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Autore: Gan_HOPE326    14/10/2006    4 recensioni
In un mondo morente, l'umanità, schiava dei vampiri, aspetta silenziosa di sparire dal creato. Può il coraggio di un bambino sfidare l'arroganza del Potere?
Genere: Dark, Sovrannaturale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un Raggio di Sole

Un Raggio di Sole

 

 

Sono arrivati stamattina, all’alba.

 

Lei e Artie hanno tentato di nascondersi, ma non hanno fatto in tempo.

 

“Mamma, ma i vampiri sono sempre stati padroni degli uomini?”

“No, Artie. Tanto tempo fa, gli uomini dominavano il mondo e credevano che i vampiri fossero solo una leggenda, una favoletta inventata per far paura ai bambini.

 

Ebbri di sangue e di scorribande, cercavano il pretesto per ulteriori bagordi.

 

Artie l’ha chiamata per nome.

 

Lei gli ha gridato di scappare.

 

Ma un brutto giorno, gli stregoni vampiri, con magie misteriose, rubarono al Sole il suo cuore, e lo rinchiusero in un cofanetto. Senza di esso, i suoi raggi dorati non furono più letali per loro, e non riscaldarono più i nostri cuori donandoci speranza.”

 

Discutevano tra loro cosa fare di lei.

 

Artie guardava, accucciato dietro ad una roccia.

 

Per la prima volta in vita sua, desiderava uccidere.

 

Si sarebbe accontentato anche di morire.

 

E dov’è ora il Cuore del Sole?”

“Nessuno lo sa con certezza, amore mio. Però alcuni dicono – ma bada bene, è solo una voce – che sia nascosto sotto il trono di Voldorak, il Grande Re Vampiro. E’ nascosto da così tanto tempo che i vampiri stessi ne hanno dimenticato l’esistenza e non ricordano più di possederlo…”

 

Alla fine, hanno deciso. Le hanno tolto il sangue.

 

La vita.

 

E la dignità, violandola con i loro immondi corpi dannati.

 

“ Ma un giorno, Artie, e di questo sono sicura, nascerà un eroe che troverà il cofanetto e libererà il Cuore, così tutti i vampiri spariranno, e gli uomini riavranno la speranza, e la libertà.

 

 

 

Un livido sole splende in un livido cielo. Riverso a terra giace il suo cadavere. E’ storpiata in una posizione oscena ed innaturale, un rivolo di sangue le cola tra le gambe, là dove i nemici le hanno inferto i colpi più crudeli. Il volto non si riconosce nemmeno più, deturpato dai morsi di quei cani rabbiosi, così come il seno, che trabocca dalle vesti strappate, insanguinato e lacero. E’ la mamma di Artie. Il bambino è inginocchiato là accanto, i capelli biondi che svolazzano al vento, non piange, non ricorda nemmeno più come si fa. Nelle sue vene scorre rabbia pura, contro tutto e tutti, tutto, tutto tranne quel misero e dolcissimo ammasso di carne che giace davanti a lui, l’unica cosa amata, l’unica al mondo che lo proteggeva.

 

La rabbia lo inonda e lo acceca, lo riempie a tal punto da non lasciare più posto nemmeno per la sua anima, la rabbia gli inietta nella mente pensieri che finora non aveva nemmeno immaginato. Uomini codardi! Perché avete sopportato per millenni la schiavitù più umiliante, senza reagire mai? Piuttosto di fare da bestie da macello per i vampiri avreste dovuto tagliargli i viveri, avvelenarvi il sangue con essenze mortali, morire, sì, morire, ma portarli con voi all’inferno questi bastardi inutili parassiti schifosi!

 

…maledetti…

 

Si sente sporco, Artie. Sente tutta questa vigliaccheria addosso, sulla pelle, un fango disgustoso che lo appesantisce e lo inchioda su questa terra, uomo, solo uomo, anche lui.

Le ali le abbiamo tutti, Artie, lo sai, vero? E’ il fango che ce le impasta sulla schiena. Basta lavarlo via, basta così poco per spiegarle, per diventare un angelo, e volare…

 

Un angelo.

 

O un eroe.

 

Il vento soffia stizzito, porta via la polvere, poi ne deposita altra e il mondo non cambia mai. Gli uccelli volano nel cielo, il sole tramonta, cade la neve. Artie è ancora lì, ma ora ha finalmente preso la propria decisione: ora sa cosa fare, ed è più sereno.

Non c’è più odio, non c’è più rabbia, tristezza sì, ma è solo un dolce velo che ammanta un ricordo ormai lontano; Artie conosce la strada, sa che deve percorrerla. Ha scelto il suo destino, d’ora in poi sarà il suo destino a scegliere per lui. Lentamente, all’inizio, poi più veloce, si incammina verso est.

 

 

 

Il percorso più breve che collega due punti è una linea retta. Così è il viaggio di Artie: una linea retta. Intorno a lui, il mondo è devastato, langue, si contorce negli spasmi di un’atroce agonia. La vita lo sta abbandonando, lentamente ma inesorabilmente, per lasciare il posto alla terrificante

non-morte dei vampiri, e poi al nulla, quando i parassiti avranno esaurito il proprio nutrimento e moriranno essi stessi, straziati dalla loro innaturale sete. Quante meraviglie scomparse giacciono sotto il ghiaccio che da secoli, ormai, fin da quando il Sole ha perso il proprio calore, si incrosta sempre di più sul pianeta! In questo momento Artie, senza saperlo, calpesta il luogo dove un tempo sorgeva il sacro cerchio di Stonehenge. Si chiamava Inghilterra, allora, la terra in cui Artie è nato, in cui vive la sua vita di stenti, in cui forse, domani, morirà. Per millenni gli uomini hanno scritto, costruito, cantato, dipinto, amato; di tutto questo passato, ora, il mondo non conserva ricordo, delle città non restano nemmeno le rovine, dei grandi uomini sono polvere persino le ossa, nulla testimonia più quella magnificenza ora perduta per sempre. Di fronte ad una tale devastazione, al solo pensiero di quale immane potere distruttivo dovessero avere i malvagi che avevano cancellato tutto ciò, chiunque si arrenderebbe, costernato, schiacciato dall’orrore. Come può un uomo solo combattere tanto odio? Ma Artie non è consapevole di questo, non gli importa. Il suo cammino è una linea retta, un passo dopo l’altro, un passo e poi un altro, e poi uno, e uno, e uno, e uno ancora. E un altro.

 

 

 

Non tutto ciò che è stato costruito dalla mano dell’uomo è stato distrutto. Un solo edificio resta ancora a raccontare la grandezza che fu; esso, un tempo luogo di culto, ora è ridotto ad un’empia e corrotta parodia di stesso. E’ una cattedrale gotica, dalle mille guglie che trafiggono il cielo, ma le cui mura sono state imbrattate di sangue, le statue abbattute e sostituite da minacciosi e orripilanti Gargoyle, i segni sacri trasformati in osceni scarabocchi, violate le tombe, sfondato l’altare. Qui, in supremo disprezzo alla razza umana, ha posto il suo trono Voldorak, il Grande Re Vampiro, da qui il suo piede schiaccia le genti della Terra, e qui Artie sta venendo, anzi, è appena arrivato. Tre giorni e tre notti di viaggio ininterrotto non sembrano averlo fiaccato: giunge davanti alla porta e bussa. Semplicemente, bussa. Nessuno risponde. Allora parla, è la prima volta che lo fa da quando urlava di terrore nascosto dietro quella roccia, ma la sua voce non è roca per il lungo silenzio.

Invece è limpida e forte.

-         Vengo qui per incontrare Re Voldorak, e chiedere conto della sua malvagità. Voglio la sua testa come trofeo, e la sua anima nera all’inferno. Se ha coraggio, mi faccia entrare, altrimenti dia pure ordine di uccidermi qui, subito: il suo cuore saprà per l’eternità di appartenere ad un codardo.

E la porta si spalanca.

 

 

 

Dentro regnano il caos e l’orrore. Miseri resti di cadaveri umani si accatastano in ogni angolo, ammorbando l’aria con miasmi pestilenziali. Si cammina nel lerciume e tra le ossa frantumate, e i luogotenenti di Voldorak, privi di compostezza alcuna, razzolano tra i brandelli insanguinati, masticando e succhiando la carne putrida. Artie passa in mezzo a loro, e non li degno di uno sguardo. I vampiri, invece, lo fissano a lungo, ma solo per ridere di lui. Un’eternità di vita corrotta e decadente li ha fiaccati, ed essi non ricordano più le battaglie cruente combattute per il dominio del mondo quando ancora gli uomini conoscevano il  coraggio. Se così non fosse, riconoscerebbero lo sguardo di Artie. Lo sguardo si chi non ha nulla da perdere. Di chi non ha PAURA.

 

 

 

E infine, Artie giunge davanti al trono su cui siede Voldorak. Il Re incombe su di lui, alto e robusto, col corpo muscoloso di un guerriero esperto, eppure privo di quel vigore vitale che pulsa nel sangue di un combattente. I capelli, innaturalmente bianchi, gli cadono lunghi sulle spalle; gli occhi sono infossati ed abissali, le labbra esangui, e sul petto nudo reca un emblema tatuato, un Ankh egizio, il cui arcano scopo è noto solo a lui.

E la sua voce… la sua voce rimbomba tra le antiche volte come fosse venuta ad annunciare il giudizio universale.

-         Piccolo mortale! Le tue parole di sfida sono pesanti, e non posso certo ignorarle. Se vuoi chiamarmi ad un combattimento, sappi che non avresti alcuna speranza di battere nemmeno la più miserabile delle mie guardie, e tanto varrebbe tu ti gettassi da un dirupo giù nel mare burrascoso. Se invece hai in mente qualcosa di diverso, parla, e deciderò cosa ne sarà della tua misera vita.

Per nulla intimorito, Artie fronteggia il terribile sovrano, lo guarda negli occhi, parla a sua volta:

-         Trattieni pure le tue guardie, che miserabili sono tutte, o Re: non vengo per combatterti, ma per chiederti un dono. Qualcosa di veramente piccolo in confronto alla tua potenza immortale e alla tua sterminata ricchezza, e per avere la quale sono disposto a pagare un prezzo molto alto.

Tutta la corte è in fermento, i cadaverici servi di Voldorak si accalcano a cerchio intorno a quel bambino, l’unico essere umano che abbia osato calcare il suolo della reggia da millenni. Artie non li teme, li ignora addirittura, e conclude la sua richiesta con parole che suonano ardite al punto da sembrare follia:

-         Io ti chiedo il cofanetto che sta sotto il tuo trono, Voldorak, e in cambio ti offrirò il mio collo perché tu plachi la tua sete. Pensaci bene: cosa ti domando? Un oggetto ben piccolo, sovrano, che forse ignori persino di possedere, e che potrai riprenderti una volta che avrò esalato l’ultimo respiro sotto il tuo morso. Una carabattola senza alcun valore, poco più di una scatoletta luccicante, in cambio della mia vita. Pensaci bene.

Voldorak apre di nuovo bocca, di nuovo la sua voce cavernosa inonda la sala:

-         Quello che tu mi offri, umano, io posso anche prenderlo da solo, senza sforzo alcuno. E conosco il motivo della tua richiesta, e del grande sacrificio a cui dici di essere disposto affinché essa sia accontentata. Vi è una leggenda tra gli uomini, se non erro.

Voldorak, a questo punto, inchioda i propri occhi in quelli del ragazzo, bramoso di cogliere il loro primo sguardo di terrore, via via che scandisce le sue terribili parole.

-         Vi è una leggenda, che dice che, un tempo, i vampiri sottrassero agli uomini qualcosa di molto importante, e che questa cosa sarebbe nascosta nel cofanetto che cerchi. Tu credi che te lo darei, se davvero lo avessi? Ebbene, accetto il tuo patto: cercalo pure, guarda ovunque. Tu dovrai però pagare il prezzo stabilito: anzi, per mio maggior divertimento, dovrai tagliarti da solo la gola, e con le ultime forze strisciare e trascinarti sopra di me, in modo da fare scorrere il tuo sangue nelle mie fauci assetate. E sappi questo, mortale. Ciò che cerchi non esiste, non è altro che il parto della mente di un folle cantastorie. Al mondo esiste chi ha il potere e chi è schiavo; mentre i primi conoscono l’inebriante gioia del predominio, i secondi cercano un’illusoria felicità nel sogno. Ma è ora risvegliarsi, per te, il sogno finisce qui. Hai di fronte a te la morte…

Artie sostiene lo sguardo del suo fiero avversario senza mai distogliere il proprio, senza abbassare la testa.

-         e non tremi?

No, Artie non trema. Non dimostra alcun sentimento, ha scacciato tutto dalla sua mente, non fa altro che raggiungere il trono.

 

Chinarsi.

 

Infilare le mani al di sotto di esso, cercando a tastoni qualcosa.

 

Trovarlo.

 

E trascinarlo fuori, sotto gli occhi di tutti. Un piccolo cofanetto di piombo decorato in oro, con un sole splendente che luccica sul coperchio.

 

…le alte volte del palazzo si riempiono di silenzioso ed intangibile TERRORE…

 

Per un istante, persino Voldorak trema. Vorrebbe rimangiarsi la parola data, saltare addosso al ragazzo, sgozzarlo finché è in tempo, per poi gettare via quell’oggetto di cui, sicuro, lui nemmeno sospettava l’esistenza, gettarlo nell’oceano, magari, o nel fuoco di un vulcano, dove nessuno lo potrà mai più raccogliere. Ma intorno a lui ci sono i suoi nobili, i suoi cortigiani che lo osservano, e Voldorak sa che, qualunque cosa faccia, essi la vedranno. Farsi prendere dal panico ora vuol dire perdere per sempre la propria dignità di fronte a loro; quel cofanetto non può essere davvero ciò che il bambino cerca, perché quell’oggetto NON ESISTE.

 

I vampiri sono sempre stati padroni del mondo: questo Voldorak crede fermamente.

 

Il Sole non è mai stato letale per loro.

 

Mai è esistita quella fantasia che gli uomini chiamano speranza.

 

Artie solleva, lentamente, il coperchio dello scrigno…

 

Dev’essere un antico tesoro, Voldorak ne è sicuro.

 

Ne sono sicuro, sì.

 

Una gemma, magari?

 

Non gli servirà dopo che l’avrò dissanguato.

 

Sono ancora in tempo, potrei saltargli addosso ora…

 

No, no.

 

Di cosa ho…

 

…paura?

 

Il fragore è quello di mille tuoni, di una stella che esplode, di una schiera di déi infuriati che cavalcano nel cielo.

La luce è tanto intensa da farti sentire trasparente, dissolto nell’energia liquida che turbina intorno.

Le urla…

 

…sono atroci.

 

E deliziose a sentirsi.

 

I vampiri bruciano vivi. Si accartocciano, agonizzano terribilmente; le loro carni, ormai ridotte a tizzoni inceneriti, si sfaldano in polvere grigiastra e fetida.

 

Il Cuore del Sole ruggisce ed infuria, si scatena, vola verso il cielo, colonna di fuoco, bramoso di tornare al proprio legittimo padrone.

 

Voldorak

 

Voldorak si crepa, ingrigisce, osserva con orrore le proprie mani sbriciolarsi in brandelli svolazzanti. Ma porterà con sé nella tomba un ricordo ancora peggiore, l’ultimo che si imprime nei suoi occhi maledetti. Quando alza gli occhi su Artie lo vede in piedi in mezzo al mare di energia urlante e ribollente; il bambino ricambia lo sguardo e sorride.

 

 

 

Quando anche le ultime membra del sovrano si sono dissolte, Artie sa che il suo dovere è compiuto. Si sveglia da una lunga trance e la stanchezza, la fame, la sete di tre giorni gli piombano addosso come un macigno. Il cielo comincia a rasserenarsi, con il Sole che, una volta recuperata la sua antica potenza, straccia le nuvole grigie che ancora si ostinano ad ammantare il mondo. Le altre si arrendono e si sciolgono in una pioggia vellutata e tiepida che carezza la nuova vita del pianeta. Artie dorme, le labbra secche ancora increspate nel sorriso che ha deriso Voldorak e l’ha condannato all’inferno peggiore.

 

Il potente signore, il Grande Re Vampiro, si consumerà nel proprio ultimo, eterno attimo, quello in cui ha preso coscienza di essere stato sconfitto da un semplice bambino.

 

Ed è notte, ed è mattina.

 

I ragazzi del villaggio vicino trovano uno strano bambino addormentato in mezzo alle macerie di quello che fino a ieri era il palazzo più temuto della Terra e oggi è solo un ottimo posto per giocare a nascondino.

E’ biondo, ha i vestiti bruciacchiati e strappati e un sorriso sulle labbra. Si accalcano tutti intorno a lui: chi è? E’ vivo? Ma certo, vedi, respira! Svegliamolo, dai! Lo scuotono, quello apre gli occhi, gli altri fanno un passo indietro. Il suo sguardo, per un attimo, è quello di una belva ferita, come se nei suoi sogni non avesse fatto altro che lottare per la propria vita, ma subito si ammansisce. Qualcuno ha il coraggio di chiedere:

-         Vuoi giocare con noi?

Gli occhi di Artie si illuminano, la bocca si allarga in una risata. E’ tornato ad essere un bambino, ora, grida, salta, insegue la felicità insieme ad i suoi nuovi amici correndo dietro ad una palla rossa.

 

FINE

 

 

Questa è una storia che amo particolarmente. L’ho scritta in origine come sceneggiatura di una storia a fumetti, in cui però, anche per colpa dei miei disegni non splendidi, non credo sia stata valorizzata a sufficienza. Ora l’ho messa in forma di racconto, cercando comunque di rendere con le parole quelle atmosfere che dovevano essere evocate dai disegni. Spero di esserci riuscito, e di avere scritto qualcosa che trasmetta bene tutto il cuore che ci ho messo. Scrivetemi i vostri pareri, e arrivederci alla prossima!

 

 

 

 

  
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