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Autore: Iyah May    14/03/2012    2 recensioni
ATTENZIONE: Questa storia è collegata a 'LULLABIES'. Non sono una il sequel dell'altra ma sono la stessa storia raccontata dal punto di vista di due diversi personaggi. 'Remembering Sunday' è raccontata da Iyah, sorella di Jack degli All Time Low.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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REMEMBERING SUNDAY [Chapter 26]
 
Domenica arrivò velocemente. Sapevo che quello sarebbe stato uno dei concerti più importanti per i ragazzi, la prima volta che dei talent scout sarebbero venuti a sentirli. Ero agitata anche io per loro. Dopotutto quei quattro ragazzi erano parte della mia vita, mi sentivo una di loro e condividevo le loro emozioni, nel bene e nel male. Sapevo che quella sera niente sarebbe dovuto andare male o l’opportunità più importante per gli All Time Low sarebbe andata persa.
Pensavo a tutto quello che era successo negli ultimi mesi: era stato un anno scolastico incredibile. Avevo conosciuto un sacco di gente, provato sensazioni incredibili, avevo anche pianto tanto. Ma ero cresciuta, ero diventata più forte. E avevo anche capito che non potevo più nascondere a me stessa quello che ormai era sicuro. Ero totalmente innamorata di Alex. E non un cotta che ti prende per un mese o due. Era quell’amore vero, che dura anche se non corrisposto. Quello che continua a sopravvivere anche se si prova a soffocarlo. Ero cambiata tanto in quei mesi e solo grazie all’aiuto di mio fratello e dei miei amici. Ormai Jack, Alex, Zack e Rian avevano finito l’avventura della scuola superiore, dall’anno successivo sarei rimasta sola, senza punti di riferimento. Ma non avevo paura, ormai sapevo di potercela fare.
Mi fermai a fissare lo specchio che mio fratello mi aveva regalato da poco per sostituire quello che avevo rotto mesi prima. Mi scappò un sorriso. Mi infilai i leggins e una camicia lunga a quadri. Tacchi comodi, la mia borsa nera porta fortuna, trucco impeccabile, capelli un po’ spettinati e poi via, scesi le scale con Jack. Salimmo nel solito furgone, che ormai era diventato forse il sesto membro del gruppo, dopo me e i quattro ragazzi.
Arrivati al locale, gli All Time Low vennero accolti dai fan con numerosi applausi e discorsi di incoraggiamento. Hachi ci raggiunse e mi camminò affianco, mentre seguivamo i ragazzi verso il palco.
«Ciao ragazzi! Noi siamo gli All Time Low e questa è ‘Six Feet Under The Stars’!»
Partirono alla grande, come sempre. La voce di Alex mi portava in un mondo migliore, la chitarra di Jack mi faceva capire quanto per loro fosse importante quella serata, il ritmo che scorreva nelle vene di Rian, fino ad arrivare alle dita e poi alle bacchette, dava il tempo al vortice musicale che rapiva tutti i presenti, e il fisico di Zack, che come sempre suonava senza maglietta… beh, penso si commenti già da solo: credo fossero molte le ragazze accorse per adorare il bassista-palestrato.
Io e Hachi cantavamo e saltavamo – come le 200 altre persone che erano venute a sentire i ragazzi; più passava il tempo e più canzoni gli All Time Low suonavano, più ci convincevamo che ce l’avrebbero fatta a fare colpo si quei discografici. Mi chiesi se avrebbero suonato la canzone di cui avevo scritto la fine. Poi ci fu un momento di tregua e Alex cominciò a suonare in acustico un paio di canzoni con Zack. Jack e Rian scesero dal palco per riposarsi. Ma in quel momento mi squillò il cellulare. Numero sconosciuto.
«Pronto?»
«Iyah, vieni verso il piano bar, allontanati dal palco»
«Ma chi…?»
«Vieni qui, muoviti»
Feci come mi era stato detto, avvisando Hachi che sarei tornata presto e chiedendole di aspettarmi lì. Appoggiato sul bancone del bar, che sorseggiava una birra, c’era Jack.
 
***
 
«Jack, che c’è? Perché non mi fai godere il concerto?»
«Tieni qua»
Mi mise in mano un microfono. Ma non riuscivo a capire. Che dovevo farci io con un microfono in mano?
Alex finì di cantare e si preparò per cominciare un’altra canzone
«E’ arrivato il momento di suonare una nuova canzone, è la prima volta che la canto in pubblico. Spero vi piaccia. Si chiama ‘Remembering Sunday’»
Mi ci è voluto poco tempo per rendermi conto che Alex che cantava quella canzone era la cosa più bella che avessi mai sentito. Il suono della chitarra acustica diventava tutt’uno con la sua voce, creando un effetto incredibile. Dava ad ogni parola un senso preciso, che nessuno coglierebbe leggendo semplicemente il testo di una qualsiasi canzone. Capii che era esattamente quello che Alex avrebbe dovuto fare per tutta la vita: scrivere e cantare.
Prima ancora che me ne accorgessi, Alex era già arrivato al ritornello. Davanti a lui c’erano centinaia di mani alzate che ondeggiavano a ritmo, delicatamente. La stessa delicatezza con cui le parole uscivano dalla bocca di Alex, che cantava con gli occhi chiusi.
Seconda strofa. Cercai Jack ma niente, era sparito. Cosa dovevo fare?
Secondo ritornello.
‘Oh, I can see now / that all of these clouds are / following me in my desperate endeavor / to find my whoever /  wherever she may be’
Improvvisamente capii cosa dovevo fare. Avvicinai il microfono alle mie labbra, tenendolo ben saldo tra le mani, che avevano cominciato a tremare. Quelle parole, quelle che avevo scritto pochi giorni prima. Dovevo dirgli tutto.
Cominciai a camminare lentamente tra la folla, andando dal bar al palco.
‘I’m not coming back / I’ve done something so terrible / I’m terrified to speak / but you’d expect that from me / I’m mixed up, I’ll be blunt now the rain is just / washing you out of my hair’
Alex era sceso dal palco, tenendo in mano il suo microfono, e si guardava attorno, chiedendosi da dove venisse quella voce. Arrivai davanti a lui. Ci guardavamo negli occhi. Volevo dirgli tutto e allo stesso tempo non volevo dirgli niente. Chissà a cosa stava pensando lui, io non riuscivo a formulare nemmeno un pensiero sensato. Continuai a cantare, sperando di potergli dire in questo modo quello che non riuscivo ad esprimere normalmente.
‘And out of my mind / keeping an eye on the world / fro so many thousands of feet off the ground / I’m over you now / I’m at home in the clouds / towering over your head’
Alex finì la canzone.
‘I guess I’ll go home now / I guess I’ll go home now / I guess I’ll go home now / I guess I’ll go home’
Silenzio.
Silenzio dentro di noi, anche se tutt’attorno la gente urlava e applaudiva. Noi rimanemmo immobili, appena sotto il palco, guardandoci negli occhi. Alex fu il primo a parlare.
«Iyah... Scusami per tutti i casini che ho combinato. Sono un coglione»
Io non sapevo che rispondere, ero ancora sotto shock per le vibrazioni che avevo sentito mentre cantavamo. Poi Alex corse sopra il palco e mi trascinò con lui. Sembrava imbarazzato. Si girò verso Jack, il quale tirò fuori da un angolo un piccolo mazzo di rose rosse e lo passò al cantante.
«Ma cosa…?»
Alex era di fronte a me e mi porse le rose. Poi si inginocchiò, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una piccola scatola di velluto rosso e la alzò davanti a me, facendo per aprirla. Mi girava la testa. Troppo. Mi mancava il respiro. Sapevo che sarei svenuta di lì a poco ma dovevo resistere. Dovevo capire cosa stesse succedendo. Poi Alex lo fece: aprì quella piccola scatola.
All’interno c’era un anello d’argento. Semplice, senza pietre o decorazioni varie. Ad Alex erano sempre piaciute le cose essenziali, senza tanti abbellimenti inutili. Ma, in ogni caso, continuavo a non capire. Alex alzò lo sguardo e mi guardò, mentre intorno a noi era calato il silenzio più totale.
«Iyah…»
Io non dissi niente. Non sapevo cosa dire. Cosa gli era saltato in mente?
«Iyah May Barakat: vuoi venire al ballo con me?»

   
 
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