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Autore: SiriusTheBest    14/10/2006    5 recensioni
Ehilà!! Salve a tutti! Come prima cosa premetto che è la prima volta che scrivo una FF!! perciò è una cosa un pò nuova x me! Kmq, questi sono i primi capitoli di quello ke è il mio personale settimo libro di H.P. in cui Harry fa giustizia..leggete please e commentate! Grazieee! P.S. non siate troppo cattivi..
Genere: Azione, Avventura, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro, personaggio, Harry, Potter, Regulus, Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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"HARRY POTTER VII - IL PRESCELTO"

CAPITOLO 1

La sua vita aveva subito molti cambiamenti. Troppi per i suoi gusti. Ancora adesso quando gli capitava di pensarci, non riusciva a capacitarsi di come tutto potesse essere cambiato in una sola notte; anzi in pochissimi istanti. Quelli necessari alla bacchetta di Severus Piton per eruttare il micidiale lampo di luce verde che si era abbattuto sul corpo, peraltro già stremato, di Albus Silente. Perfino ora, seduto su quel lurido sedile della metropolitana, riusciva a rivivere l’evento esattamente come era accaduto mesi fa. Sentiva ancora il proprio corpo che poggiava sulle fredde pietre della torre, incapace di mettere in moto un solo muscolo, di compiere anche il più piccolo movimento, imprigionato com’era dall’incantesimo petrificus totalus lanciatogli da Silente nell’ultimo disperato tentativo di salvargli la vita. Poi ricordava in maniera così vivida, come se l’avesse ancora davanti al proprio naso, il volto di Piton. Da esso non trapelava alcun’emozione, nemmeno una scintilla di pietà, o rimorso. Solo una fredda determinazione. Pronunciò la maledizione che avrebbe ucciso Silente, un uomo che aveva creduto fino all’ultimo nel suo completo pentimento, senza che un solo muscolo della sua faccia tradisse alcun’emozione, fosse essa rabbia, odio, risentimento o indecisione.

In un certo senso, Harry, lo ammirava, sebbene all’inizio questo pensiero lo avesse riempito di repulsione e rabbia.

Non lo ammirava certo per quello che aveva fatto, ma per come l’aveva fatto; con una freddezza glaciale, si era sbarazzato di uno dei suoi più pericolosi avversari, poca importanza aveva il fatto che quello specifico avversario lo avesse salvato, quando si era aperta la caccia ai Mangiamorte dopo la caduta di Lord Voldemort, gli avesse dato un tetto sotto cui rifugiarsi, un posto di lavoro con cui rifarsi una nuova vita. Harry si augurava caldamente, in cuor suo, di poter compiere ciò che aveva intenzione di compiere, con la stessa freddezza e determinazione.

Appena sceso dal vagone della metropolitana, si accese una sigaretta; uno dei tanti brutti vizi che aveva preso, da un po’ di tempo a questa parte, ma, come aveva detto prima molte cose erano cambiate, ora vedeva la vita da una prospettiva diversa. Assaporò lentamente il fumo, grato della piacevole sensazione che gli infondeva in tutto il corpo, dopo s’incamminò lentamente fuori dalla stazione della metropolitana di Ealing Broadway. Era lì, in uno dei tanti sobborghi dell’immensa Londra, che aveva deciso di sistemarsi, almeno per un po’ di tempo. Era riuscito a scovare una camera da una cara vecchietta irlandese, la signora Maureen Duff, che affittava a prezzi modici, alcune camere della sua casa a studenti e turisti. Non sarà stata una reggia, quella cameretta piuttosto piccola con un letto che era poco più che una branda addossato ad una parete, un armadio abbastanza capiente da farci entrare i suoi pochi averi, e un piccolo tavolino in legno sotto la finestra a completare il mobilio, ma per un ragazzo come Harry che, nei tempi lontani della sua infanzia aveva saputo adattarsi all’angusto sottoscala della casa dei Dursley, poteva bastare; in fondo non era poi molto diversa dalla stanza in cui i suoi cari zii avevano accettato di sistemarlo, quando tornava per l’estate. Aveva lasciato la gran parte della sua attrezzatura scolastica come il calderone, i libri e la divisa di Hogwarts, nella casa di Privet Drive, dove avrebbero sicuramente attirato di meno l’attenzione; ma non era riuscito a separarsi da Edvige, la sua fedele civetta, era troppo affezionato a quell’animale e la cosa era reciproca, ma ogni volta che rimaneva ad osservarla, chiusa nella sua gabbia, gli veniva una fitta al cuore…gli ricordava troppo Hogwarts.

Uno dei cambiamenti avvenuti nella sua vita riguardava proprio Hogwarts, sostanzialmente non avrebbe mai potuto rimetterci piede. Se qualcuno gli avesse detto una cosa simile uno o due anni fa, probabilmente Harry gli avrebbe riso in faccia, ma alla luce di tutto quello che era accaduto nel suo sesto anno trascorso lì, era stato proprio lui ad emettere questa pesante sentenza.

I motivi erano molti, quello principale era che Albus Silente, il suo più grande protettore, non c’era più. L’ultima persona che si era adoperata in tutti i modi per proteggerlo, con dedizione, determinazione e spesso, almeno era sembrato a Harry, con amore quasi paterno, era caduto sotto i colpi di un nemico spietato quanto irraggiungibile. Era stato al suo funerale che Harry aveva capito, con una tristezza infinita, che non avrebbe più potuto camminare, o correre per arrivare in tempo alle lezioni, lungo i corridoi del castello, non avrebbe mai più cenato sotto il cielo stellato della Sala Grande, non ci sarebbero più state le risa e gli scherzi con i compagni nei dormitori e nella sala comune, niente più Quidditch…

Perché lui era Harry Potter. E aveva un compito da portare a termine. Gli era stato affibbiato fin dalla nascita, ma lui ne era venuto a conoscenza troppo tardi. Quando Silente, quella sera di due anni fa, nel suo studio, gli aveva comunicato il contenuto della profezia fattagli dalla professoressa Sibilla Cooman, non aveva capito fino in fondo il messaggio contenuto in essa; affrontare Voldemort, per lui era un’idea astratta, lontana nel tempo e nello spazio. Forse era convinto che avrebbe avuto più tempo, per prepararsi, affinare le sue abilità, diventare un mago più potente di quanto non fosse allora.

Ma la sorte, si sa, è dotata di un macabro senso dell’umorismo.

Aveva scoperto a sue spese, che il tempo era un lusso che non poteva permettersi.

Gli era stato portato via tutto quello che per lui contava maggiormente nella vita. Innanzitutto Ginny, il suo unico vero amore. Ricordava ancora perfettamente la discussione che avevano avuto, in riva al lago, in occasione del funerale di Silente; era riuscito a convincerla a porre fine alla loro breve, ma intensa storia d’amore, gli era costato uno sforzo enorme, e vedere le sue guance rigate dalle lacrime gli aveva provocato un dolore inimmaginabile, ma aveva resistito alla tentazione di rimangiarsi tutte le sue parole, e di dirle che tutto quello che voleva era trascorrere il resto dei suoi giorni con lei. Aveva a stento trattenuto il pianto, e da quella volta non l’aveva più rivista, e per tutti i giorni futuri senza Ginny, Harry sapeva che per lui sarebbe stato come se il sole brillasse di una luce meno intensa.

Ma dentro di sé sapeva che era giusto allontanarla il più possibile da lui; Voldemort, una volta scoperti i suoi sentimenti per lei, non avrebbe esitato a servirsene per arrivare a Harry. E questo non poteva permetterlo.

Poi c’erano Ron e Hermione. Harry era andato avanti con la convinzione che loro due sarebbero stati per sempre al suo fianco, pronti a combattere qualsiasi avversità, qualsiasi nemico; e per un istante, aveva pensato di poterli coinvolgerli anche in quell’ultima avventura, quella che li avrebbe condotti allo scontro finale. Ma si era reso conto con profonda amarezza e con una tristezza che gli invadeva inesorabilmente l’animo, che non era giusto; questa era la sua battaglia, la sua avventura; ed era solo nell’affrontarla, come non lo era mai stato prima.

Li aveva salutati poche ore prima, alla Tana, erano lì insieme ad una selva di parenti e amici per il matrimonio di Bill e Fleur, che si sarebbe svolto l’indomani mattina; ma lui non ci sarebbe stato. Erano andati a fare due passi in giardino, per stare lontani dalla confusione creata dai preparativi; non aveva mai visto la signora Weasley così fuori di sé, dava ordini a destra e a manca come un generale che dispone le sue truppe prima di uno scontro importante, che poteva decidere le sorti della guerra. In fin dei conti questo evento serviva a tenere le menti di quasi tutti, lontane dai tempi bui e difficili che li attendevano. Loro tre passeggiavano nell’ampio giardino che circondava la casa dei Weasley, ognuno immerso nei propri pensieri. Ad un certo punto Ron, titubante, ruppe il silenzio dicendo "Senti Harry, io…io non ce la faccio a vederti così. Ti stai lasciando andare alla deriva…sei andato a sistemarti a Ealing, quando sapevi benissimo che da noi la porta è sempre aperta, anzi mia madre sarebbe venuta a prenderti di peso, se mio padre non l’avesse trattenuta…non ti fai più vedere, vieni qua quando capita…tutti quelli dell’Ordine sono preoccupati per te…" Si aggiunse anche Hermione a dar man forte a Ron "Harry, sappiamo quanto ti ha sconvolto…beh tutto quello che è accaduto, ma devi capire che, questo tuo atteggiamento non è il modo giusto per affrontare le cose…" Harry non ce la fece più a trattenersi "E lo sapete voi qual è il modo corretto di comportarsi? Eh?! E’ successo a me, non a voi! Non potete nemmeno lontanamente immaginare come mi sento…questa è la verità…" "Harry, - rispose Hermione - anche noi volevamo bene a Silente…" "Voi non conoscevate Silente come lo conoscevo io! Non conoscevate Sirius come lo conoscevo io! Quindi fatemi il santo piacere di smetterla assillarmi! Io sono cambiato! Tutta la mia fottutissima vita è cambiata! Lo volete capire o no?!" I suoi due amici lo guardarono stupefatti, incapaci di digerire quello che Harry aveva appena detto loro. Si accese una sigaretta, e il fumo riuscì nell’intento di placare, almeno momentaneamente, la sua ira.

"Harry, noi siamo i tuoi migliori amici…" cominciò Hermione ancora sconvolta, ma Harry la interruppe, e disse in tono di scusa "Sì, lo so…scusate non avrei dovuto urlare così…voi siete le uniche persone di cui mi possa fidare e…devo comunicarvi una decisione che ho preso…ed è…una cosa un po’ difficile…perciò non interrompetemi." Trasse una profonda boccata di fumo e la soffiò fuori, prima di proseguire. "Non tornerò ad Hogwarts, alla fine dell’estate." Si fermò, per osservare l’espressione di stupore dipinta sui loro volti. " Non ho più nulla da fare lì. Ci sono solo ricordi, in quel posto…di una vita che non c’è più, e che mai ritornerà."

"Che cosa hai intenzione di fare allora?" Proruppe Hermione; Ron era rimasto pietrificato dallo scoppio d’ira di Harry, e dalla rivelazione che ne era seguita. "Ucciderò tutti. Da chi ha preso parte ai massacri perpetrati da Voldemort. A chi ci ha fatto sopra i propri interessi. A chiunque proverà a fermarmi. Ucciderò tutti." Ron trovò il coraggio di parlare "E’ di vendetta che stai parlando…"

"Esattamente. Dopo tutto è scritto nel mio destino." rispose Harry. "No Harry, è scritto che tu distrugga Voldemort, ma non che tu debba compiere una strage per farlo!" Intervenne Hermoine.

"Anche gli altri Mangiamorte meritano tutti di morire. Hermione, tutti loro hanno rovinato la mia vita. Ed ora io mi prenderò la loro. Lo giuro sui miei genitori. Lo giuro sul sangue di Sirius e Silente."

Non aveva voluto sentire altre obiezioni. Aveva fatto promettere loro, che non avrebbero mai riferito a nessuno, quanto aveva detto, in particolare a Ginny; e dopo aver ottenuto una risposta affermativa da entrambi, si era congedato, lasciando Hermione in lacrime tra le braccia di Ron. Uscendo dal giardino, aveva stoicamente resistito al desiderio di voltarsi indietro.

Adesso che aveva salutato forse per l’ultima volta i suoi amici, per Harry era arrivato il momento di attuare il suo piano. E sapeva già a chi rivolgersi.

Non aveva intenzione di portare con sé nulla, né vestiti, né provviste di cibo, per ogni evenienza aveva una buona quantità di denaro, ed era questo il motivo per cui si era recato per l’ultima volta al suo appartamento, per prendere i soldi che aveva nascosto in maniera piuttosto prosaica e sicuramente non magica, sotto il materasso.

Fatto ciò, si avvio verso il centro della città, destinazione ministero della magia.

CAPITOLO 2

I fratelli Connor e Murphy McCormack, ancora ignari del fatto che le loro strade e quella del giovane Potter si sarebbero presto incrociate e assolutamente in maniera tutt’altro che casuale, attendevano nel loro piccolo ufficio, al più che affollato e rumoroso Quartier Generale degli Auror, al secondo livello sotterraneo del Ministero della Magia. I due erano considerati da molti i migliori auror del dipartimento, dei veri mastini; i giudici avevano distribuito la sciocchezza di cinquemila anni di galera complessivi, basandosi sulle loro indagini e i loro arresti, in soli venti anni di servizio.

Connor e Murphy erano nati e cresciuti nella periferia di Dublino, in una famiglia di ferventi cattolici, e, appena maggiorenni si erano trasferiti a Londra per diventare degli auror, e liberare la comunità dai maghi malvagi e corrotti dalla magia nera come Voldemort e i suoi seguaci.

Ai tempi della prima guerra contro il Signore Oscuro avevano fatto la loro parte nel scovare e arrestare quanti più Mangiamorte possibile. Si può dire che si erano fatti le ossa sbattendo ad Azkaban maghi oscuri del calibro di Bellatrix Lestrange, McNair, Dolohov ed altri.

Ma ora dopo le fughe di massa dalla prigione dei maghi dovute alla mancanza di dissennatori, le cose si erano complicate. Non si trattava più di casi isolati, ora quasi tutti i mangiamorte si erano riuniti al loro risorto capo, e l’assalto compiuto a Hogwarts e l’assassinio di Silente, avevano precipitato tutti i cittadini nell’abisso di terrore più profondo. Inoltre, era solo questione di tempo, prima che anche quei pochi mangiamorte ancora rinchiusi ad Azkaban, come Lucius Malfoy, venissero liberati dai loro compagni.

Al momento, quindi tutti gli auror disponibili erano indaffarati a rispondere a segnalazioni di cittadini terrorizzati che denunciavano sempre più attacchi di Dissennatori, o di Inferi.

Ma loro non si occupavano di queste cose. Loro erano i migliori, e facevano parte di una task force impegnata nell’individuazione e nell’arresto dei mangiamorte. Questa squadra, oltre che da loro due, era composta da altri ottimi auror come Kingsley Shackelbot, Ninfadora Tonks e da un nuovo elemento fresco di accademia, un ragazzo di appena ventuno anni, Matthew McSteels, anche lui irlandese, che si era dimostrato in pochi mesi di servizio, un promettente auror.

Il lavoro di squadra e le ore di faticoso lavoro avevano portato i loro risultati; infatti dopo l’assalto a Hogwarts, e il voltafaccia di Piton, la sua casa era stata messa sotto osservazione, nella flebile speranza che l’ex-professore commettesse la leggerezza di recarvisi nel tentativo di recuperare qualcosa. Il compito era toccato proprio al giovane McSteels, il quale dopo una accurata perquisizione aveva individuato una botola nella polverosa e minuscola cantina, che conduceva ad un sotterraneo contenente una vera e propria scorta personale di ingredienti introvabili necessari per varie pozioni, le quali potevano tornare utili ai Mangiamorte in qualsiasi momento.

Così, già da un mese gli auror della squadra facevano turni di guardia presso una casa disabitata situata accanto all’abitazione di Piton.

E finalmente il momento tanto atteso stava per arrivare. Murphy per la centesima volta guardò con ansia il telefono cellulare che teneva nella tasca dei pantaloni, quel bastardo non ne voleva sapere di squillare, infatti il segnale convenuto nel caso qualcuno avesse tentato di entrare nell’abitazione di Piton, era uno squillo sul telefonino; ne avevano uno anche Shackelbot e McSteels, a cui toccava il turno del sabato. I due, un’ora e mezza prima avevano avvertito gli altri, al Quartier Generale, che un tizio si aggirava nei pressi della casa, all’inizio i due non ci avevano fatto caso, aveva l’aria di un barbone; poi Mat, insospettito dal continuo gironzolare dell’uomo, proprio intorno a quella specifica casa, aveva tentato di bloccarlo per un controllo, ma girato l’angolo della via, alla luce dell’unico lampione accesso, non c’era nessuno. L’uomo era come sparito nel nulla; probabilmente si era semplicemente smaterializzato, per poi riapparire da qualche parte chissà dove..impossibile saperlo. Questa segnalazione aveva messo tutti sul chi vive, e i due fratelli ora non aspettavano altro che quella maledetta chiamata. Ma lo schermo del cellulare continuava inesorabilmente a ripetere che erano le diciotto e quarantacinque minuti.

Avevano deciso di utilizzare i cellulari per comunicare per il semplice motivo che erano un mezzo di comunicazione che nessun mangiamorte avrebbe mai pensato di tenere d’occhio; forse ne ignoravano perfino l’esistenza. La posta via gufi ormai era stata abbandonata da chiunque avesse un po’ di buon senso. Al ministero si erano decisi a cambiare metodi di comunicazione dopo che decine e decine di lettere dal contenuto riservato, che gli auror o i dipendenti del ministero si spedivano, non erano mai arrivate a destinazione oppure, giungevano al mittente portando i chiari segni di una manomissione. Pure i camini non erano più sicuri…era sorprendentemente facile intrufolarsi in comunicazioni altrui dal camino di casa propria, un gioco da ragazzi che, da scherzetto innocente si era trasformato in reale pericolo per la popolazione; quindi il ministero ne aveva sconsigliato l’uso, e aveva invitato la cittadinanza a servirsene solo in casi eccezionali di vita o di morte.

Scartati tutti i metodi magici, rimanevano quindi quelli babbani. Era molto più difficile per i mangiamorte, anche nel caso avessero scoperto l’uso che facevano dei cellulari gli auror, intercettare le comunicazioni che avvenivano tramite questo strumento della tecnologia babbana.

Nessuno dei due parlava. Connor prese dalla tasca anteriore dei jeans il secondo pacchetto di sigarette della giornata, ne estrasse una e se la accese. Dopo qualche minuto il piccolo stanzino già pregno di uno sgradevolissimo odore, un misto di muffa, sudore e toast andato a male, (quest’ultimo ricordo dell’ultima cena di Murphy, che risaliva a due giorni fa), si riempì di fumo.

"Accidenti! - proruppe Murphy esasperato – Connor, già non si respirava prima, dentro questo buco, in più se ti metti anche a fumare.."

"Oh, non mi rompere le palle! Sembri nostra madre..Sono nervoso, porca miseria! Potrò fumare nel mio stramaledettissimo ufficio, no?!"

"Non se ci sono dentro anch’io, grazie!"

Connor sbuffò, borbottò qualcosa, ma alla fine spense la sigaretta nel posacenere.

Murphy era il più vecchio dei due; di tre anni, per la precisione. Quand’erano piccoli avevano sempre fatto tutto insieme, se il padre diceva a Murphy di andare a prendere un barattolo di conserva e una pagnotta al negozio all’angolo, Connor strillava che voleva andare anche lui. E così, frequentarono la stessa scuola cattolica, ebbero lo stesso giro di amici, arrivarono ad innamorarsi della stessa ragazza al liceo…Dove andava Murphy, c’era anche Connor. Inevitabile quindi, il fatto che presero insieme la decisione di andare a Londra per diventare degli auror.

Eppure, i due avevano caratteri diversi, Murphy era più riservato e introverso, mentre Connor era solitamente quello che attaccava bottone con tutti, al pub scherzava e parlava con chiunque fosse disposto ad ascoltarlo. Ma erano sempre andati d’accordo, poche erano state le discussioni, ancora meno le liti vere e proprie.

Fisicamente, Connor era più alto e robusto del fratello - anche se entrambi come altezza erano pienamente nella media - aveva capelli castano chiari, non troppo lunghi, occhi verde smeraldo, e un atteggiamento spavaldo, che spesso, ma non sempre a dir la verità, intimoriva qualche delinquente. Murphy, invece era un po’ pi magrolino, non troppo, si può dire che fosse meno dedito all’azione rispetto al fratello, il quale quando poteva si faceva qualche oretta di allenamento in palestra; portava i suoi capelli neri sempre arruffati e in disordine, ciò che dava l’impressione che si fosse appena svegliato e non avesse avuto il tempo di pettinarsi; ma quelli che lo conoscevano abbastanza bene, sapevano che quello era semplicemente il suo stile, un po’ trasandato e trascurato; inoltre data la situazione attuale, i due non mettevano piede nel loro appartamento da quasi due giorni, e avevano un’aria ancor più trascurata, accentuata dalla barba di tre giorni e dagli abiti, per entrambi dei jeans logori e scoloriti una t-shirt bianca, e una giacca nera che era il pezzo forte del loro vestiario.

Girava voce tra gli uffici del dipartimento, che avessero un armadio pieno solamente di giacche nere e jeans scoloriti, perché, come i personaggi dei fumetti e gli eroi dei cartoni, erano vestiti sempre alla stessa maniera, e questo in un certo qual modo contribuiva ad arricchire la loro fama di personaggi strani ed eccentrici.

Passavano i minuti, scanditi dal ticchettio dell’orologio appeso ad una parete dell’ufficio. Murphy era arrivato a convincersi che il telefono lo odiasse, quell’infernale aggeggio, mosso da una coscienza diabolica aveva deciso che mai in vita sua avrebbe suonato per avvertirli, che se fosse arrivata una chiamata diretta a loro, lui avrebbe fatto finta di nulla, continuando a dire che erano le diciannove e sette minuti; il bastardo.

"E se gli telefonassimo? Non ce la faccio più a starmene qui seduto con le mani in mano!" Intervenne Murphy.

"Sì, bravo genio! Così magari li facciamo scoprire…A volte mi domando come hai fatto a diventare auror!" Rispose Connor in tono sarcastico, alzandosi dalla sedia e avviandosi a passi lenti verso la porta.

"Dove vai?" chiese Murphy.

"Al bagno. Perché, ti da fastidio anche quello?"

"E se poi chiamano mentre tu stai al cesso, che gli dico? Scusate aspettate, un secondo che quell’idiota di mio fratello sta pisciando! Porca vacca non voglio fare una figura di merda simile, per colpa tua!"

"Ma tu non stai bene! Sono vent’anni che lo dico che non sei a posto tu. Non ho mai sentito tante stronzate in un solo discorso, complimenti! Se chiama Tu-Sai-Chi digli che mi trova in fondo al corridoio a destra." E uscì chiudendosi la porta alle spalle.

"Che testa di…" Borbottò Murphy tra se.

Passarono altri interminabili minuti; era chiaro che se qualcosa doveva, sarebbe accaduta quella sera, o alla peggio quella notte, ma l’attesa era davvero estenuante e insopportabile.

Da un cassetto della scrivania, tirò fuori un pacchetto di carte da gioco; almeno provo a passare il tempo, si disse. Nel giro di cinque minuti fece quattro solitari, e nessuno gli riuscì; alla fine scaraventò le carte nel cassetto da cui erano venute e lo chiuse imprecando. Non era mai stato fortunato con le carte.

E dove diavolo era andato quell’idiota di suo fratello; si era sicuramente fermato da Stacy Voss, la segretaria del Capo del Dipartimento degli Auror. Sempre più nervoso, si alzò di scatto dalla sedia e spalancò la porta con l’intenzione di andargliene a dire quattro a quel deficiente, ma, non aveva neanche fatto due passi fuori dall’ufficio, che si trovò di fronte un ragazzo.

Avrà avuto sì e no diciassette, diciotto anni, aveva una giacca di pelle vecchia e consunta, jeans molto simili a quelli di Murphy, per usura e colore e scarpe da ginnastica ai piedi, e inoltre, Murphy notò che aveva uno zaino che pendeva dalla spalla sinistra.

Aveva un espressione accigliata, quasi dura, mista al momentaneo stupore per averlo visto sbucare fuori all’improvviso dalla porta.

Portava appuntato sulla giacca, il distintivo identificativo che veniva consegnato all’entrata del Ministero, dove veniva specificato il nome della persona e la motivazione che la portava al ministero.

Quello che fece sobbalzare Murphy, non fu tanto, sotto la scritta Motivazione, la dicitura Appuntamento con il detective Connor McCormack; quanto il nome del ragazzo dall’aria stanca, abbattuta e allo stesso tempo pieno di una strana energia, che gli stava davanti. Lesse la piccola scritta in caratteri dorati sul distintivo: Harry Potter.

Fu proprio il giovane a risvegliarsi dal momentaneo stupore.

"Salve. Vedo, dalla sua espressione, che ha capito al volo chi sono. Lei è il detective Connor McCormack?"

Parlò con voce seria e pacata, una voce più da adulto che da diciassettenne. Murphy riprese subito padronanza di tutte le sue funzioni corporee, e strinse frettolosamente la mano che il ragazzo gli porgeva.

"No, io sono..sono il fratello, Murphy. E’ un piacere incontrarla, io..io non avevo mai avuto l’onore di vederla di persona. Naturalmente si è fatto un gran parlare di lei ultimamente…"

"Certo certo.." Tagliò corto Harry. Era come se le parti si fossero invertite; Murphy sembrava il giovane ragazzo impaurito e titubante, e Potter era diventato l’auror navigato e sicuro di sé.

Questa sensazione durò poco più di un attimo. Adesso Murphy sfoggiava la classica espressione e il classico atteggiamento da chi ha tutto sotto controllo e molte cose da fare.

"Bene, allora cosa la porta qui, signor Potter?"

Si domandava che cosa avesse da dirgli quel ragazzo, di così importante da spingerlo a venire qui a quell’ora, quasi orario di chiusura al pubblico del Ministero, non certo per chi ci lavorava.

"Penso di poter dire quello che ho da dire, anche a lei, non è così?"

"Certamente." Rispose Murphy serio.

"Quello è il suo uffico vedo..possiamo entrare? Si tratta di una cosa estremamente importante."

Ora il ragazzo aveva attirato la sua più completa attenzione. Che cosa aveva da riferire Harry Potter agli auror? Forse riguardava Voldemort e i Mangiamorte. Era una grande opportunità da prendere al volo.

"Prego prego, entri.." Spinse la porta del suo ufficio ma non fece in tempo a metterci piede. Il telefono che giaceva abbandonato sulla sua scrivania, prese a vibrare suonando a tutto volume la Cavalcata delle Valchirie di Wagner.

Il segnale tanto atteso. Murphy lo afferrò immediatamente e premette il tasto verde per accettare la chiamata; dall’altra parte la voce di Mat bisbigliò: "Sono arrivati. Due, incappucciati. Entrano ora dalla porta principale."

"Ricevuto. Raccatto mio fratello, e siamo da voi." Chiuse la chiamata e si mise in tasca il telefono; prese la sua giacca e quella del fratello dall’attaccapanni sul muro. Poi si ricordò del giovane Potter che attendeva fuori dal suo ufficio; avrebbero dovuto rimandare la conversazione.

"E’ appena successa un’emergenza, devo correre sul posto subito. Senti, qui c’è il mio indirizzo; domani sera verso quest’ora saremo a casa. Vieni a trovarci, ok? Potremo parlare liberamente, ora devo proprio scappare." Gli porse frettolosamente un biglietto da visita tutto spiegazzato, su cui si leggeva solo 36/A Old Seaman Road, Soho. Detto questo, si voltò e lasciò Harry con il biglietto in mano e si diresse verso la stanza di ristoro dove gli impiegati si prendevano un minuto di pausa bevendo un tè. Piombò dentro e trovò Connor appoggiato al muro che chiacchierava allegramente con la bella Stacy Voss. Senza bisogno di una parola, Connor capì subito cos’era accaduto, afferrò la giacca che il fratello gli porgeva, ed entrambi si smaterializzarono.

CAPITOLO 3

La casa che era stata di Severus Piton, si trovava in una stradina chiamata Spinner’s end. Si trovava nella ex-zona industriale situata nella periferia sud di Londra, lontano da tutto e da tutti. Quei quartieri erano disabitati da anni, e nelle case, dalle finestre rotte e sprangate, vivevano solo qualche barbone, sfollati, disperati e puttane. Un ambiente perfetto per un verme solitario come Piton; nessuno faceva domande, a nessuno importava niente di quel piccolo uomo allampanato e dai capelli unti, e dei suoi strani esperimenti.

Mat aveva riferito che in quella specie di cripta sotto la cantina c’era un vero e proprio laboratorio degli orrori. In delle bocce di vetro stavano, immersi in un liquido denso e verdognolo, degli esseri grotteschi e orrendi, incroci mal riusciti tra schiopodi sparacoda e goblin e altri aberranti e indicibili mostruosità.

Evidentemente, il caro professore stava tentando di creare qualche nuova razza di mostri da mettere al servizio del suo Signore Oscuro; come se gli Inferi e i Dissennatori non fossero abbastanza.

Connor e Murphy apparvero in quello che era stato il soggiorno, della casa che stava di fianco a quella di Piton, e dalla quale Kingsley e McSteels tenevano d’occhio la situazione.

I nuovi arrivati fecero un cenno di saluto ai due compagni e Connor, che era il più alto in grado, e incaricato di portare l’operazione a buon fine, illustrò il piano d’azione.

"Allora, io e Mat li prenderemo da dietro, entrando dalla porta principale, mentre tu - disse indicando Murphy - prenderai Shackelbot e entrerete dal retro. Mi raccomando, voglio che questa cosa vada liscia automaticamente. Non lasciamoceli scappare, va bene?"

Tutti annuirono e estrassero le bacchette da sotto le giacche e i mantelli.

"Ah, un’altra cosa - si raccomandò Connor - non voglio spargimenti di sangue. Ci servono vivi. Colpite solo per stordire."

Poi aggiunse "Ci siamo capiti Mat?" Il ragazzo annuì.

Mat era un ragazzo carino, almeno così lo ritenevano le ragazze; aveva capelli castani, tirati un po’ in su con il gel, un viso cordiale e simpatico, con un’espressione un po’ enigmatica negli occhi azzurri.

Connor aveva fatto quella raccomandazione particolare al ragazzo, perché più di una volta, aveva ricevuto querele e lamentele di vario tipo, per un comportamento..diciamo un po’ troppo zelante, nel trattare alcuni criminali.

A volte, Connor vedeva in Mat, la sua immagine di lui alla sua età; la stessa espressione idiota di quello che deve salvare il mondo.

Era giunto il momento di entrare in azione.

Murphy e Kingsley si incamminarono di soppiatto, lungo il lato destro della casa, dirigendosi verso la porta posteriore, le bacchette sguainate. Connor e Mat si fermarono invece, vicino alla porta principale, socchiusa e dalla quale usciva all’esterno la debole luce di due incantesimi lumos.

Mat, appiattito contro il muro, prese coraggio e scostò la porta quanto bastava per controllare che l’atrio fosse vuoto. Così era; fece un cenno con la testa a Connor il quale penetrò furtivamente nell’abitazione, seguito dal suo compagno.

La luce, vide Mat, proveniva dalle scale in fondo al corridoio, le quali conducevano in cantina.

Dopo un cenno di Connor, poggiò lentamente il piede sul primo scalino. Era maledettamente buio là dentro, pregò vivamente che le scale non scricchiolassero, rivelando la loro presenza. Continuò lentamente a scendere, la bacchetta puntata ad altezza d’uomo, pronto ad agire in caso ce ne fosse stato bisogno.

L’odore era anche peggiore di come se lo ricordava dalla sua ispezione qualche settimana fa.

Odore di cadavere in decomposizione, odore di morte.

Cercò di scacciare quei brutti pensieri e proseguì. Ormai aveva toccato il pavimento in piastrelle della cantina. Connor fu subito accanto a lui, e gli indicò la botola nascosta dalla quale si entrava nella cripta sotterranea. Era aperta, la luce proveniva da lì. Intorno a loro, nella piccola cantina erano ammassati una decina tra sacchi e scatoloni, che contenevano a prima vista, boccette, ampolle e altro materiale utile per produrre pozioni su vasta scala.

I due visitatori notturni stavano svuotando il laboratorio sotterraneo di Piton, di quanto poteva servire loro, per poi trasportarlo in un posto più sicuro.

L’oscurità era totale, a parte la debolissima luce che proveniva dal fondo della botola.

Mat passò lo sguardo nuovamente intorno a sé, e solo allora percepì nel sottoscala un movimento furtivo; si avvicinò per vedere meglio.

Fu Connor, che aveva osservato Mat avvicinarsi al sottoscala, a capire per primo di cosa, o meglio di chi, si trattasse; e non perse tempo.

In una frazione di secondo, punto la bacchetta, urlò a Mat di scansarsi e mormorò dentro di sé, nella sua mente: Stupeficium! Un lampo rosso fuoco uscì dalla bacchetta, frantumò gli scalini in legno e si abbatte sul corpo dell’uomo acquattato là sotto, illuminandolo per un secondo; poi venne scaraventato contro il muro, e si accasciò lentamente sul pavimento, privo di sensi.

Nello stesso momento in cui il corpo dell’uomo toccava terra un getto di luce verde smeraldo balenò dal fondo della botola, rimbalzò sul soffitto della cantina e colpì il pavimento poco lontano dal punto in cui Mat si era gettato per evitare l’incantesimo lanciato da Connor, provocando una cascata di scintille verdi.

Subito dopo un altro incantesimo andò a sfasciare quello che rimaneva delle scale, che esplosero in mille schegge e frammenti di legno.

Poi il silenzio. Nessuno osava muovere un solo muscolo. Sia Mat che Connor osservavano con ansia la botola. Nessun suono proveniva più da là sotto.

Sulla porta che conduceva in cantina apparve la sagoma di Murphy, che chiedeva "Ehi! Tutto bene là sotto? Connor, Mat, mi sentite?"

Connor gli fece cenno di tacere; troppo tardi. Un altro incantesimo sbucò dal fondo della botola. E questo avrebbe centrato il bersaglio, se Murphy non avesse mormorato in tempo un incantesimo di protezione, che riuscì a ridurre la forza dell’impatto del potente incantesimo lanciato da chiunque stesse in agguato in quella cripta.

Murphy barcollò e si ritrasse velocemente nel corridoio. "Ora lo sistemo io, quel bastardo." Bisbigliò Mat.

Connor lo guardò sconcertato e preoccupato. "Che vuoi fare, Mat?! E’ una pazzia, non…"

Non fece in tempo a dire altro, il ragazzo, lanciato via il mantello, si gettò nella botola.

Vide ancora una volta la luce verde illuminare la cripta e temette il peggio; dopo dei rumori di scaffali che cadevano e vetri che andavano in frantumi, i rumori di una colluttazione; poi più nulla.

Lumos. Mormorò. Finalmente la cantina si illuminò. Si affacciò nel buco della botola chiamò "Mat! Mat!" Nessuna risposta. Poi comparve la sagoma del ragazzo che trascinava il corpo del loro misterioso aggressore, svenuto.

"Brutto figlio di…Mi hai fatto prendere un colpo!" Gli urlò Connor . Si passò una mano sui capelli, sollevato.

"Scusa vecchio, ma qualcuno doveva pur fare qualcosa! Dammi una mano a portare su questo pezzo di merda."

Entrambi scoppiarono a ridere, lieti che la missione fosse stato un completo successo.

CAPITOLO 4

Avevano trasportato all’aperto i corpi dei due mangiamorte, con l’aiuto di Kingsley e Murphy.

In seguito avevano fatto ritorno al ministero. Ora veniva la parte veramente difficile.

Cavar fuori qualcosa da quei due stronzi di prima scelta.

Mike Tiger, possente di corporatura e abile nella lotta libera, quanto completo deficiente e inabile ad usare una bacchetta. Draco Malfoy era il vero cervello dell’ operazione. Mat gli aveva spaccato la mascella con un pugno durante la colluttazione che c’era stata nel sotterraneo.

A parte quello, l’aspetto era di un mago che aveva toccato il fondo; in tutti i sensi. Magro ed emaciato come non mai, occhi spiritati e iniettati di sangue, che lanciavano sguardi carichi d’odio e malvagità a chiunque si avvicinasse. Ma quello che colpiva di più Mat e Connor, in quella piccola e spoglia sala per gli interrogatori, erano i segni che aveva sul braccio. Non quello destro, dove faceva bella mostra di sé Il Marchio Nero, con il suo Teschio e il Serpente che usciva dalla bocca; bensì l’altro, dove erano evidenti almeno cinque buchi lasciati da delle siringhe.

Erano davvero pochi i maghi che facevano uso sporadico di droghe, proibite anche nel mondo magico, ma, erano sicuramente ancora meno quelli che potevano essere considerati dei tossici a tutti gli effetti. Beh, Draco Malfoy era uno di questi.

Stava seduto davanti a loro da ormai un’ora, e non aveva detto ancora un’unica parola.

"Allora, rifiuto umano, - intervenne Mat - ci vuoi raccontare qualcosa? Eh, che ne dici? Sai, la nostra procedura prevede un’ora di interrogatorio "normale". Ma, sai, io ho poca pazienza, per cui, dopo un po’ mi stufo. E quando mi stufo, divento nervoso. E quando divento nervoso, meno. E hai gia visto che meno duro. Vero? Beh, farai meglio a parlare, perché ho una cura medioevale pronta per te!"

Proprio in quel momento Mat venne interrotto da un bussare insistente alla porta.

Connor disse "Avanti." Si affacciò nella stanza Murphy. "Ragazzi dovreste venire fuori un secondo." Aveva un espressione indecifrabile fra l’incazzato e il preoccupato.

"Che c’è?" borbottò Connor, e seguì Mat fuori dalla stanza.

Ad attenderli nello stretto e lungo corridoio c’erano tre uomini, vestiti con lunghi mantelli neri. Uno, chiaramente il capo vista la posizione centrale che occupava in mezzo agli altri due, si fece avanti. Era nero, sul metro e novanta di corporatura massiccia e dallo sguardo stanco ma tagliente come una lama di rasoio. Età indefinibile, comunque più di cinquant’anni. Connor capì chi era da due cose: il pesante sigaro infilato in bocca, ma, soprattutto la lunga cicatrice che gli solcava il collo, poco sotto il mento. Conosceva quell’uomo.

"Salve Connor. Si ricorda di me, vero?" Disse con quella sua voce roca che sembrava venire direttamente dall’altro mondo.

"Come potrei dimenticare - rispose acido Connor - l’esaminatore che all’esame di Auror mi bocciò in occlumanzia."

L’altro rise. Una risata che sembrava più un ringhio.

"Certo, certo. Acqua passata; non è così?" Connor non rispose, ma continuò a guardarlo fisso negli occhi.

"Molto bene. - proseguì l’uomo - Per quelli che non mi conoscono, io sono il Capitano Harrigan, della Divisione Affari Interni. E questi sono gli agenti speciali Lewis e Clarcke." disse indicando gli uomini alle sue spalle, i quali fecero un cenno con la testa.

"Ora che abbiamo esaurito i convenevoli, passiamo alla motivazione che mi ha spinto fin qui."

"Già! Sentiamo un po’. Sono davvero curioso di sapere che cosa ci fanno tre scribacchini, imbrattacarte come voi, quaggiù, dove lavorano gli auror veri. Anche se ho già un brutto presentimento.." Intervenne Mat, già irritato.

Harrigan non diede segno di aver sentito l’intervento e continuò.

"Come ben sapete, cerchiamo di raggiungere gli stessi vostri obiettivi. Qui al ministero, siamo un’unica grande famiglia. E come tale dobbiamo aiutarci tra di noi, dividendoci i compiti. Voi avete catturato due importantissimi e pericolosi ricercati. Questo è il vostro mestiere e lo sapete fare egregiamente. Beh, vedete.. - tirò una profonda boccata dal cubano, e soffiò fuori il denso fumo grigio - il nostro compito è, diciamo, di estrapolare informazioni di vitale importanza da questi loschi personaggi. Siamo diventati piuttosto abili nel farlo."

Murphy cercò di parlare, ma il capitano lo precedette.

"In sostanza, ho qui un mandato, firmato dal Ministro della Magia, che mi autorizza a prendere in consegna i vostri due prigionieri."

"Motivazioni di sicurezza nazionale." Aggiunse subito, come se ciò potesse chiudere la bocca a tutti.

Ci fu un momento di silenzio, in cui i tre auror si guardarono stupiti tra di loro.

"E’ una bellissima storia." Disse Mat sarcastico. "Ma…chissà perché…non mi ha convinto. Quei due non si muovono da qui. E’ chiaro? Forse lei non sa con chi ha a che fare, ma.."

"No, sei tu che non sai con chi hai a che fare, ragazzo!" Tuonò Harrigan. Sembrava essersi alzato di almeno una dozzina di centimetri, era come se guardasse tutti dall’alto in basso. Mat tacque all’istante. Che il ragazzo avesse paura di lui, si chiese Connor. No, non c’è uomo al mondo che gli mettesse paura. Era però innegabile che qualcosa nella sua figura incuteva un timore reverenziale.

"Mi faccia vedere il mandato, Capitano." Chiese Murphy, e dopo che Harrigan glielo ebbe passato, lo scorse velocemente. Gli bastò un’occhiata rapida per capire che era vero; compresa la firma di Scrimgeour. Come diavolo aveva potuto scomodarlo a quell’ora? Ma soprattutto, come faceva Harrigan ad essere al corrente della loro operazione? I suoi ragionamenti furono interrotti proprio dal Capitano "Ha visto che è tutto in regola, McCormack?" Non attese una risposta da Murphy, il quale gli restituì il mandato.

Guardò Connor e poi Mat e allargo le braccia. "Sono tutti vostri…non abbiamo altra scelta."

"Ma che fai! Sei diventato completamente scemo?!" Scoppiò Connor.

"Stia calmo, Connor. Avete fatto la cosa giusta. Tornatevene a casa..è tardi." Lo calmò Harrigan.

"E grazie della collaborazione." Aggiunse sogghignando.

Mat fece per scaraventarsi sul comandante ma Murphy lo trattene trascinandolo verso l’ascensore che li avrebbe ricondotti alla superficie.

"Può prendere il suo mandato, farsene un bel mazzo così e ficcarselo dove non batte il sole, lurido figlio di una gran… " Gli urlava Mat. Ma Harrigan si era già voltato.

Il 36/A di Old Seaman Road a Soho, era una casetta a due piani, che avrebbe avuto bisogno di qualche sistemata e qualche lavoretto, che né Connor né Murphy né Mat avevano tempo o voglia di fare. Così la finestra della cucina rimaneva rotta e il water del bagno al secondo piano, non funzionante ecc. ecc….Insieme ai tre auror, da un paio di anni abitava Reese.

Definirlo un tipo strano, era usare un eufemismo. Si era presentato alla loro porta una sera d’inverno. In realtà l’aveva sfondata a calci ed era entrato nel soggiorno urlando che la guerra era finita e che quella era casa sua. I tre avevano deciso, dopo averlo stordito, che in quella casa poteva anche esserci posto per quattro. Dopotutto, quando non era ubriaco fradicio, Reese era un tipo simpatico; magari involontariamente, ma simpatico.

Tutto quello che avevano saputo sul suo passato era che aveva una sessantina d’anni, aveva fatto l’auror per trenta ma era stato cacciato per "Condotta Sconveniente"; "sostanzialmente - raccontava - il direttore degli auror dell’epoca mi aveva beccato nel suo ufficio mentre mi facevo sua figlia. Capirete che non la prese molto bene…ma giuro che non sapevo che era minorenne..e poi era completamente consenziente..". Risultato: perse il lavoro e la moglie prese i due figli e scappò. Dopo questo sfortunato evento, lavorò per un po’ di tempo come investigatore privato; ma i suoi servigi erano poco richiesti dato che per la maggior parte del tempo in cui veniva pagato dai clienti, era ubriaco marcio, o stava smaltendo una delle sue colossali sbronze.

Adesso viveva, ai margini della comunità magica, di piccoli lavoretti qua e la e di furtarelli. Comunque, era più facile trovarlo ubriaco disteso sul suo divano preferito a parlare con Winston Churchill, piuttosto che al lavoro.

Reese - tutti lo chiamavano usando il cognome, visto che lui odiava il suo nome di battesimo: Gaylord - aveva tre particolarità.

La prima era l’odore, che era quello di una distilleria di whisky ambulante; infatti beveva solo quello, diceva che l’acqua poteva uccidere le cellule del suo cervello, mentre l’alcool le teneva in forma; inoltre asseriva che il settanta percento del suo corpo fosse composto di whisky.

La seconda era la sua passione per la Seconda Guerra Mondiale. Una cosa alquanto strana per un mago, ma Reese era fuori dal comune in tutti i sensi. Aveva libri e libri che elencavano e descrivevano per filo e per segno le battaglie più emozionanti. Nel sonno e quando era ubriaco parlava con il suo personaggio storico preferito, Churchill, consigliandolo sulle strategie migliori per battere l’aviazione tedesca.

La terza passione riguardava le armi da fuoco babbane, conosceva tutti i modelli e i calibri; anche questa come molte altre passioni derivava dalla sua psiche annebbiata dall’alcool. Aveva due armadi colmi di fucili e pistole di tutti i tipi con relative munizioni, e dormiva ogni notte con un a Colt 1911 appesa alla cintola. Ciò, naturalmente, creava periodicamente dei problemi con i vicini, i quali minacciavano di chiamare la polizia se quel pazzo furioso che abitava con loro non l’avesse smessa di sforacchiare il loro gatto dal terrazzo, in mutande, gridando "Arrivano i Crucchi!"

Reese si svegliò, era fradicio di sudore e whisky, nel sonno doveva aver rovesciato la bottiglia di Jack Daniel’s con cui si era addormentato.

"Che peccato.." Biascicò tra se. Sentiva sopra il petto, oltre alla bottiglia vuota, anche qualcos’altro, alzò un po’ la testa e mise a fuoco un grosso ratto che lo fissava con i suoi occhietti malvagi. Scattò immediatamente su dal divano e scaraventò l’animale sul pavimento, quello rimase per un momento sorpreso dalla brusca reazione dell’uomo, il quale approfittò per estrarre la Colt e sparare tre colpi in rapida successione, ottenendo come risultato di spaccare una gamba in legno del tavolino posto di fronte al divano, e di scacciare il topo, che andò a rifugiarsi in cantina, da dove era venuto attirato dal fetore di Reese.

Lentamente, caracollando, cominciò a muovere i primi passi disorientato. In quel momento Murphy apri la porta di scatto ridendo, ancora un po’ brillo.

Per tutta risposta Reese urlò "Arrivano i Crucchi!! Arrivano i Tedeschi!!" E sparò un colpo sul soffitto facendo cadere polvere di intonaco.

Connor che era il più sobrio dei tre, sbraitò verso Reese "Per la puttana Reese! Quante volte te l’avrò detto che in casa devi tenere sempre la sicura a quella maledetta pistola?!"

"Cinque?" Borbottò Reese, abbassando la pistola e dirigendosi verso la cucina.

"No, sette!!" Gli urlò dietro Connor. Mat e Murphy sbellicandosi dalle risate, attaccarono a cantare a squarciagola una canzonaccia irlandese.

Connor non ne poteva più. "Ma sono io l’unico sano di mente qui?! Eh!? Che cazzo avete da essere tento contenti…" E si accasciò sul divano, mentre gli altri due salivano le scale, verso il bagno. Reese tornò in soggiorno, con un barattolo di yogurt, e si sedette accanto a Connor.

"Allora, che hai fatto tutto il giorno, eh? Niente di niente come al solito eh?" Gli chiese Connor.

"Ho avuto un flirt con un topo. Non ricordo i particolari." Biascicò Reese continuando a mangiare il suo Yogurt.

Connor, sfinito e amareggiato, si addormentò sul divano, pensando che certe volte la vita sa essere davvero bastarda.

CAPITOLO 5

Qualche ora dopo erano tutti nuovamente sobri, o quasi. Erano nella piccola e sudicia cucina, con il soffitto incrostato da macchie di muffa; stavano mangiando svogliatamente degli spaghetti con il pomodoro dall’aria molto poco invitante, che Mat, con un rapido gesto della bacchetta aveva ordinato alle pentole e alle altre stoviglie di preparare. Quella pasta assomigliava di gran lunga più a colla vinilica che a un alimento. Ma, essendo tutti affamati, chiusero un occhio ( anche due per la verità ) e mandarono giù i bocconi in silenzio.

Ad un certo punto Reese, con ancora in bocca l’ultima forchettata di spaghetti, bofonchiò "Secondo me dovevate aspettarvi una cosa del genere." Connor gli aveva fatto un breve resoconto di quanto era accaduto la notte prima, e l’ex-auror non era parso particolarmente sorpreso dalla storia. Adesso cercava di esporre l’idea che si era fatto in proposito.

"Era ovvio che non vi avrebbero lasciato interrogare quei prigionieri. Al ministero sono solo una massa di corrotti burocrati della malora! Ve lo dico io! E Scrimgeour lo è più di tutti..lui e quella specie di cane rabbioso che si tira dietro.."

"Ma di chi stai parlando?" Domandò Murphy. Quell’invettiva contro il Ministero, apparentemente inutile, aveva attirato la sua attenzione.

"Di Harrigan. Hank "Vi Spacco il Culo" Harrigan. E’ il guardaspalle personale di Scrimgeour..ma, scusate, non la sapete la storia?"

"Quale storia? Parla chiaro vecchio ubriacone!" Disse Mat che se ne stava appollaiato sul forno arrugginito e ormai inutilizzato da anni, a fumare una sigaretta.

"Beh, niente..quando ero ancora al Dipartimento; prima ancora di Voldemort…non ricordo più bene..insomma, ci fu una grande operazione organizzata per mettere dietro le sbarre una decina di Maghi Oscuri, una specie di piccola setta; era presente anche Scrimgeour, voleva prendersi tutto il merito. Beh - sospirò - la cosa gli sfuggì di mano; ci fu un grosso scontro..persero la vita molti auror. Uno di questi era il mio compagno, Will Tasker. Ottimo auror, gran brava persona…" Si interruppe; guardava fisso la finestra di fronte, ma il suo sguardo era perso altrove, sul filo dei ricordi.

Nessuno disse nulla per circa uno, due minuti, in segno di rispetto. Perdere un compagno, per un auror, era sempre una brutta esperienza che ti segnava. All’improvviso Reese si riscosse; "Scusate ragazzi. Dov’ero rimasto - si domandò - ah, certo, ora ricordo. Insomma durante quel combattimento c’erano incantesimi e fatture che volavano a destra e a manca. Ma, c’era anche un tizio, un piccoletto pazzo come un cavallo che continuava a lanciare dei coltelli! Sì, era un fottutissimo nano lanciatore di coltelli! In sostanza, Harrigan si prese uno di quei coltelli diretti a Scrimgeour..non era una ferita molto grave, ma quei maledetti affari erano avvelenati con non mi ricordo più quale pozione..in definitiva il sangue era stato infettato; trascorse tre settimane in terapia intensiva al San Mungo. Quella serpe sopravvisse, la ferità però non si rimarginò mai, e gli rimase come trofeo. Da allora Scrimgeour se lo porta sempre dietro. E Harrigan lo venera come un dio."

"Accidenti..questa mi mancava." Borbottò Connor scuro in volto.

"Noi abbiamo lavorato sotto il comando di Scrimgeour per qualche anno; non mi sembrava un corrotto..ma è chiaro che l’ordine è partito da lui. Il mandato portava la sua firma, ed era autentico." Osservò Murphy un po’ perplesso. C’era qualcosa che non lo convinceva e lo disse a Reese, il quale rispose "Fidatevi di me. Io l’ho conosciuto bene. Rufus Scrimgeour è un individualista, pensa solo al proprio interesse, al potere, non esiterebbe a servirsi di chi si fida di lui, come Harrigan, per raggiungere i suoi scopi. E oltretutto è un vigliacco, teme il dolore sopra ogni altra cosa; non è mai stato in grado di sopportare la sofferenza fisica. Queste sono cose che le biografie ufficiali e i giornali non scrivono. Mostrano solo la maschera del capo impavido e forte..tutte balle! Fidatevi vi dico! C’è qualcosa di grosso sotto. E a tirarne le fila c’è lui."

"Ehi, vecchio caprone - disse Mat scettico - non è che ti rode perché lui in qualche modo è diventato Ministro della Magia, e tu sei soltanto un fallito?"

"Tu non sai che cosa cazzo dici ragazzo! E dovresti tenere quella tua boccaccia di merda chiusa! Mentre io sbattevo ad Azkaban decine e decine di maghi oscuri, tu stavi ancora a ciucciare la tetta di tua madre in Irlanda! Quindi stai zitto e porta rispetto per quelli più vecchi di te!" Tuonò con una forza che sembrava non provenire da lui. Non l’avevano mai sentito così alterato; mai aveva alzato la voce in quel modo. Soprattutto non avevano mai visto quella scintilla nei suoi occhi. Mat imparò a sue spese che non c’era nulla di più pericoloso, che stuzzicare un vecchio auror dall’orgoglio ferito.

I due, stavano uno di fronte all’altro e si guardavano in cagnesco, pronti ad estrarre le bacchette. Connor e Murphy intervennero immediatamente per evitare un inutile scontro.

"Dai Reese, buono; il ragazzo non voleva offendere..vero Matthew?" Disse Murphy, lanciando un’occhiataccia a Mat. Il quale per tutta risposta, spense la sigaretta nel lavabo, ancora gonfio d’ira per la scenata del vecchio, prese la sua giacca e lanciando improperi e insulti a tutti e tre uscì, sbattendo la porta di casa.

"Con quel caratteraccio finirà per mettersi nei guai, lo sapete?"

"Non continuare per piacere! Abbiamo fin troppi pensieri, e se dobbiamo preoccuparci anche che voi due non vi azzuffiate, stiamo a posto." Rispose Connor irritato.

"Lo sapete che siete nei casini, vero? Ci metteranno poco a rendersi conto che da vivi siete solo un’inutile seccatura." Continuò Reese.

"Ma loro chi?! E se non ci fosse nessuna congiura? Nessuna corruzione? Siamo in guerra, e tutto è concesso, anche prendersi il merito della altrui cattura di due pericolosi Mangiamorte! Potrebbe essere andata così.." Ribatté Murphy, ma a dir la verità, nemmeno lui credeva a quelle parole. Sconsolato si appoggiò sul mobile della cucina e osservò le macchine dei babbani che passavano a flusso continuo sulla strada. Macchine guidate da persone che nemmeno lontanamente, immaginavano il pericolo che incombeva anche su di loro.

Quando si voltò, Reese riprese a parlare. "Se fosse come dici tu, perché sul giornale non è ancora apparsa nessuna notizia? Il tuo gufo l’ha portato stamattina. La Gazzetta non dice nulla su nessun arresto." Disse porgendogli il giornale; Murphy non lo degnò di uno sguardo. Era insopportabile pensare che il sistema per cui lui aveva lavorato, lottato e che aveva sostenuto con convinzione si rivelasse formato da persone marce, corrotte e interessate solo al loro bene.

"Guarda in faccia la realtà, Murphy. Dovete nascondervi; presto verranno per eliminarvi. Senza pietà. Tutto sarà insabbiato come un ennesimo caso di omicidio di auror da parte dei Mangiamorte. Funerale con la bara aperta, onori di stato e tanti saluti." Disse acido, Reese. "Dovete smascherare quei figli di puttana. Scoprire chi sono, e fare quello che si renderà necessario fare." Concluse.

"Cioè?" Domandò con voce titubante Murphy. Si sentiva invaso da un senso di impotenza; non poteva non fare nulla e mettersi da parte mentre la città rischiava di essere distrutta da coloro che erano stati eletti per proteggerla.

Conosceva già la risposta a quella domanda.

"Se qualcuno tenta di ostacolare il cammino della vera giustizia, è necessario arrivargli furtivamente alle spalle; e pugnalarlo dritto al cuore." Recitò con voce quasi rotta dall’emozione Reese. "Buffo…che questa frase mi torni in mente dopo tanto tempo..dopotutto, come potete vedere, non sono solo un vecchio scimunito. Questa frase è tratta dal Codice degli Auror, sul quale voi tutti avete giurato quando siete entrati al Dipartimento. E che purtroppo molti hanno dimenticato o calpestato volutamente."

Una grave decisione venne presa esattamente in quel momento. Loro non sarebbero rimasti a guardare. Loro avrebbero combattuto.

Harry si svegliò di soprassalto. Lo sguardo ancora terrorizzato andò da una parte all’altra della piccola stanza. Ma dov’era? Non riconosceva nulla di familiare in quel luogo ancora così pieno di oscurità. Si mise a sedere sulla branda; il cuscino e le lenzuola erano zuppe di sudore. Si era già ripreso dall’attacco di panico che lo coglieva ogni singola notte.

Ogni notte, quando si addormentava, Harry viveva o meglio riviveva il suo incubo preferito.

Ormai lo conosceva a memoria. Non riservava più alcuna sorpresa per lui.

Quando veniva colto dal sonno, finalmente dopo tanto girarsi e rigirarsi su quello scomodo giaciglio, Harry ripiombava sulla torre. La brezza gli accarezzava nuovamente il viso, lui non poteva sentirla perché in quel momento era sotto l’incantesimo petrificus totalus, ma sapeva che c’era perché vedeva la veste nera di Piton muoversi leggermente lungo le sue gambe. Dietro di lui c’era un gruppetto di Mangiamorte che attendevano solo che Piton finisse quel vecchio che stava ormai privo di forze ai loro piedi. Sentiva la voce rotta di Silente che invocava "Severus…Severus…", ma non gli stava chiedendo di risparmiarlo. No, questo mai. Il volto di Silente esprimeva il più totale abbandono, oramai pronto ad affrontare la morte; distrutto com’era da quell’ultima micidiale rivelazione. Come aveva potuto essere così stupido. Harry se lo domandava continuamente; come aveva potuto fidarsi di lui.

Era arrivato ad odiare Silente per quello. Quella sua dote che aveva, di vedere sempre il meglio nelle persone, era stata la sua rovina.

E poi, alla fine vedeva il lampo di luce verde colpire Silente al petto. Il suo corpo che volava giù dalla torre. E il grido che nasceva dal profondo del suo animo, e che non aveva mai potuto buttare fuori per liberarsi.

Questo era il tormento che Harry doveva subire ogni notte da quando il fatto era accaduto. Ma quella notte l’incubo era stato diverso. Alla prima visione ne successe un’altra; se possibile ancora più terrificante e orribile.

Lui si trovava in uno spazio chiuso, non sapeva quanto fosse grande poiché il buio era totale, muoveva le mani a tentoni cercando un punto di riferimento, una parete, un mobile, qualsiasi cosa; ma il luogo in cui si trovava sembrava non avere confini o dimensioni. Stava per essere preso dallo sconforto, dal terrore e dalla follia, quando tastandosi le tasche dei pantaloni vi trovava la sua bacchetta; mormorava lumos e…( ancora, al solo pensiero dei brividi gli correvano lungo la spina dorsale ) davanti a lui appariva, illuminata dalla luce dell’incantesimo, la testa di un cadavere grondante sangue. Il corpo pendeva a testa in giù, appeso ad una corda che si perdeva nel buio totale del soffitto. Harry si copriva gli occhi con le mani, ma per una sorta di gioco diabolico e perverso, era come se le sue mani fossero diventate trasparenti; vi ci poteva benissimo vedere attraverso. Allora cercava di voltare le spalle al cadavere, ma ovunque si girasse quello continuava ad apparire. Allora, nel sogno ( ma forse anche nella realtà ) Harry urlava di terrore singhiozzando e lasciandosi cadere per terra. Era l’incubo peggiore che avesse mai avuto. Persino quando in sogno poteva vedere quello che faceva Voldemort, attraverso gli occhi stessi del Signore Oscuro, non aveva mai provato una simile sensazione di puro terrore che gli invadeva ogni parte del corpo, facendo cessare le sue funzioni. Si sentiva esattamente come quando, da bambino nel sottoscala della casa degli zii, si risvegliava da incubi tremendi nel cuore della notte, e nessuno accorreva per tranquillizzarlo, dirgli che non erano veri, che erano solo sogni; così rimaneva per delle ore a piangere sulle vecchie coperte ammuffite, incapace di aprire gli occhi per la paura di dover affrontare il buio, una cosa viva, che divorava ogni ricordo ed emozione piacevole, come un Dissennatore.

Ma poi nel sogno, qualcosa cambiava, all’improvviso, mentre se ne stava raggomitolato per terra in posizione fetale, una luce folgorante lo abbagliava e si sentiva trasportare lontano in un altro luogo; volava sopra grandi pianure, fiumi, laghi, colline e finalmente atterrava su un ampio prato ai piedi di una montagna. Era immensa, con le pareti rocciose grigio-chiare, impervia, apparentemente non c’erano sentieri praticabili per arrivare sulla cima, la quale era coperta interamente da degli scuri nuvoloni neri.

Mentre se ne stava lì ad osservare rapito il paesaggio circostante, dove non si vedeva alcuna traccia di insediamenti umani, solo una foresta di alti pini e betulle, che sembravano estendersi all’infinto e in lontananza una catena montuosa che cingeva le valle e la teneva protetta, chiusa, inesplorata. Ad un certo punto sentiva dei passi che risalivano velocemente la salita che portava al prato dove lui si trovava. E poi la vedeva. Una figura angelica, ammantata da un’aura bianca; correva verso di lui chiamandolo per nome. La ragazza si fermava a pochi passi da lui, cosicché potesse vedere meglio i lineamenti gentili del suo volto sorridente, gli occhi verdi che lo guardavano con interesse, come per capire la sua reazione nel vederla. I capelli di un biondo accecante le cadevano leggeri sulle spalle. Aveva le mani sui fianchi e stava riprendendo fiato dopo la lunga corsa.

Indossava un maglione di lana a collo alto, con le maniche tirate su sui gomiti, e portava dei jeans. Inutile dire che quell’abbigliamento sottolineava la femminilità e le curve del suo corpo snello e stupendo. Lui la osservava senza dire una parola per un tempo infinitamente lungo; era la cosa più bella che avesse mai visto. Poi era la ragazza a rompere la magica atmosfera di quella contemplazione. Essa infatti allungava il braccio e gli tendeva un ciondolo dicendo La sua voce flautata e gioviale era una musica sublime per le sue orecchie e il suo cuore. E il sorriso! Quel sorriso lo riempiva di una sensazione stupenda molto simile all’estasi. Poi lui prendeva il medaglione dalle mani della ragazza e nel momento in cui veniva a contatto con la sua pelle liscia come la seta, la visone si incrinava, come se ci fosse qualche problema con la messa a fuoco degli oggetti. Ora la ragazza era una sagoma indefinibile che lentamente scompariva nel buio. Prima che il sogno terminasse però Harry osservò più attentamente il ciondolo che teneva in mano; aveva una forma ovale, di quelli al cui interno si può mettere una piccola fotografia.

Non faceva in tempo ad aprirlo per guardare dentro, riusciva solamente a leggere l’incisione posta sulla faccia anteriore del ciondolo.

In lettere dorate e in una calligrafia elaborata era scritta un nome: Alice.

Quello era stato in sostanza il sogno di quella notte. Harry si alzò per raggiungere il tavolino posto sotto la finestra. Mise una mano nel cassetto ed estrasse una piccola fiaschetta, molto simile a quella che utilizzava sempre per bere Alastor Moody, questa però era piena di whisky. Ne bevve un sorso ed assaporò il gusto forte e energico del liquore; aveva la proprietà di rimetterlo in forze, riscaldare ogni singolo muscolo del suo corpo. Concluse che si sentiva molto meglio quando beveva, e buttò giù un altro sorso. Accidenti, pensò, diciassette anni è una brutta età per iniziare a bere.

Un’altra delle miracolose proprietà del whisky nota in tutto il mondo, è quella di far dimenticare tutto. Pensieri e ricordi cattivi, che in condizioni normali divoravano e erodevano dall’interno l’animo delle persone; ma l’alcol ti privava anche degli unici momenti degni di essere ricordati della tua vita.

Ma era proprio quello che Harry voleva: dimenticare. Fare piazza pulita nella sua mente per poter adempiere meglio al compito che gli spettava; questo era il suo unico interesse, l’unica ragione di vita. Niente più amicizia, niente più divertimento, niente più amore. Solo vendetta.

Ma nemmeno il whisky più forte poteva cancellare quel sorriso, quegli occhi. Per un momento avevano ridato ad Harry la voglia di vivere. Dopo erano scomparsi.

Alice. Si sforzò di ricordare dove poteva aver sentito quel nome…una compagna di classe forse…no…Ad ogni modo l’alcol gli impediva di ragionare al meglio.

Guardò l’orologio appoggiato sul tavolo, le quattro e cinquanta del mattino. Murphy McCormack gli aveva detto di passare l’indomani a casa sua, ma non ricordava più l’ora. Aveva bevuto una bottiglia di Jack Daniel’s la sera scorsa, quando era tornato dal ministero. Evidentemente era stata sufficiente a cancellare dalla sua mente il ricordo dell’ora esatta in cui si doveva recare dai McCormack.

Poco male, pensò cercando i jeans e incominciando a infilarseli, sarebbe partito ora e li avrebbe incontrati verso mezzogiorno. Aveva degli affari da sbrigare prima. Finì di vestirsi, afferrò tutto l’occorrente e controllò di aver preso il biglietto su cui era scritto l’indirizzo della casa degli auror. 36/A Old Seaman Road. Sapeva dov’era. Era stato a Soho di recente, a comprare del fumo. Il fumo di Londra era sempre il migliore no? Rise tra se per quella battuta davvero poco british. Era cambiato sul serio, pensò mentre usciva di casa. E molto.

CAPITOLO 6

Mezzogiorno era passato da qualche minuto e nella davvero poco accogliente dimora dei McCormack era in atto una accesa discussione.

"No! No! E poi NO! Voi siete matti da legare! Capito?! Siete fuori come dei balconi!" Sbraitava Mat. Era andato a sbollire la rabbia facendo due passi e fumando in pace un po’ d’erba seduto su una panchina ai giardinetti pubblici. La marijuana era servita in parte a calmargli i bollenti spiriti, ed era tornato a casa sperando di potersi mettere nuovamente al lavoro seriamente, lasciando perdere i vaneggiamenti di quel vecchio babbeo di Reese.

Ma al suo ritorno i fratelli gli avevano comunicato la decisione presa. E avevano tutta l’intenzione di coinvolgere anche il giovane McSteels nella faccenda, ma lui non era per niente d’accordo.

Guardava sbalordito i suoi tre amici e colleghi seduti beatamente sul divano, a parlare con naturalezza di uccidere il Ministro della Magia perché era un cospiratore e altre baggianate del genere.

"Ma voi parlate sul serio? Credete veramente che Scrimgeour sia un traditore? Ragazzi dovete cambiare spacciatore! Finché a dire queste idiozie era Reese posso capire…ma adesso che gli andate dietro anche voi…beh sono…sono…stupefatto!" Era letteralmente allibito e fissava gli altri con gli occhi sbarrati, ancora un po’ sotto l’effetto della marijuana di poco prima.

"Mat, non sono stronzate. E’ tutto vero. C’è qualcosa sotto, noi dobbiamo scoprire chi è coinvolto…non capisci? Potrebbe persino aiutarci ad avvicinarci di più alla cattura di Voldemort." Disse Connor con fervore. Non avevano perso le speranze di portarlo dalla loro parte. Matthew era un ottimo auror e le sue abilità potevano tornare loro utili nell’impresa in cui si accingevano ad imbarcarsi.

"Mat sei uno schifo! Se non stessi tutto il tempo a farti con quella merda.."

"Io non mi faccio! - urlò il ragazzo fuori di sé - Io non mi faccio! Capito! Mi fumo soltanto una canna ogni tanto. E comunque non è questo il punto! Non avete prove di nessun genere, solo le illazioni di un vecchio squilibrato! Come pensate di procedere?"

Rispose Murphy con aria grave "Abbiamo intenzione di infiltrarci al Ministero e dare un occhiata in giro tra le carte e le altre cose di Scrimgeour, magari potremmo trovare qualcosa di interessante."

"Già, il Ministero - disse Mat pensieroso, si era un po’ calmato e capiva che quello che Murphy gli diceva non era pura follia - si staranno chiedendo dove siamo finiti, dopo un giorno che non ci presentiamo.."

Ad interromperli giunse un rumore inaspettato quanto insolito. Il campanello. Connor pensava che non funzionasse più da tanto tempo che era passato dall’ultima volta che aveva suonato. I quattro rimasero bloccati nelle loro posizioni come in un’istantanea. Poi Connor si riscosse e andò ad aprire la porta. Sulla soglia con i suoi jeans stinti, la giacca di pelle, lo zaino, i capelli arruffati e in disordine e un accenno di pizzetto stava Harry Potter.

"Salve - disse educatamente il ragazzo - noi non ci conosciamo, lei deve essere il detective Connor McCormack, piacere Harry Potter." E gli tese la mano. Nonostante l’aria trasandata aveva un modo di fare gentile e accomodante; sembrava molto più adulto di quanto non fosse in realtà, pensò Connor stringendogli la mano.

"Accidenti! Harry Potter in persona che bussa alla mia porta! Questa sì che è una sorpresa! Ma, bando alle ciance, entri pure.." E lo fece accomodare in soggiorno, dove stava ancora riunita il resto della banda.

Murphy appena vide il ragazzo avvicinarsi scattò in piedi. Si era completamente scordato dell’appuntamento con il giovane Potter.

"Accidenti! La memoria fa brutti scherzi alla mia età.." Disse Murphy un po’ imbarazzato e poi aggiunse per scusarsi "Sa abbiamo avuto una settimana piuttosto impegnativa.."

Esaurite le presentazioni, Connor evocò una sedia su cui il giovane Potter potesse sedersi.

Harry ruppe subito agli indugi venendo al sodo.

"Sentite, innanzitutto, qui spero di essere tra amici quindi possiamo darci del "tu". Seconda cosa, dovrò fare un racconto piuttosto lungo e ingarbugliato che potrà sembrarvi frutto di una mente malata. Credetemi, quello che uscirà dalla mia bocca nella prossima ora, è la pura verità. Terza cosa - e qui trasse un respiro profondo e gettò un veloce sguardo ai suoi ascoltatori - mi servirà un po’ di whisky e qualche pacchetto di sigarette."

Reese, addetto a quel genere di cose, corse a prendere una bottiglia di Jack dalla sua scorta personale e versò un bicchiere di alcol a tutti e porse una stecca di Marlboro a Harry, il quale scartò il primo pacchetto ed estrasse una sigaretta; la prima di una lunga serie.

"Quarta cosa - disse accendendosela - non interrompetemi." E cominciò a raccontare, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e fumando una sigaretta dietro l’altra, e buttando giù ogni tanto qualche sorso di whisky. Gli auror lo ascoltavano rapiti senza dire una parola, scambiandosi solamente qualche sguardo incredulo di tanto in tanto.

Harry parlò del passato di Voldemort, della sua vera identità, della sua famiglia, di come si avvicinò alle arti oscure, di come uccise le prime vittime, e infine, parte più importante, raccontò degli Horcrux di Lord Voldemort, del loro potere e delle loro forme possibili.

Alla fine, dopo un racconto durato quasi un’ora e mezza, Harry si fermò, spense il mozzicone di sigaretta nel posacenere sul tavolino e fissò il suo sguardo su tutti i presenti, cercando di sondare i loro pensieri in quel momento; per capire che effetto aveva prodotto su di loro, quella massa enorme e ingarbugliata di informazioni tutte insieme.

Reese, molto stranamente, era completamente sobrio, in possesso di tutte le sue capacità mentali e fisiche. A differenza di tutti gli altri non aveva toccato una goccia di alcool e aveva ascoltato Harry senza proferire parola. L’ex-auror prese la parola rompendo il silenzio.

"Ragazzo mio, se quello che ci hai detto corrisponde a verità. Beh, hai in tuo possesso delle informazioni, la cui importanza e forza sono tali da poter sconfiggere Lord Voldemort." Fissò il ragazzo con un’espressione seria, scuro in volto.

"In realtà non è semplice come sembra. Mancano ancora dei tasselli essenziali per completare il mosaico e avere un quadro completo della situazione. Inoltre, ed è il motivo per cui sono qui, ho bisogno di aiuto. Il vostro."

Murphy, Connor e Mat stavano ancora digerendo quello che Harry aveva appena finito di raccontare, ma a sentire le ultime parole si rianimarono e tornarono alla realtà.

"Ma perché proprio noi? Perché sei venuto a cercare noi, tra tutti gli auror?" Chiese Connor incredulo.

"Avevo sentito parlare molto bene sul vostro conto - spiegò Harry - da Tonks. Una volta mi disse che i fratelli McCormack erano i migliori auror del Dipartimento, che erano onesti e incorruttibili. Ho pensato che sareste stati degli alleati perfetti per quello che avevo in mente di fare…"

"Cioè? Buttarci a capofitto contro Voldemort senza una miserissima possibilità di successo? - sbottò Mat - Spiacente ma conosco modi migliori per suicidarsi!"

"Piantala Mat! Sono davvero stufo marcio delle tue stronzate! Non sai fare altro che criticare! Si da il caso che noi crediamo al ragazzo!" Scattò Murphy. Mat rassegnato tornò a sedersi sulla poltrona da cui si era alzato. Murphy finì il suo bicchiere di whisky e si rivolse nuovamente verso Harry. "Qual’era il tuo piano? Come avevi intenzione di agire?"

"In linea di massima il mio piano era di partire dalla base della gerarchia di Lord Voldemort, ovvero i Mangiamorte, ed eliminarli tutti, uno per uno, per poi arrivare al Signore Oscuro. Molto semplice no?" Rispose Harry in tono asciutto, scolando a sua volta il rimanente contenuto del suo bicchiere. Connor sgranò gli occhi. "Stai…stai parlando di ucciderli, o sbaglio?" Pensava di aver inteso male il senso delle parole di quel ragazzo di diciassette anni che stava seduto a pochi passi da lui.

"Esattamente. Hai afferrato il concetto! Voglio che questa cosa sia chiara per tutti. Io non voglio sbattere ad Azkaban nessuno; ormai, senza dissennatori, Azkaban è diventata un giardino d’infanzia per quei criminali. Io li voglio uccidere tutti; dal primo all’ultimo. Voglio vedere la vita abbandonare i loro occhi. Non farò prigionieri, non consegnerò nessuno alla "giustizia". Io ingannerò, tradirò e ucciderò per arrivare al mio scopo. Mettetevelo bene in testa, io non sono un eroe. Non sono tra i "buoni"; non più. Quello che voglio è vendetta, non necessariamente giustizia. Anche se, come disse qualcuno tanto tempo fa, a volte le due cose coincidono."

Quelle parole uscirono dalla bocca di Harry dure e taglienti come lame di rasoio. Per qualche minuto nessuno pronunciò una sola parola; ognuno era assorto nei propri pensieri.

Ad un certo punto fu Mat a prendere la parola, trasse un respiro profondo e disse "Sapete cosa vi dico? Potrà sembrarvi strano ma, tu mi piaci Potter. Hai fegato. E poi non posso lasciare tutto il divertimento a quei due figli di buona donna! - indicando Connor e Murphy - Sono con voi brutti bastardi!"

A quelle parole Harry tirò un sospiro di sollievo e mormorò, sorridendo tra sé "Bene..".

Reese per festeggiare la nuova squadra aprì una bottiglia di whisky e questa volta bevve abbondantemente anche lui.

Passarono quasi due ore a sviluppare un possibile piano d’azione, che non fosse un suicidio completo. Murphy stava riflettendo sul biglietto trovato da Harry nel falso Horcrux, quando ad un certo punto, sbucò fuori dalla sua memoria un nome.

"R.A.B….Aspettate un secondo ragazzi. Forse so chi ha scritto quel biglietto!" Aveva un espressione di trionfo dipinta sul volto, e le labbra atteggiate in un sorrisetto beffardo.

"Dai parla! Non tenerci sulle spine!" Lo incitò Harry. Se l’intuizione di Murphy era corretta, avrebbe finalmente potuto sciogliere un nodo molto difficile in quella intricata faccenda.

"Ragionate un attimo. R.A.B….non vi dice proprio nulla?"

"Fratello, ci saranno almeno un migliaio di persone con queste iniziali in Inghilterra!" Sbottò Connor

"Ma quante erano in stretti rapporti con Voldemort?" Domandò Murphy. Piombò nuovamente il silenzio nella stanza. A rompere il silenzio arrivò un poderoso rutto di Reese. "Scusate ragazzi…sapete come si dice..meglio fuori che dentro.."

Mat scosse la testa sconsolato "Avanti Murphy, vuoi dirci una buona volta cos’hai in mente o no?!"

"E va bene - incominciò Murphy - R.A.B...Alias: Regulus Artemus…"

"BLACK!" Completò Harry scattando in piedi. "Ma certo! Che idiota! Idiota idiota idiota! Perché non c’ho pensato prima!" Ormai infervorato da questa nuova scoperta, prese a solcare a grandi passi la stanza ragionando a voce alta. "Il fratello di Sirius era un Mangiamorte! Una volta me ne aveva anche parlato, seppur brevemente. Mi aveva raccontato che si era unito ai Mangiamorte perché all’inizio pensava che quello che stavano facendo, fosse giusto; dopo poco pero si era accorto che stavano oltrepassando tutti i limiti e aveva deciso di tirarsene fuori. Ma naturalmente, come mi disse Sirius, non è possibile dare le dimissioni da Voldemort. Non è andata più o meno così?" Concluse rivolto a nessuno in particolare.

Rispose Murphy "In verità non si conoscono i motivi che lo hanno spinto ad allontanarsi da Voldemort, ma è plausibile che abbia avuto paura dei metodi usati dal Signore Oscuro e da ciò che richiedeva ai suoi seguaci.."

"E così - continuò Connor, che fino ad allora era rimasto in silenzio - tentò di tagliare la corda. Sì ora ricordo, non vennero nemmeno fatte delle indagini accurate sulla sua morte, era talmente evidente. Fu trovato cadavere cinque giorni dopo la sua fuga, in una locanda di Inverness. Dicevo che era evidente chi fosse il mandante poiché sopra l’edificio aleggiava il Marchio Nero. Ritorsione di Voldemort contro un suo scolaro disobbediente, caso chiuso."

Harry si bloccò, grattandosi il pizzetto sul mento. Stava pensando molto velocemente, come non gli accadeva da molto tempo; era sicuro che la chiave di tutto era Regulus Black.

"Siete sicuri che il suo cadavere fu ritrovato?" Domandò. "Beh, penso proprio di sì…non era un nostro caso, ma la cosa finì sui giornali. Mi pare che, sì, la foto del cadavere fu persino pubblicata…furono fatti tutti gli accertamenti di routine." Rispose Murphy, ma Harry non era convinto. Dentro di sé sentiva che quell’uomo era vivo, e che la buona riuscita del loro piano dipendeva da lui.

"Non c’è un posto dove si possa controllare il rapporto steso riguardo a quel caso? Non so, un archivio, o roba del genere?" Chiese nuovamente. "Naturalmente c’è l’archivio del Dipartimento degli Auror. Il fascicolo su Regulus Black se c’è deve essere laggiù." Disse Connor. "Dobbiamo vedere quel fascicolo - proseguì Harry - fidatevi del mio istinto, qualche volta ci prende. Sento che Black è una pedina importante nel gioco che stiamo per cominciare."

"Beh, noi naturalmente abbiamo libero accesso all’archivio - rispose Connor; poi rivolto a Murphy e Mat - possiamo andarci dopo l’orario di chiusura al pubblico, quando ci sarà meno gente e potremo portare fuori il fascicolo indisturbati."

"Mi sembra una buona idea. Tu Harry resterai qui a fare compagnia a Reese, è troppo rischioso portarti con noi questa sera."

Harry di controvoglia fece un cenno di assenso; capiva anche lui che non bisognava fare errori che potevano compromettere l’intero piano. La partita contro Voldemort era iniziata.

  
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