficienza. Ora l’ho messa in forma di racconto,
cercando comunque di rendere con le parole quelle
atmosfere che dovevano essere evocate dai disegni. Spero di
esserci riuscito, e di avere scritto qualcosa che trasmetta bene tutto il cuore
che ci ho messo. Scrivetemi i vostri pareri, e arrivederci alla
prossima!