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Autore: Falling down    14/03/2012    0 recensioni
Questa storia parla di Viola, una ragazza, che dopo la morte della madre, diventa triste e sola. Però, un' incontro, gli cambierà la vita. Facendola ricominciare a vivere.
Spero vi piaccia :3
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricominciare a vivere.

Capitolo 1

-Mamma, sei qui con me! Non è sogno.- Non lo è’-
-Mi sei mancata tantissimo’’Mamma? Dove sei? Mamma… Mamma…-
Era l’ennesimo sogno in cui rivedevo mia madre. Ero cosi convinta, che pensavo fosse lì con me. Ma lei se ne era andata per sempre.
E con lei si è portata via un frammento del mio cuore che ora faticava a battere.
-Era solo un sogno-, ansimavo. Magari, forse mi sarei risparmiata la fatica di alzarmi e affrontare un’altra giornata. Le mie giornate erano tutte uguali, millimetro per millimetro.
Forse perché ero morta. Non morta fuori, ma dentro.
La mia vita fini esattamente sei anni fa. In quel momento il mio cuore si fermò e non tornò mai più a battere.
Avevo dieci anni, quindi abbastanza sveglia da capire che cosa succedeva. Me l’ho ricordo come se fosse ieri. Era tardi, molto tardi; Non riuscivo a dormire e come abitudine mi diressi verso la camera dei miei genitori.
In punta di piedi percorsi il breve tragitto e con la leggerezza di una piuma mi fermai, davanti a mia madre. Dormiva. Gli toccai il braccio, niente. Riprovai più forte, nessuna reazione. Un po’ infastidita la strattonai, niente.
A quel punto incominciai a preoccuparmi. Cominciai a spingerla, a dargli i pizzicotti. -Ho capito che è uno scherzo mamma!- Dissi rassicurandomi, ma invano. Cominciai a chiamarla e a quel punto le lacrime sgorgarono dai miei occhi ormai umidi, bagnando la trapunta.
Mio padre si svegliò -Cosa ci fai qui?- Notò solo dopo le lacrime. Il suo viso si mutò, in un ghigno di pura disperazione. In preda al terrore la chiamò, più e più volte. Quando ad un tratto smise. In quel momento, smisi di vivere, di respirare.
Le lacrime mie e di mio padre andavano all’unisono, come in un concerto, uno dei più tristi, macchiando la trapunta. 
Caddi a terra morta e mi appoggiai alla parete, con le gambe accovacciate a fissare quella che era la mia mamma. Quanto era dura dire era.
Restai lì forse tutto il giorno, mentre mio padre chiamò l’ambulanza e andarono all’ospedale.Tutto inutile. Era morta, come me.
Magari fossi morta anchio, avrei sofferto di meno. “La vita a volte ti metta alla prova” Dicono, Ma se quella prova fosse troppo ardua per te, se fosse inscavalcabile? Se ti porta in un baratro senza alcuna via d’uscita, la puoi ancora considerare vita?

Mi ero persa nei miei pensieri, Ero ancora sul letto a ricordare quei amari ricordi, che mi bruciavano il cuore, ogni volta che essi riaffioravano.
Non ci sarebbe più stata possibilità di rivivere per me. Era come se fossi nella tomba insieme a mia madre. 
 -Viola è ora di andare a scuola- -Si, papà!- Viola, era quello il mio nome; Era stata mia mamma a sceglierlo. Quel nome non si addiceva a me, era un nome elegante, io non lo ero. 
Mi alzai di malavoglia dal letto e mi diressi in bagno. Mi specchiai: ero una ragazza normale, che non si distingueva dalla massa; Occhi marroni e capelli castani, non ero niente di speciale.                                            
Mi sistemai a qualche maniera, presi la prima maglietta che trovai e un paio di jeans, non curavo il look e tantomeno seguivo la moda.
Non m’importava. Non m’importava di niente.
Scesi giù e andai in cucina. Guardai l’orologio. Era tardissimo, dovevo sbrigarmi.
Mio padre non era un bravo cuoco ma s’impegnava molto. Aveva preparato una sostanziosa colazione, ma non avevo il tempo di mangiarla.
Quindi mi limitai a bere un bicchiere di spremuta.
-Mi dispiace, Papà- dissi, mentre in modo frettoloso mi misi il cappotto e lo zaino alle spalle.
E usci. Mi aspettava il mio peggiore incubo. L’autobus si fermò, ed io sali. Quanto avrei voluto scappare via, rifugiarmi in casa mia. Ma non potevo. Purtroppo.
Una volta sull’autobus, gli occhi di tutti erano su di me.
Cercavo disperatamente un posto, mi guardai in giro. Finalmente ne vidi uno. Ma non ne ebbi lì tempo che la ragazza vicino ci mise sopra il suo zaino. Pugno allo stomaco. Era cosi che mi sentivo ogni volta.
Non avevo la forza di sopportare tutto ciò. Il mio cuore non c’è la faceva. Trovai un posto in fondo, e finalmente mi accomodai.
Appoggiai la testa al finestrino, e fissavo ciò che c’era fuori. Pensavo e pensavo. Avrei mai trovato la forza per condurre la mia insignificante vita? Sognavo e sognavo, di andare via, molto lontano. Via da questa mia insulsa vita. Con la mamma.
Il pullman si fermò. Scesi a malavoglia. Un altro indentico giorno. Mi limitai a posizionarmi davanti alla porta principale, facevo solo quello che era necessario.
La gente era abituata al mio silenzio, persino io l’avevo fatto. La voglia di parlare se ne era andata via come tutto quello che ero: una ragazza solare.
Finalmente suonò la campanella. Dovevo salire le scale ma mi era alquanto difficile restare in equilibrio quando una folla di ragazzi ti si scaraventa addosso. Tutti di fretta. Io no.
Ero sempre diversa anche nelle cose più piccole forse è per questo che sono sola. In mezzo a quella massa di tori inferociti trovai un varco, cosi arrivai in classe.
Quella classe che mi rendeva la vita ancora più difficile. Andai al mio solito posto, mi sentivo come un topolino in una gabbia di tigri. -Concentrati Viola, stai attenta- mi dicevo ogni volta, e ogni volta pendevo voti insufficienti. Non riuscivo a concentrarmi, a restare attenta.
Prima ora, matematica. –Buongiorno- disse il professore entrando in classe. -Buongiorno profe-. E da lì niente. Il resto erano solo parole, parole insensate che non riuscivo a capire.
Non capivo. Tutto mi sfuggiva dalle mani, non avevo niente di certo e concreto. La vita, la morte, il dolore, l’amore non avevano alcun significato per me.
E’ come se la vita se ne stesse andando senza di me. Come al passero solitario, nella poesia di Leopardi. Ero come un passero che guardava gli altri divertirsi e godere i migliori anni della loro vita.
Forse è perché non voglio vivere, non voglio accettare il fatto che mia madre non ci sia più.
‘Niente è per sempre’ dicono. Allora perché non provano a spiegare il motivo per il quale il mio dolore non passa. Perché non se ne va? Perché non mi lascia vivere?
La mia vita è quantificabile a un mucchio di domande, a cui non trovo risposta.
Forse sto solamente crescendo, come afferma la signorina Galli, la mia incompetente strizza cervelli. L’altra opzione era che ero pazza.
Potrei essere una sociopatica che preferisce vivere nel suo mondo piuttosto che affrontare la vita. Invece, so solamente che la mia pazzia è diversa, che non si può trovare sui libri di psicologia, no. Io amavo semplicemente la mia mamma. Non passava un secondo senza che pensassi che fosse tutta colpa mia.
Se l’avessi svegliata prima, forse sarebbe ancora viva… sarebbe qui con me. Mi direbbe che sarà sempre con me, mi consolerebbe;
Mi stringerebbe tra le sue braccia e mi direbbe che va tutto bene, anche quando fuori c’è il finimondo.
Lei però è solo un ricordo, che se ne va via ogni volta che torno nel mondo reale, quel mondo freddo.
-Signorina Viola..- - prosegui il professore. -Sta sempre nel suo mondo, eh? Qual è l’argomento di oggi?- -emh, non lo so.- Tutti si girarono. Risatine non mancarono. Senti delle voci da dietro. -Secondo me, non sa neanche contare!Hahahaha.- Quando senti quelle parole, mi venne una grande rabbia, avrei voluto dirgliene dietro. Ma non riuscivo.
Le parole rimanevano bloccate nella gola, è faceva male. Molto male.
Al contrario mi chiudevo sempre di più in me stessa. Cosi tanto da credere di essere davvero nei miei sogni. Pareva tutto cosi reale, percepivo tutto.
Poi senti una voce: -Viola, amore.- -Mamma, mamma sei tu?- Le lacrime rigarono il mio viso, e i miei occhi ormai lucidi divennero rossi. Ma non c’era. -Dove sei?- Cercavo e cercavo, ma niente. Sentivo solo la voce. Alla fine caddi a terra come un morto, in un pianto disperatissimo. -Ti prego, dove sei?…-
 

  
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