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Autore: darkronin    16/03/2012    5 recensioni
Sequel di "Il labirinto visto dal castello". Quindi è la mia prima -vera- fic su Labyrinth.
Sono passati esattamente dieci anni dall'avventura nell'Underground.
La vita di Sarah ha subito particolari cambiamenti ma ancora non le sono chiare molte delle cose occorse in passato, specialmente l'atteggiamento di Jareth.
Il decimo anniversario scivolerà via come una giornata tra tante o dobbiamo prepararci a una nuova avventura? Verranno chiariti i punti controversi e le incomprensioni?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tela di diamante'
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9- Qualcosa di inaspettato




Sarah infilò le chiavi nella toppa e si accorse che la porta era già aperta. Toby doveva essere rientrato prima del previsto. Alle sue spalle, una decina di ragazzini irruppero nell'antistante ingresso, schiamazzando eccitati. “Non correte per le scale!” li redarguì seria e seccata
Quelli rallentarono improvvisamente la corsa, ansanti “Scusa...” dissero senza guardarla in faccia, colpevoli. Era sempre la stessa scena: lei che li rimproverava e loro che continuavano a fare quello che volevano. “Non sei arrabbiata, vero?”
“No...” disse accogliente “Ma al posto di correre all'ultimo minuto dalla tata, dovreste prendervi per tempo. Poi è normale che Mary si impensierisca e vada su tutte le furie se non vi vede... L'orologio avete imparato a usarlo...” Loro scossero veementemente la testa in un segno affermativo carico d'orgoglio. “Su...andate...con calma!” disse vedendo che erano già pronti a riprendere da dove avevano interrotto. Quelli presero a salire, piano, i gradini ma a due a due per guadagnare, comunque, terreno in breve tempo. Sarah sorrise a quella trovata e aprì la porta di casa “Sono tornata!” Salutò sorridente, ricevendo un “Ciao” entusiasta in risposta. La luce della cucina era accesa. Liberò velocemente Marking e gli diede una pacca sul dorso mormorandogli un “Vai!”. Gettò il cappotto sulla sedia in ingresso e affrettò il passo verso la sala illuminata. “Scusa il ritardo, non ho avuto nemmeno il tempo di telefonarti per avvisarti... ho dovuto fare delle commissioni insieme a...” stava dicendo quando si congelò sulla soglia, accanto al cane: anche lui si era fermato e stava ringhiando sommessamente a testa bassa, le orecchie tirate indietro, il pelo irto sulle spalle. “E tu cosa ci fai qui?” domandò gelida, senza scomporsi.
Quasi si aspettava di incontrarlo ancora.
Certo: mai si sarebbe aspettata che potesse avvenire in quel modo!
Jareth, dall'altro capo della stanza, stava poggiato sul calorifero con gambe e braccia incrociate. La salutò solo con un sorriso sghembo “I tuoi amici non ti hanno avvisato?” domandò. Lei si illuminò e cominciò a frugare freneticamente nella borsa, finché non trovò il cellulare e vide i messaggi e le molte chiamate perse.
Subito, Toby domandò, perplesso e innocente, inclinando la testa di lato “Non è un tuo amico, Sarah?”
Sarah si era quasi dimenticata di rimproverare il fratello “Toby...quante volte ti devo ripetere di non aprire agli sconosciuti?” lo redarguì calma lei, sottolineando la parola a beneficio dell'intruso e sfilandosi la borsa di dosso.
“Ma cercava te!” ribatté il ragazzino.
Sarah sospirò alzando lo sguardo al cielo, esasperata. “Toby....” stava per ricominciare che lui la interruppe.
“Non è cattivo! Mi ha anche aiutato coi compiti!” protestò convinto.
A quel punto, Sarah non poté non lanciare un'occhiata al biondo che era rimasto nella stessa identica posizione per tutto il tempo. “Tu...” disse lei, fissandolo con sguardo furente “Vieni di là con me, per cortesia...Toby...” aggiunse verso il fratello “Tu rimani qui. Qualunque cosa succeda! Intesi? Ti lascio Marking di guardia...”
“Non posso venire anch'io?” domandò avvilito
“No. Sono cose da grandi, credimi. E non è proprio il caso che tu senta cosa devo dire a questo signore...”
“Ma io sono grande, Sarah!” protestò lui, con un tono di voce che lanciava rimandi a discussioni già sostenute
“Non 'sta volta, Toby...” lo pregò, un po' più dolce.
“Anche se ti metti a urlare?” domandò allora lui
“Soprattutto se mi metto a urlare! Andiamo...” aggiunse dando a tutti le spalle. Jareth si staccò solo allora dalla parete con un movimento fluido e in poche falcate le fu alle spalle
“Ma state assieme?” domandò ancora il fratello
A quelle parole, Sarah perse un battito e si voltò verso Toby paonazza in volto “Certo che no! Cretino!”
“Mark...Sarah mi ha detto cretino...” piagnucolò il ragazzino. Il cane, per tutta risposta, lo consolò con una bella leccata che coprì tutto il viso e lo fece ridere. La ragazza si allontanò, sbattendo le porte della cucina e spalancando quelle del salotto adiacente.
“Prego, Maestà.” disse acida accennando un inchino sarcastico. Non c'era traccia alcuna di quell'irritazione camuffata da cortesia e deferenza che aveva mostrato al loro primissimo incontro, in cui si sforzava di rifiutare le sue offerte con belle parole per non sembrare sgarbata. No...lei riservava quella gelida freddezza a chi la circondava ogni giorno mentre in quel momento era davvero sé stessa, libera di esprimersi al suo peggio. Non gli stava nascondendo nulla. Maleducata come sempre.
La sala era abbastanza grande, divisa dall'arredamento in due ambienti separati: da una parte, un tavolo estensibile di legno chiaro e una libreria/cassettiera tutto intorno su cui campeggiavano strumenti e blocchi scarabocchiati, dall'altra, divanetti ramati attorno a un tappeto dalle tinte bruciate circondavano un basso tavolino d'ottone, orientate verso il televisore da cui si diramavano le appendici di un console lasciata in disordine, probabilmente dagli stessi ragazzini appena rimproverati lungo le scale.
“Prima fa lo stalker, appostandosi fuori dalla mia finestra, e ora si piazza qui?” chiese aggressiva senza dargli in tempo di mettere piede nella stanza.
Lui alzò lo sguardo perplesso, guardandola come se fosse ammattita: oltre alla domanda di per sé, qualcosa non andava nel suo discorso “Io non mi apposto fuori dalla finestra di nessuno...” Non si sedette ma si avvicinò allo schienale di una poltroncina e vi si poggiò, tornando nella posizione che già aveva in cucina.
“Sua Maestà desidera qualcosa di particolare per tendermi queste imboscate?” ringhiò ancora l'altra, altera, incrociando, come lui, le braccia al petto, per nulla convinta delle sue parole.
“Ben trovata anche a te, my dear...” celiò lui sarcastico “Da quando mi dai addirittura del Lei? Se proprio vuoi trattarmi formalmente, ti chiedo, almeno, di darmi del Voi1
Sarah lo fissò a lungo “Non mi permetterei mai di mancarLe così di rispetto...ma se insiste...Cosa ci fate Voi qui, ho chiesto?” ripeté senza farsi incantare da quegli strani occhi azzurri e senza perdere la propria combattività.
Jareth annuì soddisfatto di quella prima, microscopica, vittoria “Non è la stessa domanda che mi hai porto pochi istanti fa...ma comunque... sono qui per te, se non si era capito...”
“Perché?” ringhiò ancora lei. “Cosa volete da me?” domandò correggendosi: con lui le domande che davano per sottintesa una frase intera non valevano “Io Vi ho vinto, se ben ricordo. E, ammesso che non sia stato tutto un incubo, sono io che dovrei avanzare richieste a Voi, non viceversa...”
Lui assottigliò lo sguardo, studiandola “Sì, certo, mi hai vinto. Infatti, non sono qui per comandarti, cara...non ne ho il diritto. Vengo in pace. E' così che dite, no?”
“Benissimo. Accetto che veniate in pace. Cosa volete precisamente da me?”
Lui levò un sopracciglio perplesso “Te, ovviamente...” rispose con la massima naturalezza.
Sarah lo guardò con tanto d'occhi, incerta se arrossire per l'imbarazzo o preoccuparsi per il significato nascosto in quelle due parole.
“Eccomi, mi avete vista...” disse aprendo le braccia, mostrandosi “Che altro volete?”
Lui sbuffò “Te l'ho già detto, mi sembra. Voglio te.”
Sarah non si fece cogliere impreparata una seconda volta, quindi ribatté “Potete essere un pochino più dettagliato e dirmi, precisamente, cosa Vi serve della mia persona? Sempre che non sia troppo disturbo per Voi...”
“Nessun disturbo...” concesse lui, chinando la testa in avanti in un gesto di approvazione per le parole scelte dalla ragazza “Mi serve il tuo potere, precisamente.”
“E cosa ve ne fareste del mio potere?” chiese lei retorica per poi cambiare registro, come svegliandosi da una trance “Ferma un attimo. Quale potere? Io non ho alcun potere!”
“Oh, sì che ne hai, Sarah” la corresse lui, tirandosi in piedi “Ne hai avuto abbastanza da sconfiggermi, ricordi? Abbastanza da annullare il mio, di potere.” la informò fissandola dritto negli occhi. “Ma quello che nessuno sapeva era che il re dei Goblin si era innamorato della ragazza e le aveva dato certi poteri” aggiunse, facendole il verso e ripetendo a memoria quanto le aveva sentito dire la sera di dieci anni prima. Vedendola sempre più confusa e come continuasse a tacere, decise di spiegarsi per evitare di tirarla troppo per le lunghe “Non è successo nulla di...diciamo eccentrico, in tutto questo tempo?” chiese vedendo che lei si illuminava, mandando a posto tessere di un complicato mosaico di cui non vedeva la soluzione “Tu, mia cara, ti sei appropriata del mio potere.”
“Prego?” chiese lei sbalordita
“Sì, in effetti, dire che te ne sei appropriata non è del tutto corretto. Diciamo che, avendo lasciato libero e privo di protezioni il tuo potere -quello che io ti avevo donato- e credendo in esso hai fatto sì che il labirinto e Goblin City riconoscessero te e rigettassero me: io non ho alcun potere su di te, giusto?” le ricordò perfido
“Io non lo sapevo...” disse rammaricata
“Come sempre, no?” rispose lui laconico “Ad ogni modo, visto che io ora sono un semplice e misero essere umano, ho bisogno di te per riprendermi ciò che è mio di diritto. Da qualunque punto tu la voglia vedere e a qualunque cosa tu voglia credere, la verità è una sola: tu hai, sicuramente, più potere di me. Al momento.”
“Scusa scusa.” lo interruppe lei “Vuoi dirmi che ora il labirinto, e anche i Goblin, ubbidirebbero a me?” Lo sgomento le aveva fatto dimenticare il proposito di mantenere le distanze.
Le lunghe dita tamburellarono brevemente sulle labbra atteggiate in una smorfia dubbiosa “Tecnicamente...” concesse lui con un gesto enfatico della mano. Sarah quasi si aspettava che una delle solite sfere gli comparisse tra le dita.
“Sarei una specie di regina?” chiese scettica con una risatina isterica
“Sarah? Non sfidarmi!” sibilò lui. Era lì con le migliori e più serie intenzioni e lei si permetteva di deriderlo?
“Altrimenti cosa?” lo provocò, tornando alla fredda distanza che aveva mantenuto fino a poco prima “Cosa mi fareste? Voi, che non avete alcun potere su di me?” sottolineò
“Non avrò potere ma sono pur sempre un uomo...” le ricordò con uno sguardo condiscendente.
“Non osereste mettermi le mani addosso...” sibilò lei di rimando, incredula
“Dipende in che ottica vuoi vederla, Sarah...io sono un gentiluomo, dopo tutto. E ammetto che l'idea di giacere con te non mi disturberebbe...” disse prendendosi il mento tra le dita e studiandola con sguardo languido. “Ma non arriverei mai a forzarti contro la tua volontà...” La vide arrossire violentemente: ovviamente lei aveva inteso l'altra interpretazione della frase. Ma lui, già dieci anni prima, si era rifiutato di cedere alla violenza nei suoi confronti. Sapeva che ne avrebbe solo rafforzato la determinazione2.
Dopo un momento di panico, Sarah riuscì a riprendere il controllo di sé “Non Vi disturberebbe, eh?” chiese sarcastica e offesa, con lo stesso tono con cui, anni prima, gli aveva chiesto cosa avesse mai fatto di generoso lui per lei. “Va bene...facciamo finta che io abbia paura di Voi, al momento, come da Vostra ultima richiesta, dieci anni fa.” Lui parve perplesso ma lasciò correre “Cosa dovrei fare, precisamente? ImporVi le mani sulla fronte e sperare di ridarVi i poteri come il più ciarlatano dei santoni?”
“Veramente...” disse, tornando a poggiarsi al divanetto “Dovresti affrontare, nuovamente, con me, il Labirinto...e dimostrare a tutta Goblin City che ho il tuo benestare per regnare. A tal fine, direi sarebbe opportuno che riprendessi a darmi del Tu, come hai sempre fatto...”
Sarah era più che spiazzata. Le cedettero le ginocchia ma fu veloce a trovare un sostegno nella poltrona accanto a quella di lui “E' uno scherzo?” rantolò sedendosi
“Ho mai detto bugie?” chiese lui retorico
“Sì” fu la sua risposta esasperata
“Posso aver omesso, my lady, ma mai mentito...” la corresse lui
Lei si prese la testa tra le mani: tutto quello che concerneva quell'essere sapeva procurarle mal di testa lancinanti per l'alto tasso di concentrazione che richiedeva.
“Invece hai mentito eccome...” sibilò, confusa, improvvisamente sopraffatta dagli eventi di quei giorni “Quando hai detto di amarmi!”
“Io non l'ho mai detto!” puntualizzò subito lui, caustico “Ho detto che se tu mi avessi amato, io sarei stato il tuo schiavo. E' diverso!”
Certo. Che sciocca che era stata a illudersi a quel modo. E perché poi? Di un sogno, tanto per cominciare, che le dava solo filo da torcere. E poi...da quando aveva cominciato a pensare a lui in quell'ottica? Due giorni al massimo...da quando Immanuel si era mostrato solidale con lui. Le sue parole l'avevano confusa!
“Non è che quello è uno dei tuoi desideri, Mà Chère?” domandò lui curioso e interessato
“Dimmelo tu... ” sibilò esausta, sprofondando nel divano “D'altronde, tu conosci tutti i miei sogni, non è vero?”
“Conoscevo” precisò ancora una volta, sondandone lo sguardo coi suoi occhi spaiati “Ora non ho la più pallida idea di cosa ti possa passare nel cervello.”
Sarah prese un paio di minuti per riflettere su quello che le era stato detto.
“E sentiamo...quando dovremmo partire?” concesse lei
“Oggi non ti andrebbe? Festeggiare così il nostro anniversario non sarebbe un'idea meravigliosa?” Le si era avvicinato e si era inginocchiato accanto a lei, un braccio appoggiato al ginocchio, per avere gli occhi alla stessa altezza.
Sarah levò lo sguardo che si piantò sul suo petto glabro. Solo allora notò l'assenza di una cosa, un dettaglio, che era rimasto, unico, quasi invariato in tutti i loro incontri nell'Underground: Jareth non portava più al collo il suo ciondolo. Che fosse stato il corrispettivo della corona o dello scettro? Che fosse da quello che dipendeva la sua magia? Spostò lo sguardo, a disagio, per posarlo sulle sue mani, intrecciate tra loro all'altezza del petto. Un altro dettaglio, che in qualche modo, fino a quel momento, aveva dato un senso di estraneità all'uomo che le stava davanti, più degli abiti umani che indossava, era l'assenza dei guanti. Guanti che aveva sempre avuto neri. O bianchi, in due particolari occasioni.
“Non possiamo partire domani? Una manciata di ore cosa possono cambiarti?”chiese trovando il coraggio di fissarlo negli occhi. Erano tremendamente vicini ma lui restava immobile, non accennava ad allontanarsi né ad abbassare lo sguardo.“Hai l'obbligo di partire subito? Puoi aspettare un paio d'ore?” chiese lei stremata
“Sì, non ho nessuno che mi insegue... davvero l'idea di festeggiare non ti sfiora? Dieci anni...un bel traguardo...”
“Sarebbero stati uno splendido traguardo se tu non fossi ricomparso nella mia vita a cavallo della ricorrenza...” sbuffò lei, rimuginando. Le sembrò che lui si fosse rabbuiato ma cacciò quell'immagine dalla sua mente con forza: lui era il subdolo Re dei Goblin. Sicuramente stava architettando qualcosa e sicuramente non le aveva detto tutto quello che c'era da sapere. “Dimmi solo una cosa..anzi..due...”
“Chiedi pure!” disse lui, più sereno ora, per l'implicita accettazione del suo incarico
“Abbiamo limiti di tempo?”
“Non abbiamo limiti di tempo...possiamo impiegarci pure un anno... Il regno di Goblin non è più come lo hai conosciuto tu, né come l'ho conosciuto io. E' cambiato ma so comunque raggiungere il castello in un paio d'ore. Sarà un raid... L'altra domanda?”
“Non è richiesto il mio sacrificio su un altare di marmo e che tu beva il mio sangue, vero? Non è richiesto nulla di truculento... o sì?”
Jareth sorrise alla domanda ingenua della donna davanti a sé “No, non devi temere per la tua incolumità: non verrai uccisa, non verrai stuprata... non verrai incatenata nelle segrete....” pronunciò l'ultima parte del discorso con un tono volutamente lascivo che sottintendeva qualche fantasia perversa.
“C'è un ma?” chiese lei sospettosa, accantonando il ricordo che lei aveva di quei luoghi.
“Nessun ma. L'unica condizione è che tu mi accompagni e che mi aiuti. Tutto lì: collaborazione tra vincitore e sconfitto”
“Mi sembra troppo facile...”
“Credimi, non lo è per niente. Anzi...in due, lo stesso semplice percorso, raddoppia i punti di attrito. E se si viene separati è pure peggio.”
Sarah si rabbuiò. Ore, giorni in sua compagnia, senza un minimo di privacy. Al momento, le stavano venendo un sacco di domande sugli abitanti del regno che aveva conosciuto. Ma decise di tenere quelle domande come argomento di conversazione per il viaggio.
“Ho un'ultima domanda...” disse con l'implicita promessa di terminare il terzo grado “Per te non sembra passato nemmeno un giorno mentre per me sono passati dieci anni...come mai? Sei immortale? Io credevo...”
“Vedo che tu e la logica continuate a non essere buone amiche. Il tempo, nei due mondi è completamente diverso: i tuoi dieci anni per me sono stati solo un anno....”
“E perché quando...ci siamo incontrati l'altra volta è stato il contrario? Il tempo scorreva più velocemente di là che di qua...”
“Dieci anni fa, mia cara ragazza, come in questa prossima avventura...” disse lui tirandosi in piedi e porgendole la mano. Ora gli occhi di Sarah erano giusto all'altezza di qualcosa che aveva completamente ignorato quando era più piccola e che adesso, nei suoi ricordi, rivedeva come tremendamente osceno tanta era la sfacciataggine con cui veniva esibito. Arrossì per il solo fatto di essersi fatta sfiorare dal pensiero e accettò la mano di lui, incredibilmente morbida e liscia. “C'eri tu...e quando c'è un umano, il tempo viene sovvertito, contratto. In quei frangenti, un'ora nell'Underground corrisponde a poco meno di mezzora qui: da alba ad alba sono solo dieci ore, nell'Underground, e non 24, quindi un'ora delle vostre ha un'equivalenza effettiva di sei per noi che però, coi giusti rapporti, valgono solo due e mezzo3. Quindi...” continuò, sicuro di averla confusa a sufficienza con tutti quei numeri “...Tornando a noi, direi che se sparisci per qualche ora, nessuno se ne dovrebbe accorgere. A meno che il tuo fidanzato non decida di cercarti...”
“Quale fidanzato?” chiese lei sbigottita e troppo vicina al biondo per allontanarlo con fermezza, come avrebbe voluto.
“Il professor Grimm...” Ghignò ancora lui.
“Ancora? Ma basta! Non stiamo assieme!” strepitò riscuotendosi
“Ah no? Comunque è inutile che ti sforzi di fare tanto la sostenuta con me: non mi interessa chi frequenti, mi basta riavere il mio regno” disse lui, spegnendo ogni speranza potesse essersi eventualmente accesa nella ragazza.
“Va bene...ora che hai ottenuto la mia collaborazione puoi pure andartene!” disse lei, improvvisamente seccata, invitandolo a uscire dalla porta del piccolo ambiente tra cucina e salotto. Sentiva che, ancora una volta, sarebbe stata uno strumento nelle sue mani e la cosa non le piaceva per niente.
“E perché dovrei?” chiese lui altero e arrogante
“Perché è buona educazione, perché io ora devo cucinare, lavarmi e andare a dormire...”
“Ma io non ho dove andare...” replicò lui piccato
“Come sarebbe a dire, scusa?”
“Sarebbe a dire che, al momento, non ho magia sufficiente per aprire un varco. Inoltre, dovrò usarne di più per portare anche te, visto che non sai come si fa e devo fare economia. Quel poco che avevo l'ho consumata due giorni fa per rientrare nell'Underground. Non mi aspettavo di trovarti...”
“Rientrare? Ma allora hai dei poteri!” Protestò Sarah inviperita
Lui la guardò con sufficienza “Sono talmente pochi e deboli che li esaurisco con poco...Avevo bisogno di lavarmi e cambiarmi. Sono pur sempre un re. Ed è già abbastanza seccante dover racimolare giacigli di fortuna una notte sì e una no, mangiare il vostro cibo e vivere le vostre vite.” sputò pieno di livore. Più della degenza, quello che gli pesava della sconfitta era l'esilio a cui era stato costretto. “E se anche avessi saputo che ti avrei incontrato, li avrei usati tutti comunque per rendermi presentabile ai tuoi occhi” pensò fissandola.
“E intendi piantare le tende da me?” protestò lei, mani sui fianchi, esasperata.
“Se non avessi accettato la mia proposta, l'avrei fatto comunque per convincerti...” replicò lui con un ghigno che non ammetteva repliche. “La responsabilità di tutto questo è solo tua.”






1    Come accennato in Il labirinto visto dal castello (non trovo più il punto in cui ne parlavo ma rinfresco qui), in Inglese esisterebbe la divisione Tu-Voi-Lei. E' simile alla nostra, con delle sfumature. Mi spiego. Il Lei è usato SOLO per Sua Maestà il Re-la Regina (Her/His Majesty). Per il resto si usa esclusivamente il Voi (l'antico Thou -non si vede la famigliarità con Tu, sia per scrittura che per pronuncia?- è stato assorbito da You, alla faccia del luogo comune inglese lingua democratica...).
Il Voi, rispetto al Lei, ha una dimensione più 'vicina' e intima... se si parla di una persona in terza persona, con questa presente, è un modo di escluderla/prenderne le distanze. Il Tu/Voi (assimilato in Inglese a un'unica forma) implica cmq un rapporto diretto faccia a faccia, quasi paritario. Già Dickens, nei suoi appunti sui viaggi in Italia, si meravigliava di come noi dessimo agli estranei del Lei (caricandoli, quindi, ai suoi occhi, di eccessiva formalità laddove loro davano del Voi...cmq torna sopra..noi diamo il Lei titolo regale alle persone che ci sono più sconosciute) mentre in famiglia, per rispetto, si usasse il Voi. Ecco spiegato perché all'inizio, Sarah, per tenere le distanze e far pesare la differenza tra loro, usi il Lei e Jareth le chieda di usare almeno il Voi (tanto in Inglese si usa cmq solo quello...ma almeno in italiano posso permettermi la libertà di giocare con questi tre modi di rapportarsi).

2    Se non fosse chiaro, Jareth col suo “sono pur sempre un uomo” intendeva dire che aveva tutte le carte in regola per sedurla -com'è riuscito a fare senza sforzo con Gloria nel capitolo precedente- e farle perdere la testa mentre lei ha percepito solo la differenza fisica data dal sesso forte (e quindi ha pensato volesse convincerla a suon di ceffoni -che male non le farebbero cmq- e successivamente, che volesse addirittura violentarla).

3    Allora, parliamo della scansione temporale nei due mondi quando c'è un umano in mezzo... Sarah è rientrata dall'avventura a mezzanotte spaccata. Ed è partita...???? Erano le 7 quando era nel parco e suonò la campana, doveva affrettarsi e arrivata a casa era in ritardo di un'ora. Erano le 7.30? poi passa sicuramente una mezzora, tra asciugarsi, litigare col padre e andare in camera a calmare il fratello.... e quindi? Il viaggio è cominciato alle 8? Facendo conti approssimativi che sia mancata da casa per 4 ore ecco come ho sviluppato i conti: l'avventura comincia col sole che sorge e termina al castello col sole che sta sorgendo (è ancora l'alba quando varcano il portone). Ergo le 10 ore (non 13, Jareth gliene ha tolte poco più di tre) della giornata Underground ricalcano le 4 ore umane in cui lei è stata assente. 10/4 = 2,5 ore (ogni ora umana corrispondevano a 2 e mezza del sottosuolo.) Ma queste non avevano certo la stessa valenza umana. Un quarto di giornata (24/4) sarebbero 6 delle nostre ore. Ecco quindi che quell'ora umana, temporalmente 2 ore e mezza d'orologio, valgono come 6 delle nostre. Pensate quante cose si possono fare dalle 8 del mattino a mezzogiorno. Ecco...tutto quello fatelo in 2, 5 ore ;) ….chiaro? (vuol anche dire che Sarah avrebbe ballato per circa 3 ore (un'intera ora Underground è dedicata al ballo)




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Bene..sono riuscita ad arrivarci..dopo quasi 10 capitoli...ma l'importante è arrivarci...
Non ho granché da aggiungere...spero solo vi sia piaciuto. :) e preparate i fazzolettini per le emorraggie per i prossimi capitoli (mica partono immediatamente!!! :D)
PS: Mi sono accorta che è un capitolo pieno di refusi..li sto ricorreggendo man mano..chi legge immediatamente se ne sarà accorto..mea culpa
Un bacio a tutti!


   
 
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