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Autore: Lord_Trancy    15/03/2012    8 recensioni
Una città di notte.
Due uomini, due vite.
E un solo angelo.
“La neve scendeva leggera, come piume d’angelo, ma non accennava a fermarsi.
Mail Jeevas era uscito di casa senza neanche pensarci, solo con la voglia di sentire il freddo della notte.”
[M♥M]
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Matt, Mello
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Quattordicesimo
Verità di mezzanotte
 
 
Aveva avuto risvegli migliori, sinceramente. Mihael si era rivestito quasi con fretta, e Mail aveva avuto la subdola impressione che non lo stesse facendo per il freddo.
- Ho da fare stamattina. – aveva detto allacciandosi i pantaloni, impaziente di correre via da Mail, da quella casa, oramai consapevole del suo imperdonabile errore, del suo sbagliato egoismo.
Voleva ignorare la fitta al cuore che lo aggrediva al pensiero di lasciarlo senza parole d’addio, un ultimo diretto saluto. Sparire in silenzio, come la luce di un angelo non si affievolisce gradualmente ma ti lascia al buio di colpo.
- Stasera allora? –
Mihael si era voltato verso di lui per la prima volta quella mattina.
Invisibile agli occhi di chiunque, nascosto dal suo sguardo un po’ gelido e un po’ impassibile, Mihael ebbe quasi un sussulto. Lo sguardo speranzoso di Mail aveva fatto brillare il suo coraggio e la sua giustizia, che volevano dire a quel bel ragazzo seduto sul letto sfatto ogni virgola della verità.
- Non lo so, ti faccio sapere. Ok? –
Quello era il massimo che fosse riuscito a fare, incapace per egoismo e codardia ad un “no” secco, che avrebbe sancito indirettamente la fine di tutto. Era come se non fosse Mihael Keehl – di cui si può dire tutto tranne che fosse un vigliacco – a scegliere cosa dire, se dare ancora vana speranza o se comportarsi da stronzo quasi a fin di bene.
Era sospeso tra possibilità diverse, tutte ugualmente difficili e dolorose, indeciso, confuso, bloccato prima di compiere un passo in qualsiasi direzione, come ad aspettare ancora che qualcuno dall’alto, potesse prendere fermamente la decisione corretta.
Tante cose poi erano turbinate nelle menti di entrambi, in quel giorno speciale e ventoso, con la neve che vorticava tra le strade senza un verso apparente. Poi, a sera tarda, forse seguendo i capricci del vento più che il filo dei propri pensieri, Mail era giunto davanti al portone del palazzo dove aveva registrato vi abitasse il ragazzo che tormentava la sua mente, portando con sé due abbondanti confezioni da sei di buona e sana birra americana.
Suonò il campanello al nome “Keehl”, aspettando poi due minuti buoni prima di ricevere risposta.
- Sì? – chiese la voce metallica, ma pur sempre riconoscibile, dal citofono.
- Sono Mail. –
Mihael, al caldo nel proprio appartamento, strinse con forza il ricevitore, allontanandolo un poco dal proprio orecchio. Era arrabbiato, con se stesso prima di tutto.
- Sali. – disse a bassa voce, premendo il pulsante che apriva il portone.
Passò il minuto che Mail impiegò per salire le scale, a odiarsi senza fare nient’altro. Pensò seriamente di liquidarlo con una scusa banale, confidando sulla valigia già pronta in camera da letto e su quell’aereo che, aveva deciso, avrebbe preso due giorni dopo. Ma era Natale e gli occhi di Mail, indaffarato a scrollarsi di dosso i graziosi fiocchi bianchi, impigliati anche tra le ciocche della sua chioma rossa, gli impedirono qualsiasi rifiuto.
- So che non sei tipo da regali, ma in fondo queste non lo sono. – si giustificò alzando la busta che teneva in mano, mettendo in bella vista le bottiglie, dato che Mihael in piedi davanti alla porta, con le braccia incrociate sul petto, sembrava tutto tranne che felicemente sorpreso.
Fortunatamente si scansò dalla soglia della propria casa, accennando ad un sorriso sghembo, di cui Mail non poté cogliere l’amarezza.
 

***

 
Una, due, tre, otto bottiglie vuote sul tavolino di cristallo nel soggiorno di Mihael, una abbandonata tra il tappeto e il parquet, l’altra ancora tra le mani di Mail, intento a raccontare qualche avvenimento della sua vita senza nemmeno troppa importanza.
Era successo davvero, pensò distrattamente Mail, mentre posava la bottiglia di vetro semivuota sul mobile in cristallo; un’altra vigilia a sbronzarsi. Ma stavolta lo faceva in compagnia di Mihael, che a suo modo, sembrava gradire quella visita.
Mail aveva notato che in quell’appartamento sospettosamente lussuoso, ci fosse una aria quasi tesa che portava brutte sensazioni. Non seppe mai dire se fosse stato per la sua presenza in sé o per il dolce stordimento dell’alcol, ma Mihael si era come rilassato, in maniera che, doveva essere sincero, non gli aveva mai visto sfoggiare tanto a lungo.
- Ehi, Mihael, guarda l’orologio! – esclamò il rosso, fermandosi poi ad osservare con esagerata concentrazione le lancette del proprio orologio.
- …Due… uno… Buon Natale! – esclamò abbracciandolo con grande entusiasmo, finendo per far rovinare entrambi lunghi distesi sul divano di pelle.
- Oh, scusa. – cercò di dire Mail, un po’ imbarazzato per il poco contegno che era riuscito a dimostrare. Colpa delle birre, sicuramente.
Contrariamente alla sua intenzione iniziale, ovvero quella di rimettersi seduto comodamente e magari ricominciare a bere, fu catturato dalle labbra lucide di Mihael così vicine alle proprie, che diventarono in pochi secondi la sua priorità. Le leccò con lascivia, finché il biondo non le schiuse, ricambiando focosamente quel contatto caldo.
Finì per stringere le ciocche rosse dei suoi capelli e sospirare profondamente mentre Mail gli suggeva la pelle del collo, giocherellando con la cerniera dei suoi jeans scuri.
- Aspetta. – disse il biondo, stupendo se stesso per primo - Vado a Los Angeles. –
Mail alzò lo sguardo su quello di Mihael. Aveva i capelli lisci sparsi sul bracciolo del divano, e una strana luce negli occhi.
- Beato te, anche io ho bisogno di una vacanza. – disse, tornando a concentrare la sua ridotta capacità riflessiva sulla lampo dei pantaloni dell’altro. Dopo qualche secondo di vuoto, durante il quale Mihael fece davvero fatica a mettere insieme il significato delle parole del rosso, finalmente si impose di fermare l’altro, cercando di levarselo di dosso.
- No, sul serio, me ne vado via da qui. –
Le parole da lui stesso pronunciate li sembravano lontane, suonavano come un discorso di sottofondo, come quando lasci accesa la tv e ti sposti in un’altra stanza.
Mail si scansò, seduto inginocchio sul divano.
- Eh? –
Socchiuse gli occhi, come faceva sempre quando doveva sforzarsi di capire qualcosa di difficile.
E difatti non capiva. Guardava Mihael seduto sul bordo del divano, che teneva lo sguardo basso, lo guardava alzarsi e dargli le spalle e continuava a non capire. Se ne andava? A Los Angeles? Cosa… Perché?
- Eh? – chiese ancora, alzando involontariamente la voce.
- Scusa. – si voltò verso di lui e Mail, completamente fuori fase, dette più peso alle sue guance arrossate che ha quello che stava tentando di dirgli. Scosse un po’ il capo, obbligandosi a rimanere concentrato, nonostante il suo cervello invocasse a mandare a quel paese qualsiasi problema.
- Ma che stai dicendo? – domandò guardando Mihael come fosse un alieno.
- Vado a vivere a Los Angeles tra… due giorni, in realtà. –
Come faceva a sembrare così serio nonostante l’astrusità di quello che stava dicendo?
- Scherzi, vero? –
Nel silenzio che seguì a quella domanda si creò una specie di altra dimensione, composta da aspettativa e paura e, per un solo attimo, anche un briciolo di esitazione. Ma poi la sfera di vetro si ruppe, rivelando la fragilità di quel tutto a cui si erano abbandonati con troppa fiducia ed ottimismo.
- No, Mail. –
I fumi caldi dell’alcol non avevano certo intaccato la cruda freddezza che Mihael aveva dentro, come arma di difesa forse, ma riusciva a ferire come una spada d’argento. Mail avrebbe forse preferito qualche scusa patetica o inutili giustificazioni, così, anche solo per poter dire “basta, non voglio sentirti”. Mentre adesso si trovava mezzo morto dentro, anche se ancora non ne era completamente consapevole, e con una gran voglia di conoscerle, quelle scuse banali.
- Perché? –
- Perché io odio questo posto! – urlò, cambiando di colpo, come se avesse aspettato troppo a lungo di essere abbastanza ubriaco per dire quello che non aveva il coraggio di raccontare in altri momenti – Mi fa schifo! Mi faccio schifo… tu non sai che cazzo ci ho fatto su queste strade, quanta fatica faccio ad ingoiare ogni sconfitta che… -
- No, non lo so. – lo interruppe – E non m’interessa nemmeno. –
No, non gli importava sul serio. Lui voleva vivere con Mihael da quel momento, buttare via la carta piena di freghi e iniziare a scrivere su un foglio bianco. Lo voleva così tanto da non accorgersi che non ogni errore si cancella senza lasciare un segno.
- E allora non guardarmi così. Non me lo merito. –
Sì che se lo meritava quello sguardo triste dritto al cuore. Non aveva fatto niente per evitarlo.
- Da quando hai deciso? –
Quella domanda lo spiazzò. Nonostante fosse ovvio anche alla sua mente offuscata che quello fosse il momento delle confessioni, non aveva comunque alcuna voglia di dichiarare ogni sua colpa. Ma era anche vero che non aveva senso fingere adesso, che era vero che era iniziato tutto con una scopata, che poi forse le cose erano cambiate e che comunque non si era mai fatto alcuna illusione perché non era un bambino e perché non credeva che la fortuna avrebbe iniziato a sorridergli. E che soprattutto ormai era finita.
- Da prima di conoscerti. –
- Non me l’hai mai detto. –
Non ne aveva avuto il coraggio, non per paura, ma perché voleva essere un po’ egoista e prendersi il meglio di ciò che poteva avere. Smettere di rinunciare, solo per una volta.
Mihael rimase in silenzio, guardando da un’altra parte. Fuori dalle finestre scendeva qualche fiocco, non abbastanza denso per poter sopravvivere all’asfalto.
Mail accettò in silenzio quegli occhi cielo che non lo guardavano e capì che era arrivato il momento di non dire nulla. Magari andarsene. Fingere di non essersi innamorato di un sogno e archiviare Mihael come un’ennesima sbandata.
Ma parlò, incapace di non farlo, a causa dei freni inibitori allentati e da quella voce interna che non aveva smesso di sperare che si potesse rimediare.
- Io… io pensavo che tra di noi… io… - non riuscì dare un significato alla frase, rendendosi conto solo in quel momento quanto fosse stupido l’amore per Mihael e quanto fosse triste il fatto che quel sentimento fosse ancora lì. Caldo e vivo come mai prima. Non era arrabbiato con Mihael per quello che gli stava facendo, in quel momento riusciva solo a percepire il contorno della propria colpa. Era stato lui lo stupido alla fine dei giochi.
- Tu pensavi che… -
Mihael lo fissò interdetto per un attimo. Aveva ben capito cosa Mail stesse cercando di dirgli e provò una gran rabbia. Perché, per quale dannatissimo motivo era successo tutto proprio in quel momento? Se non fosse stato così deciso, se avesse conosciuto Mail solo un po’ prima forse sarebbe stato in grado di ricambiarlo e non avrebbe potuto chiedere altro. In quel momento invece sarebbe stato meglio essere solo.
Rise, rise dell’ironia della sorte, incapace di non trovare la pateticità di quella situazione.
E Mail lo vide ridere, ridere del suo amore sprecato. Bastò quello, quel rumore quasi cristallino e troppo forte a portare la tutta la rabbia e la delusione verso un unico colpevole. Come poteva prendersi gioco di lui in quella maniera tanto esplicita?
Senza pensarci due volta, seguì il proprio impulso, quasi come uno spettatore assistette all’impatto del proprio pugno sul viso di Mihael. Per un secondo provò un’infinita soddisfazione in quel piccolo gesto.
Anche quando, con il palmo premuto sullo zigomo colpito, quello si voltò, rivelando uno sguardo adirato che gli mise i brividi. Prima di riuscire a pensare qualsiasi cosa, Mail si ritrovò Mihael addosso, senza nemmeno pretendere di conoscere come avesse compiuto uno scatto così repentino, nonostante tutto. Cercò di difendersi come poté, ma era forte e, come lui, aveva dentro una gran rabbia che non vedeva l’ora di uscire, aiutata da tante cose quella sera. Riuscì a divincolarsi dal suo peso solo dopo aver subito diversi colpi dolorosi.
Guardò Mihael ancora per terra, con i capelli scompigliati il preludio di un livido colorargli con una rossa mezzaluna lo zigomo sinistro. Mail si tastò il labbro dolorante, non troppo stupito del sangue caldo con cui si macchiò le dita. Era pazzo! Mihael Keehl era completamente fuori di testa!
- Vattene. –
- Sì, sì me ne vado, stronzo. –
Si sbatté la porta alle spalle e scese le scale quasi di corsa.
Quando si trovò in strada con il nevischio che bagnava l’asfalto e la sensazione di non sapere di preciso dove si trovasse, provò una strana sensazione di déjà-vu. Non si mise nemmeno il giubbotto, percorrendo a passi veloci il tragitto verso casa sua, godendosi il freddo pungente che la notte buia riusciva a regalargli.
 

***

 
Si distese sul letto con i vestiti bagnati, senza curarsi di medicare in alcun modo il labbro che pareva avesse smesso di sanguinare, ma non di provocargli dolore. Dopotutto si sa che spesso le ferite continuano a fare male anche quando sembrano cicatrizzate. Ora come ora sentiva un gran bisogno di mandare a insultare un po’ tutti, se stesso per primo.
Ebbe la forza solo di accendersi una sigaretta, salvo poi gettarla nel posacenere senza aver fatto più di un tiro, e di assecondare le lacrime, soffocando i singhiozzi nel cuscino, desiderando di svegliarsi, l’indomani, ed essere già guarito.
 
 
 
 
 
Qualche Nota:
Invece di una settimana ce ne ho messe due =_= Questo capitolo proprio non mi riusciva… e infatti si vede. Va be’, lasciamo perdere -_-‘’’
Dato che non riuscivo minimamente a scrivere quello che volevo è venuta fuori sta roba che ha cambiato la mia idea iniziale ._. non decido io quello che succede, quindi non prendetevela con me >_<
Oh, beh’, ho poco tempo. Questo capitolo lo commento con un banale “l’amore fa male” e poi vi ringrazio tutti. Caspita, ce l’avete fatta, mi avete sopportata fin qui o_o
Baci <3
Lally
Ps. Il prossimo sarà l’ultimo capitolo prima dell’epilogo. OMG

 
  
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